Capitolo V: Umanità Perduta

Fidnemid, 24 Ottobre.

   Abegail si risvegliò tra le poche comodità degli ammalati; un letto composto da un vero materasso e cuscini morbidi imbottiti di piume.
La testa le girò ancor prima di riuscire ad aprire gli occhi e dovette ringraziare la larghezza del suo giaciglio se non cadde sulla pavimentazione della zona di riabilitazione: parte del micro allestimento ospedaliero di Annwn.

Non poteva far a meno di pensare a quanto accaduto. Le immagini correvano in maniera confusionaria nel flusso della sua coscienza mentre la canzone intonata da Aida nel proprio monologo contro le creature celesti, era bloccata su una sola strofa.

Chiamateli donatori di virtù e bellezza, per me saranno soltanto degli egoisti, traditori; dei ladri.

   Ladri.
Sembrava surreale che qualcuno avesse accostato quell'appellativo ai protettori dell'umanità: impossibile come altre conoscenze già accurate.
Ormai niente avrebbe dovuto sorprenderla, eppure, si ritrovava allettata con un terribile mal di testa e il terrore di un passato che non riusciva a comprendere a fondo.
Un trascorso lontano, precedente alla sua nascita, ma che comunque la perseguitava.

Dopo svariati minuti, la ragazza si girò su un fianco, mugolò dolorante e strinse le coperte al petto, decidendo solo in seguito di svegliarsi completamente e accantonare i pensieri confusi.
Aveva la bocca asciutta e i muscoli intorpiditi seguivano i comandi con fatica affinché si alzasse.
Subito dopo il tentativo dolorante, gli occhi le bruciarono, rivelando una pallida luce sfuocata che oscillava sopra il suo viso; strinse le palpebre almeno tre volte prima di mettersi a sedere e avvertire la mancanza del calore delle coperte sulle spalle.

Era tutto terribilmente silenzioso e vuoto. L'umidità le invase le narici.
La stanza, dal perimetro rugiadoso e le finestre rotte, era di poco più piccola rispetto al salotto della famiglia che l'aveva in custodia.
Le tonalità di colore, tendenti al verde acqua, rendevano l'aria più gelida di quello che già era e altri tre letti erano posti sulla destra, spogli e macchiati.
Ciò che però sorprese maggiormente la ragazza stava da tutt'altra parte.
Abegail ruotò lentamente il capo alla sua sinistra, trovando la parete di fondo vicinissima a lei; tra letto e muro c'era poco più di mezzo metro di distanza e, proprio in quel ridotto spazio, Alexander stava riposando poggiato alle mattonelle in vista, fra crepe e calcinaccio.

L'angelo, seduto sul pavimento impolverato, aveva la testa china, le braccia abbandonate lungo i fianchi e le gambe stese fin sotto la rete in ferro che reggeva lo strapunto, su cui giaceva la mora.
Questa sforzò, per quanto poté, gli occhi così da vedere nitidi i riccioli dell'amico cadergli lungo le guance arrossate dal freddo e accorgersi che egli teneva in grembo i suoi occhiali da vista.

Il sibilo del vento e, successivamente un colpo sul vetro della finestra adiacente, mossero la fanciulla.
Fu allora che Abby mirò l'ambiente esterno: era notte e a giudicare dal denso nero del cielo oltre il ramo che batteva sulla lastra scheggiata, era pure profonda.
Per quanto aveva dormito?
Spalancò all'istante la vista, scostando le coperte dalle gambe in modo da poter scendere al livello dell'amico.

Avvertì subito il drastico cambiamento di temperatura, decise di prendere rapida gli occhiali, per sentirsi almeno un poco sicura, e recuperare la coperta il prima possibile.
La pelle d'oca si fece strada sulla sua cute nonostante fosse ricoperta da una felpa di lana. Non poteva credere che Alex si fosse assopito tra quel gelo.
Afferrò i lembi della trapunta sgualcita e li tirò finché anche l'angelo ne fu coperto, poi si sedette poggiando la testa sulla spalla dell'addormentato.
Aveva bisogno di conforto anche solo tramite un semplice contatto.

— Abby, sei stanca devi riposare. — Parlò nel sonno l'altro; un riflesso condizionato, l'ossessione di ogni giorno. — Copriti che è freddo, tranquilla io sono immortale.

   La mora lo guardò tristemente, intrecciando le dita con i capelli ribelli del giovane; fu un gesto dolce, mosso dall'amicizia che, benché fosse stata messa a dura prova, non aveva mai smesso di legare i due.

— Anche tu, Alex sei stanco e di certo non sei immune al raffreddore.

   Sussurrò, aggiustando meglio la coperta addosso al ragazzo prima di riabbracciare Morfeo.

   Vennero entrambi svegliati ore dopo dal quel maledetto suono delle sirene mattutine; trasalirono assieme spaventati, ma sollevati perché strappati alle grinfie degli incubi.
In ambe due le visioni, un colore governava indiscusso, pigmento spesso associato alla speranza che ai due ragazzi aveva portato solo sofferenza: il verde.

Con il fiato spezzato si cercarono e l'attimo seguente al ritrovamento tramite i loro sguardi, si resero conto della posizione in cui stavano.
Il sonno li aveva direzionati ad abbracciarsi affinché trovassero un appiglio che li potesse restituire alla realtà; l'una sopra l'altro ancora avvolti dalla coperta che li aveva protetti dal gelo.

— Buongiorno. — Pronunciò incredulo il ragazzo, rinsaldando la stretta attorno alla vita dell'amica. — Accidenti a te, mi hai fatto preoccupare.

   Il respiro pesante dell'angelo cadde fra i capelli della fanciulla per pochi secondi, lasciando spazio poi all'usuale sorriso. Quella maschera di allegria assemblata malamente dopo la propria distruzione.
Fu in quel momento, attraverso i lineamenti forzatamente adottati da Alex, che Abegail riesumò le memorie della donna che stanziava nella sua mente.

   Aida.
Ricordò ogni singola sensazione, la paura di essere diventata cieca e infine la mancanza d'aria seguita al mondo che veniva risucchiato dall'oscurità.
Subito dopo le sembrò di impazzire vedendo momentaneamente il volto dello spirito sovrapporsi a quello del biondo.

— Alex...

   Forse avrebbe sbagliato, anzi, si augurava di esser nel torto, ma la somiglianza era troppa per una pura coincidenza.
Quel dannato sorriso...

   — Il mio Alexander, come si è fatto grande.
Fece per parlare scioccata e tramortita nel mentre la voce di Aida scioglieva i suoi pensieri, ma la porta d'ingresso batté prepotentemente contro la parete dall'altro capo della stanza, costringendola a scattare via dal tocco dell'angelo.
L'odore di pioggia entrò insieme a una figura zoppicante e dal giacchetto puzzolente.
Frank fissò la ragazza, trascinando il suo vecchio corpo fino al letto assegnato a questa. I due giovani si tirarono in piedi imbarazzati dimenticandosi della trapunta, finita sotto alle suole infangate dei loro scarponi.

— Abegail, oggi non andrai in centro.

   Sentenziò severo l'intruso; aveva un tono strano, annebbiato da qualche altro pensiero.
Dopodiché sollevò il braccio destro, mostrando una boccetta ammaccata in latta; brindò al vuoto, rischiando di cadere e rivelando il contenuto di quel piccolo oggetto grazie alla pesante fragranza: era rum.

— Frank, sto bene, giuro che non succederà nuovamente!

   L'anziano fece una smorfia, incurvando le folte sopracciglia argentate. Era visibilmente ubriaco e si reggeva a malapena in piedi con le sue gambe storte.
Com'era potuto accadere?

— Pensi che sia per una sorta di premura nei tuoi confronti?

   Sputò acido, cadendo infine sul materasso cigolante di fronte a sé.
Non ragionava; le sue spalle vibrarono incerte tra un pianto isterico e delle risate amare.
Ruotò il busto cercando di mettersi a sedere e prontamente venne aiutato dalla fanciulla preoccupata: era certa che Frank avesse perso quel brutto vizio. Cosa lo aveva spinto a dissotterrare la sua debolezza?
Lo osservò attentamente, domandandosi cosa lo avesse reso uno straccio, schiavo dell'alcol: era orrendo.
Il viso sporco di terra, i capelli unti e gli occhi iniettati di sangue lo rendevano smorto oltre ogni modo.

— Scusami. — Sbiascicò subito dopo. — Non puoi andare perché mia figlia e Cassandra hanno bisogno di te.

   Sospirò, allarmando i due giovani.
L'attimo successivo prese a borbottare frasi incomprensibili scaraventando il micro contenitore contro le lastre del pavimento. Il rumore prodotto fu simile ad uno sparo e subito le immagini, di quanto accaduto il giorno precedente, segnarono le menti dei ragazzi.
Alexander si irrigidì sul posto mentre l'amica, ingoiando l'ingiusta scena, cercò di comprendere meglio ciò che l'uomo intendesse.

— Ma che stai dicendo?

   Tuttavia Abby ricevette un solo sguardo di fuoco nell'esatto istante in cui il rumore del colpo smise di circolare nell'aria; erano occhi scuri quelli che la scrutavano, abbracciati dall'odio verso un destino ignobile e contro natura.

— Il dottore dice che Clarissa tra poco smetterà di lottare.
L'infezione alla fine ha avuto la meglio.

   Alexander e Abegail, appresa la notizia, corsero immediatamente fuori dalla struttura, finendo prede della leggera pioggia che caratterizzava quel grigio giorno.
Non persero tempo nel lamentarsi per il freddo: dovevano raggiungere il resto della famiglia il prima possibile.
Scesero nella strada principale calpestando pozzanghere e dirigendosi verso l'ospedale improvvisato della frazione. Nel loro breve tragitto, destino volle che, tra le altre persone che dovettero scansare, incontrassero anche il resto dei cercatori.

— Abby dobbiamo dirglielo. — Bisbigliò Alex dopo aver frenato l'altra, alludendo all'uomo ucciso vigliaccamente. — Potrebbero imbattersi nella squadriglia di Airmed.

— Lo so...

   Un urlo disperato azzerò il respiro dei presenti e condusse la loro attenzione al secondo piano della casa poco lontana, utilizzata per gli allettati.
Abegail dischiuse le labbra incredula, il volto perse colore e le gambe decisero da sole le successive mosse: raggiungere la stanza di Clarissa.
Il cuore le pulsava in gola nel mentre saliva le scale spintonando le infermiere di turno. Su quegli scalini, così simili a quelli della casa in cui aveva vissuto fino a pochi mesi prima, rivisse le litigate fatte con le gemelle; udì i pettegolezzi, vide la loro unione sfaldarsi e al contempo si immerse nelle loro risate sincere.

   È tutto sbagliato!
Grosse lacrime caddero dai suoi occhi finché questa si pietrificò di fronte al capezzale di Clarissa.
I genitori e la gemella erano già attorno al letto su cui giaceva inerme la giovane custodia di uno spirito.
Cristal gemeva di dolore, annaspava tra i singhiozzi mentre suo marito l'abbracciava svuotato di ogni emozione.
Il pensiero della mora andò subito a Cassandra, una statua di marmo seduta al fianco della sorella che ancora le teneva la mano.

Abegail le si avvicinò lasciando entrare nella piccola camera anche Alex, un'operatrice sanitaria e due uomini del gruppo diretto in centro.
L'angelo invocò mentalmente una grazia dei suoi superiori, ma sapeva fossero pensieri tirati al vento.
In seguito alzò i suoi occhi fino a ritrovare quelli dell'amica: dovevano raccontare finché avessero avuto un pubblico che li ascoltasse.
Annuirono entrambi con il capo e, non appena Frank varcò l'entrata cadendo in ginocchio per lo spasimo, Alexander iniziò a parlare.

— Sappiamo che non è il momento adatto, — Enunciò, sospirando. — ma abbiamo qualcosa da dirvi.

   Era serio e ciò non piacque agli altri, stretti in un dolore che li avrebbe accompagnati fino alla loro fine.

— Abby e io ieri ci siamo incontrati con il nuovo gruppo di Nathalie, degli sfollati di Airmed.
Potrebbe risultare normale, tuttavia loro non lo erano affatto. — Catturò l'attenzione di tutti, compresa l'infermiera che coprì con un lenzuolo pulito il volto della trapassata. — Il capo della squadriglia ha ucciso un uomo.

   Cristal trasalì stringendo al petto il fazzoletto carico di sentimento.

— Lo ha ucciso senza esitare anche se questo era sotto shock, facile da sopraffare e disperato.
Aveva bisogno di mangiare, lo si vedeva da quanto era debole e malnutrito.

   Sospirò il biondo, esprimendo la sua rabbia nello stringere i pugni, ma non sarebbe mai bastato per liberarsi completamente.

— Il ragazzo lo avrebbe potuto far calmare, invece ha deciso di prendere la strada più rapida.

   Terminò in modo tale da poter distogliere lo sguardo rimasto per tutto il tempo fisso sui lineamenti coperti della bambina.

— P-perché?

— Com'è possibile!

   Cristal e Ronald intervennero all'unisono, commentando con il loro stato assuefatto dallo shock.
Non bastava perdere la figlia, dovevano temere di ritrovarsi braccati da persone a cui non avevano fatto niente.

Non sono umani.

   Sussurrò l'infermiera spalancando la bocca.

— Non è tutto. — Toccò poi ad Abby arricchire le informazioni. — Indossavano delle specie di uniformi ed erano armati come se fossero dei soldati.

— Dove hanno preso le armi?
Gli unici rifornimenti sono destinati alle autorità.

   Paura e curiosità si mischiarono nei membri dei cercatori, i più esposti al pericolo. Fu allora che Frank si voltò in direzione di Alex con la solita espressione vacua.

— Cosa pensi stia succedendo?

   Il ragazzo strinse i denti; aveva pensato tutto il precedente pomeriggio ai possibili sviluppi.

— Ho paura che le altre frazioni si stiano organizzando, ognuna con l'intenzione di essere l'unica a dover sopravvivere.
Questo vuol dire...

— Che certe persone ucciderebbero chiunque per un pezzo di pane.

   Alexander asserì alla conclusione enunciata dall'anziano, facendosi poi da parte in segno di rispetto verso la giovane vita lacerata senza alcun ritegno.
Poggiò la schiena sulla cornice della porta e osservò con pena la famiglia crogiolarsi nel dolore e nella paura. Fidnemid stava per tornare ai suoi anni bui; guerre fra compaesani, massacri e carestie. Chissà quanto tutto ciò dovesse appagare Lilith che già pregustava il sapore della desolazione, grazie all'anima della piccola Clarissa.

Angolo autrice:

Ho ritagliato un po' di tempo e ho pubblicato in anticipo perché domani su Instagram ci sarà una sorpresa ^^

Torniamo al capitolo.

Lo so, sono terribile...
Continua a fare male vedere personaggi lasciarci così, ma almeno cerco di farvi entrare completamente nelle sciagure che stanno colpendo Fidnemid...

Spero vi sia piaciuto ^^

Ps. A causa di vari problemi e impegni farò il possibile per aggiornare quanto meno fra due settimane...

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