Capitolo III: Proprio Tu Fra I Tanti

Fidnemid, 23 Ottobre.

   Quella sottile scia di luce s'infranse l'attimo in cui le sue dita si distaccarono del tutto da quelle che le conferivano un senso di protezione mai provato prima. Come in uno specchio d'acqua, tra esse non vi fu più neanche lo sfiorare leggero delle due pelli mentre il bagliore tremava sotto l'insicurezza e la paura si faceva strada nella distanza sempre maggiore.

   Abegail nonostante si fosse ripromessa di non lanciarsi in imprese a lei precluse, era caduta facile preda di quel sentimento che nessuno controlla; lo stesso che crea le farfalle nello stomaco, quel brusio che avverti quando in realtà il silenzio la fa da padrone, ma soprattutto, colui che porta un sorriso anche sulle labbra meno duttili: l'amore.

Era accaduto troppo rapidamente e ciò aveva lasciato confusione lungo la sua strada ripida e piena di insidie. L'incredulità iniziale fu sostituita dalla curiosità incessante che, come in un evoluzione, si tramutò in affetto e simpatia benché la situazione presentata fosse tutt'altro che normale e vantaggiosa per tali emozioni.
Come ognuno sa, da quell'attimo vi è un breve, ma significativo passo dopo il quale l'affetto custodito gelosamente sboccia in qualcosa di più colorito ed esaltatore della felicità.

La mora si era ripetuta fino allo sfinimento che nemmeno in un futuro lontano anni luce, quel suo sentimento così nuovo e leggiadro potesse essere ricambiato. Tuttavia, soltanto quando gli occhi color smeraldo del principe demoniaco, che persino all'apparenza niente avevano di malvagio, ebbero donato un ultimo saluto al proprio colmo di lacrime ed empietà, il vero dolore le si era diramato dal cuore fino ad ogni cellula del suo corpo, come se esso fosse parte essenziale del sangue.

Quello sguardo, contrariamente alle supposizioni della fanciulla, fremette di tristezza e desiderio per qualcosa che mai avrebbe visto luce fra loro due.
Erano bastate pochissime settimane, pochi giorni l'uno in compagnia dell'altro per far sì che qualcosa di proibito, persino dallo scorrere del tempo, nascesse.

Quello stesso sguardo sepolto dai riccioli voluminosi e tetri, la perseguitavano ogni notte, inducendola a rivivere con sofferenza la svolta che le aveva segnato ulteriormente il futuro.
Si rammaricava pensando a quanto la sua acuta prevenzione avesse avuto ragione: mai avrebbero dovuto cercare le risposte ad una cosa che non potevano gestire.

— Harry.

   Sussurrò tra le lenzuola ruvide, costringendo il suo sonno a liberarla da una visione a cui, mai più, avrebbe dovuto assistere.

Un sospiro seguì lento lo spostamento delle coperte opprimenti nonostante procurassero ad Abby un calore simile a ciò che lei supponeva vi fosse nel sottosuolo; calore di cui necessitava.
Successivamente con la delicatezza di una bomba esplosa, una sequenza di allarmi riempì la minuta stanza creata da teli, avverando il desiderio poco combattuto della giovane.
Ella si svegliò di soprassalto sbattendo le palpebre e frugando agitata sul materasso come per cercare la prova di essere tornata nella realtà.

Rotolò tra le coperte, incapace di comprendere se ciò che la circondasse, fosse un sogno o una concretezza a cui non voleva più assistere.
Si portò poi le mani al petto per trovar sollievo al contatto con l'anello e la collana di sua nonna; la chiave angelica, frutto di un qualche segreto celestiale.

Fuori i deboli raggi della mattina non trapelavano ancora dalle tende sottili, ma la luce di un lampione e il suono dei passi nelle strade accanto, la costrinsero a mettersi a sedere sul duro giaciglio.

Non le servì alcun orologio né il telefono, completamente scarico da più di due mesi, momento in cui anche l'utilizzo dell'elettricità era stato negato ai cittadini.
Abegail sapeva esattamente l'ora prefissata per l'inizio delle sue giornate monotone: la fine del coprifuoco.
Desiderò tornare indietro; rivivere quelle sensazioni che, solo con il senno di poi, erano le migliori che avesse mai provato. 

— Svegliati, devi aiutarmi con la colazione.

   In contemporanea allo spegnimento delle lontane sirene, un richiamo bisbigliato le fece posare i piedi per terra. Nello stesso momento piccoli pianti scattarono; lamenti di neonati e bambini strappati ai loro sogni, a illusioni migliori della vita.
La mora si prese la testa fra le mani disperata; indossò gli occhiali e intrecciò le dita nei capelli ribelli, subito prima di catapultarsi in cerca di un paio di pantaloni, una maglia e una felpa.

Niente di inusuale narrava la descrizione del suo spazio vitale, diminuito e imprigionato fra mura mutevoli.
Nulla eccetto i numerosi fogli cosparsi di grafite che ingombravano vistosamente un angolo della tenda.

In effetti vi erano troppe carte strappate e accartocciate che ritraevano luoghi, visioni e persone ancorate alla mente distrutta della ragazza.
Ella provava a ritrarli, ma il più delle volte erano vaghi ricordi dei suoi sogni, come una recente figura: una donna che la chiamava a sé.

— Abegail, andiamo alzati.

   Il timbro più basso e calmo di Ronald seguì, come ormai da copione, quello della moglie.
Entrambi sembravano volersi accertare che Abby non fuggisse nuovamente, ma ciò che non potevano sapere era che questa mai sarebbe tornata sui suoi passi.

No che non volesse; era obbligata a vivere quell'esistenza perché una promessa sigillava le sue iniziative.

Promettimi che non tenterai di cercarmi. — Sussurrò premendo la fronte madida di sudore contro quella tremante di lei. — Promettimi che starai lontana da tutto questo. — Tremò respirando in maniera alterata. — Voglio che tu viva fin quando non accadrà l'inevitabile.

Ab giura che mi dimenticherai.

   Come sarebbe mai potuto accadere?
Dimenticarlo sarebbe stato come adombrare molti dei suoi problemi, ma tante delle sue scoperte e soprattutto la sua voglia crescente di cambiare vita.
Incontri, paesaggi, sensazioni indescrivibili e ferite chiare che le graffiavano ancora la pelle, nessuno poteva rimuoverli dalla propria mente, dal proprio corpo.

Delle lacrime minacciarono le sue gote pallide mentre teneva fra le braccia gli indumenti scuri e ingombranti che avrebbe indossato.
La sua vista scese poi sulla pila di libri che era riuscita a salvare; lì fra viaggi, amori, tempi passati in cui le regge e i cavalieri vivevano tra feste e balli, era poggiato il libro maledetto.
Uno dei tanti oggetti che non facilitavano la rimozione dei ricordi.

— Abegail, possiamo entrare?

Abegail ti supplico guardami.

— Rispondi!

Parlami per favore, non voglio aver come nostro ultimo ricordo il silenzio.

   Supplicò nuovamente, accarezzando il volto della mora e obbligandola ad incastonare i loro occhi in una preghiera muta mentre Lilith assaporava la sua vittoria, godendo dopo aver gettato lontano gli angeli.

Come potrai portarne il peso? — Gli venne chiesto debolmente, osando da parte della ragazza che indicò prima il demone poi se stessa. — Se con l'età io dimenticassi tutto ciò, come vivrai sapendo di esser l'unico a custodire questo?

   Nessuna parola vi seguì, probabilmente Abby non avrebbe avuto abbastanza tempo per invecchiare.

   Fu frustrante confondere le parole del presente con i suoi incubi; doloroso come la luce delle torce che si diramò insistente all'interno della camera condivisa con Cassandra, finendo dritta nelle iridi stanche della ragazza sveglia.
Subito dopo anche questa sembrò incupirsi poiché numerose lacrime scapparono dalla debole volontà della giovane.

Abegail fissò il vuoto persa nelle sue cicatrici; pensieri offuscati ulteriormente dal troppo tempo che li distanziava, dal ritmo vigente, omogeneo e privo di quella figura così fondamentale nelle scene trapassate. Gocce grondanti di memorie calarono lente fino a fermarsi contro la stoffa pesante degli abiti, posti a pochi centimetri dal volto.

Si sentì lampante come quella visione tramutò la rabbia dell'intruso irruento, in una pena quasi colpevole.

Cristal, affiancata dal marito, guardava intristita quella ragazza così fragile che mai avrebbe permesso ad altri di assistere impotente alle sue debolezze.
La donna non sapeva cosa potesse mai tormentare Abegail, poté solo immaginare.

Il pentimento della finta bionda non era mai stato accettato a cuor sereno dalla giovane né lei glielo avrebbe mai concesso facilmente, anche se, le azioni di Cristal si erano addolcite e diventate comprensive a tal punto che, senza aggiungere una sillaba, questa ritornò sui suoi passi, seguita dall'ombra altrettanto affranta del rosso.
Che tutta quella catastrofe fosse servita a qualcosa?

Abby rimase nella penombra del suo alloggio il tempo necessario per riacquistare un briciolo di calma; passati pochi minuti il respiro avventato le si placò con cautela, lasciandola riprendere colore.

   C'è un mondo vastissimo al di fuori di questo. Perché ho dovuto incontrare proprio te fra i tanti che potevano capitare?
Domandò sperando che, in qualche modo, Harold l'ascoltasse.
Raccolse infine il suo zaino, vuoto e pronto per contenere le nuove provviste, posandolo su uno sgabello che reggeva il suo giacchetto; guardò Cassandra rigirarsi fra le coperte e con gli abiti in mano si diresse al bagno per cambiarsi.

La luce dei pochi lampioni la investì facendole strizzare gli occhi sotto gli sguardi accusatori di chi iniziava le proprie mansioni: non avrebbe retto un'intera giornata tra gente che la credeva una pazza suicida.

Attraversò un viale coperto dal pantano, facendo attenzione a sporcare il meno possibile le sue scarpe da riposo, ed entrò in una costruzione: il bagno destinato a tutti i sopravvissuti di Annwn. Era una struttura, ricavata da mura di diversa provenienza e altrettanti mobili con il necessario in caso di ferite.
Il pavimento composto da tavole di legno, scricchiolò fortemente ad ogni movimento.

La prima azione che compì fu lavarsi il viso; l'acqua gelida uscita da un tubo di gomma, le congelò il volto e produsse dei brividi lungo tutta la sua spina dorsale.

In seguito Abby mirò maniacale il suo sguardo riflesso nello specchio; occhi solcati dalla stanchezza e così spenti da sembrare vitrei, erano circondati da lunghe e spesse ciglia grondanti di linfa; rossi e gonfi per il pianto furono poi nuovamente coperti dalla montatura degli occhiali. Era abituata a quel suo aspetto: distrutto come la sua anima.

Si lavò i denti e pettinò i capelli divenuti molto più lunghi e indomabili, districandoli con le dita.
Una volta vestita divenne un tripudio di oscurità: dal maglione nero a collo alto, ai jeans altrettanto scuri e strappati sul ginocchio destro fino agli anfibi, scovati fra i resti di una vetrina del centro commerciale.
Corse per evitare il più possibile il freddo dell'inverno ormai alle porte, tornando nella tenda dove lo sguardo le cadde sui trucchi delle gemelle, ammucchiati in un beauty case della madre verde cromo e sul punto di esplodere.
Lo osservò riflettendo: nessuno sarebbe ritornato in ogni caso.

Sentendo l'altra ragazza sbadigliare, aprì la zip del porta oggetti, trovando uno specchietto sporco, qualche matita, ombretti, mascara e rossetti.
Storse il naso, voltandosi rapida per osservare l'altra presenza concentrata nello svegliarsi e sospirando, si mise un leggero strato di mascara sulle ciglia.
Dopodiché imprecò impercettibilmente, rimettendo tutto al proprio posto e allontanandosi appena in tempo.

— Quando potrò venire con voi?

   Chiese Cassandra, uscendo dal cumulo di coperte bucate con la bocca impastata dal sonno.
Successivamente questa si stiracchiò e indossò gli scarponi maschili, lasciati ai piedi della branda.

— Credo sia il caso che tu rimanga con tua sorella.

   Rispose l'altra, infilandosi il giubbotto sgualcito per poi sistemarsi lo zaino in spalla e battere il palmo della mano sinistra sull'orologio al polso che, miracolosamente, aveva ripreso a ticchettare in ritardo.

— Non è bello camminare tra le macerie, ammesso che ci si riesca, tanto meno ritrovare delle persone. — Le spiegò calma. — Nel centro ci sono solo cadaveri, non reggeresti, sei troppo giovane.

   Aggiunse, accendendo totalmente la furia di Cassandra, la quale si sollevò immediatamente agitando le braccia coperte da una sottile maglia, troppo leggera per il freddo che stava per arrivare.

— Credi che la situazione sia migliore se resto qua? E non venirmi a parlare di età proprio Tu! — Alluse all'infanzia della mora. — Clarissa non migliora, sono due mesi che l'infezione va avanti!

   Continuò, tuttavia Abegail non le dette tanto peso occupata a legarsi i capelli per avviarsi al confine di Annwn e sistemarsi i pantaloni larghi.
Era già in ritardo e se avesse procrastinato la partenza Alexander si sarebbe preoccupato più del solito, rischiando di annullare la loro caccia.

— Non abbiamo medicinali abbastanza potenti.

   Proseguì la più piccola.

— Clarissa starà bene, vedrai.

— Basta! — Esplose, gettandosi addosso all'evasiva. — Basta stronza te! — Ripeté fuori di sé. — So come sta mia sorella, lo sento e lo vedo direttamente.
Sta soffrendo inutilmente!

   La voce le si incrinò, seguendo il tremolio delle dita che brandivano il cappotto della maggiore.
Seguirono dei passi al di là del telo logoro; il suono di una corsa nelle pozzanghere e uno scivolone nella ghiaia.

— Ti prego. — Sussurrò Cassandra, ottenendo la pietà dell'altra ragazza. — Ti prego Abegail, le rimane poco, uscendo dai confini di Annwn potrei... — Provò, ma era disperata e di ragione gliene rimaneva ben poca. — Potrei essere utile.

   Abegail fece scorrere i suoi occhi sulla figura, non più bambina, ma nemmeno tanto cresciuta da poter essere considerata un'adulta. Pensò a quante volte avesse desiderato che le gemelle crescessero, che cambiassero.
Tuttavia non sarebbe mai arrivata a desiderare un tale svolgimento.
Erano cambiate solo perché divenute schiave di un ciclo mortale; dopotutto di fronte la morte si è tutti uguali.

— Se le rimane poco, — Pronunciò sciogliendo i pugni che la incatenavano e assumendo un tono decisamente duro. — vedi di non sprecare tempo prezioso. — Strinse i denti e, poco prima di uscire definitivamente dall'accampamento, parlò alla giovane con ancor più rigore. — Altrimenti te ne pentirai per sempre.

   Con un braccio spinse il tendone sporco dell'entrata; agì assecondando un impeto di rabbia dettata dal rammarico e dalla frustrazione.

Se persino una tredicenne aveva capito la situazione attuale; se le frasi dette per compassione le scivolavano addosso come acqua e lei, uguale ad una roccia attendeva la totale erosione, che senso aveva combattere?
Vivere giorno per giorno con la consapevolezza di sfumare da un momento all'altro.
Come si poteva accettare un tale destino?

Angolo autrice:

Salve! Come state?

In questo capitolo abbiamo passato più tempo con Cassandra e credo che tutti siate dispiaciuti per la situazione in cui sono finite le gemelle.
La "squadra tripla C" non è più così tremenda...

Cassandra e Clarissa sono delle bambine, cambiate da un giorno all'altro non per volere, ma per dovere...
Non hanno più alcuna speranza per il loro futuro...
Si sbagliano?

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