Capitolo I: Collera

Inferno, presente.

   Colate di lava si fondevano con flussi omogenei di anime dannate e sogni infranti. Questo miscuglio infernale scendeva da qualsivoglia parete che componesse le decorazioni esagerate della nuova reggia, appartenente al sovrano degli Inferi: Lilith.

I lavori per il nuovo fulcro del sottosuolo erano cominciati non pochi giorni dopo la cattura del principe Harold.
La futura regina aveva gioito e festeggiato a suon di fruste e bestemmie, riecheggiate dai bassi fondi dove i demoni lavoratori si scioglievano a causa del calore emanato dal cuore della Terra e le torture subite dai loro stessi parenti.

Il castello, nato grazie alla corta vita e soprattutto al sangue dei vinti, era un tripudio di malvagità e sottomissione a un potere totalmente degenerato in follia.

La sua postazione, un'altura nei pressi dell'ormai arcana prigione della donna, secondo la neo regina era più che favolosa; specialmente la sua vista.
Ogni stanza meritevole di esser vissuta, aveva larghe vetrate dalle quali Lilith poteva godere della visuale del suo sogno fattosi realtà: una distesa sconfinata di lande che combattevano contro le fiamme della morte, perdendo in partenza.
Il potere dell'angelo oscuro surclassato da del semplice, quanto famelico fuoco; fumo nero e gas nauseabondi aleggiavano in gran quantità, almeno il triplo di quelli già presenti quando era Lucifer a governare.

Le torri più alte del palazzo, snelle e decorate quasi come le guglie sproporzionate di una cattedrale gotica, svettavano minacciose fino al soffitto roccioso del regno: una parete stravagante le cui caratteristiche, si diceva, rispecchiassero l'umore del legittimo re.
Dunque, cosa provava in quel momento il primo angelo caduto?
Massi e calce pendevano dal cielo dell'Inferno; era un soffitto puramente naturale: che egli fosse impassibile al suo spodestamento?
Che avesse perduto ogni speranza o semplicemente fosse stato divorato dal menefreghismo?

Era come se Lucifer nemmeno esistesse; chiuso nella cavità di una prigione; incatenato a delle pareti lerce, senza forze né volontà, aspettava che la fine abbracciasse pure lui.
Una soave speranza lo cullava nei momenti privi di energia; avrebbe dato tutto pur di morire prima che a stringerlo fossero le braccia della megera fuori controllo.

I sei peccati capitali erano nella medesima situazione: prigionieri del regno che avevano contribuito ad assemblare. Avvertivano i mesi crogiolarsi addosso ai loro corpi, immondi e seviziati; quel tempo tanto umano che ripudiavano e denigravano, era divenuto una coltre insostenibile di dolore.

Il regno era indubbiamente mutato senza alcun favoreggiamento nei confronti delle creature che lo abitavano; esseri adescati da desideri malsani.
Tuttavia nessuno di quei demoni si permetteva di muovere un dito contro quel cambio irremovibile. L'oltretomba era crollato; un caos primordiale che sprigiona malessere, avarizia e flagellazione, si ritrovò a essere succube di questa propria dote: paura e malcontento ghermirono ogni particella, ridicolizzando l'essenza di qualunque bestia.

Con ciò si poté dedurre che Lilith avesse acceso la propria vendetta, spegnendo il fuoco nei propri seguaci.
Anime illuse dalle sue dicerie infondate.

— Mia Signora, è come il padre, non vuole collaborare.

   Un'ombra corse urlando; il calibro allarmato e stanco si amplificò nel grande spazio della sala in cui l'interessata di tale preoccupazione, sedeva fiera nei suoi abiti sgargianti.
Rinomati tessuti, fili estratti da polveri cineree e diamanti grezzi adornavano l'abbigliamento regale della donna.
Una corona, simile alla coda dei pavoni, svettava dalla sua schiena dritta mentre lo sguardo sottile, tagliava la densa atmosfera, in direzione di colui che aveva interrotto il mirare solenne dei suoi possedimenti.

— Abbiamo provato ogni suggerimento da lei datoci, ogni cosa!
Ma non cede.

   Taon era affannato e visibilmente debole; le mani gli tremavano come colte dal più umano dei malori e le vesti lo ricoprivano per il doppio della sua corporatura.
Aveva il viso solcato dall'angoscia e schizzi di sangue secco lo decoravano come la tela di un quadro, oltre che avere la pelle graffiata dal segno del tempo, il quale premeva solamente grazie al disgregamento dell'equilibrio.

Un lento e inesorabile mutamento che stava colpendo qualsiasi creatura oscura; dove visibilmente e dove, invece, più nascosto e vile aspettava il momento per manifestarsi lampante, cosicché folgorasse tutti coloro ritenuti immuni all'invecchiamento.

Il demone minore barcollò in cerca di un appiglio, ma il caldo nulla accolse le sue mani bisognose di aiuto.
Lilith storse il naso, dall'alto del suo seggio imperiale vedeva il servo come una fastidiosa formica.
Odiava essere clemente; non gli avrebbe mai donato l'eternità né un'utilità come divenire energia necessaria al proprio corpo: era troppo mediocre, inferiore a lei.

— Ogni cosa?

   Ripeté melodiosa, accavallando le gambe e poggiando il mento sul palmo della mano destra, sorretta a sua volta dal gomito, posto su di un braccio del trono imbottito.

— Io vi ho suggerito dei metodi per cominciare, credevo sareste stati in grado di usare il cervello per ragionare. — Sospirò affranta con una nota aspra.
— Se la situazione richiede metodi più ricercati bisogna adattarsi di conseguenza.

   Dopodiché la sua espressione divenne di pietra. Ella studiò il contorno della fragile figura; i lineamenti ossei e gli occhi di un mortale.
Mesi prima erano caratterizzati da un colore accecante, in quel momento invece erano scuri, timidamente nascosti dall'affaticamento, al quale non si trovavano ragioni sensate.

— Lo avete torturato fisicamente, ma se non ha funzionato bisogna entrare più in profondità.

   Decretò ondeggiando la mano libera e creando una nuvola di fumo dalla forma di un organo pulsante.

— Il suo cuore è fragile, umano e in momenti di paura prende il sopravvento, annebbiando la ragione.

   Parlò concentrata, facendo volteggiare la sua nuova creazione per poi puntare lo sguardo in un angolo remoto della stanza, dove i lavori dovevano essere ancora ultimati. Mancavano pochi metri quadrati di piastrelle levigate e dunque si poteva mirare il terreno naturale dell'Inferno.
Polvere, terriccio arido e qualche frammento di argilla solida, riempirono le memorie di Lilith facendola sussultare momentaneamente.

— Dobbiamo annientarlo, così da renderlo mio.

   Fiatò, spalancando gli occhi furenti e rossi e costringendosi a volgere l'attenzione altrove benché, oramai, la sua fulgida idea fosse definita.
Fletté le gambe, liberandole dalla stretta intrecciata ed elegante e, successivamente, lanciò la minuscola nube vitale verso la terra intoccata.
Non stette troppo a guardare il vortice che la sua azione produsse, ma saltò, piombando a pochi passi dal suo seguace sfinito.
Sorrise poi perfida, spintonando l'uomo debole, tanto da farlo cadere sul pavimento lucidato e nero quanto la sua anima maledettamente folle.

— Muoviti! — tuonò la donna, più forte del suono dei suoi tacchi. — Ti darò una dimostrazione di come avresti dovuto lavorare.

   Detto ciò abbandonò tranquilla la sua reggia, scendendo con maestria innata il pendio scosceso che divideva il suo alloggio da quello che aveva trasformato in una sontuosa prigione.
Giunse in prossimità della grotta con passo da guerriera, respirando il dolore delle bestie sotto torture spregevoli e, infine, entrò nel foro in cui secoli orsono vi fu gettata con violenza, dopo esser stata sfregiata e umiliata.

Un fuoco scoppiettante ardeva di fianco al suo gioiello più prezioso; vivo, al contrario di come si presentava il principe. Quest'ultimo in una posizione da sconfitto lasciava i suoi lunghi riccioli scendere fino a sfiorargli il petto sudato e sporco. Gli occhi vacui, incastonati in un lontano trascorso; in un mondo che non avrebbe più assaporato se non sognando ad occhi aperti con la sua speranza fra le mani.
La sua mente era lassù, sotto un cielo mutevole, l'aria leggera e il tocco fulgido della giovane che lo aveva incantato.

Pensava triste a quanto poco, lui per primo, avrebbe potuto tener fede alle sue parole. Il suo cuore sanguinava amaramente, perdendo goccia dopo goccia l'impressione della concretezza. Quel posto, che tanto sognava, mai gli sarebbe appartenuto.

Le sue ali sbatterono frustrate sul pavimento di sole rocce primarie, alzando polvere e carbone.
Non gli importò delle ferite che si sarebbero riaperte né del bruciore alimentato da esse: era tutto diventato una questione di abitudine.
Lingue di fuoco si proiettarono sulla sua sagoma, aumentando il calore insopportabile mentre qualcosa brillò fra le sue dita.

— Sei venuta per divertirti di persona?

   Pronunciò poi, provando con lo sguardo a intimorire l'ardore nel focolare.
Le fiammate si specchiarono nel verde dei suoi occhi persi e concentrati in un'altra dimensione.
Sentì un brusio di sottofondo e le guardie, suoi aguzzini da diverso tempo, si precipitarono oltre le sbarre uscendo dalla grotta e lasciando solo due figure al di fuori dei confini concessi ai prigionieri.

All'improvviso il giovane batté le palpebre, lamentandosi per mettere in piedi il proprio corpo solcato da cicatrici e profondi tagli.
Avvertiva la presenza appena arrivata e non aveva bisogno di altro per mettersi sul piede di guerra.

— Accomodati, non ti darò alcuna soddisfazione.

   Proferì cupo e determinato, mirando oltre la spessa grata, strutturata in modo da tener separato il figlio dal padre e da ciò che rimaneva dei fautori del legittimo re.
I sei peccati capitali, divenute delle ombre; scintille nascenti dei vizi immondi, erano tornate al loro stadio primitivo.
Fantasmi informi, simili a fuocherelli spaesati che volteggiavano intorno ad un mucchio di carne rassegnata: Lucifer.

— Che caloroso benvenuto!

   Un suono di chiavi aprì le catene del principe: un'altro trucco derisorio che evidenziò quanto la donna fosse sicura di non correre rischi.
Un lampo di odio prese vita nella gabbia accanto assieme a un breve tentativo di creare paura.
Lucifer provò a compiere una qualche azione, ma gli fu difficile muovere anche solo il capo: delle catene lo avvolgevano come un capo ben aderente.

— Harold. — Cinguettò Lilith ignorando il vicino nervoso. — Mi è stato riferito che non desideri unirti al mio comando.

   La donna si mostrò delusa, quasi innocente; accarezzò il volto del ragazzo pulendolo dallo sporco rimasto attaccato alla pelle.
Pareva aspettarsi quel piccolo intoppo.
Guardò meglio il giovane; una carnagione più scura metteva in luce gli occhi carichi di ira mentre il fisico sembrava essersi modellato grazie alle pene subite.
Lilith fece scorrere la sua mano fino alle ali tanto sognate per la loro bellezza, accarezzando senza permesso.

— A me invece non sembra di aver accennato ad alcuna collaborazione.

   Rispose Harold, schiaffeggiando le dita della castana che pressavano sulle ferite aperte e solleticavano le piume sensibili.

— Ti ho seguita, questo è tutto ciò che ti avevo promesso di fare.

   La liquidò, spostando l'attenzione sul tremolio che scuoteva il corpo dell'altro ospite e gli occhi a mandorla serrati per trattenere un dolore fisico, inappropriato per una creatura sovrannaturale.

— Tu! Non ti devi permettere!

   La collera di Lilith prese a colpire veemente il principe; gli restituì sette volte ciò che ella aveva avvertito sulla sua pelle immonda. Sperò che in quel modo la vittima cedesse sotto l'assurda brutalità: un'umiliazione che il giovane demone aveva già provato.
Tuttavia a smuovere Harold furono le fantasie di questa; dettagliate e corrosive lasciarono la sua bocca senza che la donna se ne rendesse conto.

Nel frattempo le lingue scarlatte del fuoco incrementarono la danza iraconda, uscendo dai confini del caminetto composto solo da un semicerchio scavato nelle rocce.
Lunghe e roventi si avvicinarono alle due figure in conflitto, mostrando come una finestra ciò che la mente della sovrana desiderava; quello che le serviva per ottenere il controllo dei poteri del suo ibrido.

— Dovresti sapere cosa succede a chi mi si oppone! — Strillò, sobbalzando per trattenere le risate. — Guarda tuo padre. — Aprì le braccia indicando Lucifer. — Pensa a tua madre e alla donna che hai incontrato nella tua inutile fuga.
Come si chiamava?

— Sarah.

   Ringhiò Harold mentre il viso scorticato gli doleva come non mai.
Sentì poi le fiamme sfiorargli la cute e bruciargli i pochi peli che la ricoprivano.
Solamente allora, con l'odore di bruciato che gli impediva di inspirare, tornò a concentrarsi sulla luce ustionante, terribilmente vicina, avvertendo infine Lilith inginocchiarsi di fianco e cingergli le spalle con un braccio.

— Non avrei mai voluto farlo in questo modo, ma non mi dai altra scelta.

   L'attimo seguente a quella confessione delle immagini si proiettano nitide, prendendo vita esattamente dalle vampate impazzite.
Una ragazza vi tremò all'interno; la voce timida richiamò il moro, provocando in questo la totale mancanza del respiro.

— Abegail?

   Pronunciò incredulo prima che quella visione strillasse sotto al potere di Lilith.

— Fermati!

   La scena fu orribile: le fiamme la divorarono, lambendo carne, sciogliendo i muscoli mentre una mano si protrasse in cerca di aiuto.
Un aiuto che Harold non poté offrirle, incatenato in un'altra realtà, privo di possibilità che gli permettessero di afferrare quella supplica terribilmente estenuante.

— Lasciala in pace, ti prego!

   Provò, iniziando a mostrarsi debole grazie alle sue lacrime, ma era troppo tardi e nessuno gli dette ascolto.

— Era lei che ti impediva di unirti a me. — Sghignazzò, allungando il braccio libero e amplificando il calore delle fiamme. — Tranquillo, ti sto solamente liberando della tua zavorra.

— No!

   Fu una successione di eventi rapidissimi a cui anche Taon prese parte, tentando di dissuadere con una lamentela la sua regina.
Cosa che non gli riuscì.
Il focolare scoppiò nel mentre il principe, disperato, vi si buttò nel tentativo di raggiungere la mora.
Tuttavia non lo fece; la donna lo agguantò rapida per i capelli, costringendolo ad assistere silenzioso alla morte dell'amata.

— Mi ringrazierai, quando capirai e tutto quanto sarà nostro.

   Gli fiatò lenta nell'orecchio, mollando poi la presa e rialzandosi in modo tale da ritornare alla contemplazione del suo impero, con una gioia in più nel cuore marcio: i poteri di quell'essere, temuto dagli angeli, sarebbero stati suoi e più pericolosi che mai.

Abbandonò Harold che, solo e sconfitto pure nell'animo, guardava l'anello, troppo piccolo e rifinito per le sue dita, dono di una speranza frantumata e unico suo ricordo della timida Abegail. Questo riflesse il fuoco morente nella brace dell'incendio e fu l'ultima immagine prima che un radicale cambiamento scorresse in lui.

Angolo autrice:

Non bastava un prologo burrascoso, pure il primo capitolo lo è dovuto essere.
Non mi odiate per questo, purtroppo è stato tutto necessario per sottolineare il cambiamento che poi vedrete...

Stranamente mi trovo a mio agio raccontando di Lilith e i suoi problemi mentali - perché ormai sono solo quelli - ma tranquilli, posso dirvi che per un po' i nostri problemi saranno ben altri. ^^

Comunque domandina veloce: cosa pensate sia successo ad Abby?
Per lei è finita semplicemente così?

Dopo questo vi aspetto nel prossimo capitolo: "Conseguenze Dell'Egoismo"

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