Capitolo 9 - Segreti

Dopo qualche giorno, quando tutti si rimisero in sesto, soprattutto Fenia, ripartirono con la loro carrozza alla volta di Virtus. Al posto di guida c'erano Fenrir e Aritth, mentre gli altri, dentro l'abitacolo, osservavano attentamente la strada e i dintorni per assicurarsi che non ci fossero minacce e che nessuno li stesse seguendo. L'orizzonte era completamente libero.
Infatti, l'attacco arrivò da sottoterra.
Delle lame trafissero i cavalli da parte a parte. I due mezz'elfi saltarono via all'ultimo momento, mentre gli animali morirono sul colpo. Dal terreno cominciano a dissotterrarsi degli scheletri.
‹‹ Ragazzi... Qualcuno può svegliare Dantetor?›› chiese Kiplin, notando che i non morti attorno a loro aumentavano sempre di più.
Cora si guardò attorno. Non si era nemmeno resa conto che il mezz'orco non era lì con loro. Doveva essere molto comodo all'interno della torre, col culo sul letto, mentre loro erano lì fuori a rischiare la pelle. L'unica scusata era Fenia. Nonostante si fosse ripresa, aveva ancora bisogno di riposo.
L'halfling digrignò i denti, guardando Patrizia. ‹‹Scuoti la torre finché lo stronzo non vomita!››
Lui scosse la testa. Non sarebbe servito a nulla. Dantetor non avrebbe percepito minimamente il movimento e, anche se ne avesse risentito, non sarebbe stato solo. Fenia non c'entrava niente con la sua stupidità.
‹‹Aveva detto di voler rimanere dentro fino a quando non saremo arrivati a Virtus perché aveva avuto degli incubi i giorni scorsi. Sono notti che non dorme bene ed era esausto››, rispose Celebrian, ma anche la sua espressione, che di norma era calma, sembrò essere parecchio irritata in quel momento.
‹‹Ah, che genio! Quindi lui dovrebbe rimanere lì dentro per tre giorni e lasciarci nella merda? E per caso i suoi incubi sono anche il motivo per cui fa schifo come chierico?››
‹‹Cora... non è il momento... E poi, tre giorni sono già quasi passati...›› Celebrian, con un cenno della testa, le fece notare che ormai erano circondati da non morti armati di tutto punto.
Fenrir, alla vista dei cavalli morti, urlò di rabbia, e si fiondò all'attacco. Kiplin, per coprirlo, lanciò lo spruzzo colorato, ma gli scheletri non smettevano di rialzarsi.
Erano troppi, e non avevano vie di fuga. Lavelnir cominciò a tremare e a farsi prendere dall'ansia. Non voleva morire lì, non in quel momento e non per mano loro. Menava fendenti a destra e a sinistra, inutilmente.
All'improvviso, dopo diversi insulti rivolti a Dantetor, la sua tasca tremò. Rapidamente, afferrò la torre, e in quel momento vennero sputati fuori Fenia e il mezz'orco.
‹‹Wowowowo, pronto, che cazzo succede?!›› esclamò la drow. Non ebbe nemmeno il tempo di rimanere esterrefatta, perché uno scheletro tentò di affondarle la spada nello stomaco. Lei scartò di lato e fece calare il suo spadone sul teschio, frantumandolo completamente.
Dantetor rimase confuso. Non capiva come mai fosse uscito all'esterno. Un secondo prima era sdraiato sul suo letto, e ora era lì.
Vedendo i non morti, prese istintivamente il suo medaglione da chierico e lo sollevò. Due scheletri vicino a lui si disintegrarono, mentre tutti gli altri cominciavano finalmente a soccombere sotto i colpi del resto del gruppo.
Fenia fu un carro armato. Assieme a Fenrir, fu quella che frantumò più ossa. L'unico momento in cui si fermò fu quando Kiplin lanciò Armatura Magica su di lei, per impedire che prendesse altri danni e vanificasse così la sua guarigione. La drow si raggelò, sentendo il tepore della magia sul suo corpo. Strinse i pugni e si girò verso l'elfo, rivolgendogli uno sguardo iniettato di sangue. Fece per andare verso di lui, ma si bloccò e cercò di riottenere il controllo spaccando la faccia ad altri scheletri.
A fine battaglia, Lavelnir, inzuppato di sudore, si sedette per terra, cercando di controllare il suo tremore. Tutti lo imitarono, esausti. Kiplin si sdraiò sull'erba, chiudendo gli occhi per un secondo. Quando li riaprì, Fenia era sopra di lui. ‹‹Tu... Cosa mi hai fatto?›› gli ringhiò contro.
L'elfo inclinò la testa, corrugando la fronte.
‹‹L'ho sentito... Hai lanciato un incantesimo su di me... Che cosa mi hai fatto?›› urlò l'elfra, prendendolo per il colletto e sollevandolo da terra.

‹‹Io... Io... Ho solo lanciato Armatura Magica per evitare che ti ferissero di nuovo!›› gridò Kiplin di rimando, agitando gambe e braccia.
‹‹Ehi! Fenia! Che stai facendo?›› Aritth corse verso di lei e le prese il braccio, tentando invano di farle mollare la presa.
‹‹Questo stronzo ha usato una magia su di me!››
‹‹Fenia, calmati! Non lo poteva sapere! Dai, mollalo.›› La drow guardò il mezz'elfo negli occhi. Il suo sguardo calmo e tranquillo la rassicurò.
‹‹Va bene...›› mormorò, poggiando Kiplin a terra. ‹‹Scusa...››
‹‹Oh... Non ti preoccupare, non è successo nulla››, disse l'elfo.
Fenia si rabbuiò e si mise in disparte.
‹‹Evitate di usare la magia su di lei, se possibile. Non le piace››, disse Aritth, in modo da farsi sentire dal resto del gruppo. Cora e Dantetor annuirono. L'halfling si segnò mentalmente quelle parole. Non voleva che la drow si sentisse male per colpa sua.
Dopo quel piccolo incidente, Lavelnir ne approfittò per controllare i resti dei non morti, mentre Fenrir, assicurandosi di non essere visto da Cora, sapendo che quella visione poteva farle male, tagliò via della carne dai cavalli, facendo attenzione a tenere solo le parti intatte e commestibili. Una volta terminata la macellazione, con l'aiuto di Aritth scavò delle fosse al bordo della strada e li seppellì.
Ripartirono subito, onde evitare altre attenzioni indesiderate. Abbandonarono il carro e si misero in cammino, con gli occhi spalancati e le orecchie tese. Fortunatamente, non erano troppo lontani da Virtus.
Cora cominciò ad avere sonno. Le palpebre le calavano e ogni tanto sbandava. Ben presto, il suo corpo si rifiutò di fare un solo movimento di più e la costrinse a fermarsi. Eppure, quella notte aveva dormito come un sasso.
Dato che non poteva ancora rientrare nella torre, Aritth decise di prenderla in spalla. Il suo corvo, scalzato dalla sua posizione preferita, optò per appollaiarsi sulla testa dell'halfling. Fenrir si mise accanto a loro con l'ascia sguainata, pronto a difenderli in caso di attacco.

Cora camminava con passo deciso verso un'enorme porta dal gusto piuttosto rustico. I suoi passi rimbombavano lungo il corridoio. La sua visione era sfocata e fumosa, non riusciva a cogliere i dettagli. Si accorse però, di star guardando sé stessa da un'altra prospettiva. Era come se fosse una spettatrice di quella scena. Si avvicinò a due uomini armati, rigidi come statue, ma che lasciavano filtrare il terrore dai loro occhi. Senza dire nulla, aprirono la porta.
Nella stanza, un uomo, seduto dietro una scrivania carica di fogli, alzò appena la testa per osservarla. Il suo viso era confuso, generico, ma riuscì a scorgere un sorriso compiaciuto.
‹‹Oh... Mia cara. Cosa ti porta qui, ora?››
La voce dell'uomo lasciava trasparire grande affascinazione per lei. Cora gli si avvicinò lentamente e protrasse la sua mano in una carezza, mentre lui la guardava con occhi languidi.
‹‹Stanno arrivando... Sai cosa fare.››
Disse altro, ma non riuscì a capire nulla. La sua voce si era fatta ondeggiante, e riverberava per tutta la stanza. Gli porse una lettera, mentre tutto attorno a lei si faceva sempre più rumoroso e disturbato.


Qualcosa la scosse ripetutamente, finché una luce non penetrò direttamente nei suoi occhi. Strano. La stanza era quasi completamente buia. Da dove poteva venire?
Cora sobbalzò appena sulle spalle di Aritth, talmente piano che lui non ci diede minimamente peso. Ormai le mura di Virtus erano in vista, e il gruppo si era fermato per discutere sul da farsi.
L'halfling scosse la testa e si stropicciò gli occhi. Le sembrava di aver sognato qualcosa, ma non riusciva a ricordarsi nulla. L'unica cosa che le era rimasta era un orribile presentimento.
‹‹Fermi!›› gridò, dando una pacca sulla testa di Aritth.
‹‹Che c'è?›› Patrizia inarcò un sopracciglio.
‹‹Non andiamo in città. Ho una brutta sensazione... Vi prego, giriamo da un'altra parte.››
‹‹Cora, lo sai che dobbiamo andare a fare rapporto da Galtarios, si? E solo perché tu hai una brutta sensazione ci dovremmo mettere nei casini?››
‹‹Vi prego, fidatevi di me...››
Lavelnir si mise una mano sui capelli. L'ansia dell'halfling era palpabile, ma lui non aveva voglia di avere a che fare con quelle stronzate.

‹‹In effetti, non fa impazzire nemmeno a me l'idea di entrare››, Fenia indietreggiò di un paio di passi. ‹‹Se Cora non se la sente, magari, potremmo rimanere fuori in due.››
‹‹Dobbiamo andare tutti. Però, in effetti, sarebbe meglio se tu rimanessi fuori, perché -››
‹‹Patrizia, sei forse razzista? Vuoi che stia fuori perché è un' elfa nera?›› lo incalzò Aritth.
A quelle parole, tutti rivolsero delle occhiatacce al ragazzo. Cora pensò che effettivamente quello che aveva detto fosse molto cattivo.
‹‹Non sono razzista››, rispose lui stizzito. ‹‹Sto solo dicendo che sarebbe meglio che lei non entrasse per questioni di sicurezza sua e nostra.››
‹‹Ah... Va bene... Capisco...›› mormorò la drow, incassando la testa sulle spalle.
‹‹Guardate che razzista di merda!›› esclamò Fenrir. Tutti annuirono all'unisono.
Lavelnir fu tentato di strapparsi i capelli. ‹‹Porca puttana, fatemi finire! Fenia, prima stavamo parlando del simbolo che ti sei ritrovata dietro la schiena, no? Ti ricordi che ti ho detto che era per quello che hanno pensato di giustiziarci e poi di mandarci a Silvacque? Ecco. Tu sei una drow, e me non crea problemi, ma penso che in città non tutti la pensino come me. Ergo, se tu entrassi in città e scoprissero che hai quel simbolo addosso, rischieresti di venire linciata, e noi con te.››
‹‹Razzista››, sputò Fenrir.
Prima che il ragazzo potesse rispondere, Cora si schiarì la voce. ‹‹Potremmo aggirare il problema usando qualcosa per schiarirle la pelle, magari dei trucchi. Patrizia ha ragione. Dobbiamo entrare tutti... Però vi prego, facciamo attenzione. Qualcosa non va... Vi giuro che me lo sento. Intuizione da halfling, e noi abbiamo un altissimo senso di sopravvivenza.››
‹‹Il trucco mi sembra un'ottima soluzione!›› esordì Kiplin. ‹‹Nel caso poi potrei anche usare qualche incantesimo per... Ah no, scherzavo.››
‹‹Ragazzi, non c'è problema, posso stare fuori, non mi crea problemi, davvero!››
‹‹No, vieni con noi. Qui non è sicuro››, disse Aritth, accarezzando il viso dell'elfa e spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Certo, Fenia era più che in grado di difendersi da sola, ma dovette ammettere che vedere quel gruppo così unito anche con lei, nonostante fosse arrivata da poco, le faceva piacere.
Aritth si tolse il mantello e glielo mise attorno alle spalle. ‹‹Usa questo. Sollevatelo sopra la testa come se fosse un cappuccio.››
‹‹Secondo me dovremmo almeno dividerci››, propose Cora. ‹‹Non entriamo dall'entrata principale. Ci sono delle porte di servizio per le guardie, usiamo quelle. Almeno così, se ci assalteranno, gli metteremo i bastoni tra le ruote.››
Lavelnir annuì. ‹‹Sì, è una buona idea. Un gruppo può entrare da quella guardiola laggiù, mentre l'altro può costeggiare le mura rimanendo dentro la foresta per cercare un'altra entrata. Ci possiamo ritrovare al mercato. Meglio evitare i luoghi non troppo affollati.››
Non tutti furono molto convinti di quella proposta, ma alla fine acconsentirono.
Aritth, Fenrir, Fenia e Kiplin si inoltrarono nel bosco, dove avrebbero potuto incontrare meno persone, mentre Lavelnir, Cora, Crimson, Dantetor e Celebrian si avviarono verso la guardiola indicata dal ladro poco prima.
I primi ad andare furono Lavelnir e Cora. Sgusciando con passo felpato, si avvicinarono alla torretta, sorvegliata da alcune guardie. Cora, con un incantesimo, distrasse le sentinelle, facendo sentire loro un rumore provenire dalla direzione opposta. Come si allontanarono per indagare, Lavelnir ne approfittò per avvicinarsi alla porta. Avvicinò l'orecchio, e, quando fu sicuro che dall'altra parte non ci fosse nessuno, forzò la serratura senza fare il minimo rumore. Aprì delicatamente la porta e si girò verso gli altri, facendo cenno di raggiungerlo.
Cora a malapena riusciva a sentire il rumore dei propri passi. Celebrian corse rapidamente, scivolando sull'erba senza emettere un suono. Diverso fu per Dantetor e Crimson. I tonfi che seguivano i passi del mezz'orco e lo sferragliare dell'armatura dell'umano, attirarono l'attenzione delle guardie.
‹‹Voi! Fermi! Cosa state facendo?››
‹‹Noi... Volevamo solo entrare in città...›› disse Dantetor.
‹‹L'entrata è da quella parte››, disse un soldato indicando la strada maestra.

I due farfugliarono qualche scusa e si diressero verso i cancelli. Gli altri si nascosero in un vicoletto attiguo alla strada e li aspettarono.
‹‹Dio, Crimson, fa piano!›› lo riprese Cora non appena si riunirono.
‹‹Che cazzo, ho un'armatura! Cos'altro ti aspettavi, scusa? Faccio il possibile!››
‹‹Provaci di più.››
‹‹Se mi rimproveri ancora, giuro che se ci scoprono ti vendo alle guardie per corromperle.››
A quelle parole, l'halfling si zittì e gli rivolse uno sguardo di ghiaccio. Oltre a fare casino, era passato a fare il simpaticone su qualcosa su cui non doveva scherzare.
‹‹Però è vero, Crismon, stai facendo molto chiasso››, si intromise Dantetor. ‹‹Almeno prova a parlare a voce bas-››
‹‹Come cazzo mi hai chiamato, scusa?››
Lavelnir fece appello a tutta la sua pazienza per non dare di matto. L'unica in silenzio era quell'angelo di Celebrian, che aveva annullato del tutto la propria presenza.
‹‹La volete finire? State attirando l'attenzione!›› sibilò. Le sue parole vennero completamente sovrastate da quelle di Dantetor, che, entrato nel panico per la reazione del ragazzo in armatura, aveva cominciato a chiedergli scusa a macchinetta.
Crimson, stufo di quelle scenate, gli diede una piccola spinta. ‹‹Tira a casino››, che dalle sue parti era un modo gentile per dire "Vattene affanculo e non parlarmi per il resto della serata".
Proseguirono per un po' in direzione del mercato, ma ben presto, Cora cominciò a sentirsi osservata. Sollevando lo sguardo, notò degli uomini sopra i tetti che li stavano fissando. Con quanta più naturalezza possibile, si avvicinò a Patrizia e gli prese la mano, cercando di attirare la sua attenzione.
‹‹Li ho visti››, sussurrò lui. ‹‹Ce ne sono anche dietro di noi. Sparpagliamoci. Se ci beccano, non una parola sugli altri, su quello che è successo a Silvacque o sulla torre. La versione ufficiale è quella riportata dal bardo nella lettera.››
‹‹Stai zitto tu, che se la scampiamo da qui sei fottuto››, sibilò Crimson. Lavelnir si irrigidì a pena, e simulò uno sguardo interrogativo sul suo volto prima di confondersi tra la folla.
Cora scomparve totalmente. La persero tutti completamente di vista. Celebrian e Lavelnir riuscirono occultarsi abbastanza bene, ma Dantetor, con la sua altezza che svettava, e Crimson, con la sua armatura, attirarono abbastanza l'attenzione.
Lavelnir si guardò indietro. Alcuni degli uomini che li pedinavano a terra, presero degli strani tubi metallici che tenevano a tracolla e li puntarono in aria. Subito dopo, dei fortissimi boati riecheggiarono in tutta la via.
‹‹Tutti a terra! Tutti a terra!››
Crimson riconobbe immediatamente il rumore. Avevano degli archibugi.
Nel giro di qualche istante, tutte le persone presenti si accucciarono. Altri uomini, compresi quelli sui tetti, presero in mano i tubi e cominciarono a puntarli alla folla. Alcuni di quelli a terra andarono e presero prima Crimson, poi Dantetor, poi Celebrian e infine Lavelnir e li radunarono. Solo Cora mancava all'appello.
Un uomo si avvicinò a loro. Aveva appuntato al petto lo stemma delle guardie di Virtus. Fece un cenno e tutti gli altri puntarono gli archibugi sul gruppo.
‹‹Siete in arresto››, disse con tono grave. ‹‹Dov'è l'halfling che sta con voi?››
‹‹Non è qui››, mentì Lavelnir.
‹‹Trovatela!›› gridò l'uomo.
Mentre alcune guardie si misero a cercare Cora, Crimson cercò di spingerne alcune via. ‹‹Lontani da me, merde!››
Faticarono un po' prima di riuscire a immobilizzarlo. Lavelnir non oppose resistenza. Sapeva che era perfettamente inutile.
‹‹Quali sono le nostre accuse?›› chiese.
‹‹Saranno formulate direttamente dal podestà della città. Allora, l'avete trovata?›› disse poi rivolgendosi alle altre guardie.
Lavelnir, in quel momento, riuscì a scorgere l'halfling mentre sollevava la sua balestra, puntando a una guardia. Sgranò gli occhi, assicurandosi di non essere notato, e scosse la testa.
‹‹Cora, non lo fare, porca puttana››, la ragazza riuscì a sentire la vocina fastidiosa del ladro dentro di sé, quasi come se fosse una manifestazione della propria coscienza.
Abbassò l'arma, mettendo il broncio. Subito dopo, si ritrovò sollevata di peso per il colletto da una delle guardie. Cominciò a scalciare. Odiava essere alzata in quel modo, specie se contro la sua volontà. Non era né un cane né una bambina.
‹‹Ah bene››, disse l'uomo guardando Lavelnir. ‹‹Quindi non era con voi, eh?››
‹‹Beh,›› rispose il ragazzo, ‹‹non era con noi quando ci avete preso. Ci siamo separati.››
La guardia gli rivolse uno sguardo torvo e gli mollò un pugno. Il ladro riuscì a schivarlo per poco.
‹‹Molto simpatico››, la guardia puntò il suo archibugio al mento di Lavelnir. ‹‹Talmente tanto che quasi quasi mi viene voglia di farvi saltare la testa.››
‹‹Non penso che le convenga, o altrimenti lo avrebbe già fatto.››
L'uomo rise.
Crimson si scrollò di dosso un paio di guardie e fece un passo avanti. ‹‹Provateci a farmi qualcosa. Provateci e, vi giuro, vi faccio sputare i denti uno ad uno!››
Alcune sentinelle indietreggiarono, ma il capitano non si scompose minimamente.
‹‹Comportarti così non ti restituirà la libertà››, disse facendo un cenno per ordinare di iniziare a camminare. ‹‹Esattamente come scappare e nascondervi non vi ha aiutati, se non a perdere tempo. Capito, halfling?››
‹‹Intanto, però, vi ho fatti aspettare un po'.››
Cora si divincolò dalla presa della guardia, che la teneva ancora sollevata, e cominciò a correre. Avrebbe voluto stordirli tutti usando Frastornare, ma prima ancora di poter aprire bocca, venne investita da una rete, sparata da uno gnomo su un tetto lì vicino. Rischiò di lanciare l'incantesimo su sé stessa, e questo la fece incazzare ancora di più.
‹‹Dove credevi di andare? La città ha gli occhi puntati contro di voi. O collaborate, o collaborate. Non avete molta scelta, direi.››
‹‹Lasciatela perdere, o finirete col farvi male più voi di noi. Parlo per esperienza››, ringhiò Crimson. Il capitano semplicemente iniziò a ridere fragorosamente e cominciò a camminare, sollevando la rete e portandosela dietro.
Gli altri uomini sequestrarono loro le armi e li fecero muovere.
‹‹Io stavo cercando di liberarvi››, mormorò Cora.
‹‹Pazienza, apprezzo lo sforzo››, rispose Crimson in tono gelido. L'halfling non si sentì rassicurata nemmeno un po'.


Le guardie li condussero di fronte a una palazzina. Una volta all'interno, Cora ebbe come l'impressione di aver già visto quel posto. Davanti a lei c'era un lungo corridoio impreziosito da tende, tappeti e mobili vari, sicuramente di valore.
Le mani della ragazza prudevano dalla voglia di metterci sopra le mani, ma, ancora una volta, la vocina fastidiosa di Patrizia le disse di non farlo.
Poco dopo, arrivarono di fronte a un enorme porta dal gusto piuttosto rustico. Due uomini armati, rigidi come statue, non riuscirono a trattenere una risata mentre l'aprivano.
Dentro la stanza, perlopiù buia e rischiarata solo da alcune candele, c'era un uomo, seduto dietro una scrivania piena di fogli. Alzò la testa e rivolse al gruppo un sorriso mellifluo.
Improvvisamente, una sensazione di disagio, pesante e opprimente, investì tutti quanti. Lo stomaco di Cora si contorse dalla paura.
Le guardie li fecero sedere su delle poltroncine disposte a semicerchio davanti al tavolo, senza smettere per un secondo di puntargli le armi addosso.
Una volta che tutti si furono sistemati, il podestà prese dei fogli in mano, li sbatté delicatamente sulla superficie di vetro opaco incastonata nel legno per sistemarli e poi li poggio di fianco a una penna.
‹‹Bene. Siete stati portati qui per rispondere dei vostri crimini perpetrati ai danni della città di Virtus. Ci risulta che, durante la vostra spedizione a Silvacque, voi abbiate approfittato del vostro ruolo in maniere a dir poco illegali. Prego, cosa avete da dire a vostra discolpa?››
Lavelnir si irrigidì. C'era qualcosa che non andava. Era sicuro che quell'uomo stesse cercando di fregarli. Prestando molta attenzione alla sua scelta di parole, spiegò cosa fosse successo durante le indagini, omettendo la scorribanda di Fenrir e Cora.
Mentre parlava, il podestà fece un cenno. Tre guardie si avvicinarono ad un armadio sulla sinistra della stanza. Aprirono le ante e lasciarono cadere un grosso sacco nero dalla forma allungata. Cominciarono a prenderlo a calci e a pugni e, ad ogni colpo, si poteva sentire un gemito.
‹‹Che significa questo?›› chiese Lavelnir.
Il podestà, con un altro cenno, fece aprire il sacco. Al suo interno, c'era Fenia. Le guardie continuarono a picchiarla fino a farla svenire. Uno di loro le calpestò un braccio, che produsse un forte crack.
‹‹Ah, questo è rotto.››
‹‹Smettetela!›› gridò Lavelnir, balzando in piedi. ‹‹Queste barbarie non venivano fatte nemmeno duecento anni fa!››
Da dietro la scrivania, arrivò un altro cenno, e le guardie tornarono al proprio posto.
Fenia giaceva a terra. Il suo rantolo affannoso riempiva tutta la stanza. Il volto era completamente tumefatto e pieno di sangue. Il naso, completamente contorto, le sanguinava copiosamente, così come gli zigomi e il mento, gonfiati dalle botte. Le labbra erano spaccate, e davanti ad esse giaceva un dente frantumato a metà. Il torso era piegato in maniera innaturale e pendeva tutto verso sinistra, mentre la testa rimaneva appoggiata al pettorale destro. Clavicola, quattro costole e due vertebre rotte. L'avambraccio destro aveva un'evidente curvatura concava vicino al polso. Frattura scomposta di ulna e radio. La spalla sinistra era protesa in avanti, trascinata dal peso morto del braccio. Lussatura. Le gambe tremavano e, talvolta, venivano scosse da forti spasmi. Possibili danni al sistema nervoso. Il piede destro era inclinato verso l'interno e arrivava quasi a toccare la gamba. Caviglia spappolata.
‹‹Che... Che significa?›› mormorò Lavelnir, con la voce tremante per la rabbia.
Crimson avrebbe voluto scattare verso la scrivania e mettere le mani al collo di quel mostro, ma sapeva che non sarebbe nemmeno riuscito a fare un passo. Celebrian strinse i pugni e cercò di mantenere la calma, imitata da Cora. Dantetor guardava tutto con faccia assente, mostrando di non capire cosa stesse succedendo.
‹‹Sappiamo che questa sporca troia negra ha condotto un rituale di sangue, a cui tutti voi avete partecipato, sacrificando due bambini innocenti e un guardiacaccia››, disse il podestà, con tutta la calma del mondo.
‹‹Non è vero! Sono balle!›› gridò Lavelnir.
‹‹Oh... Non credo proprio. Abbiamo una testimone che ci ha fornito una deposizione più che affidabile.››
‹‹Figlio di puttana... Tu... Tu stai lavorando con Jendra, vero?››
‹‹E non finisce qui!›› il podestà ignorò completamente il ragazzo. ‹‹Siete stati davvero efferati. Celebrian, tu, una giovane monaca, che non ha minimamente impedito un massacro... Sei accusata di favoreggiamento e concorso in omicidio.››
L'elfa non rispose e abbassò lo sguardo. Sapeva che la parola di quell'uomo era legge, e lei non poteva opporsi.
‹‹Dantetor! Un chierico... Dimmi... quanti ne hai uccisi a Silvacque?››
‹‹Beh... tanti, direi!›› rispose il mezz'orco, con una punta d'orgoglio.
‹‹Dantetor, ferm-››, Lavelnir provò a gridare, ma venne subito imbavagliato e costretto a sedersi con un coltello puntato alla gola.
‹‹E dimmi... Ne hai uccisi tanti anche da qualche altra parte?››
‹‹Beh, sì. Ce n'erano molti nella fortezza in cui ci siamo svegliati e anche in giro per le strade!››
‹‹Molto bene... Infanticidio plurimo aggravato.››
Lavelnir urlò. Il mezz'orco, esterrefatto, strabuzzò gli occhi. ‹‹Ma... erano ragni e non morti...››
Non venne ascoltato.
‹‹Crimson... il famoso "demone mercenario", come ti chiamano.››
Sentendo il suo nome, il ragazzo in armatura perse la calma e fece per scattare in avanti, ma arretrò quando una guardia gli puntò l'archibugio al petto.
Il podestà agitò l'indice, schioccando la lingua. ‹‹Le tue accuse sono eresia, in primis, omicidio plurimo aggravato e direi di aggiungere anche aggressione a pubblico ufficiale.››
‹‹Pubblico ufficiale?›› disse lui guardandosi alle spalle. ‹‹Tsk, pensavo di avere a che fare con dei barbari del cazzo. Nemmeno in tutti i miei anni di lavoro ho visto merda del genere.››
‹‹Calmati, o questi ci uccideranno tutti››, mormorò Cora. Non aveva nessuna intenzione di morire per mano di quelle guardie solo perché Crimson non era capace di controllarsi. Lo sentiva sempre più nervoso, ed era certa che prima o poi avrebbe cercato di ammazzare qualcuno a suon pugni.

‹‹Che ci provino››, rispose lui.
‹‹Ottimo consiglio... Dovresti proprio ascoltare la tua amica... Sei parecchio saggia, per essere un'eretica che utilizza le arti oscure, no? Oltre a quello, abbiamo anche esoterismo, violazione di proprietà privata, furto, omicidio... Una lista bella lunga per un essere così piccolo, non ti pare?››
Cora corrugò la fronte. Poteva capire le altre accuse, ma...
‹‹Arti oscure?›› domando.
‹‹Oh, suvvia, non fare la finta tonta. Stai forse dicendo che di non possedere artefatti magici corrotti da forze demoniache?››
L'halfling sgranò gli occhi per un secondo, calmandosi subito dopo.
‹‹Signor Porcastà,›› iniziò ricevendo un'occhiataccia da tutti, ‹‹non posseggo niente del genere.››
Mantenne un tono calmo. Crimson strinse le mani sui braccioli della poltrona, mentre Lavelnir morse il bavaglio.
‹‹Ah no? E quindi, questa cos'è?›› fece un altro cenno a una guardia, che si avvicinò, prese la borsa della ragazza e tirò immediatamente fuori la collana di diamanti rossi.
Subito, il fianco di Cora cominciò a bruciare, e la ferità si riaprì, facendo colare del sangue lungo l'anca. Prima che la guardia potesse darla al podestà, l'halfling si alzò e riprese la collana, riuscendo a immaginare quali fossero le intenzioni di quell'uomo. Se prima pensava che si trattasse di un enorme bluff, ora era certa che ci fosse qualcosa sotto.
Il soldato assunse un'espressione disgustata e, in tutta risposta, afferrò la collana e mollò un pugno alla ragazza, che volò fino a schiantarsi sulla parete. Il suo fianco cedette e cominciò a fiottare un lago di sangue dalla ferita, mentre il gioiello veniva portato alla scrivania. Dantetor e Celebrian rimasero a bocca aperta.
Il podestà, alla vista della ragazza raggomitolata in preda al dolore, sorrise di gusto.
‹‹Neghi ancora?›› le disse, prima di rilanciarle la collana come se fosse un oggetto di scarso valore.
Lavelnir avrebbe voluto prendere il coltello nascosto nel suo stivale. Era lì, non gliel'avevano tolto. Avrebbe potuto lanciarlo al mostro dietro la scrivania, ma sapeva che gli avrebbero tagliato la gola prima. Si sentiva impotente e inutile. L'unica cosa che poteva fare era guardare la scena di fronte a lui con gli occhi sbarrati e gridare.
Cora diede fondo alle sue forze per gettarsi sulla collana. I suoi vestiti erano zuppi di sangue, la fronte madida di sudore e le gambe tremavano come delle foglie. Allora, la stessa guardia che l'aveva colpita la sollevo con violenza e la gettò sulla poltrona.
L'halfling rimase in totale silenzio, cercando di calmarsi. Se qualcuno del gruppo avesse avuto domande, avrebbe risposto più tardi. Sempre ammesso che ne fossero usciti vivi.
Il podestà, intanto, cominciò a scrivere su un foglio.
‹‹Giuro che appena mi libero vi conviene stare nascosti come i ratti di merda quali siete››, sibilò Crimson.
Il podestà sollevò un sopracciglio. ‹‹Altre minacce››, e riprese a scrivere.
‹‹Si, aggiungi tutto, brutta merda.››
‹‹E ingiuria.››
Come finì di annotare le nuove accuse, sollevò lo sguardo verso Lavelnir.
‹‹Ed ora... Ecco la nostra punta di diamante! Meinart!››
Il ragazzo sbiancò. La sua mente si svuotò completamente. Il suo nome, il suo vero nome, continuava a rimbombargli nelle orecchie.
‹‹Reinhart?››, chiese Crimson.
‹‹Meinart.››
‹‹Chi cazzo è Meinart?››
‹‹Ma come? È il tuo amico qui accanto. Meinart Vallter.››
Cora vide il sorrisino stampato sul viso del podestà. Chiuse gli occhi e girò la testa, preparandosi psicologicamente alle urla di Crimson.
‹‹Pratica delle arti oscure, eresia, violazione di proprietà privata, furto, omicidio e anche diserzione.››
‹‹Brutto pezzo di merda››, commentò il guerriero sottovoce. ‹‹Lo sapevo che ci teneva nascosto qualcosa.››
‹‹Duecentotre anni fa sei fuggito dal miasma con la tua famiglia, abbandonando le tue responsabilità e il tuo popolo. Per questo, sei giudicato colpevole.››
A quelle parole, Crimson si irrigidì.
Il cervello di Cora si spense. Sentì in lontananza le urla del ragazzo, con Meinart che ogni tanto emetteva un rantolo gutturale e disperato. Cominciò a crescerle un'immensa rabbia in corpo. Si era impegnata tanto a mantenere il segreto per evitare che Crimson desse in escandescenze, e ora sarebbe stata costretta a sorbirsi le sue lamentele.
‹‹E tu lo sapevi bene, no, Cora?›› continuò il podestà. Ora sì che voleva ucciderlo con tutta sé stessa. Gli rivolse uno sguardo carico di odio, ma non mosse un dito.
Crimson ringhiò in direzione dell'halfling, pronto a scattare ancora. Si agitava così tanto da far vibrare la poltrona.
‹‹VI AMMAZZO TUTTI, FIGLI DI PUTTANA!››
Dantetor fece per aprire bocca, ma Crimson si girò improvvisamente verso di lui, in procinto di mollargli un cazzotto se solo avesse proferito parola.
‹‹VAI ALL'INFERNO, BRUTTO STRONZO, NON SAI NEANCHE COSA CAZZO È SUCCESSO!››
‹‹Ti vuoi calmare?›› gli urlò contro Cora, ma Crimson non la sentì neppure.
Il podestà finì di appuntare i fogli davanti a sé, sorridendo.
‹‹Bene. Queste sono le vostre accuse. La vostra condanna è la morte.››
‹‹Cosa?›› Cora corrugò la fronte. Le accuse, o almeno la maggior parte di esse, erano totalmente infondate. E Celebrian aveva la fedina penale totalmente pulita. Condannarla a morte per favoreggiamento? Le urla di Crimson sembravano sempre di più quelle di un animale. Ormai l'halfling non sapeva più che fare.
‹‹AVANTI, TI SFIDO. DAI, SU, AMMAZZAMI!››
Le guardie ormai si stavano stufando di tenerlo fermo, e probabilmente presto avrebbero esaudito il suo desiderio.
Dantetor e Celebrian erano statuari, immobili sulle loro poltrone. Lavelnir, anzi, Meinart si era accasciato con le lacrime agli occhi.
Ben presto, però, il sorriso del podestà si spense.
La porta si aprì, facendo filtrare luce nella stanza. Galtarios avanzò a passo lento e misurato, con un'espressione particolarmente seria in volto. ‹‹Che sta succedendo qui?›› chiese. Cora si mise istintivamente sull'attenti.
‹‹GALTARIOS! QUESTI FIGLI DI PUTTANA STANNO ABUSANDO DEL LORO POTERE!›› gridò Crimson. Il rossore del volto, causato dalla rabbia, era percepibile anche fuori dall'elmo. Stava urlando così tanto e talmente forte che ormai la sua voce aveva cominciato a gracchiare. ‹‹CAZZO, FAI QUALCOSA!››
L'halfling fece per parlare, ma Crimson la indicò in maniera minacciosa. ‹‹ZITTA TU!››
‹‹CHE CAZZO, CALMATI UNA BUONA VOLTA, PORCA PUTTANA!››
‹‹TI HO DETTO DI STARE ZITTA!››
‹‹Ma vai a cagare, bianchino.›› Cora stava implodendo dal nervoso e dal mal di testa.
Il loro litigio fu interrotto da un sonoro rumore di ossa rotte. Si girarono e videro la mano di Galtarios spezzare il collo a una guardia, dopo che aveva passato da parte a parte il teschio di un'altra. L'elfo ritrasse il braccio e pulì il sangue e i resti di cervello sulla divisa di un altro soldato.
‹‹E ora,›› disse passando davanti ad alcune guardie, indicandole una ad una, ‹‹voi non vi azzarderete a torcere loro un altro capello. Perché so dove va a scuola tua figlia, so chi si scopa tua moglie, e so chi ti scopi tu. Chiaro?››
Si avvicinò poi alla guardia che teneva ferma Meinart, che aveva ancora il coltello puntato alla gola.
‹‹Togligli il bavaglio e conserva il coltello.››
Il suo tono era calmo, ma perentorio. Il soldato immediatamente tolse via il bavaglio dalla bocca del ladro e si allontanò.
Meinart, a fatica, si alzò. Le sue gambe, e la sua voce, tremavano. ‹‹Tu...›› disse indicando il podestà. ‹‹Non so come fai a saperlo... Ma io ti ucciderò... Giuro che ti ucciderò...››
Galtarios gli andò incontro e lo blocco, facendogli poggiare dolcemente la testa sulla sua spalla e accarezzandogli i capelli. ‹‹Non ora...›› sussurrò. ‹‹In futuro, ci sarà un'occasione. Te lo prometto.››
Il ragazzo si lasciò andare a quell'abbraccio, e annuì. Si sentì, per la prima volta, al sicuro.
‹‹Questi ragazzi sono sotto la mia protezione››, disse Galtarios. Fece un cenno a un soldato, che prese Fenia in braccio e si diresse verso la porta.

Senza dire un'altra parola, tutti quanti uscirono dalla palazzina.
Una volta fuori, Crimson si avvicinò all'altro umano e all'halfling. ‹‹Voi due le passate,›› disse, in tono minaccioso, ‹‹Cora e Meinart››.
L'elfo li condusse per le strade della città. Arrivati davanti ad un edificio, fece entrare il soldato che reggeva Fenia.
‹‹Qui la vostra amica potrà ricevere le migliori cure››, disse. ‹‹È messa male, ma faranno tutto il possibile.››
Nessuno disse nulla, e ripresero la marcia.
Dopo qualche altro minuto di cammino, arrivarono di fronte a un grande spiazzo. Vennero presto raggiunti da un paggio.
‹‹Signor Galtarios! Ecco l'atto di proprietà!››
‹‹Lo dia a loro››, rispose l'elfo.
Il paggio, allora, si avvicinò a Meinart e gli porse un foglio. Il ragazzo, aggrottando le sopracciglia, lo prese. Il paggio salutò e se ne andò.
‹‹Questo terreno ora è vostro. Potete usarlo per mettere la vostra torre.››
‹‹Ma... Cosa... Come...›› Meinart rimase a bocca aperta.
‹‹Vi devo fare una confessione. Lo dico perché mi fido di voi. In realtà, io sono il capo delle spie di Virtus. Sapere certe cose fa parte del mio mestiere.››
A quelle parole, rimasero tutti senza parole. Sotto invito di Galtarios, Meinart piazzò la torre, che si espanse.
‹‹Bene. Entrate pure. Avrei altro da dirvi, ma può aspettare. Ora riposatevi››, l'elfo indicò la porta della torre con un ampio gesto della mano.
Uno ad uno, entrarono tutti, tranne Meinart.
‹‹Galtarios... Io... Potrei parlarti un secondo?››
‹‹Certo››, sorrise l'elfo. ‹‹Però la mia intenzione era quella andare a recuperare i vostri amici, ora. Se vuoi, vieni pure con me, parleremo dopo.››
Il ragazzo annuì e si misero in marcia.

Una volta dentro la torre, Cora corse immediatamente in stanza per cambiarsi i vestiti intrisi di sangue e sudore e stendersi. Tuttavia, non appena stava per addormentarsi, sentì la porta aprirsi e scattò in piedi. Sperava fosse Fenrir, ma invece si ritrovò Crimson. Era senza armatura, ma con uno sguardo così incazzato che quasi – quasi – la spaventò.
‹‹Ehm... Che ci fai qui?›› chiese, alzandosi dal letto.
‹‹La porta. Bloccala.››
‹‹Sei lì, non puoi farlo tu?››
‹‹Stai zitta e fai ciò che ti ho detto.››
Cora sbuffò e si trascinò pigramente verso la porta. Sapeva bene cosa l'aspettava.
‹‹Tu ora mi dici tutto, dal medaglione a quel bastardo di Meinart. Non ci si può più fidare di voi due!››
Cora capiva la sua rabbia, ma, nonostante ciò, si sentiva ferita da quella mancanza di fiducia. Gli avrebbe detto tutto... O quasi. Non era il tipo di persona da rimangiarsi la parola data.
‹‹Senti, Crimson, io so molte cose, ma se non mi chiedi precisamente cosa vuoi sapere, non posso risponderti. Inoltre, non voglio raccontarti di Meinart. È giusto che sia lui a parlartene. Ho promesso che non avrei detto nulla su di lui, e intendo mantenere il mio impegno. Non ne ho parlato nemmeno con Fenrir.››
‹‹Tsk. Uniti come sempre, ma mai per il gruppo, vedo. È da un po' che mi state facendo innervosire, perché sembra che solo voi due abbiate così tanti segreti da eguagliare tutti quanti. Ora, ho sentito che la testa di cazzo è un reale, e non posso sopportare questa cosa.››
Cora lo sapeva. Non poteva continuare a nasconderglielo, avrebbe creato solo altri problemi. Sospirò, annuendo ripetutamente.
‹‹Immagino che tu lo abbia sentito l'altra notte quando parlavo delle sue mani, no?››
Crimson annuì.
‹‹È l'unica cosa che posso dirti, dato che sai già qualcosa. Per il resto,›› l'halfling tirò fuori la collana dalla borsa, porgendogliela, ‹‹ti ho già parlato di questa, e non c'è niente da aggiungere. È solo una roba maledetta che se me la togli di dosso schiatto come un animale. Cos'altro vuoi sapere? Cosa vuoi sentire? Ne so poco più di te.››
‹‹Mh... Continuo a non fidarmi di voi due... O tre?››
Cora corrugò la fronte. ‹‹Tre? Di che parli?››
‹‹Guardami negli occhi. È da giorni che ti comporti in modo strano. Ogni tanto sei una persona seria e responsabile, altre volte sei una casinista. Tu non sei la sola là dentro, dico bene?››
Cosa poteva raccontargli? Dei sogni? Del fatto che ogni tanto non si sentiva sé stessa? Quell'identità che nella sua testa aveva preso una forma, un nome...
Forse avrebbe dovuto dirglielo, e lo avrebbe fatto, se non fossero stati interrotti da un rumoroso bussare.
Cora si affrettò ad aprire, sperando – ancora – che fosse Fenrir. Si ritrovò davanti Dantetor, che sfoggiava un'espressione ebete.
‹‹Che vuoi?›› chiese stizzita.
‹‹Avete fame? Sto preparando la cena. Tu stai bene?›› il suo tono di voce era sinceramente preoccupato.
‹‹Si. Fammi un panino, per favore. Basterà.››
‹‹Come lo vuoi?››
‹‹Non importa, bello abbondante. Ho perso parecchio sangue, voglio mangiare e sperare che compensi.››
‹‹Okay, ci metto un bue gigante, due cinghiali e quaranta cetrioli.›› L'halfling sperò con tutta sé stessa che stesse scherzando, quindi gli diede corda.
‹‹Okay, lasciane un po' anche per Mommy. Cioè, volevo dire, Celebrian.››
L'elfa, che intanto era di passaggio, sentì quelle parole, arrossì come un peperone e rispose con un "per me niente vino, grazie".
Dantetor annuì e Cora gli rivolse un sorriso di cortesia, per poi richiudere la porta e tornare a guardare Crimson.
‹‹Allora?›› sospirò lui. Sapeva che la ragazza era esausta e si sarebbe addormentata presto, volente o nolente. Quindi, doveva fare in modo di ottenere tutte le informazioni che voleva in fretta.
‹‹Non più››, rispose l'halfling. ‹‹Non è più dentro di me. Quel giorno, nella grotta, credo che la torre abbia purificato in qualche modo la collana. Quell'entità la chiamo Brianna, sebbene ne conosca il nome. L'ho vista, qualche volta, nei miei sogni... Ho le sue memorie, e sono talmente tante da aver inquinato le mie. Come se non bastasse, molte cose vissute da me le ha modificate per adattarle a lei. Piano piano sto recuperando i miei ricordi. Sei contento, ora? Non ti dirò altro. Fino ad ora di queste cose ne ho parlato solo con Fenrir. Nemmeno con Meinart. Quindi, ti prego... Non dire niente. Voglio avere un quadro completo della situazione, prima di dire qualcosa agli altri.››
Crimson strinse i pugni per un secondo. Perché ne aveva parlato con Fenrir e non con gli altri? Si sentiva totalmente escluso da tutto, e non lo trovava giusto. Per lui, essendo tutti nella stessa barca, tutti dovevano sapere tutto.
Scosse la testa e fece per risponderle a tono, ma venne interrotto.
‹‹Mi devi un favore, ho rischiato di morire per colpa tua. Per favore, Crimson, mi fido di te.››
Il ragazzo si zittì. Cora aveva ragione. Si morse il labbro ed inspirò profondamente, poggiandosi le mani sui fianchi.
‹‹Sei sicura che sia via?››
‹‹Al cento per cento. Ho il completo controllo di me stessa.››
Il discorso terminò lì.
Cora aveva omesso solo un piccolo dettaglio.
Durante il viaggio, aveva accennato qualcosa anche ad Aritth. Non gli aveva spiegato tutto per non spaventarlo, ma, comunque gli aveva fatto una richiesta.
‹‹Se mai quella cosa dovesse prendere il controllo totale di me e cercare di farvi del male... Ti prego, uccidimi.››

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