Capitolo 8 - Il fazzolettone

La casa del borgomastro era chiusa. Le finestre, sbarrate. Non filtrava un filo di luce. Kiplin bussò più volte alla porta, senza ottenere risposta. Provarono anche a chiamare a voce alta, ma nulla. Questo era un chiaro segnale che qualcosa non andava. Fenrir propose di sfondare la porta ad asciate, ma venne ignorato. Non era il caso di attirare l'attenzione.
Lavelnir optò per forzare la porta, mentre Cora si dedicò a una finestra. Aritth, invece, si arrampicò al piano superiore, sperando di trovare un passaggio. Se fosse stato tutto chiuso anche al piano superiore, avrebbe potuto tranquillamente rompere un vetro con un pugno.
‹‹Ce l'ho fatta!›› esordì Cora. Finalmente aveva avuto la soddisfazione di aprire una delle temibili finestre di Silvacque, anche se però Lavelnir era riuscito a forzare la porta ben prima di lei.
Il ragazzo fece un cenno con la mano per indicare agli altri di entrare. Cora borbottò qualcosa tra sé e sé e si avviò verso l'entrata. Vedendo Fenrir che la seguiva, si fermò di scatto.
‹‹Dove vuoi andare, scusa?›› disse, spingendolo indietro e poggiandosi le mani sui fianchi.
Lui inarcò un sopracciglio. Volendo, avrebbe potuto scavalcarla facendo un semplice passo, ma non lo fece.
‹‹Io entro, può servirvi qualcuno di forte.››
‹‹No, sta fuori. Sei troppo rumoroso. Se serve aiuto grido fortissimo. Non preoccuparti, okay?››
‹‹Va bene...›› sbuffò lui, guardando verso l'alto. ‹‹Non lo faccio perché me lo dici tu, ma perché me lo dici tu.››
Cora gli sorrise e gli diede una piccola pacca sulla gamba, prima di allontanarsi. ‹‹Dopo ti do un bacio. Ora sta qui.››

Fenrir sorrise di rimando, pur consapevole che lei, tanto, non l'aveva visto, così si poggiò all'ingresso, ma rimase fuori come promesso.
Lavelnir propose anche a Dantetor e Crimson, gli altri più rumorosi del gruppo, di rimanere fuori. ‹‹Voi controllate il perimetro e assicuratevi che non esca nessuno. Se c'è qualcuno dentro, lo coglieremo di sorpresa.››
Non ci furono obiezioni, così gli altri entrarono e si misero alla ricerca di Jendra, mentre loro invece facevano la ronda della casa e Fenrir, invece, aspettava un solo segnale per poter entrare e distruggere tutto quanto.
Aritth, invece, per fortuna trovò una finestra semi aperta e le bastò forzare lievemente per riuscire ad entrare. Una volta al piano superiore, cadde in maniera davvero rumorosa al centro della stanza, perdendo l'equilibrio su un tappeto storto. Dal piano inferiore, infatti, il rimbombo fu piuttosto forte, e questo fece imprecare Cora a voce altissima, ricordando loro che dovevano fare silenzio. Ormai, erano stati sentiti. Celebrian, nonostante si fosse messa a guardare i documenti, optò per andare al piano superiore. Tanto non c'era niente, e la casa era bella ampia. In due avrebbero esplorato il primo piano più velocemente.
Né al piano superiore né a quello inferiore pareva esserci qualcuno. Tuttavia, la casa era sottosopra e c'erano evidenti segni di uno scontro, e questo non era di certo un buon segno.
Kiplin si mise a cercare sui libri qualcosa inerente al rituale della cameriera, ma il massimo che trovò furono incantesimi per far ricrescere i capelli e far maturare il grano più velocemente. Cosa poteva esserci di malvagio in quello?
Dal piano di sopra si sentì un altro rumore, seguito da un "ahia". Riconobbero tutti la voce di Aritth. Cora imprecò di nuovo.
Lavelnir guardò accuratamente dentro le stanze. Cercava trappole, indizi, qualsiasi cosa.
Cora, tra una cosa e l'altra, si ritrovò all'interno della cucina e, come di routine, si mise a cercare qualcosa da bere. Magari del buon vino avrebbe portato loro fortuna.
Ma la sua ricerca venne interrotta dai passi veloci di Aritth dal piano superiore e un urlo che riecheggiò e si spanse per tutta la casa.
Si fiondarono tutti su per le scale, anche quelli che erano rimasti fuori. Di fronte a una porta spalancata alla fine del corridoio c'era Aritth, impietrita. Quando la raggiunsero, i brividi.
La stanza era interamente ricoperta di sangue. Le pareti, il pavimento, i mobili... tutto. Jendra fluttuava al centro. Vedendo le espressioni stampate sui loro volti, rise.
Il borgomastro, sotto di lei, era grottescamente riverso in una pozza di sangue. Il suo torace era stato completamente sventrato. Tutte le costole erano state spezzate e aperte, e sporgevano vistosamente dal cadavere. I polmoni, maciullati, mancavano di varie sezioni di bronchi, mentre il diaframma era totalmente assente. Intestino, stomaco e fegato ciondolavano dai fianchi, mentre la cavità lasciata nel corpo era piena di bile e urina, provenienti dal pancreas e dalla vescica, completamente esplosi. Le gambe e le braccia erano orribilmente girate su loro stesse, con le articolazioni spezzate. L'unica cosa ancora umana era la testa, sebbene completamente dipinta di rosso dal sangue fresco. Il biancore delle pupille svettava in mezzo al cremisi sanguigno, evidenziando una contorta smorfia di terrore.
Cora si sentì gelare. Una delle poche persone che l'aveva tratta incondizionatamente bene e alla quale sentiva di tenere, giaceva macellata a pochi passi di distanza.
‹‹Siete arrivati, allora››, Jendra parlò con una voce profonda, che cozzava con il suo aspetto da vecchina gentile. ‹‹Lui non sarebbe morto, se solo voi non vi foste messi in mezzo l'altra sera. Se non aveste cercato di fare irruzione in quella casa, avrei potuto prendere il bambino della famiglia accanto, e invece... Avete pensato bene di attirare l'attenzione delle guardie e rendermi la caccia impossibile. Siete stati voi a portarmi a fare questo.››
‹‹Lavelnir, ci devi delle scuse!›› esclamò Fenrir.
Non era il momento. Il ladro non lo degnò nemmeno di un minimo di considerazione.
‹‹A che gioco stai giocando? A cosa ti servono questi sacrifici?›› chiese, piuttosto, rivolgendosi alla strega.
La vecchia rise. Come se niente fosse, si dissolse nel nulla, e, al suo posto , comparve una nube nera, che si materializzò in un mostro ripugnante. L'unica cosa a cui il ragazzo riuscì ad associarlo fu un enorme fazzoletto. Sembrava quasi ci fossero due dita a prenderlo dal centro e sollevarlo, conferendogli una forma vagamente piramidale. Un unico occhio al centro era accompagnato da una bocca enorme e piena di denti affilati. Dai fianchi emergevano numerosi tentacoli che fluttuavano disordinatamente, spasmando di tanto in tanto.
Immediatamente tutti, a eccezione di Aritth, Kiplin e Cora, furono su di lui. La mezz'elfa incoccò una freccia nel suo arco, mentre il mago evocò Mario per dare supporto.
L'halfing, dopo un iniziale momento di smarrimento, tirò fuori il flauto, cominciando a suonare una melodia piuttosto triste per i suoi standard, che rifletteva perfettamente il suo stato d'animo in quel momento. Ma le note della musica cambiarono quando Crimson e Fenrir riuscirono a tranciare due bracci, dai quali sgorgò sangue acido, che rischiò di bruciarli. Si spaventò parecchio per loro, a dire il vero. Avrebbe voluto rendersi molto più utile, ma poteva solo sparare con la balestra da lontano, come aveva sempre fatto. Era sempre meglio che restare con le mani in mano.
Lavelnir, intanto, era sgattaiolato alle spalle del mostro, in cerca di un punto debole. Vide qualcosa che somigliava a un piccolo occhio, e lo sventrò con la spada. Un tentacolo guizzò con una violenta convulsione verso di lui, e non ci fu modo di evitarlo. Fu un colpo estremamente forte, che lo buttò a terra. Si appoggiò alla spada, tremante, cercando di rialzarsi.
‹‹Dantetor, curami!›› gridò, esaurendo totalmente il poco fiato che gli rimaneva in gola. Questo gli costò quasi la vita. Il mezz'orco, infatti, lo ignorò totalmente, mollando un colpo di spadone al mostro, che reagì menando altri colpi alla cieca. Lavelnir ne evitò uno per un soffio, lasciandosi cadere a terra. Crimson, Fenrir e Celebrian vennero colpiti.

Cora non si era mai sentita così inutile, e vedere i propri compagni pregare Dantetor per delle cure ed essere ignorati le fece solo salire un sacco di rabbia in corpo. Da lontano avrebbe tanto voluto sparare il mezz'orco, che preferiva lottare piuttosto che curare i compagni. O forse era solo scemo. Non avrebbe avuto risposte sicure al riguardo, questo era certo.
L'halfling, in quel momento, come obiettivo si pose quello di studiare degli incantesimi di cura, così da essere un supporto certamente migliore di quanto non lo fosse quel mezz'orco di merda.
Alla fine, Fenrir, con una poderosa asciata, riuscì a uccidere il fazzolettone. Questo, in un ultimo disperato attacco, mollò un colpo fulmineo alla cieca, che colpì Crimson e lo scagliò contro una parete.
L'impatto fu talmente tanto forte che il ragazzo rimase incassato nel muro di legno. La creatura, con un disgustoso gorgoglio, si sciolse su sé stessa, scomparendo dopo pochi istanti.
Fenrir si lasciò cadere sulle gambe, sentendo l'adrenalina sparire dalla circolazione, e Cora gli corse incontro per assicurarsi delle sue condizioni. Stava bene, ma era zuppo di sangue acido e completamente esausto.
‹‹Perché...?›› sussurrò lei, girandosi verso Dantetor. Lui era andato a controllare Crimson, che era svenuto, ma ancora vivo. Sentì la voce dell'halfling, ma non pensò minimamente che stesse parlando con lui.
‹‹Dantetor››, lo chiamò lei, allora.
Lui si giro. ‹‹Mh? Cosa?››
‹‹Perché non li hai curati? Razza di scemo di guerra!››
‹‹Chi?›› Il mezz'orco sobbalzò. Si indicò e cominciò a pensare.
‹‹Lavelnir ti aveva chiesto di curarlo! Guardalo, è ancora lì a terra! Era compito tuo occupartene!›› Cora si stacco da Fenrir, dirigendosi minacciosamente verso il chierico e indicandolo con fare accusatorio. ‹‹L'unico stronzo che può curare, mentre siamo in battaglia, sei tu. Ti costa così tanto farlo? Puoi evitare di fare l'egoista che vuole prendersi la gloria delle uccisioni? Nessuno ti darà un premio.››
‹‹Ma... Quando me l'ha chiesto? Io non ho sentito nessuno!›› Non stava mentendo. ‹‹La piccola grande spada forse faceva troppo chiasso.››
‹‹La piccola grand- Dio, lascia perdere.››
Cora troncò la conversazione. Non valeva la pena di perdere tempo.
Intanto, Celebrian andò a dare una pozione a Lavelnir. Il ragazzo si sentì subito meglio, e riuscì a rialzarsi, seppur ancora malconcio. In quel momento, notò una freccia conficcata nel muro, da cui pendeva una collana. ‹‹Ragazzi, e questa?›› chiese, avvicinandosi e indicandola.
La freccia era insolitamente grossa. Non poteva essere stata scagliata da Aritth o Cora.
‹‹Da quando è lì?›› chiese Celebrian mentre si avvicinava a Crimson. Ne approfittò per togliergli l'elmo e controllargli il viso. Non c'era sangue, e poté tirare un piccolo sospiro di sollievo.
‹‹Non ne ho idea, l'ho notato ora››, rispose.
‹‹È in alto...›› Kiplin avrebbe voluto provare a prenderla, ma la sua statura non era di certo la più adatta. ‹‹Dantetor, ci arrivi?›› chiese Lavelnir.
Il mezz'orco, ancora un po' scosso dalle parole di Cora, si avvicinò al muro, tirò via la freccia e prese la collana. Immediatamente, gridò di dolore e la lasciò cadere. Nella stanza si spanse un odore di carne bruciata, che fece scattare Fenrir sull'attenti, manco fosse un lupo.
‹‹Ma che...?›› incuriosita, Cora si avvicinò all'oggetto e si chinò per osservarlo meglio. Si astenne totalmente dal toccarlo, non si fidava. Kiplin la raggiunse e cercò di girarlo con la punta delle dita, ma le ritrasse immediatamente. Cominciò a soffiarle, poi le portò alla bocca e le inumidì con la saliva.
‹‹Scotta! A occhio e croce, però, direi che è oro.››

‹‹Oro... Chissà quanto vale questa roba... Dovremmo proprio portarla via!›› esclamò l'halfling.
‹‹Ma... non puoi prenderla e scioglierla per farci chissà che!››
‹‹E chi ha parlato di scioglierla? Io la voglio vendere così com'è, sicuramente varrà qualcosa. Insomma... è oro!››
Patrizia le rivolse un'occhiataccia e poi scosse la testa. Mettersi a discutere con lei era tempo perso.
‹‹Non mi pare il caso di rubare, ora... Se ci trovano qui e poi ci trovano anche la collana addosso, potrebbero tranquillamente accusarci di aver ucciso il borgomastro per poterlo derubare. Quindi no. Diamole solo un'occhiata.››
Cora avrebbe ribattuto, ma il pensiero che il porcomastro fosse morto – così come il suo cadavere sventrato che giaceva a pochi passi di distanza – le tagliò il fiato. Si zittì e uscì dalla stanza, senza pensare nemmeno a come poter prendere in mano la collana. Anche la voglia di rubarla le era totalmente passata.
Lavelnir provò a smuovere il gioiello con la spada, ma questa si arroventò e divenne rossa immediatamente. La buttò via prima che potesse fondersi.
‹‹Però... Forse l'idea di scioglierla potrebbe non essere male...›› disse Kiplin. ‹‹Questa roba brucia, sembra quasi un "o sciogliete me o io scioglierò voi".››
‹‹Io propongo di sciogliere la spada di Dantetor, piuttosto che la collana. Anzi, visto quello che fa al metallo, potremmo proprio provare a prenderla con quella.››
‹‹Non possiamo, ci serve.›› le fece notare Kiplin. Dantetor rimase in silenzio.
Cora fece capolino dalla porta. L'unica cosa che voleva era andarsene via il più presto possibile. ‹‹Aritth, usa il tuo uccello, quello che vola, non-››
Le fu impossibile terminare la frase, perché la mezz'elfa, che stava guardando fuori dalla finestra, sussultò, cominciando a picchettare sui vetri.
‹‹Ragazzi! Ci sono altri polpo-fazzoletti qui fuori! Si stanno arrampicando al muro!››
Fenrir diede un rapido sguardo d'intesa al gruppo. Schizzò fuori dalla porta, seguito da Aritth, Celebrian e Dantetor.
Cora corse alla finestra. Effettivamente, due fazzolettoni stavano cominciando ad avvinghiarsi al muro, mentre delle guardie e il bardo tentavano di respingerli. Tuttavia, non era contenta di saperli correre rischi simili.
‹‹Ma perché sono così dannatamente avventati? Irresponsabili...››
Patrizia, sentendo quelle parole, corrugò la fronte. Davvero? Loro irresponsabili? Dopo quello che aveva fatto l'altra notte?
‹‹Che c'è?›› disse lei, notando il suo sguardo. ‹‹Sono pazzi, ma hai visto quei cosi? Non è il caso che si mettano così tanto nei casini.››
‹‹Non penso tu possa parlare per quanto riguarda il loro essere irresponsabili. Ti ricordi il casino che hai fatto qui l'altra notte, si?››
‹‹Casino? Io ero andata a fare un giro, e in ogni caso ho salvato il culo a quel marmocchio. Dovreste ringraziarmi, piuttosto.››
Lavelnir si morse la lingua per non insultarla, e decise di lasciar perdere la questione. Il suo obiettivo principale, in quel momento, era riuscire a sollevare la collana ed esaminarla.
Cora gli si avvicinò, sussurrando. ‹‹Ma se usassimo quella collana per i mostri? Proviamo a legarla a qualcosa, no? Tanto è indistruttibile.››
La proposta venne bocciata. Era un rischio troppo grosso.
Kiplin, intanto, porse la mano verso l'halfling. ‹‹Cora, puoi darmi un dardo? Volevo usare la freccia conficcata al muro, ma Dantetor l'ha spezzata, prima.››

La ragazza portò una mano alla faretra e gli porse una quadrella. L'elfo la infilò nella collana. Se aveva retto quella freccia, allora forse avrebbe retto anche questa, no?
No. Il legno si carbonizzò in pochi istanti.
‹‹Potremmo usare l'elmo di Crimson, tanto è in coma››, propose Cora.
‹‹Pessima idea››, rispose Lavelnir.
‹‹Perché?››
‹‹Perché se sciogliamo l'elmo, poi una volta sveglio lui ci romperà il culo di rimando.››
‹‹Fanculo... hai ragione››, dovette ammettere. Non era paura delle conseguenze, quanto il fatto che ci tenesse a lui e non voleva fargli un torto simile.
‹‹Insomma,›› riprese Patrizia, ‹‹questa collana brucia tutt-›› si bloccò all'improvviso, diventando pensieroso.
‹‹Kiplin, per caso il legno del pavimento è magico?›› riprese poi.
‹‹No... è legno normalissimo, perché?››
‹‹Guardate. Non sta bruciando.›› Con un calcio rapido allontanò la collana dall'asse in cui stava. Era intonsa.
‹‹Penso di aver capito... Fatemi fare una prova.››
Corse fuori dalla stanza a prendere un secchio di legno e una scopa che aveva visto nel corridoio.
‹‹Insomma, questa casa ha tutta l'aria di avere una certa età, quindi potrebbe essere per questo che il legno non brucia. Magari la collana non riesce a bruciare le cose vecchie. Non so se mi spiego.››
L'halfling annuì, ma fissò male quel secchio. Come poteva essere sicuro che fosse vecchio? ‹‹Perché questo secchio dovrebbe reggere e l'armatura di Crimson no?›› chiese, con tono scettico.
‹‹Te l'ho appena spiegato. Ora vediamo un po'...››
Lentamente, il ragazzo avvicinò il manico della scopa alla catenella, trascinandola. Non successe nulla.
‹‹Non sappiamo se l'armatura di Crimson sia vecchia o no, quindi meglio non rischiare di rovinargliela.››
‹‹E poi, di un secchio non ce ne frega niente. Non vogliamo un'armatura sgretolata››, disse Kiplin, avvicinando il secchio.
Lavelnir fece cadere il gioiello sul fondo del recipiente, che resse benissimo, mentre invece il bastone della scopa si carbonizzò.
‹‹Ha funzionato!›› esultò l'elfo. Poggiò il secchio accanto a Crimson, ancora privo di sensi. Guardò la collana sul fondo e sbiancò.
‹‹Ragazzi... venite a vedere...››
Cora e Patrizia si avvicinarono. Spalancarono entrambi gli occhi. Inciso sul lato della collana che non erano riusciti a vedere prima, c'era il simbolo. Di nuovo quel dannato simbolo.
‹‹Ok cambio di programma››, disse Lavelnir. ‹‹Questa la prendiamo e la portiamo a Virtus.››
‹‹Ecco, visto? Te l'avevo detto io che dovevamo prenderla!›› disse l'halfling con una punta di soddisfazione.
‹‹Sì sì, va bene, hai ragione tu››, tagliò corto lui.
‹‹Ehm...›› intervenne Kiplin. ‹‹Sono d'accordo, ma... non sarebbe il caso di andare ad aiutare gli altri, adesso?››
‹‹Merda... Non sono molto entusiasta all'idea di morire...›› Lavelnir si affacciò dalle finestre. I fazzolettoni erano spariti e, al loro posto, erano comparsi tre teschi giganti. Rabbrividì.
‹‹Almeno ci sono le guardie con loro... Però sì,›› sospirò, ‹‹dovremmo raggiungerli.››
‹‹Già, non sembra essere per niente una passeggiata. Hanno bisogno di aiuto.››
Cora alzò gli occhi al cielo e sbuffò, incrociando le braccia. Non era molto convinta, ma capiva che stare lì al sicuro, mentre gli altri rischiavano di morire, non era una cosa molto carina da fare.
‹‹Va bene, va bene››, sbuffò. L'unica cosa che voleva fare era andare a casa a dormire, e possibilmente far finta che quella giornata non fosse mai capitata.

Kiplin propose di passare dal retro e attaccare i nemici alle spalle, ma Lavelnir respinse subito il piano. La battaglia si stava svolgendo da entrambi i lati della casa, e gli altri stavano combattendo contro ben due teschi nella parte frontale. Uscire da dietro significava rischiare di rimanere imbottigliati. Le guardie avrebbero potuto occuparsi del mostro isolato ma Dantetor, Celebrian, Fenrir e Aritth erano in netto svantaggio e avevano bisogno di aiuto.
Alla fine, Kiplin e Cora rimasero al piano di sopra, affacciati alle finestre per dare supporto mentre Lavelnir, nonostante fosse ferito, decise di scendere e andare all'attacco. Quei non morti dovevano sparire al più presto.
La battaglia durò parecchio, tanto che Cora cominciò a pensare che non sarebbe mai finita. Ancora una volta, vedere i propri compagni feriti senza avere la possibilità di aiutarli concretamente le pesava. Tuttavia, il suo umore fu risollevato vedendo i bellissimi pugni tirati da Celebrian.
‹‹Ma hai visto che pugni? Secondo me sono piacevolissimi! Una volta Lavelnir mi ha picchiata, è stato fantastico!›› sospirò, quasi in modo innamorato.
Kiplin strabuzzò gli occhi, scioccato. Fece finta di non aver sentito niente ed evocò Mario.
I teschi attaccavano sparando ossa appuntite dalla bocca e soffiando un fumo nero e denso. Probabilmente era il marchio di fabbrica di Jendra. Sicuramente, anche quei mostri erano opera sua.

Ben presto ne rimase solo uno. Le guardie avevano spinto il nemico verso la parte frontale della casa e, in quel modo, si riunirono al resto del gruppo. Il bardo collaborava con Cora per tessere una melodia complessa e galvanizzante, che infuse forza in tutti quanti. Dantetor caricò con lo spadone e finì con un sol colpo il teschio rimasto, spaccandolo a metà. Prima ancora che potesse girarsi per vantarsi del suo fendente fenomenale, tutte le carcasse emisero un gorgoglìo. Furono scosse violentemente dallo spasmo e si aprirono a metà.
‹‹Aiu... to... Mamma... Pa... pà...›› delle voci strozzate, infantili, provennero dai mucchi di ossa.
Dantetor schiuse le labbra, sentendo il proprio cuore implodere. Doveva essere uno scherzo di Jendra... Doveva essere così! Quelli erano solo degli stupidi non morti. Certo, i non morti prima erano comunque vivi, ma... Non potevano essere davvero i bambini, giusto?
L'aria si fece pesante. L'unico a non curarsi dell'accaduto, come sempre, fu Fenrir, ma tutti gli altri sentirono un forte peso sullo stomaco. Lavelnir ebbe la forza di avvicinarsi al bardo, che era palesemente in stato di shock.
‹‹Bisogna... Bisogna notificare Virtus di quanto è successo. Il borgomastro è... ›› optò per non finire la frase, ma riprese. ‹‹ Quindi, le sarei grato se lei potesse inviare una lettera al suo posto...››
Il maestro annuì, trattenendo le lacrime.
‹‹Ah...›› riprese il ragazzo. ‹‹Per favore, non includa anche quello che è successo l'altra notte. Vorrei evitare troppi problemi.››
‹‹Certo... Ci penserò io, non preoccupatevi. Vi ringraziamo per il vostro aiuto››, rispose. Fece per porgergli la mano, ma ci ripensò subito. ‹‹Oh... E Fenia?››
‹‹Lei sta bene, più o meno. È dovuta andare via, però.››
‹‹Capisco. Che la fortuna vegli su di lei e su di voi.››
Il maestro fece un sospiro amareggiato e andò a prestare soccorso ai feriti.

Il gruppo si mise in marcia verso Virtus, e passarono i giorni. Prima di partire, Aritth prese delle scorte mediche per poter curare Fenia. Proprio per questo, il viaggio di ritorno andò molto a rilento, dato che, viste le condizioni generali di tutti, optarono per aspettare tre giorni e piazzare nuovamente la torre lungo la strada.

La mezz'elfa passò gran parte del suo tempo ad accudire la drow e cercare di rimetterla in sesto. Però, in quanto ranger, aveva anche il compito di gestire le sessioni di caccia. Purtroppo, la dispensa della torre non si riempiva per magia.
Durante una battuta a cui presero parte tutti quanti, i maschi si fermarono per svuotare la vescica. Con loro grande sorpresa, Aritth si unì a loro, pisciando più lontano di tutti. Ci fu un clima di sorpresa generale. Fenrir rimase shockato, pensando a tutte quelle volte che gli aveva chiesto di fare dei figli con lui.
L'unica che non si scompose fu Cora. Lei, infatti, era venuta a conoscenza del suo segreto, come forma di risarcimento, già da qualche giorno, precisamente da quando era stata presa da parte nella torre prima di tornare a Silvacque. Lei, in cambio, gli aveva svelato il funzionamento della collana.
A tal proposito, Patrizia venne informato da Cora del perché Aritth avesse la sua collana, la sera nella grotta. Sapere che Crimson aveva commissionato il furto solo perché incapace di farsi i fatti propri lo infastidì parecchio, ma decise di non fare nulla. Era già compromesso, e tornare su quel discorso avrebbe potuto essere molto pericoloso.

I giorni furono movimentati nel loro lento trascorrere, tra chi si ubriacava, chi si allenava, chi passava le nottate facendo l'amore e chi, invece, dava amore a sé stesso e chi studiava. In particolare, Cora si dedicò a imparare degli incantesimi di cura.
L'halfling non riusciva a passare nottate totalmente tranquille, ma almeno aveva smesso di vedere ricordi di lei e Patrizia da bambini. In compenso, in uno di quei sogni, era riuscita a vedere una figura uguale a sé. Molto più alta di lei ed umana, ma per il resto uguale. Vedendo quella figura in piedi, che la fissava mentre giocava con delle biglie, Cora ricordò.
Conosceva il suo nome, ma non osava dirlo. Sapeva che dicendolo l'avrebbe evocata. Per cui, sin dal primo momento, decise di chiamarla Brianna. Era lei il demone nella collana... o, almeno, Cora era convinta fosse una sorta di demone.
Cora sapeva che non era più là dentro, per cui vederla nei sogni non le creava problemi o paura. Non la temeva. Semplicemente, grazie alla sua assenza, finalmente stava recuperando le proprie memorie e accantonando le sue. Spesso e volentieri, però, certi ricordi li ripercorreva passo per passo nei propri sogni, come se guardasse un film.
L'unico con cui parlava di queste cose, dato che si fidava, e l'unico a conoscenza del segreto di Brianna, era Fenrir.
Una notte, si svegliò di soprassalto ed iniziò a scuotere violentemente il braccio di Fenrir fino a svegliarlo, rischiando di far cadere anche l'ascia da guerra stesa accanto a lui (sì... il barbaro dormiva con l'ascia accanto a sé). L'halfling piangeva come una disperata, implorandolo di non arrabbiarsi con lei, per cui doveva essere qualcosa di veramente serio e si sforzò di restare sveglio e concentrato.
Cora gli confessò di ricordare cosa successe poco prima di risvegliarsi all'interno di quella fortezza con Crimson.
Quando furono di fronte all'entrata insieme al gruppo di persone con la quale erano partiti, dopo la comparsa del simbolo sulla pelle, Cora perse il controllo. Gli spiego che quel demone, Brianna, li uccise tutti in pochissimi secondi. L'halfling vide i suoi "compagni" morire di fronte a sé senza nemmeno capirne il motivo, e l'unica ragione per cui Crimson si salvò fu perché il procione da battaglia aveva cominciato a correre in cerchio attorno a lei e l'albino per creare una sorta di scudo magico.
Fenrir non capiva perché avrebbe dovuto arrabbiarsi con lei, o giudicarla, o qualsiasi altra paranoia le fosse saltata in testa. Lei inspirò, evitando accuratamente il suo sguardo.
‹‹Vi siete svegliati lì dentro a causa mia...››
‹‹Cosa?››
‹‹Cioè... non a causa "mia mia". Brianna vi voleva lì. Voleva riunirci tutti lì. Non so perché, però... so solo che voleva così. So che il tempo lì dentro passa in modo diverso, più veloce. Estremamente più veloce, e questo era uno dei punti principali del suo piano. Il punto è... che siete in questi casini per causa mia››, mormorò.
Osò rivolgere lo sguardo al mezz'elfo, che restò in silenzio e con un'espressione che lasciò trasparire della rabbia, per cui Cora si pietrificò.
‹‹Mi dispiace››, sussurrò.
Lui scosse la testa. ‹‹Non è colpa tua, eri posseduta. Troviamo quella puttana e facciamola a pezzi. È fuori dalla collana, e non avete più un legame vero e proprio, se non qualche ricordo del cazzo che ti ha impiantato, no? Quindi se la uccidiamo, non può nuocerti.››
Cora si sentì rincuorata dalla cosa, e riportò i piedi per terra, lontani dalle sue paranoie. Per quanto ancora non riuscisse a distinguere totalmente i propri ricordi da quelli di Brianna, Fenrir aveva ragione. Non era colpa sua. Decise di provare a parlarne anche agli altri, non appena se la sarebbe sentita.

Durante un'altra di quelle serate, il momento più stupido fu quello in cui Cora, Aritth e Fenia – che si era ripresa un po' –, ubriache marcie, costrinsero gli altri a bere e giocare al gioco della bottiglia.
Dato che "in vino veritas", l'ex mezz'elfa Aritth, quella notte sparò un'altra cartuccia, e rivelò di aver iniziato a frequentarsi con la drow, come coppia.
A quella notizia si scatenò l'ennesimo boato di stupore. Lavelnir, uno dei pochi sobri, maledisse quella serata come poche cose in vita sua.
‹‹E voi invece?›› disse Celebrian puntando gli occhi su Cora, seduta sulle gambe del marito. ‹‹Avete intenzione di fare figli, dato che fate l'amore così spesso?››
Sì, Celebrian era letteralmente una nonnina, da quel punto di vista. Fare l'amore senza avere intenzione di procreare? Abominio.
‹‹Se capita, sì››, rispose l'halfling senza troppi problemi.
L'elfa si sentì rincuorata a quelle parole, ma subito storse di nuovo il naso, vedendo la ragazza sgattaiolare sotto il tavolo in direzione delle undici bottiglie di vino prese da Kiplin, che stava affrontando la sua prima grande sbronza.
Dopo essersi ritrovato Cora, che spuntò tra le sue gambe, l'unica cosa che si sentì chiaramente fu il grugnito parecchio scocciato di Fenrir alla vista dell'elfo che, totalmente vittima dell'alcol, accarezzò i capelli dell'halfling, poi le orecchie, il viso ed infine le labbra. Dopo aver preso una delle bottiglie, provò ad infilarla nella sua bocca. Il punto di quella situazione, però, era semplicemente che Cora voleva altro vino. Per cui, subito dopo quei gesti, lei serrò con i denti il collo della bottiglia e gliela rubò dalle mani, per poi tornare indietro da Fenrir, che si tranquillizzò.
‹‹Guarda, amore! Gli ho fregato la bottiglia!›› gli disse soddisfatta, porgendogliela.
Lui annuì, rivolgendole un sorriso oroglioso, per poi girarsi e fulminare il piccolo elfo con lo sguardo. Il suo gesto lo aveva irritato parecchio, e non lo avrebbe dimenticato. Kiplin non se ne curò e si scolò tutte le bottiglie rimanenti da solo. Alla fine, Cora dovette trascinarlo in camera, chiedendosi come avesse fatto a non cadere in coma etilico.
Per sfortuna di Dantetor, Aritth regalò alla barda due frecce da poter usare contro di lui.
Decise di usarle ogni volta che sentiva il nuovo slogan con cui entrato in fissa, oltre a quello dell'insistenza nel chiedere il nome di Lavelnir.
‹‹Dantetor!›› biascicò. ‹‹La prosshima volta che ti shendo dire "piccolo grande", te le ficco su per il culo!››
‹‹Ma... Io... A me piacciono solo le piccole grandi cose...›› rispose lui, facendo congiungere gli indici.

‹‹L'ha detto! Vieni qua!›› Cora cercò di balzare dalla sua sedia per pugnalarlo alla coscia, ma cadde rovinosamente sul pavimento.
Intanto, Lavelnir, che già di per sé non era entusiasta, dovette sopportare quella domanda.
‹‹Quindi, ci dici il tuo nome?››
‹‹Dio, non me lo ricordo. Ma quante volte te lo devo ripetere?››
L'unica persona che conosceva la sua vera identità era Cora, e Crimson forse aveva intuito qualcosa.
Non lo avrebbero mai dovuto sapere, e di certo non voleva che diventasse un'informazione di dominio pubblico. Sebbene fossero passati duecento anni, non era sicuro del fatto che la pratica di sventrare i nobili fuggiti dal miasma fosse stata abbandonata.
Dopo l'ennesima volta in cui Dantetor gli rivolse la stessa identica domanda, Cora balzò sul tavolo, scattò verso il mezz'orco e conficcò le frecce sulla sedia, a pochi centimetri dai suoi gioielli di famiglia. Fu piuttosto clemente, perché era solo un avviso.
‹‹Basta››, sibilò lei. ‹‹Non chiederlo più.››
Al di là di ciò, la serata proseguì tranquilla.

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