Capitolo 7 - La torre

Cora avrebbe davvero voluto prendere a schiaffi Aritth. Più continuava a chiederglielo, più la mezz'elfa si faceva restia a dire la verità, nascondendola con delle palesi bugie. Per l'halfling era ovvio che avesse origliato la conversazione del giorno prima.
Prima che potesse aprire di nuovo bocca, un urlo riecheggiò nella stanza.
Crimson sguainò la spada ed iniziò a menare fendenti all'aria con la spada. Era accecato dalla rabbia. Tutto quello che aveva trattenuto dal momento in cui aveva visto i bambini morti si liberò ed esplose come una bomba. Gridava tutto il dolore che aveva provato e ricordato vedendo i cadaveri. Le gabbie, i collari, il sangue, l'altare, la morte, la paura. Era tutto lì.
Fenrir trascinò via Cora. Avrebbe preferito che la ragazza reagisse da sola, ma la lattina era incontrollabile, e lei troppo indebolita dal sangue perso. Dantetor impugnò lo spadone, pronto a reagire nel caso in cui il ragazzo avesse cercato di colpire qualcuno.
‹‹Kiplin, stendilo!» gridò Lavelnir guardando l'elfo, che annuì immediatamente.
In reazione alla voce, Crimson cominciò a correre verso il ladro, pronto a far calare la sua lama su di lui. Dantetor si mise in mezzo e parò il colpo. Con un ringhio gutturale, il guerriero continuò a colpire lo spadone del mezz'orco, sempre più forte, sempre più violento. Dantetor, per fortuna, non si lasciò sfuggire nemmeno una delle spadate del guerriero, ma lo feriva dover combattere contro di lui.
Per fortuna, Kiplin non tardò a usare il suo spruzzo colorato, sebbene temesse di sbagliare mira. In quel caso sì che sarebbe stato un problema. Il colpo, però, andò magnificamente a segno, e Crimson cadde in ginocchio, stordito. Tutti tirarono un sospiro di sollievo. Passare un po' di tempo fuori gioco lo avrebbe aiutato a calmarsi.
Tutto questo andò a vantaggio di Aritth, perché Cora distolse l'attenzione dal problema della collana, preoccupata di più per l'amico ormai steso.
‹‹Crimson mentale brikfast!» disse la mezz'elfa, avvicinandosi al ragazzo. Cercò i suoi occhi sotto l'elmo. Erano vuoti e assenti. ‹‹Un balletto lo aiuterà a distrarsi!» ed iniziò a ballare di fronte a lui. Era anche piuttosto brava, peccato che Crimson fosse talmente in trance da non riuscire nemmeno a vederla. L'unica cosa che percepiva erano ombre nere su uno sfondo bianco.
‹‹Che facciamo? Aspettiamo finché non si riprende?» chiese Celebrian, guardandolo.
Kiplin annuì. ‹‹Non dura tanto. Giusto il tempo per riprendersi un attimo e, sai, evitare di essere fatti a pezzi dalla sua rabbia.»
‹‹Aspettare qui è una pessima idea. Personalmente, preferisco uscire...» disse Cora, rimanendo attaccata alla gamba di Fenrir, come se fosse una stampella. Lavelnir era d'accordo con lei. Restare in quel posto era davvero poco sicuro.
‹‹Però... voglio prendere uno di quei sacchetti», continuò l'halfling, girandosi verso l'altare.
‹‹No.» Il ladro la fulminò con lo sguardo mentre si rimetteva la torre in tasca.
‹‹Perché no? Io posso prenderli! Sono sicura che non mi faranno niente! Fidati, posso farlo!» Cora era seriamente convinta delle sue parole, e provò a convincere anche lui.
Lavelnir, d'altro canto, la ignorò totalmente e si limitò a guardare Fenrir, sperando che capisse il suo "caricatela in spalla e fa sì che non rompa le palle", per poi ricordarsi che cercare aiuto da quel mezz'elfo dall'identità confusa era come cercare l'aiuto di un non morto.
Tutti fecero per avviarsi verso il corridoio, con Cora che continuava a chiedere per quei sacchi e a ricevere risposte negative. Alla fine, si rassegnò all'idea che non sarebbe mai più tornata lì dentro. Pensandoci meglio poi... in effetti che senso aveva rischiare? Dopo quello che aveva appena vissuto... Si era liberata da quella strana presenza oscura dentro il suo corpo, e non ci teneva a ripetere l'esperienza.
‹‹Ragazzi... Ma Fenia?» domandò Aritth, fermandosi in mezzo alla caverna. ‹‹Dobbiamo andare a controllare come sta!»
Dantetor sussultò, sgranando gli occhi. ‹‹È vero, Fenia! Eravamo talmente presi qui che mi sono totalmente dimenticato di lei!»
‹‹Cazzo, spero stia bene... forza, andiamo!» la mezz'elfa non aspettò nemmeno che gli altri cominciassero a seguirla, e si precipitò fuori dalla grotta.

Cora, ricordandosi della drow all'esterno, si spense. Sperava con tutta sé stessa che non fosse morta. Il solo pensiero le fece venire un po' di tachicardia. Non voleva vedere nessuno del gruppo morire. Si sarebbe sentita responsabile.
A Lavelnir quasi non sembrò vero che la nana si fosse zittita.
‹‹Dantetor, aspetta. Prima di andare prendi Crimson in spalla», suggerì, per poi mettersi all'inseguimento di Aritth. Se quei ragni fossero stati in circolazione, quella pazza esaltata si sarebbe fatta sicuramente uccidere. E le risposte che doveva dare a Cora interessavano a lui.

Il sottobosco era tinto di rosso. Carcasse di ragni giacevano ovunque. Alcune spillavano ancora del sangue dalle ferite, mentre altre venivano scosse di tanto in tanto da degli spasmi muscolari. Ce n'erano talmente tante da rendere difficile il passaggio.
Aritth cominciò a cercare Fenia. Oltre alle carogne, era ostacolata anche dal terreno, reso scivoloso e appiccicaticcio dal sangue. Ben presto fu raggiunta da tutti gli altri, che si unirono alla ricerca. Dopo un tempo che sembrò interminabile, la trovarono.
La drow era semisdraiata con la schiena poggiata ad un albero. Sotto di lei si era formato un lago di sangue. Il suo.
La mezz'elfa ranger corse verso di lei, rischiando di scivolare, ma non le importava. La sollevò delicatamente, cingendola con le braccia. Respirava appena.
‹‹Dantetor! Puoi curarla?» chiese allarmata. Il mezz'orco aprì le braccia e scosse la testa.
‹‹Non hai incantesimi curativi?» chiese Kiplin, confuso.
‹‹Stamattina pregando non ho chiesto incantesimi curativi... avevo delle pozioni...» mormorò.
‹‹"Avevi?" E che fine hanno fatto? Tirane fuori una, allora!›› Aritth fece per liberare una mano, pronta a prendere una delle pozioni del mezz'orco, ma lui mise su un sorriso imbarazzato.
‹‹Se le avessi avute, ne avrei dato una anche a Cora... in realtà avevo fatto male i conti, non mi ero reso conto di averle finite, per cu– ›› non fece in tempo nemmeno a finire la frase, perché Cora lo interruppe.
‹‹Sei un chierico davvero di merda», sbottò, piuttosto scocciata da quel tipo di comportamento così tanto irresponsabile.
Il mezz'orco arrossì e distolse lo sguardo. Non lo fece per cattiveria, ma solo perché si sentiva in colpa.
Dato che bastò Cora a far notare a Dantetor esattamente ciò che frullò anche nella sua testa, Aritth cominciò a esaminare Fenia per accertarsi dell'entità delle sue ferite.
‹‹Oh no... Guardate.» La mezz'elfa girò delicatamente la drow, mostrando la sua schiena scoperta. In mezzo al sangue e alla sporcizia, sulla sua pelle scura svettava lo stesso simbolo che era apparso anche loro la prima volta che s'incontrarono. Nessuno disse nulla.
Aritth guardò Lavelnir e gli fece un cenno con il capo verso la direzione di Silvacque, pronta a rimettersi in cammino.
‹‹Andiamo. Voglio andare a Silvacque subito. Cerchiamo un curatore, rimettiamoci in sesto anche noi e poi andiamo a sfondare a calci il culo di Jendra.»
Celebrian storse leggermente le labbra. ‹‹Forse dovremmo riposarci... Siamo tutti piuttosto stanchi, e Fenia ha bisogno del primo soccorso immediatamente, Aritth. Capisco la tua rabbia, ma... ›› lasciò sospesa la frase, ma Aritth capì il suo discors. Lavelnir annuì in direzione di Celebrian. Dormire era, in realtà, effettivamente la cosa migliore da fare in quel caso.
‹‹Dobbiamo fermarci, e questa fa al caso nostro.» disse il ladro, e tirò fuori la torre dalla tasca. Sentendo la voce nella caverna, lui e tutti gli altri avevano acquisito istantaneamente la consapevolezza di come funzionasse e cosa fosse in realtà.
Una casa. Una casa tutta per loro. Per attivarla serviva un posto più spazioso, quindi camminarono un po' fino a quando non trovarono una radura. Lì, Lavelnir piazzò a terra la torre, che si espanse e ingrandì dopo pochi istanti. Da fuori si poteva vedere che aveva tre piani. Quella era forse la cosa più comoda mai creata. Insomma: cose in meno da portarsi in viaggio, no?
Cora la ammirò con un bagliore negli occhi. Avrebbero vissuto lì, quindi.
‹‹Beh... io entro!» Kiplin si mise davanti alla porta, guardandosi alle spalle nella speranza che qualcuno lo seguisse. Lavelnir fu subito dietro di lui. Tuttavia, non era pronto a cercare trappole ed esaminare ogni anfratto della struttura, come solitamente era. Non sapeva nemmeno lui perché, ma era sicuro di potersi fidare, sicuro che quello fosse un posto protetto.

Entrarono tutti quanti. Era come se avessero sempre vissuto lì, come se avessero già una mappa mentale di quel posto. Questo però, non toglieva loro un certo senso di curiosità, quindi si divisero per esplorare.
L'entrata portava direttamente ad un enorme salotto, talmente ampio da essere a prova di claustrofobico. Al suo fianco, vi era un'enorme e fornitissima cucina, mentre in fondo un grande tavolo. Cora puntò immediatamente il camino, consapevole del fatto che avrebbe speso lì gran parte del suo tempo, vista la sua sofferenza al freddo. Dantetor, con Crimson ancora in spalla, si perse a guardare la cucina. Ovviamente non era grande quanto il salotto, ma era abbastanza per permettere a tutti quanti di starci comodamente. Fu particolarmente colpito dalla mobilia. Era talmente pulita che avrebbe potuto mangiarci sopra.
‹‹Questo posto è enorme!» esclamo Kiplin, guardandosi attorno con aria estasiata. Corse su per le scale fino al terzo piano, dove l'aspettava una grossa biblioteca. Un vero paradiso per lui. Il piccolo elfo cominciò a correre avanti e indietro, con gli occhi che brillavano per l'emozione. Quanti libri c'erano? In quanto tempo avrebbe potuto leggerli tutti? In preda all'eccitazione, si trascinò dietro Celebrian, scuotendole il braccio come un matto. Lei lo aveva seguito per curiosità e, una volta entrata, capì immediatamente che quel posto avrebbe potuto essere la sua piccola oasi dove trovare la tranquillità dopo ogni giornata. Tanto Kiplin era silenzioso, per cui non le avrebbe creato problemi o fastidi.
Aritth, seguita da Cora e Fenrir, corse subito al secondo piano. Lì c'erano otto camere da letto e un ampio bagno. La mezz'elfa voleva far stendere Fenia da qualche parte e cominciare a prendersi cura di lei, con la massima urgenza. Avrebbero dovuto scegliere tutti le loro stanze, quindi cominciarono loro quattro.
‹‹Otto camere... ma noi siamo in nove», mormorò Aritth, riflettendo. Non poteva aver fatto male i conti... o sì?
‹‹Se non contiamo Fenia, in realtà, siamo otto. Questa torre è per noi, non penso che lei fosse inclusa nella conta», rispose Cora, scrollando le spalle. La cosa era piuttosto scontata, considerando il fatto che avevano incontrato la drow solo di recente.
‹‹Non è un problema. Dato che io e Cora siamo sposati, condivideremo la stanza.» Alle parole del mezz'elfo, Cora alzò lo sguardo verso di lui, annuendo. Per lei non era un problema, anche se avrebbe dovuto comunque farci l'abitudine. Subito dopo, Fenrir, senza aspettare una risposta da parte di Aritth e decidere insieme le stanze, prese la moglie e la trascinò nella camera all'estrema sinistra, chiudendosi la porta alle spalle.
La mezz'elfa, senza porsi domande, portò Fenia nella stanza all'estrema destra. La poggiò delicatamente sul letto e le tolse di dosso le armi e le altre cose che potevano intralciarla. Cominciò a pulirle il sangue incrostato, cercando di individuare per bene le ferite. Non voleva lasciarla sola, e si sentiva come se lì dentro fosse l'unica a preoccuparsi seriamente per lei.
Intanto, Cora sapeva di avere un bel paio di cose da spiegare a Fenrir, ma quello, forse, non era il momento adatto. Prima che lui potesse chiedere qualcosa, cominciò a tenersi occupata cercando delle bende o qualsiasi altra cosa che potesse usare per cingersi la vita. Non sarebbe mai andata a chiederle a Dantetor, trovandolo piuttosto inutile dopo l'errore delle pozioni e degli incantesimi curativi.
‹‹Parleremo dopo», disse slegando un rotolo di garza che aveva appena trovato per legarselo attorno ai fianchi. ‹‹Stanotte. Niente segreti, te lo prometto.»
‹‹Quando preferisci, non ho fretta.»

Una volta terminata l'esplorazione della biblioteca, Kiplin scese al secondo piano. Scelse la sua camera, e subito dopo chiese a Fenrir e Dantetor di raggiungerlo lì e di portare Crimson. Ormai non era più stordito dall'incantesimo, ma era esausto dopo aver scaricato l'adrenalina.
Una volta che poggiarono il ragazzo sul letto dell'elfo, il mezz'orco si diresse in cucina per preparare la cena. Agli occhi del mago era un bene, perché era piuttosto ovvio che Crimson non provasse tanta simpatia nei confronti del chierico.
‹‹Qual è il piano, lanterna?» chiese Fenrir, poggiandosi di schiena alla porta.
‹‹Non chiamarmi lanterna. L'unica cosa che dobbiamo fare è aspettare che si svegli. Dovrebbe essere questione di secondi, ormai. Se dovesse partire di nuovo all'attacco tienilo occupato finché non riesco a stordirlo di nuovo, okay?»
Il mezz'elfo annuì ed attesero.
Dopo poco, Crimson si risvegliò. Con un gesto felino lanciò via l'elmo e la rete di maglia, prendendo una boccata d'aria a pieni polmoni, come se fosse rimasto in apnea per giorni.

Kiplin si irrigidì. Erano un paio di settimane che viaggiavano assieme ormai, e non aveva mai visto il volto del ragazzo. Si immaginava avesse i capelli castani e gli occhi verdi, un po' come Lavelnir. Rimase abbastanza sorpreso di vedere un albino con gli occhi rossi.
‹‹Cosa è successo?» mugugnò Crimson. Persino la sua voce suonava diversa, senza quella ferraglia in testa.
‹‹Sei uscito fuori di testa e l'orecchie a punta ti ha stordito.»
‹‹Già... non lo fare mai più, per favore», rispose Kiplin, scuotendo la testa. Si rese conto di essere rimasto incantato per un po' a fissare il viso asciutto del ragazzo.
‹‹Fare cosa? Che succede, dannazione?» Crimson era completamente intontito. Si passò una mano sulla faccia e si diede un'occhiata attorno. Non aveva la minima idea di dove si trovasse, ma era meglio risolvere un problema alla volta.
‹‹Non dobbiamo combattere tra noi. Siamo alleati, quindi cerca di non farlo più. Non mi va di lanciare sempre magie per tenervi calmi...»
‹‹Ho attaccato qualcuno?»
L'elfo annuì. ‹‹La situazione stava degenerando... Ho preferito porre fine a tutto prima che ci potessero essere seri problemi.»
‹‹Ah, dannazione...» Crimson non riusciva a ricordare molto bene, nella sua testa era tutto offuscato. Riusciva a vedere la grotta, i bambini, e poi varie immagini sparse, che si susseguivano rapidamente l'una all'altra. La sua spada, il dolore, la nausea, la corsa...
Sentì un senso di colpa mordergli lo stomaco. Non sapeva come gestirlo, ma forse scusarsi poteva essere un buon passo.

‹‹Kiplin, ti ringrazio per avermi messo a terra. Sono davvero deluso dal mio comportamento. Il mio onore da guerriero e mercenario è stato intaccato. Ti prego di accettare le mie scuse, spero che le accettino anche gli altri.
Mi dispiace per la mia perdita di controllo, ma ho dei ricordi abbastanza tremendi. Scusate. D'altra parte, sono un mercenario, ne ho viste e vissute talmente tante che dovrebbe essere normale per me.»
Kiplin si rabbuiò a quelle parole, rimanendo però anche abbastanza sorpreso. Di certo non si aspettava delle scuse così formali.
‹‹Tranquillo, non si è fatto male nessuno per fortuna. Tanto per oggi abbiamo fatto abbastanza casino e non dovrei avere bisogno di fare altri incantesimi...» l'elfo si avvicinò e se la rischiò, vedendolo innocuo, dandogli un buffetto sul fianco. ‹‹Ma cerca di controllarti, la prossima volta.»
Crimson inspirò, poi sorrise in modo amaro e annuì. Avrebbe fatto il possibile, ma gli specchi di quei ricordi così violenti ogni tanto facevano comunque capolino, soprattutto vedendo cose così crudeli. Non era affatto facile controllarli. Però ora, forse, aveva un motivo per sforzarsi.
‹‹Per quanto riguarda il vissuto, credo... credo che ad alcune cose non ci si abitui mai...» fu l'unica cosa che si sentì di dire Kiplin. Era poco ed era una frase fatta.
Crimson inarcò appena gli angoli della bocca e ciondolò con la testa.
‹‹E così sei un albino, umano, mh? Ne ho ucciso uno tempo fa», si intromise Fenrir, raccogliendo l'elmo e lanciandolo all'umano, che lo prese al volo. Lui si toccò il viso, rendendosi conto solo in quel momento di averlo scoperto. Solo Cora lo aveva visto in volto fino a quel momento. Inspirò, cercando di scacciare il panico che cominciava a strisciare e ad avvinghiarsi al suo corpo. Ormai, tanto, che differenza faceva? Erano compagni, e, con tutti i casini che stavano succedendo, lo sarebbero stati per chissà quanto.
‹‹Ah... Non è molto rassicurante... Spero che tu non mi consideri un mostro, almeno. E in che occasione lo uccidesti?»
‹‹Uno scontro tra tribù», rispose, mostrando una certa noncuranza. Non faceva differenza se fosse albino o meno, né lui né un avversario.
‹‹Capisco, spero che il mio essere albino non sia un motivo di derisione verso di me.»
Kiplin corrugò la fronte. Deridere? Uccidere? Ma non erano parole un po' forti? Iniziò a domandarsi che tipo di esperienze avesse vissuto quell'uomo.
In tutta risposta, Fenrir socchiuse gli occhi e fece spallucce, aprendo la porta. ‹‹Nah, sono un mezz'orco basso e pallido, quindi...» scatto indietro verso Crimson, per poi mollargli una pacca sulla spalla. ‹‹Quello che conta è la forza, e tu sei forte.»

Crimson si sentì parecchio sollevato. Inspirò e mise una mano sulla spalla del mezz'elfo. Iniziò a rivalutare un po' l'astio nei suoi confronti per aver sposato Cora. Tutto sommato, non era poi così male. ‹‹Grazie, compagno. Lo apprezzo più di quanto tu possa pensare.››

Quel tempo passato in tranquillità fu un piccolo toccasana per il gruppo. Tutti avevano avuto occasione di distendersi e rilassarsi un po', persino Aritth, che dopo aver accertato con Dantetor che Fenia fosse fuori pericolo, poté lasciarsi andare a qualche bicchierino. Cora le fece compagnia, ma non si ubriacò, rimanendo "dignitosamente" brilla.
Suscitò grande scalpore Crimson, che si presentò senza elmo, in segno di fiducia. Nonostante tutto questo, però, in pochi riuscirono ad avere la forza di mangiare qualcosa. Il ricordo della morte era ancora troppo vivo.
Quando si fece notte, tutti finirono di scegliere le proprie camere e andarono a riposarsi. Cora e Fenrir rimasero svegli più a lungo. L'halfling gli aveva promesso delle spiegazioni, e gliele avrebbe date. Gli raccontò quello che ricordava. Parlò di Lavelnir, della promessa di matrimonio, della collana e di ciò che sputò fuori nella grotta. Gli raccontò ogni cosa, tacendo unicamente il vero nome del ragazzo e le sue nobili origini, proprio come aveva promesso.
Mentre parlavano, dalla borsa della ragazza fuoriuscì un'intensa luce blu, che si plasmò nel gatto e si posò sul suo grembo. Non fu quella, però, la cosa a confondere di più il mezz'elfo.
‹‹Quindi la collana ti ha fatto diventare gli occhi rossi e ti guarisce? E lo squarcio al fianco? Come te lo sei fatta?»
‹‹Non me lo ricordo...» disse lei. ‹‹Ho anche il sospetto che la collana fosse posseduta, e servisse da mezzo a qualsiasi cosa ci fosse dentro. Però non ne sono certa. Ho bisogno di un altro po' di tempo per capire esattamente.»
Fenrir era abbastanza disinteressato al discorso di Lavelnir, ma il resto lo lasciava molto disorientato. Troppe informazioni tutte in una volta, ma cercò con tutto sé stesso di mettere insieme i pezzi e seguire il filo del discorso.
Di rimando, in segno di apprezzamento per la fiducia della moglie, le raccontò un po' del suo passato. Cora capì perché fosse convinto di essere un mezz'orco. Era stato cresciuto da loro dopo essere stato abbandonato da neonato. Quando si era ritrovato chiuso nella cella della fortezza, aveva appena raggiunto la maturità e superato il rito di iniziazione della sua tribù. A quelle parole, l'halfling sentì un piccolo senso di colpa sul petto, ma non riuscì a capire perché.
‹‹Ora, però, non pensiamoci, okay?›› mormorò, e la sensazione di prima fu sostituita da un senso di euforia, causata dalle labbra del mezz'elfo sulle proprie.

Fu nel momento in cui si ritrovarono avvinghiati, in procinto di fare l'amore, che una strana sensazione si fece strada nella mente e nel corpo di Cora. Era diverso da ciò che ricordava dalle altre volte che era andata a letto con altri. Sensazioni ed emozioni passate, in quel momento, iniziarono a sfumare dalla propria mente. Persino i visi di quelle persone sparirono come fumo. Ogni singola sicurezza di esperienze sessuali precedenti sparì completamente dalla sua testa. Per un attimo le salì il panico, in preda alla confusione, ed era tentata di chiedergli di fermarsi. Ma ci ripensò quasi subito. Era suo marito, non aveva motivo di temerlo e voleva fare l'amore con lui.
Ed in quel momento, sentendo più dolore di ciò che ricordava e vedendo il sangue, ne ebbe semplicemente la conferma. I suoi ricordi, quindi, erano davvero stati drasticamente modificati. Ebbe un fremito a quella realizzazione, ma si rasserenò sapendo che, quantomeno, la sua prima volta era stata con suo marito e non con un estraneo. Una scoperta simile, con un uomo a caso, probabilmente l'avrebbe psicologicamente distrutta.

Crimson venne svegliato da un peso che gli calò sul diaframma, togliendogli il respiro. Sussultò, e si ritrovò Cora seduta sopra di lui, con un'espressione confusa e allarmata. Si strofinò gli occhi e accese velocemente la candela sul comodino, pensando di aver visto male nel buio della camera. Non si sbagliava.
‹‹Cora?» chiese lui, assottigliando lo sguardo. Stava sognando?
‹‹Crimson?» rispose lei, affondandogli un dito nella guancia come per accertarsi che fosse davvero lui. ‹‹Cazzo scusa, ho sbagliato stanza!» e schizzò fuori dalla porta, richiudendosela alle spalle.
Il ragazzo non aveva la benché minima idea di cosa fosse successo. ‹‹Almeno la prossima volta... bussa...?»
Si grattò la nuca, intontito dal risveglio brusco. Che diamine voleva?
L'halfling si precipitò nella stanza a fianco. Dalla finestra filtrava un filo di luce lunare, il tanto giusto per assicurarsi di non aver sbagliato di nuovo. Si avvicinò al letto. Fortunatamente, Lavelnir aveva la mano fuori dalle coperte. Prese un nastro dalla tasca dei pantaloni e glielo legò all'anulare.
‹‹Mh... chissà se qui c'è un metro...» mormorò, avvicinandosi a un mobile.
Aprì un cassetto. Niente. Ne aprì un altro. Niente ancora. In tutto questo, però, stava facendo un casino inimmaginabile. Il ragazzo iniziò a brontolare nel sonno.

Cora, per evitare che il suo amato Meinart si svegliasse solo, si affrettò a salire sul letto e sdraiarsi accanto a lui, prendendogli la mano in cui aveva messo il nastro.
Lavelnir si svegliò, e per poco non rischiò di cadere.
Boccheggiò, poi finalmente riuscì a far uscire delle parole sensate. ‹‹E tu che cazzo ci fai qui?»
‹‹Stavo prendendo le misure del tuo anulare per comprare le nostre fedi. Purtroppo, non hai un metro, e nemmeno io. Quindi, mi stavo arrangiando con questo nastro!»
In quel momento, il ragazzo notò le loro mani, intrecciate l'una all'altra. Con un gesto brusco, ritrasse la sua.
‹‹Le nostre cosa? Tu stai delirando! Ti sei sposata con Fenrir giusto ieri, ti ricordo!»
‹‹Non mi interessa di Fenrir, è stato un errore di calcolo. Sai benissimo che sono la tua promessa sposa.»
Lavelnir la osservò, cercando di frapporre quanto più spazio possibile tra loro due. Non riusciva a capire che diamine le stesse prendendo. Nei suoi occhi riusciva a leggere il disinteresse nei confronti del mezz'elfo, ed era strano. Davvero strano.
‹‹Mi sono sentita davvero male quando quella bastarda di Aritth ha preso la collana, sai? Come se avesse staccato un pezzo della mia stessa anima...» Cora si tocco il petto, imbronciandosi. ‹‹Io ci tengo alla nostra promessa d'amore. Davvero non ti ricordi di quando me l'hai data?»
‹‹No, non me lo ricordo. Ora vai a dormire, Cora», tagliò corto lui. Pensava che ormai la ragazza stesse uscendo fuori di testa. Dato che conosceva il suo vero nome un fondo di verità doveva esserci, ma tutto quello era semplicemente assurdo. Quelle parole stucchevoli non facevano altro che inquietarlo e metterlo a disagio. Cercò di spingere via l'halfling dal letto, ma lei si aggrappò alle lenzuola come un gatto.
‹‹Io invece ci penso ogni notte. Me l'hai regalata il giorno che è nato nostro figlio. Mi dicesti che mi avrebbe protetta da ogni male, ed è esattamente ciò che fa!»
Lavelnir sbiancò talmente tanto da diventare tutt'uno con il lenzuolo. Un figlio? Con lei? Era decisamente impossibile. Da quello che ricordava, poi, era piuttosto sicuro di essere ancora vergine.
‹‹Ma ti senti quando parli? Che diamine stai dicendo?»
‹‹Nostro figlio! Non te lo ricordi? Un bambino bellissimo», Cora allungò la mano verso il suo volto, accarezzandolo con delicatezza. ‹‹Capelli bianchi, occhi rossi... Un albino. Proprio come Crimson. Non ti sembra una coincidenza un po' particolare?»
A quelle parole, il ragazzo si alzò dal letto, prese di peso Cora e la trascinò alla porta.
‹‹Ora basta con le stronzate. Crimson è decisamente troppo grande per essere nostro figlio, e soprattutto è umano. Ora vattene, per favore. Voglio dormire.»
L'halfling gli rivolse uno sguardo triste, prendendogli nuovamente la mano. ‹‹Hai delle mani così regali... si adattano perfettamente al suo rango.»
Immediatamente, Lavelnir aprì la porta, controllò che non ci fosse nessuno, e la cacciò senza dire una parola.
Rimase un po' di tempo a rimuginare su quello che era appena successo. Cora era completamente impazzita, non c'era altra spiegazione. Non sapeva in che modo conoscesse il suo vero nome, ma era abbastanza sicuro che tutto il resto se lo fosse inventato di sana pianta. Però, perché?
Dopo averci pensato senza aver trovato una soluzione, cercò di rimettersi a dormire, molto a fatica. Temeva che qualcuno li avesse potuti sentire. Teoricamente le stanze erano abbastanza insonorizzate, ma non si fidava.

E purtroppo per lui, ci aveva preso in pieno.

L'indomani mattina, mentre Fenrir preparava la colazione per lui e Cora, Lavelnir scese in cucina. Vedendoli, cercò di stare il più lontano possibile dalla ragazza. Lei non capì il motivo di tale comportamento, ma decise di non darci troppo peso. Il momento di imbarazzo durò poco perché, dopo qualche secondo, arrivò anche Aritth armata di vassoio.

‹‹Più tardi vorrei andare a controllare come sta Fenia», le disse Cora vedendola entrare.
‹‹Oh, bene. Stavo giusto per prenderle qualcosa da mangiare.»
‹‹Magari dopo passo anche io», disse Lavelnir, guardando a malapena l'halfling con la coda dell'occhio. Questo la fece innervosire.
‹‹Intanto, allora, vado in biblioteca a cercare qualcosa riguardo... una cosa mia», brontolò Cora. ‹‹Mangio dopo», e si avviò verso il piano superiore assieme ad Aritth.
Fenrir le seguì con lo sguardo e, una volta uscite, si girò verso Lavelnir. Poggiò il cibo che aveva in mano sul piano cottura e si diresse con grandi falcate verso l'umano. Lui, per contro, serrò i denti. Temeva che il mezz'elfo fosse venuto a conoscenza dei fatti di quella notte.
‹‹Che c'è?» gli disse quando lo ebbe davanti.
‹‹Se devo rischiare la vita con voi voglio sapere per chi lo faccio.»
Il volto del barbaro era leggermente stizzito, ma non arrabbiato. Questo colse Lavelnir abbastanza di sorpresa.
‹‹Cosa?»
‹‹Che succede? Tutti voi continuate a parlare sottovoce, come se aveste dei segreti», disse Fenrir incrociando le braccia. ‹‹La cosa mi fa incazzare. Non dovremmo essere tutti uniti? Prima tu e Cora ci nascondete le cose, e stamattina la guardi come se ti avesse fatto qualcosa».
‹‹Non è nulla di che. Faccende personali.»
‹‹È per il nostro matrimonio?» chiese il mezz'elfo, guardandolo dall'alto in basso.
Lavelnir alzò gli occhi al soffitto, sospirando in maniera stressata. ‹‹Non me ne frega niente del vostro matrimonio.»
Fenrir non era molto convinto, ma non aveva voglia di perdere tempo a litigare con lui. Avrebbe chiesto direttamente a Cora, sapendo che tanto lei gli avrebbe detto tutto. Finì di mangiare e la raggiunse in biblioteca.


L'halfling, intanto, aveva incrociato Crimson. Il ragazzo si dimostrò preoccupato per la sua salute, ma anche arrabbiato perché lei non gli aveva detto niente della ferita al fianco. Quando Cora gli spiegò che era una cosa legata strettamente alla collana, il ragazzo si rabbuiò.
‹‹Cioè?» chiese.
‹‹Quando allontani la collana da me, si riapre una ferita che nemmeno io so come mi sono fatta. L'unica cosa che so è che grazie a questa posso evitare il dissanguamento e anche che Aritth non mi vuole dire niente.»
Crimson chiuse gli occhi e fece un profondo respiro. ‹‹Aritth ha preso la collana perché gliel'ho detto io, Cora».
‹‹Tu cosa?»
‹‹Le ho detto che le avrei dato undici monete d'argento se me l'avesse portata. Tu e Lavelnir ci stavate nascondendo qualcosa e io volevo saperne di più. Lo so che avrei dovuto chiedere, ma era ovvio che non avreste detto nulla.»
Cora non si arrabbiò. Capì le sue motivazioni, ma rimase ferita dalla sua diffidenza. Le era quasi costata la vita. Si frugò nella borsa e gli porse la collana.
‹‹A questa distanza non mi fa niente. L'importante è che mi rimanga vicino... abbastanza vicino da poterne percepire bene la presenza. Non so bene ancora come funzioni, in realtà. Quando la do io a qualcuno a questa distanza non corro rischi. In caso contrario... beh, hai visto ieri.»
Crimson osservò il gioiello e poi il volto della ragazza. Sembrava tranquilla. ‹‹Tu stai bene?»
‹‹Si, non ho più niente. Sono come nuova. Non dirlo agli altri, però, okay? Siete in pochi a saperlo. E, soprattutto, non farlo più.»
‹‹E tu non nascondermi più le cose», borbottò, restituendole la collana. Cora annuì. Sapeva che era seriamente dispiaciuto e che, comunque, le sue intenzioni non erano malvagie.
‹‹Pace fatta?» chiese lei, allungando la mano nella sua direzione.
‹‹Pace fatta.»

Dopo essersi stretti la mano, Cora gli chiese aiuto per cercare qualche informazione sulla collana in biblioteca, ma non riuscirono a trovare nulla. Interruppero la ricerca proprio quando arrivò Fenrir. A quel punto, si separarono.

Cora e Fenrir raggiunsero Aritth nella stanza di Fenia. La drow era ridotta peggio di un catorcio, sdraiata sul letto dolorante e incartata in un mare di garze e bende. La voce era grattata dalla fatica e dalla stanchezza. Il riposo l'aveva aiutata parecchio, ma ancora non si sentiva di parlare granché o muoversi. Decisero di lasciarla riposare.
Sulla porta, Aritth fermò Cora, le sussurrò all'orecchio di aver trovato un anello nella propria stanza, e poi la trascinò via per raccontarle in privato un fatto davvero particolare.

Dopo qualche ora, si misero in viaggio verso Silvacque. La torre si miniaturizzò nuovamente e Lavelnir se la rimise in tasca. Avevano optato per lasciare Fenia dentro. Sapevano che non avrebbe corso alcun pericolo, anche se però avrebbero dovuto attendere tre giorni per far sì che la torre si ricaricasse.
Il viaggio di ritorno fu talmente veloce che il gruppo ebbe quasi la sensazione di volare. Sentivano tutti di avere il fiato sul collo, quindi, quando furono nuovamente alle porte di Silvacque, tirarono un sospiro di sollievo.
Lungo la strada per la casa del borgomastro, si imbatterono nel bardo. Lo trovarono seduto su una panchina nella piazza principale, mentre strimpellava il suo strumento e cantava di fronte a un pubblico di bambini che lo guardava estasiato. Vedendo il gruppo, non riuscì a trattenere un sorriso davvero ampio, che si congelò e sparì non appena si accorse che i bambini scomparsi non erano con loro. Congedò i bimbi davanti a lui, mandandoli a giocare, e si avvicinò.
‹‹Li avete trovati?» cercò di parlare con un tono speranzoso, ma il suo volto tradiva la sua ansia.
Fenrir annuì. ‹‹Sì. Morti», disse, e Cora gli diede un pugno sul ginocchio abbastanza forte da farlo traballare per un secondo.
‹‹Doveva saperlo!» borbottò.
‹‹Si, ma dai, potevi essere un po' più delicato.»
Il volto del maestro si rabbuiò. Cora ebbe l'impressione che la vita si fosse assentata dai suoi occhi per qualche attimo. Celebrian si fece avanti e poggiò la mano sulla spalla dell'uomo.
‹‹Almeno abbiamo una traccia da seguire», provò a rassicurarlo, inutilmente. Il bardo ormai aveva la testa da un'altra parte. I suoi occhi si inondarono di lacrime, ma si sforzò di non piangere.
‹‹Si, sappiamo chi è l'assassino», annuì Lavelnir. ‹‹È Jendra.»
‹‹Jendra?» il maestro sollevò lo sguardo di colpo. ‹‹La cameriera del borgomastro?»
Fenrir annuì, incrociando le braccia. ‹‹Quella gran puttana.»
‹‹La vecchietta di merda», gli fece eco Cora.
‹‹Impossibile... Lei è una così cara signora... Sempre gentile con tutti...»
‹‹Da ciò che abbiamo trovato, possiamo provare che ha fatto un rituale. Ora... vedremo che fare», disse Kiplin, poggiandosi una mano sul mento.
‹‹Per prima cosa, andremo a casa del borgomastro», iniziò Lavelnir.
‹‹Ora ho il permesso di tagliarle le mani», sorrise Cora. ‹‹Fenrir, tu scazzottala!»
‹‹Vai amore, ti supporto.»
Il ladro avrebbe voluto fermarli, ma non aveva abbastanza energie per mettersi a litigare con loro per l'ennesima volta.
‹‹Lei vada a chiamare le guardie, e le faccia venire alla casa. Dobbiamo prestare la massima attenzione», disse.
Il bardo annuì e corse via velocemente.
‹‹Ottima idea,» si avvicinò Crimson, ‹‹regale.»
Lavelnir si irrigidì.
‹‹Ma che bel soprannome», rispose, facendo finta di niente. Che Cora avesse parlato con lui, venendo meno alla promessa? ‹‹Andiamo», concluse, e si avviò, curandosi di avere sufficiente distanza da Crimson per non essere a portata di spada.
Strinse i pugni e la mascella. Era stato scoperto.

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