Capitolo 6 - La caverna

‹‹La collana ti proteggerà, come me...›› la mano di Meinart scese lungo il viso di Cora in una carezza, che portò la ragazza a strofinare la guancia contro il suo palmo. ‹‹Te lo prometto. Non sarai più debole e non sarai sola. Mai più.››

L'indomani mattina, Cora si svegliò in preda ai postumi, talmente nauseata e confusa che il solo pensiero di respirare le provocava i conati. Si era ritrovata acciambellata a Fenrir, ma non era quello a crearle problemi, tanto quanto il fatto che il proprio corpo sembrava non voler reagire in alcun modo. Le gambe dolevano, come se avesse camminato per ore senza mai fermarsi, e aveva una fatica tale addosso da ricordarle quando correva in mezzo ai boschi da bambina. Anche il fianco le faceva male in maniera particolarmente acuta, come se fosse a un passo dall'esplodere. Che fosse un'avvisaglia del suo corpo per convincerla a smettere di bere?
Provò a ricordare quanto avesse bevuto la notte precedente, ma, per qualche motivo, alcuni ricordi le sembravano quasi... falsificati. Non sapeva come spiegarlo nemmeno a sé stessa.
Dalla borsa balzò fuori il gatto di luce, con un flebile miagolio. Camminò fino a lei e si strusciò lungo il suo braccio e il fianco dolorante. Cora poté vedere un velo di preoccupazione steso sul suo muso.

‹‹Conduco io, visto che conosco la mappa, no?›› chiese Fenrir, guardando il gruppo. Non ci furono obiezioni.
Tutto sommato era una bella giornata, ma Cora era ancora piuttosto nauseata; quindi, per lei sarebbe comunque stata una giornata di merda. Fenrir stava una meraviglia, invece, e la ragazza non poté fare a meno di provare un sacco d'invidia nei suoi confronti.
‹‹Okay, allora... Voglio Lavelnir accanto, così controlla se ci sono trappole. Dantetor tu chiudi la fila, così blocchi i pericoli da dietro. Voialtri state in mezzo, siete obiettivamente gli individui più a rischio››, questo fu il modo più carino che Fenrir trovò per evitare agli di dire che erano delle mezze seghe.
‹‹Okay, io però sto vicino a Crimson››, disse Cora.
Il ragazzo si irrigidì appena, guardando l'halfling che si era affiancata a lui. Esplose nell'ennesima risatina nervosa. ‹‹Eh? Che vuoi da me? No no, vai da tuo marito››, la spinse via delicatamente, parlando con un tono leggermente indispettito.
‹‹Mio cosa?››
‹‹Tuo marito. Cos'è, non ti ricordi? Tu e Fenrir vi siete sposati ieri notte.››
‹‹Io e Fenrir cosa?!››
Cora guardò in direzione del mezz'elfo, che stava totalmente ignorando la conversazione dei due, poi si guardò le mani, come se si aspettasse di trovarci delle manette o chissà cosa.
‹‹Cosa c'è, troppo ubriaca per ricordare? Pentimento immediato?›› la provocò lui.
‹‹No, affatto››, rispose lei scrollando le spalle. Si sentì solo molto strana. Era decisamente felice della cosa, ma si sentiva come se ci fosse qualcosa che non andava. ‹‹Mi sta bene così, non è un problema.››
Probabilmente da sobria non avrebbe nemmeno avuto il coraggio di provarci. Ciò che le faceva male, però, era il non ricordare niente di quel momento. Perché? Era come se fosse stato... annullato. Uno dei ricordi falsati di cui non aveva idea quella mattina. Era come se avesse una benda sugli occhi. Più provava a cercare di riportare qualcosa alla memoria, più vedeva immagini distorte, spaventose, che non facevano altro che terrorizzarla e spingerla a ricacciare tutto nei meandri più reconditi della sua mente. In più, in tutto quel pensare, le venne anche il dubbio (che le sarebbe sempre rimasto da lì in avanti) che magari Fenrir non l'avrebbe mai sposata davvero da sobrio.
Una fitta, veloce e intensa, le scosse le meningi, facendole chiudere gli occhi dal dolore. Segno che non era il caso di continuare a pensarci in quel momento.

Crimson la osservava, quasi come se la stesse giudicando silenziosamente. In realtà non avrebbe nemmeno voluto ripensare alla notte precedente, e sotto sotto sapeva bene che non sarebbe riuscito a tenere il muso per sempre. Si rese conto che Cora non si era ripresa totalmente. Era pallida come un cencio, con delle occhiaie piuttosto evidenti che le solcavano il viso. Avrebbe rallentato tutti quanti.
‹‹Forza,›› brontolò, chinandosi, ‹‹ti prendo in spalla... anche se non te lo meriteresti. Non vorrei trovarti svenuta durante il cammino.››
Cora non si oppose e si arrampicò sulla sua spalla.
‹‹Ehi, io sto vicino a te, Fenrir!›› Aritth, intanto, si mise accanto ai due ragazzi in testa alla fila.
‹‹No, al massimo stai dietro di noi,›› rispose Fenrir, ‹‹coso››.
Aritth annuì, ma, prima di retrocedere, guardò Lavelnir come se lo volesse mangiare, e non in senso cannibale. Il ragazzo, confuso, si limitò a inarcare le sopracciglia.
Il fianco di Cora riprese a bruciare nuovamente, come se le avessero poggiato un ferro bollente. Strinse gli occhi, ma non emise un singolo verso. Non voleva allarmare nessuno.

I minuti di camminata furono estremamente silenziosi. Cora, nonostante il dolore, rimase completamente muta. Non aveva idea di quanto sarebbe riuscita a reggere, ma fino a quel momento era tutto abbastanza sopportabile. Ogni tanto si muoveva in maniera impercettibile per cercare una posizione abbastanza comoda da permetterle di soffrire meno, ma Crimson la teneva sott'occhio come un falco, quindi le veniva difficile non farsi notare.
Il ragazzo, infatti, si accorse delle smorfie e del modo in cui il pallore dell'halfling aumentava. Iniziava a preoccuparsi. La vedeva agitata, anche se lei non diceva nulla.
‹‹Tutto bene? Hai mangiato stamattina?›› domandò, per poi ricordarsi che nessuno, quella mattina, aveva fatto colazione.
‹‹M-Mh››, fu l'unica risposta dell'halfling, che diede poi una piccola pacca sullo spallaccio metallico di Crimson.
‹‹Sei pallida. Secondo me dovresti prendere qualcosa da mangiare dalle razioni che ha preparato il tuo amato maritino.››
‹‹Sto bene... Ho solo un po' di mal di pancia.››
Crimson non ne era per niente convinto, ma era ovvio che non avrebbe cavato un ragno dal buco.
‹‹Sarà il tuo fegato che fa i capricci››, concluse.
Cora annuì, pensando che fosse effettivamente quello. Però, perché il dolore al fianco?
Fece per aggiungere qualcosa, ma si bloccò e si zittì istantaneamente, vedendo Fenrir sollevare una mano in segno di fermarsi.
Di fronte a loro c'era un enorme parete di roccia, con quella che sembrava essere l'entrata di una grotta posta in alto. Guardandosi intorno, non sembravano esserci strade percorribili.
‹‹Dobbiamo arrampicarci, direi››, disse Aritth.
‹‹Non ci sono altre scelte. Questo posto è un vicolo cieco. L'unica è andare lassù››, rispose Fenrir. Annuì tra sé e sé, girandosi verso il resto del gruppo. ‹‹Camminiamo piano, ok? Ho un brutto presentimento.››
Cora, capita l'antifona, decise di scendere dalla spalla di Crimson, e avanzò con passo felpato, nonostante il dolore peggiorasse ogni minuto di più.
Fenrir trascinò Lavelnir di fronte alla parete, e la indicò per chiedergli un'occhiata più approfondita, mentre si assicurava l'ascia sulle spalle in modo che non fosse d'intralcio durante la scalata.
Aritth, qualche metro dietro di loro, non riusciva a staccare gli occhi dall'umano. Era da quella mattina che ce l'aveva in testa, e sentiva l'estrema necessità di averlo vicino. Sempre.
Senza accorgersene, fece diversi passi nella sua direzione, e si fermò in tempo prima di toccarlo. Improvvisamente si sentì come se avesse delle catene alle braccia che la tiravano indietro, e poi una voce... Una voce femminile che parlava una lingua a lei sconosciuta. Poteva essere gnomico, ma forse no. Aveva una cadenza quasi... demoniaca.
Aritth sussultò, notando che la sua vista cominciava ad annebbiarsi. Trattenne il respiro. Delle mani, dalle dita lunghe e affusolate, le toccarono il collo in modo lento, sensuale, per poi stringervisi attorno in tutta calma.
Con la coda dell'occhio, la mezz'elfa vide un fumo nero e rosso provenire dalle sue spalle. Rapidamente, prese possesso della sua intera vista. Nella sua testa si affollarono innumerevoli sussurri, echi di un passato antico, non suo.
‹‹Tuo padre, quel codardo... non sarebbe contento di sapere ciò che hai fatto››, una voce profonda e distorta, ma chiaramente femminile, le parlò all'orecchio. ‹‹E poi, stai guardando il mio uomo.››
Il terrore si fece strada nella sua mente, e il panico cominciò a divorarle le interiora.
‹‹Non dovresti prendere i giocatoli altrui, se non sai cosa fanno››, continuò la voce.
Aritth voleva gridare, voleva sbattere la testa al muro, voleva dolore, morte, sangue, oblio, vuoto, voleva-
Cora le diede un colpetto sulla gamba, spingendola in avanti. ‹‹Aritth, andiamo! Vai prima tu, io ti seguo!››
La mezz'elfa abbassò lo sguardo verso l'halfling, pensando che fosse davvero maleducata a spintonarla in quel modo. Fece un passo avanti, ma poi si fermò, rendendosi conto di avere gli occhi lucidi. Si toccò il viso. Non aveva le guance bagnate, ma si sentiva come se avesse pianto e come se dovesse versarne ancora. Gli occhi le facevano male, quasi come se avesse tenuto le palpebre aperte per ore. Il cuore batteva velocemente, fin troppo. Non capiva come mai.
‹‹Mezz'elfa schifosa, muoviti a salire!›› le urlò Fenrir, sporgendosi dalla grotta. Non si era accorta che fossero già arrivati in cima.
‹‹Arrivo! Ma è tutto okay, si? È sicuro?››
‹‹Ci sono solo un po' di ragnatele, ma per il resto sembra non ci siano pericoli!››

Aritth era molto schifata all'idea delle ragnatele, ma si fece coraggio e iniziò a scalare. Non che avesse altra scelta. Si apprestò a cominciare la scalata, seguita da Kiplin e Celebrian. Mentre si arrampicava, non poteva fare a meno di pensare che ci fosse qualcosa di strano. Era tutto troppo silenzioso, per essere in una foresta.
‹‹Sembrano delle scimmie››, mormorò Cora, ma la voce si spense, mentre premeva la mano sul fianco.
‹‹Potreste muovervi a salire? Non mi piacciono le caverne e vorrei uscire il più in fretta possibile da questo posto!›› gridò Aritth una volta arrivata in cima. Le uniche che non si erano ancora arrampicate erano Cora e Fenia. L'halfling faceva davvero fatica a convincersi ad iniziare la scalata, visto il dolore al fianco, la testa che le girava in continuazione e lo schifo che provava per i ragni e le ragnatele. Se uno di quei cosi le fosse caduto addosso mentre saliva, come minimo avrebbe mollato la presa e sarebbe caduta di sotto. Considerando la sua statura e l'altezza alla quale si trovava la caverna, non era un problema da prendere sottogamba.
Alla fine, dopo l'ennesimo urlo di Aritth, prese un bel respiro e si avvicinò alla parete. Proprio in quel momento, dei ciottoli caddero dall'alto del muro. Cora alzò lo sguardo lentamente, attivando ogni suo senso.
Ci aveva preso in pieno.
Un ragno enorme si lanciò a terra, non troppo distante da lei, e con un suono stridulo chiamò a sé dei suoi compari, nascosti tra le fitte fronde degli alberi.
L'halfling sentì il fiato morirle in gola, ma allo stesso tempo, con uno sforzo sovraumano, riuscì ad issarsi verso l'entrata della caverna alla velocità della luce. Le fitte al fianco le facevano perdere il respiro a ogni piegamento e movimento della gamba, ma l'adrenalina data dall'istinto di sopravvivenza ebbero la meglio. Si concentrò unicamente sul non perdere la presa e sulla distanza dalla grotta, che diminuiva sempre di più. Le sue mani si facevano sempre più gelide e tremanti, il dolore le stava prosciugando completamente le forze.
Fenrir tese la mano per cercare di acchiapparla, notando la difficoltà con la quale scalava. Cora gli fu molto grata, ma ormai si muoveva per inerzia, e quindi la ignorò per lanciarsi direttamente dentro con un ultimo sforzo.
Erano saliti tutti... tranne Fenia.
Crimson, Lavelnir, Dantetor, Aritth e Fenrir si affacciarono, pronti ad andarle incontro. La drow, intanto, aveva già estratto lo spadone, e schivava agilmente i colpi dei ragni, nonostante fossero almeno tre volte lei. Ne affettò uno in due, e si girò verso gli altri con gli occhi iniettati di sangue. ‹‹Andate! Li tengo io!›› gridò, con un vocione carico d'ira. Lavelnir provò a obiettare, ma capì subito che non ci sarebbe stato modo di dissuaderla.
Non appena tutti si inoltrano nel corridoio di pietra di fronte a loro, l'entrata si chiuse. Tuttavia, non ebbero il tempo di essere sorpresi, perché subito dopo Cora collassò contro una parete, tremando come una foglia.
Nessuno capì che le stesse succedendo. Kiplin, sebbene fosse di fianco a lei, non si azzardò nemmeno a toccarla, sbigottito dalla sua caduta improvvisa. Solo Fenrir ebbe la prontezza di avvicinarsi.
‹‹Cora?›› il mezz'elfo capiva la fatica della scalata, data la taglia, ma non poteva essere quello il motivo di quel tremore. Istintivamente pensò che avesse paura. ‹‹Se hai paura ti prendo in braccio. Non ti prenderanno, quei cosi››, disse, inginocchiandosi e poggiando una mano sulla spalla della ragazza.
Lei sussultò. Non l'aveva nemmeno sentito parlare. Si girò lentamente. Era dannatamente pallida, ma sembrò tranquillizzarsi vedendo il viso del marito. Solo in quel momento Fenrir notò che aveva la maglietta sollevata sul fianco, coperto dalla mano, dalla quale gocciolava del sangue. Fece per parlare, ma Cora scosse rapidamente la testa, quindi si zittì.
‹‹Non è niente di grave. Ti prometto che ti spiegherò più tardi, ma non ora››, sussurrò.
‹‹Quindi? Tutto okay? Ci muoviamo?›› cominciò a lamentarsi Lavelnir, senza ottenere risposta. Sentì solo Fenrir mormorare qualcosa, marmoreo in una calma palesemente apparente e forzata.
‹‹Qualcosa non va?›› chiese Crimson, iniziando effettivamente a preoccuparsi, ma fu ignorato anche lui.

Kiplin, dalla sua angolazione, non riusciva a vedere cosa stesse nascondendo Cora, e guardava gli altri ragazzi del gruppo. Dantetor, pensando che l'halfling stesse male, fece per avvicinarsi, ma Crimson lo bloccò prendendolo per la spalla e tirandolo indietro.
‹‹Fammi vedere››, sussurrò Fenrir.
Cora sollevò il lembo della maglietta senza abbassare lo sguardo, ma sentendo le dita ancora più umide, bagnate dal sangue che continuava a colare. Questo la rese piuttosto riluttante all'idea di mostrargli il fianco, ma sapeva che non avrebbe potuto nasconderlo ancora. Spostò leggermente la mano, il tanto giusto per permettere a Fenrir vedere la ferita. Un ematoma piuttosto profondo le occupava tutto lo spazio fra il bacino e le costole, con la pelle stracciata e strappata attorno ad un lungo taglio obliquo. Era palesemente una ferita inflitta da un'arma da taglio, ma sembrava freschissima, appena fatta, e pulsava come se fosse viva, pronta ad aprirsi completamente al primo movimento.
Per un attimo pensò che si fosse tagliata con la sua ascia, magari mentre dormivano, ma se ne sarebbe accorto quella mattina se ci fosse stato del sangue per terra. Era palese, comunque, che quella ferita facesse male. Vedendo l'area attorno alla ferita così arrossata, Fenrir non si sarebbe sorpreso se si fosse spaccata in quell'esatto momento. Rimase in silenzio, guardando il viso di Cora. Anche lui era d'accordo con il parlarne dopo.
L'halfling aveva la fronte madida di sudore, ma non emetteva nessuna lamentela, e il suo viso rimaneva apparentemente calmo. Era solo scossa e confusa, non riuscendo a capire il perché di quella situazione proprio in quel momento. Il tremore era sparito. Non era dato dalla paura, ma dalla sensazione di sentirsi sviscerare da dentro sotto la tensione dell'arrampicata.
‹‹Cora, stai ben-››
Fenrir intravide Kiplin avvicinarsi, e si frappose tra lui e Cora per coprirgli la visuale, mentre lei si abbassava la maglietta, ormai impregnata di sangue.
‹‹Riesci ad alzarti?›› fu l'unica cosa che chiese il mezz'elfo. La ragazza annuì, e si mise in piedi con il suo aiuto.
In quel momento, il mago vide il macello sui vestiti dell'halfling. Sbiancò, ma ancora prima che potesse chiedere qualsiasi cosa, Fenrir lo fulminò con lo sguardo, per impedirgli di muoversi o di iniziare ad assillarla di domande.
Lui però non poteva fare a meno di essere preoccupato. Cora aveva la maglietta inzuppata di sangue! Come poteva stare calmo? E come faceva lui? E perché anche lei lo era? Era tutto normale? Non poteva essere nemmeno quel periodo del mese, altrimenti il sangue non sarebbe stato lì!
Crimson tirò un sospiro di sollievo, ma, notando la reazione dell'elfo, tornò sull'attenti.
‹‹Che succede?›› chiese, ma, ancora una volta, la sua domanda venne lasciata cadere. Stufo di avere un altro segretino in mezzo alle palle, avanzò verso di loro, con passo nervoso e spedito. Lavelnir tentò di fermarlo, senza successo. Curioso, però, lo seguì.
Cora sospirò in preda allo stress, provocandosi un'altra fitta da sola. Afferrò il polso di Fenrir per reggersi, ma, facendo ciò, espose anche agli altri il sangue sulla maglia.
‹‹Che diamine è successo? Perché stai sanguinando?›› Crimson si irrigidì.
‹‹Sanguinando?›› gli fece eco Lavelnir, sporgendosi per guardare. Cora rimase in silenzio.
Dantetor, sentendo la parola "sanguinare" cominciò a frugare in borsa, per poi tirare fuori delle bende. Scansò i due umani e corse incontro alla halfling. ‹‹Cora, fammi controllare la ferita!››
Tuttavia, Fenrir gli ringhiò addosso e lo spinse via con una mano.
‹‹Sto bene››, sbuffò lei. ‹‹Possiamo andare?››
‹‹Stai bene? Stai sanguinando, cazzo! Fenrir, tua moglie sta sanguinando e tu non fai niente? Si può sapere che cazzo ti passa per la testa?››
‹‹Crimson, sto bene. Mi sono fatta male scalando. Non ho fatto attenzione e sicuramente una pietra mi ha tagliata. Sto bene... appena usciamo di qui mi curerò. Non voglio bendarmi ora, lo farò come saremo fuori. Grazie comunque, Dantetor››
Crimson non era convinto di quelle parole, ma optò per non insistere.
‹‹Almeno fatti prendere in braccio. Non avrai intenzione di camminare in quelle condizioni, vero?››
‹‹Finché riesco a camminare, cammino. Ora andiamo e basta, non sarà una ferita del genere a farmi fuori.››

Cora mise fine alla conversazione, iniziando a camminare appoggiandosi a Fenrir nel tentativo di dare meno peso sul fianco. Tuttavia, non servì a molto, quindi a un certo punto optò per lasciarlo andare, onde evitare di essergli d'intralcio.
Crimson rimase quasi scocciato dalla testardaggine dell'halfling. Persino in una situazione simile, preferiva fare di testa sua. Non lo ascoltava praticamente mai.

Dopo non troppo tempo di cammino, si ritrovarono di fronte a un vicolo cieco. Delle piccole torce di fuoco si accesero tutt'intorno a loro, rivelando un'infinita serie di incisioni nelle pareti circostanti. Disegni, forme, e una scritta. Cora riconobbe l'alfabeto elfico. Pochi istanti dopo, si sentì zampettare.
‹‹Topi!›› sobbalzò Aritth, molto tentata di arrampicarsi sulla parete, sebbene fossero piene di ragnatele. Nessun'altro mosse un dito. In un mondo in cui i non morti camminano sulla terra, i topi erano decisamente il male minore.
‹‹Topi e fuoco magico. Sicuramente è colpa di una strega››, disse Fenrir. A dire il vero, non era una teoria così tanto strampalata.
Kiplin cercò di leggere la scritta, ma fallì miseramente. ‹‹La scritta è troppo in alto, non riesco a leggere...›› disse con profonda delusione nella voce.
‹‹Io conosco l'elfico, peccato che non sappia leggere.››
Cora, che si era dimenticata di questo piccolo difetto di Fenrir, incrociò le braccia, pentendosene subito dopo per via dell'ennesima fitta. Il barbaro la guardò, pensando sulle prime che fosse un modo per attirare la sua attenzione, ma capendo poi che fosse una reazione alla sua frase.
‹‹Dovresti proprio imparare a leggere››, disse Dantetor. ‹‹È un po' strano, per... uno come te.››
‹‹Mi stai forse insultando?›› ringhiò il mezz'elfo.
‹‹No no, ti pare. È solo che almeno l'elfico dovresti saperlo leggere.››
‹‹Ti sta insultando. Ti autorizzo a picchiarlo››, disse Cora, poggiandosi alla gamba di Fenrir.
Prima che il mezz'orco potesse replicare, Celebrian si schiarì la voce, indicando la frase incisa sulla roccia.
‹‹È un indovinello. In sintesi, c'è scritto che dobbiamo colpire un determinato simbolo per aprire una porta.››
‹‹Un passaggio segreto...››, disse Kiplin tra sé.
‹‹Si. Stando a quello che c'è scritto, penso che la forma da colpire sia quella di un libro. La vedete?››
Tutti si misero a controllare le pareti.
‹‹Ehi! Lassù!›› disse Kiplin dopo qualche secondo, puntando il dito verso il soffitto.
‹‹Bene. Come la colpiamo?›› chiese l'elfa.
‹‹Lancio un sasso!›› disse Dantetor, ma, come se nessuno lo avesse ascoltato – cosa in realtà molto probabile – tutti si girarono verso Aritth, che stava incoccando una freccia nel suo arco.
‹‹Vediamo se riesco a centrarlo››, disse prendendo la mira.
Lavelnir, quasi certo che la mezz'elfa avrebbe sbagliato il tiro, fece qualche passo indietro. In effetti, in quel momento di concentrazione, le si appannò la vista, ma riuscì comunque a centrare l'obiettivo.
La freccia colpì il soffitto, dal quale cadde a terra un tassello con la figura di un libro, che per poco non si spaccò in testa alla ranger. Subito dopo, la parete alle loro spalle, dove vi era l'incisione in elfico, cominciò lentamente ad aprirsi, rivelando un piccolo corridoio.
Una volta percorso, la stanza in cui entrarono mise a dura prova il loro stomaco.
L'area era fiocamente illuminata da delle torce appese al muro. Sulle pareti e in parte del pavimento vi era un certo biancore dato da fitti strati di ragnatele. Al centro, un altare insanguinato. Nonostante la camera fosse ampia, dava un certo senso di claustrofobia.
Ma la cosa peggiore era la puzza dei cadaveri in putrefazione.
Quattro gabbie, una per angolo. Tutte piene, eccetto una. In esse erano presenti cadaveri in un avanzato stadio di decomposizione. Erano quasi irriconoscibili, con gli arti contorti, la pelle tutta maciullata e consumata dai vermi, e le interiora esposte. Due corpi, più piccoli e minuti, sembravano proprio essere corpi di bambino, mentre l'altro, invece, era quello di un adulto.
‹‹Oh no...›› mormorò Cora.
Celebrian strinse una mano attorno al proprio stomaco, nel tentativo di non vomitare. Lavelnir distolse lo sguardo.
Come sarebbero riusciti a dirlo ai genitori dei bambini? E il corpo più grande... forse era del guardiacaccia? E loro? Avrebbero fatto la stessa fine?

Crimson si pietrificò. Cominciò a tremare talmente tanto da far sferragliare leggermente l'armatura.
Lo stomaco di Cora si contorse per un attimo, più in preda alla nausea post-sbornia che altro. Nonostante non fosse particolarmente impressionata, non poteva negare che quella vista le facesse male. Pensare alle sofferenze di quei bambini le metteva addosso tristezza. Fece per girarsi e uscire ma, dopo pochi passi, sentì il fianco bruciare ancora di più. Questo la convinse a tornare accanto a Fenrir. Lui la guardò rapidamente, per assicurarsi che riuscisse a stare in piedi.
Lavelnir, preso coraggio, fu il primo ad avvicinarsi alle gabbie. Si coprì naso e bocca con un fazzoletto di stoffa, ma l'odore riusciva comunque a penetrare nelle sue narici. Tutta la stanza era impregnata di quella forte puzza di morte. Non c'era scampo.
Crimson fece qualche passo. Era rigido nei movimenti, quasi come se fosse un burattino di legno in procinto di spezzarsi. Non riusciva ad elaborare bene quello che stava vedendo. Era quasi come se non stesse vivendo lui quel momento, ma come se lo stesse guardando da una prospettiva esterna. La sua mente cominciò a disseppellire vecchi ricordi, che sperava di aver dimenticato per sempre.
Esaminati velocemente i cadaveri, Lavelnir si diresse verso l'altare insanguinato. Su di esso, giacevano una pergamena con una scritta rossa, circondata da tre sacchetti. Rabbrividì, intuendo per cosa erano stati rapiti i bambini.
Prima ancora che potesse leggere, un ragno, come quelli che avevano visto all'esterno, cadde sull'ara, emettendo un sibilo felino. Subito dopo, altri tre ragni scesero dalle pareti, navigando nelle ragnatele e circondando tutto il gruppo.
Cora indietreggiò rapidamente, cercando il flauto nella sua borsa, mentre tutti gli altri si prepararono a combattere. Una volta trovato, cominciò a suonare. Il gatto apparve, danzando a ritmo della musica. Era partita piuttosto bene, con degli accenni virtuosistici davvero degni dei migliori bardi, ma una fitta le attraversò nuovamente il fianco, propagandosi lungo tutta la sua spina dorsale, fino al cervello. Sbagliò una nota e interruppe l'esecuzione. Il gatto si fermò e inclinò la testa. L'halfling, in preda a un momento di rabbia, lo colpì col flauto, come se fosse stata colpa sua. Anche se non poteva fargli male, l'animale tentennò un istante, facendola sentire in colpa. Del resto, quella manifestazione della propria magia era stata il suo unico compagno per tanto tempo.
Rapidamente, la ragazza ricominciò la melodia, osservando la battaglia attorno a sé. Non si sentiva per niente al sicuro. In quelle condizioni, era ancora più vulnerabile del solito, e sentiva il fianco pulsare sempre di più man mano che la lotta diventava sempre più intensa. Optò per nascondersi dietro l'altare, infilandosi in una nicchia abbastanza grande da poterla ospitare. Era una posizione perfetta. Da lì riusciva a suonare senza farsi vedere e sparare con la balestra. Ogni tanto qualche pezzo di ragno le volava davanti. Uno, per sua sfortuna, le volò praticamente addosso, sporcandola ancora di più.
L'unico momento in cui abbandonò il forte fu quando vide Kiplin faccia a faccia con uno dei mostri, ridotto male ma pronto a divorarlo. Scattò in avanti, pentendosene, e sparò all'aracnide con la balestra, centrandolo perfettamente in un occhio e facendolo ritornare alla polvere.
L'elfo, che probabilmente non aveva mai provato così tanta gratitudine come in quel momento, si chiese ancora una volta come facesse quella ragazza a fare così tante cose contemporaneamente. A dire il vero, in quel momento non lo sapeva nemmeno lei, visto che il suo respiro veniva stroncato ogni secondo dal dolore.
Appena la battaglia finì, Cora si sedette per terra. Stava perdendo molto più sangue di prima. La testa iniziava già a farsi leggera, ma chiedere aiuto era fuori discussione.
‹‹Ragazzi...›› Lavelnir si girò. Era di fronte all'altare. ‹‹Quei bambini... qui c'è scritto che sono stati sacrificati. Era un rituale.››
In quel momento, Crimson sentì le sue gambe cedere. Strinse i pugni con tutta la forza che aveva in corpo, appigliandosi a quel poco di autocontrollo che gli era rimasto.
‹‹A chi?›› chiese Dantetor.
‹‹Non c'è scritto, ma... la pergamena è firmata. È stata Jendra.››
‹‹Jendra?›› la voce di Kiplin tremò. ‹‹La cameriera del borgomastro?››
‹‹Quella vecchia di merda. Sapevo che nascondeva qualcosa››, sibilò Cora, dando poi un colpo di tosse. La sua bocca si riempì di un sapore ferroso, ma cercò di ignorarlo.
Aritth inveì pesantemente contro l'anziana, giurando che l'avrebbe fatta a fette. Fenrir, rifletté sul fatto che avesse mangiato i suoi biscotti, e che, di conseguenza, chiunque offrisse quel genere di cibo fosse una brutta persona. Dantetor si sentì tradito. Non voleva saltare subito a conclusioni affrettate, ma effettivamente gli altri avevano fatto bene a non fidarsi. Guardò la gabbia vuota.
‹‹Pensate che qua dentro volesse metterci uno di noi?›› domandò.
Lavelnir scosse la testa. ‹‹Non lo so. Potrebbe essere come potrebbe non essere. Non possiamo saperlo con certezza, quindi evitiamo di tirare conclusioni affrettate. Torniamo indietro. È ora che Jendra paghi per quello che ha fatto››.
‹‹Ehi ragazzi››, disse Kiplin indicando uno dei ragni. ‹‹Guardate qui...››
Sul dorso del mostro si poteva scorgere un piccolo simbolo, identico a quello che tutti avevano ricevuto nella fortezza. Fu la prova definitiva. Erano sicuramente stati coinvolti in qualcosa di più grande di loro.
Tra i mille interrogativi che sorsero, l'unico che decise di non curarsene affatto fu Fenrir, che si avvicinò al cadavere di uno dei bambini. Cora pensò che stesse cercando di carpire qualche informazione, ma invece il ragazzo si chinò ancora di più e leccò quello che sembrava essere un braccio. L'halfling rabbrividì.
‹‹Fenrir! Non leccare i corpi, è disgustoso!››
Lui, confuso, guardò prima la carcassa e poi la moglie.
‹‹Okay...›› bofonchiò, assumendo un'espressione da cane bastonato.
Cora si sentì immediatamente in colpa. Sospirò scuotendo la testa, per poi sollevare l'indice. ‹‹Va bene, dai... una sola leccata. Una, non di più.››
Sul volto del mezz'elfo si dipinse un sorriso a trentadue denti. Diede velocemente un'altra leccata al corpo. Pochi istanti dopo, sentì un groppo in gola, ed iniziò a tossire. Le vene lungo tutto il suo corpo si scurirono e ingrossarono, e lui si mise a carponi sul terreno, annaspando in cerca di aria. Durò tutto una manciata di secondi, e poi tornò alla normalità, tranne per il fatto che degli strani globi gli offuscavano la vista.
‹‹Questo è perché non mi ascolti!››, brontolò Cora. ‹‹Leccare i cadaveri non è una buona idea, soprattutto se non sappiamo con certezza cosa li abbia ridotti così e se sono vittime di rituali››, poteva accettare tutto, ma la mossa del barbaro era stata davvero una pessima idea.
Lavelnir assistette alla scena senza dire nulla. Ormai non sapeva cosa dire se non che fossero una manica di idioti. Stava cercando di tracciare un collegamento tra la fortezza, loro, i bambini e il sacrificio, ma ormai la sua concentrazione era completamente andata. Sospirò e decise di continuare la sua ispezione dell'altare.
Notò anche lui la nicchia dove si era infilata Cora. Vi era un piccolo incavo interno. Prima ancora che potesse esaminarlo meglio, si ritrovò l'halfling al suo fianco.
‹‹Cos'è?›› chiese.
‹‹Non lo so... Sulla pergamena non c'è scritto.››
‹‹E questi?›› disse indicando i sacchetti che circondavano il foglio.
Il ragazzo sulle prime non ci aveva badato. Fece per prenderne uno, ma si fermò e ritrasse la mano immediatamente, come se avesse toccato una fiamma. Prese la spada e provò a tastare a distanza di sicurezza. Qualcosa gli attraversò rapidamente tutto il corpo, accarezzandogli dolcemente il cervello. Qualcosa di mortale.
‹‹No. Assolutamente no››, disse, rinfoderando l'arma. ‹‹Questi cosi non vanno toccati.››
Cora fece per allungare la mano con un sorrisino stampato in volto, ma Lavelnir glielo impedì prendendole i polsi.
‹‹E dai! Farò attenzione!›› protestò la ragazza.
‹‹Ho detto di no! Sono pericolosi!››
Mentre l'halfling cercava di liberarsi dalla presa, Dantetor si avvicinò. ‹‹Posso controllarli anche io?››
L'umano gli fece cenno di accomodarsi. Riteneva molto più affidabile un chierico rispetto a una ragazzina scapestrata.
Il mezz'orco analizzò il sacco, senza aprirlo né toccarlo. Riusciva a percepire un'aura negativa, ma non capiva cosa fosse esattamente.
‹‹E se fossero le anime dei bambini e del guardiacaccia?›› propose Cora.
Poteva avere ragione, in effetti. Però perché? Perché vendere le anime di tre innocenti a qualche entità sconosciuta? A che scopo?
‹‹Niente?›› chiese Lavelnir, non sentendo responsi da parte di Dantetor.

‹‹Niente››, rispose amareggiato il mezz'orco. Non riusciva a cavarne piede nemmeno lui. Troppe poche informazioni.
Lavelnir così tornò ad esaminare la nicchia.

All'improvviso, sentì del calore provenire dalla sua tasca, e, nello stesso momento, delle voci cominciarono a sussurrare nella sua testa. Erano varie, confuse, eppure riusciva a capire quello che dicevano.
‹‹Bene. Allora dovremmo andare a chiedere spiegazioni personalmente a quella troia di Jendra››, disse Aritth, seccata. Non avrebbe sopportato un minuto di più quella caverna, così girò i tacchi e si diresse a passo spedito verso l'uscita.
Poi... successe tutto nel giro di pochi istanti.
Cora si slanciò nella sua direzione per dirle di aspettarli, ma non fece nemmeno in tempo a prendere fiato per parlare che il suo fianco cominciò a fiottare sangue. Lo squarcio si aprì totalmente, diventando sempre più grande mano a mano che la mezz'elfa si allontanava. Riuscì a restare in piedi, ma questa volta fece parecchio fatica.
Lavelnir, guidato da quelle voci, prese la torre dalla sua tasca e la posizionò nella nicchia. La borsa di Aritth cominciò a vibrare violentemente, surriscaldarsi e muoversi, portandola a fermarsi.
‹‹Non abbiate paura.››

Una voce, calda e quieta, risuonò tra le pareti della caverna, attirando l'attenzione di tutti quanti. ‹‹Non posso fare molto per voi ora, ma lasciate che vi aiuti come posso. Lasciate che vi purifichi››
In quel momento, il panico subentrò nel corpo di Cora, ma un panico che non sentiva essere suo. Pochi attimi dopo, la borsa di Aritth si rovesciò. La collana di diamanti rossi dell'halfling uscì da essa, scagliandosi, come un magnete attratto da una calamita, contro la torre. L'impatto fu violento, ma sia la collana che la torre rimasero intatte.
Crimson, già confuso e distante di per sé, rimase ancora più scosso. Che aveva la collana di Cora? Purificare da cosa? Altri segreti, porca puttana?
Il gioiello cadde ai piedi dell'halfling. Nello stesso momento, lei si accasciò in ginocchio, sentendo lo stomaco rigirarsi vorticosamente. Riusciva a sentire le voci del gruppo, ma non le loro parole, che la chiamavano incessantemente. Gli arti cominciarono a tremare, e la vista si oscurò completamente. L'aria le mancò, e sentii un rigurgito viscerale provenire dai meandri più reconditi del suo corpo. Vomitò un fumo e un liquido nero, che minacciava di strapparle i polmoni, l'esofago e tutti gli altri organi pur di rimanere aggrappato a lei.
Lavelnir impallidì alla scena. La testa cominciò a fargli male nel momento in cui il fumo si concretizzò in una figura quasi umana, che afferrò il volto della ragazza. Lei, inerme, fissò gli occhi scarlatti della forma che le sorreggeva il volto e cercava di affondare degli artigli nelle sue guance.
‹‹Non ti libererai di me così facilmente. Tornerò.››
Né Lavelnir né Cora videro labbra muoversi, ma la voce, distorta eppure chiaramente femminile, proveniva da quel fumo. L'halfling non riusciva a capire, era troppo debole, confusa e totalmente in preda al panico.
L'ombra, poco prima di sparire, volse il suo sguardo verso Lavelnir, e poi si dissolse nel nulla.
Cora, ormai nel panico, cominciò a respirare rapidamente cercando di recuperare quanta più aria possibile. Si girò, vedendo la collana accanto a sé e la acchiappò rapidamente. Non disse nulla, ma si limitò a guardare malissimo Aritth. Troppo debole persino per pensare un insulto, strinse la collana al petto. Immediatamente, sentì la ferita sul fianco rimarginarsi e tornare le forze.
‹‹Che diamine è stato?›› chiese Lavelnir, ancora con gli occhi sgranati. La testa aveva smesso di pulsare. Guardò Cora. Della pozza di vomito oscuro non vi era più alcuna traccia, come se non fosse mai esistita.
‹‹Io...›› lei non sapeva cosa dire e respirava affannosamente. L'unica cosa che sentiva era un enorme senso di leggerezza.
‹‹ Che cosa?›› domandò Fenrir, affrettandosi a raggiungere la moglie per aiutarla ad alzarsi, dato che quell'idiota di Lavelnir, che era persino più vicino di lui, non si degnava nemmeno di aiutarla. La ragazza era in pieno attacco di panico, per cui capì da solo che c'era decisamente qualcosa che non andava e che doveva essere una di quelle cose che "gli avrebbe detto più tardi". Cora cercò di tranquillizzarsi il più velocemente possibile, ma non riusciva a capire cosa fosse appena successo sotto i suoi stessi occhi. C'era qualcosa che non andava, anche se non sapeva cosa.
Almeno adesso, però, riusciva a respirare senza troppi problemi o fitte.
Lavelnir guardò il gruppo, che aveva un'espressione confusa stampata in volto.
‹‹Non avete visto?›› chiese, esterrefatto.
‹‹Solo la collana che si è schiantata contro la torre››, rispose Celebrian. ‹‹Perché, che altro avremmo dovuto vedere?››
‹‹Perché ce l'avevi tu, Aritth?›› Cora si alzò a fatica, sorretta da Fenrir. Il fianco non faceva più male, ma aveva perso parecchio sangue e le gambe non volevano saperne di collaborare.
‹‹Non so come ci sia finita lì!›› esclamò la mezz'elfa, con un'aria da finta tonta.

Stronzate. E Cora riusciva a capire benissimo quando qualcuno diceva stronzate.

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