Capitolo 4 - Le indagini
Le strade erano totalmente deserte, complici il freddo e la tarda ora.
Illuminazione? Quasi completamente assente, eccetto qualche lanterna appesa qua e là, ma non tutte le case sembravano esserne provviste. Quella era una notte perfetta per compiere qualche furto, aiutati dal buio di quel posto.
Tra l'altro, sotto quelle pochissime luci calde, quel posto sembrava quasi romantico e l'atmosfera (tetra e) silenziosa facevano sentire Cora come ad un vero e proprio appuntamento. Le casette, già normalmente dai colori pastello e della forma tutte uguali, ora lo sembravano ancora di più. Le sembrava di camminare in mezzo ad uno di quei libri con tanti disegni, dove l'autore ha perso la fantasia e la voglia di disegnarle dopo aver fatto la prima. Fino a quel momento non aveva mai fatto caso nemmeno a quanto fossero tutte così vicine. Inclinò la testa, pensando che forse quello era solo un effetto di tutto l'alcol ingerito.
Ma comunque, sicuramente quella serata sarebbe stata più gradevole con una temperatura un po' più calda, ma quelli erano i gusti dell'halfling, poco amante del freddo ed ipersensibile a questo.
‹‹Okay, visto che non mi hai fermata, ruberò qualcosa anche per te. Cosa vuoi?›› Cora tremava come una foglia, ma continuava a camminare. A Fenrir, il gelo della notte non faceva alcuna differenza. Era piuttosto abituato a quel clima.
Alla domanda della ragazza rispose con delle spallucce. Nemmeno quello era troppo importante, una cosa valeva l'altra. L'importante, alla fine, era stare fuori insieme alla ragazza e fare un po' di casino.
‹‹Scegli tu››, le rispose, guardandola mentre correva in direzione di una casa. Sembrava una bambina il giorno di Natale. Aveva iniziato a fare avanti e indietro lungo i muri, controllando se ci fossero entrate secondarie facilmente scassinabili.
‹‹Allora ruberò una collana anche per te!›› disse a Fenrir, dopo averci pensato un po'. Tanto poi le avrebbero rivendute a Virtus, tranne nel caso in cui ne avesse trovato di meravigliose.
Fenrir si limitò a rimanere fermo ad osservarla mentre controllava le serrature delle poche finestre abbastanza basse perché ci potesse arrivare, dato che la casa risultò essere priva di entrate secondarie.
Cora avrebbe potuto cambiare casa, sì, ma si era puntata. Voleva quella. Sentiva di dover stare lì.
Alla fine, dopo una rapida ronda esterna della casa, assicurandosi anche che non ci fosse nessuno all'interno delle varie stanze, decise quale finestra cercare di scassinare. Optò per quella che dava su un piccolo studio.
Avrebbe anche potuto forzare quella della camera da letto, ma non le sembrava un gesto carino, dato che per il padrone poi sarebbe stata una seccatura ripararla.
Almeno era gentile, no?
‹‹Se arriva qualcuno,›› cominciò, mentre si frugava le tasche in cerca di qualcosa di qualche strumento utile per aprire la serratura, ‹‹uccidilo››.
Fenrir annuì e si mise di vedetta con l'ascia in mano, lasciandosela dondolare sul fianco. ‹‹Non me lo faccio ripetere due volte.››
Cora sapeva di poter contare su di lui. I barbari non scherzavano troppo su quel genere di cose.
Alla fine l'unica cosa che si trovò in tasca fu un fermacapelli, che si spezzò a metà nel lucchetto dopo aver provato ad usarlo.
Sospirò in modo rassegnato, e, per quanto non volesse disturbarlo, optò per chiedere l'aiuto dal barbaro.
‹‹Potresti aprirla, per favore?›› disse, prendendogli la mano per attirare la sua attenzione.
Il mezz'elfo guardò prima lei poi la finestra, chiedendosi quale fosse il problema delle serrature di Silvacque.
Sorrise alla ragazza e diede un rapido sguardo a terra.
Trovò un sasso che faceva proprio al caso loro. Lo prese in mano per saggiarne il peso ed esaminarlo per bene. Era perfetto!
Poco dopo, il ragazzo lo scagliò con forza contro la finestra, sfondandola immediatamente.
Cora si sentì stupida. Come aveva fatto a non pensarci prima?
‹‹Grande!›› esultò, facendo un piccolo salto. ‹‹Sai cosa? Ruberò due braccia e una bottiglia di vino, così potremo festeggiare!››
Nel frattempo, Lavelnir e Crimson uscirono di corsa per cercare i due fuggiaschi. Aritth aveva deciso che non gliene importava nulla e se n'era andata a dormire. Lavelnir bestemmiava a ripetizione, mentre Crimson non faceva altro che dire che, una volta trovati, li avrebbe ammazzati senza sé e senza ma.
Fortuna volle che trovassero subito le loro stupide impronte sul terreno, nonostante la pessima illuminazione data dall'accendino di Crimson e una torcia di fortuna.
Crimson era davvero eccessivamente arrabbiato, ma Lavelnir lo capiva bene. Ci mancava solo che venissero arrestati per colpa di quei due imbecilli. Non potevano far fare una figuraccia a Galtarios.
‹‹Quei coglioni sono sicuramente andati a rubare. Sicuramente! Io li ammazzo. Giuro che li ammazzo con le mie stesse fottute mani!›› disse a denti stretti e, subito dopo, Lavelnir sentì un tonfo metallico alle sue spalle.
Un imprecazione talmente pesante da essere irripetibile uscì con un forte urlo dalla bocca di Crimson, portando il ladro a sobbalzare e fermarsi.
‹‹Che succede?›› domandò il ladro, girandosi. Il ragazzo in armatura era scivolato sul terreno con la faccia a terra.
‹‹Dannazione, ho preso una storta!››
Lavelnir avrebbe voluto dare una mano al suo compare, ma non c'era tempo, e quindi riprese a camminare gridando un "ti precedo".
Continuò a seguire le tracce, promettendo che lo avrebbe chiamato. Non voleva che quei due idioti si allontanassero ancora di più e combinassero chissà cosa.
Lui lo sapeva che sarebbe andata a finire in quel modo.
Cora aveva chiaramente dei problemi di cleptomania, oltre che di alcol, mentre Fenrir invece... era Fenrir. Un barbaro con l'autocontrollo di un bambino.
Purtroppo, le tracce finirono poco dopo. Cercò di capire dove potessero essere andati, quando sentì delle urla che attirarono la sua attenzione.
Delle persone si affacciarono dalle case, e delle guardie armate iniziarono a correre. Dovevano essere loro. Non poteva crederci. Le sue paure stavano diventando realtà.
Non aveva nemmeno avuto il tempo di metabolizzare il fatto che era rimasto l'unico della sua stirpe che subito rischiava di trovarsi nei casini per colpa di due idioti.
‹‹Sono loro!›› ringhiò Crimson alle sue spalle, che lo aveva raggiunto. ‹‹Andiamo, forza!››
Lavelnir sospirò in preda allo stress e si mise a correre, nella speranza di arrivare prima delle guardie.
‹‹Voi! Che diavolo state facendo?›› una vicina di casa si affacciò, urlando e sbraitando in quel modo da chi sa quanto tempo.
Questo, ovviamente, attirò l'attenzione dell'intero vicinato, e di conseguenza delle guardie.
Fenrir era pronto a lanciare un sasso in faccia alla donna, ma Cora riuscì in qualche modo a restare abbastanza lucida da tenergli ferma la mano.
Eppure, era stata proprio lei prima a dirgli di uccidere chiunque si avvicinasse o tentasse di fare la spia. In questo caso, però, erano troppi.
Cora cercò di pensare a cosa dire, ma le voci dei vicini, i passi delle guardie che si avvicinavano correndo, e Fenrir pronto a scattare come una molla, non l'aiutavano a concentrarsi.
Tentò il tutto per tutto. Tirò leggermente la mano del ragazzo. Quella piccola pressione quasi lo innescò, ma capì che la ragazza aveva qualcosa in mente.
‹‹Niente!›› gridò l'halfling, agitando la mano libera. ‹‹Niente, giuro! Scusateci se vi abbiamo svegliati! Noi stavamo solo cercando un posto per... beh...›› cercò di sembrare più in imbarazzo possibile.
Forse per la stanchezza, forse perché nessuno ne aveva voglia o forse perché si aspettavano qualcosa di più eclatante, i vicini rientrarono quasi tutti quanti a poco a poco. Ma questo non li fermò comunque dal lamentarsi per il falso allarme ed il casino con cui si svegliarono. Se l'erano bevuta.
L'unica non convinta, fu quella che aveva iniziato a urlare per prima. Lo sguardo della donna rimaneva fermo sull'halfling come quello di un serpente pronto a scattare. Potevano esserci mille ragioni per quella reazione e per quei dubbi, a partire da questioni raziali. Iniziare con lei un dibattito sul perché dei suoi dubbi sicuramente non sarebbe stata l'idea migliore, dato l'imminente arrivo delle guardie. Così, Cora tirò nuovamente la mano del ragazzo. Lui, ancora una volta, non si abbassò, ma la guardò con la coda dell'occhio. Aveva la mascella contratta ed era pronto a esplodere.
‹‹Scappiamo››, gli sussurrò. Fenrir lanciò un'ultima occhiata alla donna affacciata alla finestra, per poi farsi trascinare dall'halfling.
Non appena svoltato l'angolo, però, si ritrovarono Lavelnir che veniva verso di loro. Cora riusciva a intravedere nel buio i suoi occhi quasi iniettati di sangue dall'incazzo. Aveva corso fino a lì talmente velocemente da essere quasi senza fiato. Ormai avanzava a passi lenti ed ansimava grandi nuvole di vapore. Lei, se solo avesse avuto carta e penna, gli avrebbe fatto un disegnino molto carino.
‹‹Ciao Patri!›› esclamò, fingendosi particolarmente felice di vederlo. ‹‹Anche tu qui per una bella passeggiatina notturna?››
‹‹Ciao un cazzo!›› rispose lui, facendo del suo meglio per mantenere la calma.
Cora fece per rispondere, ma la sua attenzione venne attirata da dei passi che provenivano dalle loro spalle.
‹‹Io vi disintegro!›› la voce di Crimson rimbombò.
Fece appello a tutto il proprio buonsenso per non cominciare a lottare contro il mezz'elfo, ma vedere tutta quella situazione e, soprattutto, vederlo così vicino a Cora riusciva a farlo imbestialire.
‹‹Ora voi due mi spiegate che razza di intenzioni avete!››, disse Lavelnir con un tono di voce basso ma piuttosto aggressivo, avvicinandosi alla ragazza.
Fenrir si mise in mezzo e lo strattonò. Odiava quando qualcuno si rivolgeva a lui in quel modo.
‹‹Toglimi quelle putride mani di dosso!›› gli urlò il ragazzo. Il mezz'elfo fece per dargli un pugno, ma venne interrotto dal rumore dell'armatura di Crimson.
Girandosi, vide che l'altro umano aveva sollevato l'halfling da terra, tenendola per la collottola. Decise di non reagire per evitare di fare male anche a lei.
‹‹Crimson, caro, mi sembri stressato. Vuoi un bacino?›› chiese Cora con assoluta tranquillità.
Per quanto in genere stesse ferma e buona quando il ragazzo si arrabbiava, non lo temeva granché.
Ne rispettava l'autorevolezza per il semplice fatto che per lui era un po' come il fratello maggiore responsabile che non aveva mai avuto.
‹‹Bacino? Ti sembra il momento di scherzare, tappa di merda?›› ringhiò lui. ‹‹Che diavolo stavate facendo?››
Cora scambiò una rapida occhiata di intesa con Fenrir, come per dirgli "reggimi il gioco", ma il mezz'elfo la batté sul tempo.
‹‹Stavamo solo facendo quattro passi. Non possiamo avere un appuntamento solo io e lei?›› disse.
Se Crimson non avesse avuto l'elmo addosso sicuramente avrebbero visto il suo volto sbiancare a quelle parole, per poi diventare paonazzo nuovamente dalla rabbia.
Aveva un miscuglio di pensieri piuttosto snervanti, e sentì il proprio stomaco stringersi e rovesciarsi. Una sensazione di amaro e acido in bocca, come se avesse bevuto dell'inchiostro bollente. Una sensazione di gelo percorse le proprie vene. Non era uno stupido, capiva quella sensazione, ma avrebbe preferito non rendersi minimamente conto di quello che provava per quella dannata tappa di Cora. Respingeva e combatteva quell'idea, quei sentimenti improvvisi nati nel momento in cui posò il suo sguardo sull'halfling. Ma in quel preciso istante, colto alla sprovvista, la realizzazione dei propri sentimenti gli crollò addosso come un macigno. D'altronde... esisteva davvero un modo per combattere un'infatuazione? Quella era forse la prima vera sconfitta subita da Crimson. Quella gelosia gli attanagliava lo stomaco. Perché Fenrir e non lui?
Quel vorticoso ciclo di pensieri era talmente rapido da non sapere nemmeno più che fare.
Non sapeva se sentirsi più incazzato all'idea di loro due che avevano un appuntamento o per il fatto che rischiavano di far finire tutti quanti nei casini.
Inspirò rumorosamente dal naso e strinse i pugni, trattenendosi con tutto sé stesso dal lasciar andare Cora e tirare un bel pugno al bel faccino da mezz'elfo di Fenrir. E magari urlargli anche addosso la verità sul fatto che, purtroppo per lui, non fosse un mezz'orco, ma uno schifoso orecchie a punta.
Lavelnir, notando la titubanza di Crimson, inspirò a sua volta, cercando la calma per rispondere alla domanda di Fenrir.
Non aveva idea di quale Dio gli stesse conferendo quella pazienza, ma sicuramente il biondino avrebbe dovuto ringraziarlo e pregare, quella notte, per la grazia concessa.
Fece per parlare, ma Crimson lo anticipò.‹‹Idioti!›› ringhiò, ‹‹Noi abbiamo responsabilità! Si può sapere che cosa vi salta in mente?››
‹‹Suvvia Crimson, è solo un appuntamento innocente››, rispose Cora, facendo gli occhioni.
‹‹Nessuno vi vieta di avere un appuntamento, idioti. Per quanto ci riguarda, potete anche scopare, sono affari vostri››, intervenne Lavelnir, contraendo la mascella per il nervoso. Crimson non fu molto d'accordo con quell'affermazione. ‹‹E allora come mai avete sfondato una finestra e allertato il vicinato? Le guardie saranno qui a momenti! Dubito sia necessario per il vostro scopo, no?›› il ladro stava facendo sempre più fatica a trattenersi.
Cora sorrise, guardando Patrizia dall'alto in basso. ‹‹E chi ti dice che non stiamo cercando di entrare in una casa proprio per quel motivo?››
Fenrir incrociò le braccia, sorridendo maliziosamente. ‹‹Esatto.››
‹‹Il fatto che avete una camera da letto tutta vostra, ad esempio››, rispose Lavelnir. Era una cosa abbastanza ovvia.
‹‹Magari ci piace farlo davanti ai proprietari di una casa non nostra.››
Cora annuì ripetutamente. Fenrir era proprio bravo a reggerle il gioco. ‹‹Esatto, noi vogliamo solo fare una cosetta innocente››, aggiunse.
Lavelnir, sentendo le grida delle guardie vicine gridare di averli trovati, si ruppe. Scattò, superando Fenrir e affiancandosi a Cora.
‹‹Siete due irresponsabili! Cosa –›› Crimson non riuscì a finire la frase, dato che Lavelnir, dopo aver accennato un "Crimson, permetti?" e senza nemmeno attendere risposta, mollò un pugno estremamente forte (oltre che estremamente soddisfacente per lui) in piena faccia all'halfling. Era da giorni che desiderava farlo.
Dal colpo e dalla sorpresa, la ragazza scivolò via dalle mani di Crimson, il quale provò un misto di emozioni tra la confusione dell'attimo la rabbia che si divideva tra le stronzate di Fenrir e Cora, il fatto Lavelnir che avesse appena colpito la ragazza ed il "oddio, Cora è appena morta". O, comunque, quel colpo doveva averla quantomeno stordita.
Il pugno colse alla sprovvista anche Fenrir, che sbuffò pesantemente dal naso, pronto a rispondere al gesto con la stessa identica violenza (o forse peggio). Si fermò dall'andare a colpire di rimando Lavelnir solo perché Cora, con stupore dei presenti, stava benissimo. Si rimise in piedi come se non fosse successo assolutamente niente, poi si passò una mano sulle labbra ed assunse uno sguardo che sembrava gridare "prendimi".
‹‹Dio, sì, fallo ancora!›› gli disse in tono provocatorio, mordendosi il labbro inferiore.
‹‹Cosa...?›› mormorò Crimson, sgranando gli occhi.
Una creatura di quelle dimensioni, e tanto magra com'era lei, con un pugno sarebbe dovuto essere rimasta tramortita e fuori gioco per un paio d'ore.
Motivo per cui o Lavelnir aveva la forza di un insetto stecco, o Cora era più resistente del previsto.
Il ladro, in preda alla rabbia, non si curò minimamente di quanto fosse ambigua quella situazione. Sussurrò un "okay" e fece un passo per dargliene un altro, come da sua richiesta, ma accecato dalla rabbia mise il piede in fallo e quasi cadde su Crimson, il quale lo rispinse indietro prima che potesse cadere.
L'uomo sbuffò, come se quello scossone l'avesse fatto riprendere. In verità sentiva ancora il sangue al cervello.
‹‹Scusa, sono scivolato››, si scusò con l'uomo in armatura, rimettendosi in una posizione stabile dopo una scrollata di spalle. Cora rimase delusissima dalla performance mancata del ragazzo.
Prima che Lavelnir potesse anche solo lontanamente pensare di dire qualcosa o, eventualmente, di ricaricare il pungo, l'urlo di una delle guardie lo fece drizzare con la schiena, portandolo subito sull'attenti, ‹‹Fermi tutti! Mettete le mani bene in vista, siete circondati!›› poi il rumore di varie balestre che si alzavano e venivano puntate contro di loro, mentre le caricavano. Tutti alzarono le mani, con un sospiro rassegnato. Ad un'occhiata rapida data da Cora, erano davvero accerchiati, ed erano davvero tanti. Ecco perché ci stavano mettendo così tanto ad arrivare. Tutto questo per un piccolo tentativo di irruzione? Era davvero esagerato. Poi l'halfling ci pensò meglio, sebbene il suo cervello fosse più immerso nel viso che altro: in effetti c'erano state delle sparizioni, e nessuno poteva assicurare alla guardia cittadina che loro non stessero andando a cercare dei pargoli da rubare o cose simili. Sollevò gli occhi al cielo.
‹‹Noi adesso ce ne andiamo. Intesi?›› sentenziò Lavelnir rivolgendo uno sguardo all'halfling e al mezz'elfo ‹‹Non so cosa avete in mente, ma smettetela di fare gli idioti. Ora parlo con le guardie, e poi torniamo alla locanda››
E partì un battibeccare sul fatto che Lavelnir avrebbe dovuto chiedere scusa per il pugno, ma quel vociferare morì prima di subito, dato che le guardie urlarono loro di fare silenzio.
Alla fine, Lavelnir si prese la libertà di abbassare le mani molto lentamente. ‹‹Io e il mio amico in armatura qui non c'entriamo niente. Stavamo cercando di fermare loro.››
Le guardie non furono collaborative, anzi, tirarono fuori dei dardi esplosivi. Ed ancora una volta, Cora lo trovò eccessivo. Lavelnir cominciò a sudare freddo e ad essere anche un po' stizzito. Non era morto col miasma e rischiava seriamente di saltare in aria in quel posto per colpa di due idioti ubriachi e flirtanti. Alzò di nuovo le mani.
‹‹Non penso ci sia bisogno di quei cosi...››
‹‹Lo vediamo noi di cosa c'è bisogno e di cosa no.››
Era una situazione di stallo, a quanto pare. Al minimo movimento le guardie cominciavano a fare mini pressioni sul grilletto, senza però premere a fondo. Fino a quanto poi non si aprì uno spartiacque tra le guardie.
Il capitano della guardia, decisamente più bardato e ben piazzato, fece mettere tutte le altre sull'attenti.
‹‹Che succede qui?››
‹‹Signore, abbiamo sorpreso questi individui a disturbare la quiete pubblica e a tentare di introdursi all'interno di una casa. Stanno facendo resistenza all'arresto.››
‹‹Oh, sì, manette. Interessante››, sussurrò Cora.
‹‹C'è qualcosa di poetico in un bardo che suona dietro le sbarre››, rispose Fenrir.
Crimson stava decisamente implodendo. Non ne poteva più di sentirli flirtare. Notando il lieve tremore dell'amico, Lavelnir cercò di mantenere la calma – inesistente, di nuovo – anche per lui. Sapeva bene che se Crimson fosse partito in quarta col mettere le mani addosso a Fenrir, la situazione sarebbe crollata a picco in pochi secondi.
Il capitano, schioccò la lingua e grugnì.
‹‹Lasciateli andare››, disse, in un tono estremamente ostile. ‹‹Sono quelli venuti da Virtus sotto il nullaosta del borgomastro.››
Gli altri soldati abbassarono le armi. Lavelnir tirò un sospiro di sollievo. Il capitano allora, dopo un cenno col capo verso i suoi sottoposti in segno di sciogliere le righe, si avvicinò al ladro.
‹‹Andate, per sta volta. Ma se ricombinate un casino simile vi faccio arrestare tutti senza se e senza ma. Intesi?›› disse con tono freddo, poi, anche a loro, fece un cenno di saluto col capo e si congedò, senza nemmeno attendere una risposta. Quelle notti erano troppo movimentate per concentrarsi su un gruppo di casinisti come loro.
‹‹Bene, ora possiamo tornare alla locanda››, mormorò soddisfatta Cora. Il ragazzo la fulminò con lo sguardo.
L'halfling, allora, fece per girarsi a prendere di nuovo la mano di Fenrir, ma al suo posto afferrò l'aria, dato che Crimson se la caricò sulla spalla a mo' di sacco.
Il viso di Cora sbatté rumorosamente contro l'armatura sulla schiena del ragazzo, ritrovandosi a testa in giù.
‹‹Potresti almeno trattarla bene, no?›› sbuffò Fenrir. Crimson fece appello a tutto il suo autocontrollo, e si limitò a stringere le gambe di Cora, che scalciava sul suo petto e gli tirava pugni sulla schiena.
I quattro si incamminarono verso la locanda. Dopo un po', Crimson allentò lievemente la presa sulle gambe di Cora, rendendosi conto di correre il rischio di farle seriamente male.
Lei, di rimando, smise di dargli colpi alla schiena. Tanto si stava facendo più male lei che lui, e, riflettendoci bene, rischiava solo di procurarsi un fortissimo mal di testa dato il rimbombo sul metallo.
‹‹Faccio da guardia, stanotte››, il tono di voce del ragazzo era freddo, fermo e cupo. Sembrava essere uscito dritto dall'inferno solo per dire quello. Fenrir sollevò gli occhi al cielo. Non voleva il babysitter, non era un bambino.
‹‹Si, anche io››, rispose Lavelnir, preparandosi a passare la notte in bianco. Sperò con tutto sé stesso che quei due si addormentassero il più in fretta possibile.
‹‹Spero non vi salti in testa di uscire di nuovo. Avete sentito il capo delle guardie, no?›› Crimson si sforzò di parlare con il tono più calmo possibile. Aveva capito che tanto più sbraitava, meno Cora lo ascoltava.
‹‹Se voglio farlo, uscirò ugualmente e non mi farò beccare››, rispose l'halfling. ‹‹E ho una bella visione da qui, Crimson caro!›› cercò di allungare le mani verso il fondoschiena del ragazzo, non riuscendo, però, a raggiungerlo. Oltre a ciò, le era venuto un estremo senso di nausea a furia di stare a testa in giù ed oscillare per l'andatura del ragazzo.
Crimson si zittì completamente, consapevolissimo che tanto fosse l'alcol a parlare. Nonostante ciò, si sentì talmente in imbarazzo che ebbe comunque la forte tentazione di scavare un buco nel terreno e infilarcela dentro. Tanto non avrebbe dovuto faticare chissà quanto.
‹‹Tu sei completamente fuori di testa››, brontolò Lavelnir. ‹‹Ci farai uccidere tutti con questo tuo modo di fare. Abbiamo rischiato grossissimo.››
Fenrir sospirò per l'ennesima volta in pochi minuti. Non voleva sentire una paternale, voleva solo che mettessero giù Cora, così da poter tornare a ciò che stavano facendo prima di uscire dalla stanza. Delle altre cose non gli interessava minimamente. ‹‹Certo che ti scaldi velocemente tu...›› brontolò.
Lavelnir preferì stare zitto e non rispondere. Gettò completamente la spugna. Cercare di parlare a loro due era l'equivalente di parlare con un sasso.
Nel giro di poco furono in locanda. Cora ringraziò dal profondo del proprio cuore per la rapidità con cui la raggiunsero, perché l'armatura di Crimson era gelida e quel freddo le era penetrato fin nelle ossa, al punto che nemmeno l'alcol riusciva a scaldarla abbastanza. Almeno dentro la locanda c'era abbastanza tepore da farle quasi venire sonno. Quasi.
Lavelnir, dal canto suo, finalmente rilassò un pochino i muscoli, ed era pronto a parlare con Crimson dei turni per fare la guardia ai due.
‹‹Comunque, bel culetto anche il tuo, Patrizia››, disse Cora, di punto in bianco, battendo le mani sulla corazza di Crimson per farle capire che avrebbe tanto gradito essere messa giù in quel momento. Ormai sentiva il sangue al cervello... e poi, non c'era più bisogno di essere tenuta in quella posizione, che era tutto fuorché comoda.
‹‹Uhm... grazie?›› rispose Patrizia, in tono estremamente scettico. Poi, optò per ignorare completamente i suoi deliri alcolici. Tuttavia, quasi istintivamente, si poggiò una mano sul fondoschiena. Dovette ammettere che nonostante l'età effettivamente si mantenesse bene.
‹‹Però quello di Fenrir è il migliore tra i tre!›› aggiunse ed ammise la ragazza.
Dopo quella precisazione, Crimson perse definitivamente la pazienza.
Allora, spinse poco più sulla spalla l'halfling, così che la maggior parte del peso pendesse verso la schiena. Poi la lasciò andare di scatto, facendola cadere, sperava, di faccia.
Cora, prevedendo la mossa, riuscì ad ammortizzare la caduta con le braccia. Si rimise subito in piedi e cominciò a correre verso la camera da letto. Fenrir, senza troppe domande, la seguì.
Lavelnir sentì chiaramente la piccoletta dire un "fa niente, tanto prima ho rubato del vino!" mentre chiudeva la porta. Sospirò. ‹‹Io mi metto sotto la loro finestra.›› disse con tono rassegnato. Le sue speranze che i due dormissero subito divennero immediatamente vane.
‹‹Io starò fuori dalla porta,›› bofonchiò Crimson, ‹‹così siamo sicuri che non usciranno.››
‹‹Penso che non lo faranno comunque, adesso. Sei sicuro di voler stare qui? Non –››
‹‹Sì››, tagliò corto, interrompendolo.
Crimson era conscio che, stando di guardia alla porta, avrebbe potuto sentire qualcosa di più di semplici sghignazzi. Non voleva pensarci, e sperava con tutto sé stesso che quei due fossero talmente stanchi e ubriachi da non riuscire a muovere un muscolo o pensare anche solo lontanamente di fare sesso.
E per sua fortuna, infatti, durante la notte non ci furono rumori troppo molesti. Cora aveva aperto la porta ben due volte, chiedendogli se avesse fame perché aveva trovato della mortadella nel suo zaino. Il ragazzo chiuse la porta bruscamente entrambe le volte,.
Per il resto, l'unico frastuono che sentì fu quello del russare di Aritth e le sgridate di Celebrian. Una volta che fu certo che Cora e Fenrir si fossero addormentati (spiò dal buco della serratura), riuscì a prendere un po' di sonno anche lui. Sfortunatamente, non sul proprio letto.
Rimase lì, in armatura, non fidandosi abbastanza per abbandonare la postazione. E quella corazza era tutto meno che comoda.
La nottata di Lavelnir, invece, fu più particolare. Appena si mise sotto la finestra, vide Cora con il viso spiaccicato contro il vetro che lo salutava con un sorriso tutto meno che sobrio. Lui la mandò a quel paese mostrando il dito medio e si piazzò lì fino a quando non spensero le luci.
La situazione era sempre la stessa. Faceva freddo ed era buio. L'illuminazione di quel posto era completamente inesistenze dove si trovava lui. Ma miracolosamente, guardandosi attorno, sotto una casa poco distante ed appena illuminata riuscì un'ombra muoversi. Il che era quasi assurdo riuscire a vedere un'ombra nell'ombra. Incuriosito, si avvicinò a controllare con passo felpato e la seguì. Le guardie erano ovunque, per la città, e quindi dovette fare attenzione anche a loro (sia mai che fraintendessero).
Si diresse fino all'angolo di una casa attigua e si sporse, assicurandosi di non essere né seguito né visto.
Poté vedere quella cosa muoversi ancora, percorrere il lato dell'edificio e girare l'altro angolo. Le corse dietro, ma quando svoltò anche lui, non vide nulla. L'ombra era sparita.
Solo in quel momento, comunque, lo notò: era di fronte alla stessa casa nella quale Cora e Fenrir avevano provato a rubare.
Non cercò di ragionarci su troppo. Era troppo stanco e infreddolito, per cui non avrebbe concluso niente.
Quindi tornò indietro, sotto la finestra del duo dei casinisti. Era chiusa e le luci erano rimaste spente. Evitò di controllare meglio dentro la stanza, anche se avrebbe dovuto, solo per rispetto della loro privacy.
Per cui si limitò a rinnovare il mandarli a quel paese mentalmente e andò in camera sua a dormire.
Durante la notte, Cora si svegliò di colpo, con un peso sullo stomaco a dir poco pesante.
La testa girava come un vortice e lo stomaco era totalmente sottosopra. Il freddo si ostinava a non passare, anzi: aveva la sensazione che fosse raddoppiato, e di certo non poteva accendersi un fuoco in camera. Non aveva coperte da aggiungere a quelle già nel letto, né altri vestiti da mettersi addosso al di fuori di quelli che aveva già.
Allora guardò Fenrir, già addormentato da chi sa quanto tempo. Lampo di genio.
Lentamente spostò le coperte e camminando in punta di piedi, si avvicinò a letto del ragazzo.
Gli toccò delicatamente il braccio, spingendolo appena.
‹‹Fenrir...?›› lo chiamò. Dovette farlo un paio di volte prima di riuscire a (quasi) svegliarlo.
Ripose con un "mh?" ed aprì appena un occhio, ma era più di là che di qua.
‹‹Posso infilarmi nel letto con te? Ho freddissimo.›› mormorò l'halfling, cercando di mantenere un tono dolce nella speranza di intenerirlo.
Lui richiuse gli occhi praticamente subito, anche prima che terminasse la domanda, spostando pigramente un braccio per farle spazio. Così lei s'infilò immediatamente sotto le coperte, accoccolandosi contro di lui per avere un po' di calore.
Ma la mattina seguente si svegliò totalmente indolenzita. Certamente il freddo era passato, ma la sensazione non era poi tanto diversa da quella della notte appena passata. La nausea che stringeva il suo stomaco e lo rigirava, ma forse più per la fame che per la sbornia. D'altronde non era nemmeno il tipo di persona che mangiava di continuo o comunque in maniera regolare. Capitava di continuo durante i viaggi, quindi riusciva a riconoscere abbastanza bene i segnali trasmessi dal proprio corpo.
Fenrir, invece, si svegliò piuttosto confuso, intontito dal sonno, per cui in realtà ci mise un po' a realizzare la situazione ed il fatto che avesse davvero Cora nel letto.
Ma l'halfling diede peso alla sua espressione confusa, ed attribuì automaticamente ed immediatamente la sua confusione al post sbornia. A malapena si ricordava di essersi infilata nel letto con lui, ma decisamente non era un problema. Piuttosto rimase imbambolata a fissare gli occhi azzurri del ragazzo, perdendocisi un attimo. Erano davvero belli. Probabilmente gli occhi più belli visti in tutta la sua vita. Allungò una mano verso il suo viso, sfiorandolo con le dita. Assottigliò lo sguardo.
Occhi azzurri...
‹‹Kiplin...›› sussurrò, poi, ritraendo la mano.
Fenrir, già confuso di suo per ciò che stava accadendo, lo fu ancora di più. Come poteva sbagliare dei nomi così diversi?
La ragazza, allora, rotolò giù dal letto ‹‹Dobbiamo andare a svegliare Kiplin, forza!››.
Così, di colpo? il mezz'elfo la guardò correre fuori dalla stanza, senza ulteriori spiegazioni né sul perché dovesse andare a svegliare Kiplin né su... niente. Non che Fenrir fosse una persona da porsi mille domande, ma... dovette ammettere di essere confuso.
Optò però di non porsi troppe domande a cui non sapeva dare risposta e si tirò fuori dal letto, non capendo nemmeno come la piccola halfling facesse ad essere così energica dopo una serata ultra-alcolica.
Tuttavia Cora voleva svegliare Kiplin, e così sarebbe stato. Il perché volesse farlo alla fine non gli interessava poi tanto.
Per Cora quel maghetto era come un bambino di cui prendersi cura. Per Fenrir non era più di una lanterna, dato che sapeva usare incantesimi capaci di illuminare le stanze.
L'halfling si fiondò nella camera del mago e si lanciò sul suo letto. Come previsto da lei, era ancora nel mondo dei sogni. Il poveretto sobbalzò, ma non si svegliò, e allora Cora cominciò a riempirgli la faccia di baci, schivando come un ninja le labbra.
‹‹Sono sveglio!›› esclamò lui, completamente rintronato, ma non infastidito. Era comunque sorpreso ed intimidito (soprattutto intimidito).
‹‹Bene! Ora possiamo sfondarci di vino tutti insieme!››
‹‹Nessuno si sfonderà con niente, tantomeno di mattina.›› Crimson fece capolino appoggiato allo stipite della porta. Il poveretto si era beccato un colpo di porta in faccia, dato che Cora l'aveva spalancata per correre, ‹‹abbiamo del lavoro da svolgere.››
L'entusiasmo scemò immediatamente. Cora mise il broncio, ma lui aveva ragione.
Dopo aver deciso un piano d'azione, il gruppo si divise. Celebrian, Kiplin e Dantetor andarono a parlare con le famiglie dei bambini, mentre Lavelnir, Crimson e Aritth sarebbero andati a esaminare le tracce della notte prima. Una volta tornati alla locanda, sarebbero andati tutti insieme dal bardo.
‹‹Bene,›› disse Lavelnir. ‹‹E voi due che avete intenzione di fare?››
‹‹Io voglio andare a visitare il porcomastro››, rispose Cora. ‹‹Voglio chiedergli scusa per ieri notte.››
‹‹Io l'accompagno››, disse Fenrir.
Lavelnir chiuse gli occhi ed inspirò. Capì da subito quanto fosse inutile spiegare a Cora che si diceva "borgomastro".
‹‹Ottimo››, si limitò a rispondere con un tono gelido, per poi schiarirsi la voce. ‹‹Bene, allora andiamo. Prima iniziamo e prima finiamo. Meglio muoverci, le eventuali tracce non rimarranno lì per sempre.››
Aritth si leccò la punta dell'indice e lo sollevò verso il cielo. Ci pensò immediatamente dopo che quel gesto, in realtà, non serviva per stabilire la pioggia, ma quelle bellissime nuvole grigio scuro sì ‹‹Ragazzi, penso stia per pio–›› nemmeno il tempo di terminare la frase che un tuono riecheggiò rumoroso. E Silvaque, già che priva di colori accesi, ora era ancora una volta scura e spenta. Fortunatamente non come di notte. Solo Aritth, capace di trovare le tracce più complicate, Crimson e Lavelnir corsero fuori.
Gli altri, invece, se la presero con più calma in attesa che la pioggia si calmasse un minimo. Kiplin, Dantetor e Celebrian si occuparono di cercare delle informazioni tra le persone del posto, passando anche da i nominativi lasciati delle famiglie delle vittime. Fecero un po' di fatica a trovare informazioni in generale, a dirla tutta. Le persone del posto erano giustamente schivi e diffidenti. Ma quel poco trovato, purtroppo, non era niente di utile o importante ai fini dell'indagine, solo l'estremo dolore per le perdite, la preoccupazione di due famiglie che avevano mandato i propri figli dal maestro come ogni giorno, per non vederli mai tornare a casa. Celebrian, però, con attenti sguardi da casa in casa riuscì a notare una cosa sfuggita agli occhi di Dantetor e Kiplin: sì, le case erano (bene o male) tutte uguali, ma sulle mura delle case delle vittime era stato inciso lo stesso simbolo trovato nella fortezza. Questo significava che doveva esserci un collegamento, ma quale? In cosa erano rimasti invischiati?
Aritth, Crimson e Lavelnir riuscirono a trovare delle orme nella ghiaia prima che la pioggia potesse cancellarle. Effettivamente, si interrompevano in mezzo al nulla: non erano abbastanza vicine a nessuna casa o a nessun appiglio in generale, e non c'era erba o altro a portata di salto. Tuttavia, le ultime due impronte puntavano nella direzione opposta rispetto alle altre. Seguirono con lo sguardo il punto in cui erano rivolte. Da quella parte, oltre la palizzata che circondava il villaggio, c'era la foresta.
Cora e Fenrir andarono dal "porcomastro" per chiede scusa per la notte precedente. L'uomo, palesemente dotato di una pazienza fuori dal comune, disse che non c'era bisogno di alcuna scusa, e si limitò a chiedere di non farlo più con un sorriso estremamente dolce e cordiale.
Nonostante Cora non fosse veramente pentita e volesse solo fare del lecchinaggio, gli diede la sua parola, perché lui era una persona molto gentile con lei, proprio come lo era Kiplin. Sentiva di volergli davvero bene. Fu tentata di abbracciarlo, ma non lo fece perché riconobbe che si trattava di un gesto eccessivo.
Era davvero molto intenzionata a mantenere la promessa e non fare casino. E la promessa di un halfling valeva come l'oro.
I due raggiunsero la locanda molto prima degli altri. Si misero a parlare davanti all'entrata, aiutandosi a vicenda a mettere insieme i tasselli della notte precedente, rendendosi entrambi conto di quanto i ricordi fossero sfasati.
Cora capì il motivo della grande confusione mattutina di Fenrir: non era mai andato a letto con una donna, nemmeno per dormirci assieme come avevano fatto loro due. Semplicemente non sapeva come sentirsi a riguardo.
L'halfling optò per cambiare discorso, non volendolo mettere in qualche modo a disagio.
A dire il vero, nemmeno lei sapeva come prendere quella cosa, dato che anche lei, dentro di sé, era piuttosto in subbuglio. Sapeva di essere andata a letto con diverse persone, parecchie volte. Qualcuno sicuramente più importante di altri.... ma non ricordava né volti, né corpi, né nomi, a malapena e con un bel po' di sforzo solo le sensazioni provate.
Nell'attimo di silenzio che si venne a creare con Cora che rifletteva, Fenrir guardò in direzione della piccola folla di persone che camminava verso il mercato di strada, dato il sgombro dalla pioggia, che si era sistemato nella piazzetta davanti a loro.
‹‹Oh no, ora tutti vedranno che sono un mezz'orco››, disse, fingendosi preoccupato.
Cora si ridestò. Non capendo, si sporse di poco per guardare oltre lui. Il suo cervello non voleva saperne di allontanare completamente quei pensieri sul fatto che, seriamente, non ricordasse grandi dettagli (per lei importanti) del suo passato, quindi ci mise un po' a capire che stesse parlando delle persone dirette al mercato.
‹‹Non penso verranno qui. E poi, i mezz'orchi non sono così rari da trovare nei villaggi››, si interruppe, vedendo il resto del gruppo che tornava dalle indagini. ‹‹E comunque non preoccuparti: Il mio amore va oltre la tua razza››, aggiunse di getto, poi si avvicinò immediatamente agli altri, senza nemmeno fermarsi a guardare la reazione del ragazzo.
Prima di decidere un nuovo piano di marcia, scambiarono le informazioni che avevano raccolto. Ma dopo aver "perso tempo" a porsi varie domande a vicenda, incapaci di ottenere una risposta alle loro domande, decisero di lasciar perdere per il momento e di andare a parlare col maestro dei bambini. Chiesero indicazioni ai passanti e solo dopo due o tre di loro riuscirono ad ottenere delle indicazioni precise.
Dopo aver bussato alla porta temevano di dover aspettare chi sa quanto tempo prima che qualcuno aprisse. Ma invece non ci fu nemmeno un "chi è?", ma direttamente l'apertura della porta.
Un uomo basso, ad occhio e croce poco più di 75 centimetri. Un Halfling, proprio come Cora, con la differenza che lei dal suo metro di altezza poteva permettersi di guardarlo dall'alto in basso.
Aveva una certa età, ma non così avanzata da poterlo definire un anziano. Un naso a patata schiacciato, capelli mossi e castani, occhi grigio chiaro contornati da grosse occhiaie. Tra sé e sé Cora pensava di aver visto pochi Halfling bruttini come lui, ma fece di tutto per cercare di nasconderlo.
‹‹Si? Con chi ho il piacere di parlare?›› disse lui, con un tono davvero molto gentile, che quasi lasciò il gruppo stupito per quanto fosse in contrasto col suo brutto aspetto.
‹‹Salve. Siamo stati mandati per conto di Virtus per indagare sulla scomparsa dei bambini. Vorremmo farle qualche domanda, se possibile››, rispose Lavelnir.
Sentendo quelle parole, l'espressione dell'halfling si rattristò, e le sue labbra fini si curvarono in un broncio appena accennato. ‹‹Oh... Prego, entrate.››.
Lui, in modo sempre molto gentile, ma davvero lento, li guidò verso un salottino, e li fece accomodare "come se fossero a casa loro", offrendo anche loro una tazza di tè nel tentativo di allentare un po' la tensione per quella loro ricerca.
Sebbene fosse la casa di un halfling, tutti i mobili erano a grandezza di umano. Il sederone di Dantetor però dovette rimanere alzato dalla sedia (nessuna sedia o divano era abbastanza grande da ospitare il mezz'orco). L'odore che si respirava lì dentro era quello tipico delle biblioteche e delle pagine antiche, cosa che fece fare a Kiplin un grosso respiro piacevole, misto all'odore di bacche fresche, indice che l'halfling aveva appena finito di pulire accuratamente la propria casa. E questo fu un dettaglio notato da Cora: quasi tutti gli halfling che aveva incontrato nella propria vita, lei compresa, erano maniaci della pulizia. Oltre ciò, lei stessa notò degli spartiti poggiati meticolosamente sopra un pianoforte, e dietro questo, appesi al muro, vari strumenti musicali. Tra cui un flauto simile a quello che lei stessa aveva infilato nel dito che usava per suonare.
Facendo due più due, Cora andò subito a pensare che quello di fronte a loro fosse un bardo come Cora, ma a differenza sua aveva anche la pazienza necessaria per insegnare a dei bambini non propri. E, sì, il proprio intuito non sbagliava.
Tuttavia il bardo non seppe essere molto più utile delle famiglie delle vittime. Parlava con grande amore dei propri alunni, di quanto fossero tutti speciali a modo loro, e ripeteva di condividere il dolore dei famigliari, di sperare e pregare ogni notte Yondalla, dea degli halfling, che stessero bene e li proteggesse.
A Cora sembrava sincero (ma continuava a pensare che fosse brutto). Fenrir, invece, era infastidito dalla calma con cui ripeteva sempre le stesse cose, sembrava un disco rotto. Fece per avanzare verso di lui un paio di volte, ma puntualmente Kiplin lo ritirava indietro prendendolo per il braccio.
Molto coraggioso da parte dell'elfo, perché sapeva benissimo che se il barbaro avesse deciso "guerra", sarebbe stato il primo a cui avrebbe strappato il braccio pur di avanzare verso l'halfling.
‹‹Ci è stato molto d'aiuto, signore. Faremo il possibile per ritrovare i suoi allievi. È anche nel nostro interesse, d'altronde...›› disse Celebrian, cercando di consolare quell'uomo quasi in lacrime. Cora pensò che quella fosse un'enorme bugia, detta quasi con cattiveria: non era stato per niente d'aiuto.
L'uomo, allora, un po' rincuorato dalle parole dell'elfa, abbozzò un sorriso nella sua direzione.
‹‹Sa se qualcuno che per caso ha cominciato le indagini prima di noi? Del resto, siamo arrivati qui diversi giorni dopo i rapimenti››, chiese Lavelnir ‹‹qualcuno a cui possiamo chiedere informazioni e, magari, unirci alle sue ricerche.››
‹‹Beh, ecco... se ne stava occupando il guardiacaccia. Era fermamente convinto di poter trovare qualcosa nella foresta, ma non si è fatto più sentire. Proprio per questo ho chiesto a una mia amica se potesse dare una mano...›› l'halfling tirò fuori un fischietto dalla tasca dei pantaloni. Lo tenne in mano per qualche secondo, in modo che tutti potessero osservarlo, e lo diede a Lavelnir, che era il più vicino.
‹‹Questa mia amica è una brava ragazza, però purtroppo è abbastanza ricercata in questa zona. Per questo sta lavorando da sola e non si fida di nessuno, ma se suonerete questo fischietto saprà che vi ho mandato io. Sono sicuro che il suo aiuto vi sarà piuttosto utile.››
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