Capitolo 10 - Il mercato

Poche ore dopo, la porta della camera da letto si riaprì. Cora, in dormiveglia, si sollevò pigramente di poco per vedere chi fosse. I capelli le volarono in faccia, ma riuscì a vedere che, sulla soglia, c'era Fenrir.
‹‹Ti ho svegliata?››
Se non fosse stata estremamente stanca e ancora debole, probabilmente gli sarebbe corsa incontro. Si limitò a gattonare sul letto per andargli vicino.
‹‹Stai bene? Devo curarti?›› gli chiese.
Il mezz'elfo si avvicinò e si sedette sul letto, affianco a lei.
‹‹No, sto bene, Siamo arrivati già da un po'.››
‹‹Che è successo?›› Chiese Cora, e Fenrir le raccontò l'accaduto:
una volta separatisi dagli altri, Aritth, Fenia, Fenrir e Kiplin costeggiarono le mura della città, facendo attenzione a non sporgersi fuori dalla foresta. Dopo aver camminato per qualche minuto, si fermarono perché Fenia non si sentiva molto bene.
‹‹ Tutto okay?›› le chiese Aritth.
‹‹Si... Solo qualche dolorino alla schiena.››
‹‹Beh... Allora potremmo fermarci e fare una pausa››, propose Kiplin.
‹‹Pff, mezze seghe››, sbuffò Fenrir.
‹‹Nah, dai ora sto benone, possiamo and- AHIAIAIA!››
Fenia provò ad alzarsi, ma il suo dolorino a quanto pareva era qualcosa di meno innocuo di quanto pensasse.
Aritth la prese e la fece sedere gentilmente. ‹‹No, ora noi ci fermiamo e tu stai a riposo.››
‹‹Va bene, amore.››
Mentre i due si scambiavano un bacio, Fenrir sguainò la sua ascia e cominciò a mollare fendenti all'aria per allenarsi, mentre Kiplin tirò fuori un libro dalla sua sacca e cominciò a leggere.
Dopo qualche minuto, l'elfo scorse da dietro le pagine una piccola pallina metallica che rotolava lentamente sull'erba. Incuriosito, chiuse il libro e si mise ad osservarla.
‹‹Ragazzi, cos'è quella?››
Gli altri si girarono a vedere.
‹‹Non ne ho idea››, disse Aritth.
Kiplin si mise la mano sul mento, pensieroso. Fece per aprire bocca, ma Fenrir prese la rincorsa e fece calare la sua ascia sull'oggetto, spaccandolo.
Subito, una densa coltre fumo grigio venne sparata dai resti della sfera, circondandoli completamente. Fenrir venne investito in pieno, mentre Kiplin, Aritth e Fenia riuscirono a ritrarsi appena in tempo. Altre palline rotolarono verso di loro, e in poco tempo sprigionarono altro fumo, che li circondò.
‹‹Prendeteli!›› gridò una voce.
‹‹Merda! Imboscata!››, gridò Fenrir, tossendo.
Kiplin prese il suo bastone, ma il fumo, penetrato a fondo nei suoi polmoni, lo faceva tossire, impedendogli di recitare i suoi incantesimi.
‹‹Fenia! Dove sei?›› gridò Aritth. Il mezz'elfo, con l'arco in mano, era riuscito a uscire dalla nube. Degli uomini incappucciati li stavano circondando da ogni parte. Cercò di farne fuori il più possibile con le sue frecce, ma erano troppi. ‹‹Fenia!›› gridò di nuovo.
La drow non rispondeva. Aritth, preoccupato, cominciò a guardarsi intorno, fino a quando non vide Kiplin.
‹‹Kiplin!›› corse verso di lui. ‹‹Hai visto Fenia?››
‹‹Coff... Coff... No... Pensavo fosse con te.››
Il mezz'elfo imprecò sonoramente. Kiplin, riuscendo a respirare aria pulita, evocò Mario, che si mise a fare strage degli uomini che li stavano bersagliando.
Un mare di frecce volava attorno a loro. Erano troppi.
‹‹Non uccideteli! Ci servono vivi!›› urlò uno degli assalitori.
‹‹Bene... Voi no, invece!›› Fenrir corse verso la voce, abbattendo il muro di fumo. Ancora stordito, però, inciampò su una radice, e cadde addosso a un uomo che teneva la lancia puntata verso di lui. Con uno scatto felino, il barbaro mosse un fendente orizzontale con la sua ascia, spezzando l'asta della lancia e squarciando il petto dell'assaltatore. Se non l'avesse fatto, sarebbe morto impalato.
‹‹Ah ah! Coglione!›› urlò.
All'improvviso, un raggio di ghiaccio gli sfiorò il volto. Lui si girò e vide un uomo con un bastone simile a quello di Kiplin in mano. Dietro di lui, due uomini che portavano via di peso Fenia.
‹‹Aritth! Lì! Quei bastardi l'hanno presa!›› disse caricando l'uomo col bastone.
Aritth prese Kiplin, quasi trascinandolo, e si gettò all'inseguimento, mentre Fenrir macellava il mago.
I due uomini, coperti da altri arcieri, poggiarono l'elfa a terra. Uno di loro prese un cilindro violaceo e lo buttò a terra. Un portale, scuro come la pece, si aprì di fronte a loro.
‹‹Noi portiamo via questa! Voi occupatevi degli altri!››
Aritth cominciò a correre, dribblando le frecce. Non ce l'avrebbe fatta. Erano troppo lontani. I due uomini si sistemarono all'interno del portale, che cominciò a richiudersi lentamente. Il mezz'elfo scagliò una freccia, che si infranse contro il cilindro, facendolo esplodere. Il portale si chiuse immediatamente.
‹‹Merda!›› imprecò.
Dietro di lui, Fenrir aveva fatto piazza pulita, ma ancora non era finita.
‹‹Dobbiamo scappare! Sono troppi!›› gridò Kiplin.
‹‹Tu scappa, mammoletta! I veri barbari rimangono in battaglia!››
‹‹Sono troppi anche per te, Fenrir! Ti farai ammazzare!››
Aritth strinse i pugni. Il mago aveva ragione.
‹‹Inoltriamoci nella foresta! Così riusciremo a perderli!››
Fenrir brontolò qualcosa, ma alla fine li seguì.
Corsero a perdifiato tra gli alberi e i cespugli, schivando frecce e magie. I loro inseguitori non sembravano minimamente intenzionati a lasciarli andare, e si facevano sempre più tenaci. Kiplin, il meno abituato a correre – nonché quello con le gambe più corte –, faticava a mantenere il passo. Sentiva la stanchezza assalirlo sempre di più, mentre i muscoli delle gambe cominciavano a fargli male. Fenrir lo prese per il colletto e se lo mise in spalla, ma quella mossa li rese semplicemente dei bersagli più grandi.
Una freccia volò rapida, dritta verso la schiena del piccolo elfo. Prima che potesse conficcarsi nella sua carne, però, venne deviata da un grosso corpo di legno.
Aritth, Kiplin e Fenrir si fermarono. Dietro di loro, una creatura gigantesca, che ricordava una grossa sequoia con la testa di uccello, parava i colpi lanciati dagli assalitori. La creatura, che contava numerosi rami a forma di mani, si agitò, e con un grido silenzioso schiacciò ogni cosa davanti a sé.
Non era rimasto nessuno vivo. Il sangue arrivò ai piedi di Aritth, che, stupito, si avvicinò alla creatura. Kiplin e Fenrir rimasero indietro. Persino il barbaro era leggermente intimorito. Aritth andò ai piedi del tronco, sussurrò qualcosa, e poi la creatura, così com'era arrivata, sparì senza lasciare alcuna traccia.
‹‹A... Aritth... Cos'era quello?›› chiese l'elfo con voce tremolante.
‹‹Uno spirito della foresta. Un mio vecchio amico.››

Cora rimase in silenzio per tutto il racconto, senza perdersi nemmeno una parola.
‹‹Siamo rimasti lì per qualche ora per riposarci, e poi sono sbucati fuori Galtarios e Lavelnir – ›› scosse la testa e si corresse, ‹‹ Meinart, che ci hanno trovati e riportato qui. Quell'elfo poi è andato a controllare le condizioni di Fenia, ma è tornato poco fa. Intanto ci hanno detto cosa è successo a voi. Tu stai bene?››
Fenrir accarezzò la guancia della moglie, che fece una smorfia di dolore. Lui le spostò i capelli dal volto per osservare meglio, e vide un piccolo livido sul suo zigomo.
Cora vide l'espressione di Fenrir passare da sorpresa a nervosa nel giro di un battito di ciglia. Probabilmente non gli avevano raccontato tutto nei dettagli, sapendo che sarebbe scattato, così si affrettò a dargli delle spiegazioni per evitare che desse di matto traendo conclusioni affrettate proprio contro Meinart.

‹‹Non è nulla... Semplicemente il porcastà ha fatto prendere la collana a una guardia, e quando ho provato a rubagliela dalle mani mi ha dato un pugno piuttosto forte e sono volata contro il muro. Non mi ha fatto male, sai che sono resistente. Mi ha solo presa un filino nell'orgoglio, dato che non potevo reagire. Ora ho solo un po' di mal di testa e fa un po' male lo zigomo.››
Fenrir rimase in silenzio con la mascella contratta e il viso arrossato.
‹‹Ma... Ora sto bene...?››
‹‹Lo vedo. Sarà quella guardia a non stare bene.››
Il barbaro si alzò, spalancando la porta della camera e gridando a gran voce il nome di Galtarios. Cora scese dal letto e lo seguì fino al salotto. Erano tutti lì, tranne Fenia.
‹‹Si?›› Galtarios, come sempre, era un vero signore. Non si scompose minimamente di fronte al tono violento di Fenrir, e mantenne i suoi cordiali e impeccabili.
Il barbaro spiegò in maniera estremamente sintetica e cruenta il motivo per cui aveva bisogno di fare quattro chiacchere con la guardia che aveva picchiato sua moglie. Ovviamente a buon intenditor poche parole.
‹‹Certamente››, sorrise Galtarios. ‹‹È proprio qui fuori, assieme ad altri uomini di scorta. Vado a chiamarlo immediatamente.››
L'elfo si affacciò dall'entrata e chiamò la guardia. Gli sussurrò qualche parola all'orecchio e poi uscì, richiudendosi la porta alle spalle. Rimase di guardia fuori dalla porta, per assicurarsi che nessuno dei passati o chiunque altro osasse guardare o mettersi in mezzo.
La guardia, rigida come statua, cominciò a urlare di dolore non appena Fenrir quasi gli recise di netto il braccio destro con un colpo di ascia. Il barbaro fece calare nuovamente la sua lama e glielo staccò.
Sfortunatamente, il braccio sinistro venne via subito, ma Fenrir ebbe occasione di divertirsi con le gambe. Buttò l'uomo a terra e lo colpì cinque volte all'altezza del pube, frantumandogli il bacino. Infine, con una precisione chirurgica, gli mozzò la testa.
Tutti i presenti nel salotto non dissero una parola. Cora, che era rimasta lì tutto il tempo ad osservare in silenzio, ringraziò che la torre fosse autopulente, altrimenti sarebbe stata davvero una seccatura togliere tutto il sangue.
Kiplin si coprì gli occhi con le mani, mentre Lavelnir e Dantetor distolsero lo sguardo. Aritth, Crimson e Celebrian assistettero alla scena, impassibili.
‹‹Cora, scrivi un messaggio››, disse Fenrir, spalmandosi il sangue sulla faccia. ‹‹"Tu sarai il prossimo". Prendi anche una freccia.››
Cora annuì e andò a prendere penna e un pezzo di carta , vi scribacchiò sopra e glielo passò. Capendo le sue intenzioni, prese una delle frecce e la passò al mezz'elfo, che la usò per attaccare il foglio alla testa. La prese per i capelli e uscì, lasciando una striscia di sangue alle sue spalle. Tutti gli altri lo seguirono, formando un corteo silenzioso.
‹‹Galtarios››, disse. ‹‹Dov'è la casa del podestà?››
L'elfo fece un cenno alle altre guardie. ‹‹Fategli strada. Scusatemi, non posso seguirvi, ma avete il mio appoggio totale. Piuttosto,›› abbassò la voce, avvicinandosi a Meinart, ‹‹perdonami, ma devo chiederti di rimandare il nostro discorso. Mi farò vivo io tra qualche giorno, e avrò anche notizie della vostra amica››, e si allontanò. Il ladro sospirò e annuì.
I soldati condussero il gruppo in una macabra sfilata per le vie della città. Man mano che passavano per le strade, la gente ammutoliva di fronte a quello spettacolo. Alcuni cercavano di distanziarsi il più possibile, mentre altri rimanevano immobili ad osservare, come a voler dimostrare di non avere paura. Eventuali mormorii venivano subito zittiti dallo sguardo fiero – e insanguinato – di Fenrir.
Si fermarono di fronte a una villetta di pregiata fattura, strutturata su due piani. Il mezz'elfo studiò rapidamente l'edificio, e poi lanciò la testa contro una finestra al primo piano, sfondandola.
La reazione non si fece attendere. Il podestà si affacciò con gli occhi sgranati.
‹‹Mai più!›› gli gridò il barbaro, indicandolo.
Gli occhi dell'uomo guizzarono da una persona all'altra. Sapeva di non poter agire in quel momento, dato che erano sotto la protezione di Galtarios. Contrasse la mascella alla vista di Cora che lo salutava con un sorriso a trentadue denti, e sbuffò vedendo Meinart che gli mostrava il dito medio.
Di norma, il ladro si sarebbe imbestialito per il gesto di Fenrir, ma in quel caso lo lasciò fare. Anzi, addirittura si stupì della calma mantenuta dal mezz'elfo. Sapeva che, volendo, avrebbe potuto fare molto peggio, ma quello, per quanto cruento, era un avvertimento perfetto. E lui voleva che il podestà ricevesse il messaggio forte e chiaro.

Galtarios fece recapitare loro un cospicuo indennizzo per scusarsi di quello che avevano dovuto passare e per ricompensare ulteriormente il lavoro svolto a Silvacque. Avere finalmente dei soldi e un po' di tempo libero permise a tutti di rilassarsi, dando lo spunto anche per parlare e chiarire varie questioni.
I sogni di Cora non si fermarono, e prese consapevolezza che il proprio potere, che si plasmava sotto forma di gatto, fosse una sorta di copia delle sue memorie, che venivano ripristinate a poco a poco. Si rese conto che anche quei 224 anni che era convinta di avere erano stati falsati dai ricordi di Brianna, ed erano in realtà meno. Molti di meno.


Una notte, Dantetor si alzò in preda all'insonnia e decise di scendere al piano di sotto, sperando che il calore del camino potesse aiutarlo a rilassarsi e prendere sonno. Trovò, seduti sulle poltrone, anche Meinart e Kiplin, anche loro con lo stesso problema. Cora, impegnata a smaltire un attacco di fame notturno, divorava del cibo seduta al tavolo, in compagnia di Fenrir. Crimson era appoggiato accanto al camino. Dopo l'episodio del podestà, aveva cominciato a seguire Meinart come un'ombra. Il ladro era rimasto piuttosto scosso, e a malapena aveva spiccicato parola. Erano passati due giorni.
Presto, grazie all'atmosfera confortevole, sbocciò una conversazione dal carattere intimo. Cominciò Dantetor, ammettendo che il suo problema era quello di non riuscire a dire le cose giuste e cercare di provocare in ogni modo, ma non era un atteggiamento dettato dalla cattiveria. Semplicemente, nel suo clan si usava fare così per dimostrare affetto. Ciononostante, dagli elementi esterni non era una cosa ben vista. Anche dire "piccolo grande" per qualsiasi cosa era un modo di dire della sua tribù.
Fenrir cominciò a raccontare qualcosa della sua vita in mezzo ai mezz'orchi, ma l'appena confessato difetto di Dantetor si presentò, rischiando di scatenare un disastro.
‹‹Ora che siamo in confidenza, Fermir, puoi dircelo...›› Il mezz'elfo ebbe l'impulso di mollare un pugno al chierico, ma Cora lo fermò poggiando una mano sulla sua. In realtà non voleva davvero trattenerlo, ma faceva scena.
‹‹Perché dici di essere un mezz'orco come me?›› concluse Dantetor. A quelle parole, l'halfling rischiò di strozzarsi col vino.
Kiplin e Meinart, nel dubbio, rimasero in silenzio a scambiarsi occhiate. Crimson mostrò ampio disinteresse per la questione.
‹‹Che intendi dire, scusa?›› disse Fenrir, squadrando Dantetor dalla testa ai piedi.
‹‹Beh...›› il vero mezz'orco cercò supporto dagli altri con lo sguardo, ma tutti si girarono. Nessuno aveva intenzione di supportarlo in quel suo fare evidentemente suicida, mentre Cora non aveva intenzione di aiutarlo e basta.
Lui allora si drizzò con la schiena, preparandosi psicologicamente. ‹‹Ti sei mai guardato allo specchio?››
‹‹Si, e quindi? Sono un mezz'orco. Ti crea problemi il fatto che sono più bianco e basso degli altri? Di te?››
Il chierico fece per parlare, ma Cora prese una delle frecce regalatele da Aritth e gliela lanciò contro, facendola conficcare nella sua gamba. Dantetor emise un piccolo gemito di dolore, e l'halfling si avvicinò ad estrarla, con un sorriso soddisfatto da quel suono.
‹‹Stai zitto››, sibilò, guardandolo negli occhi.
Non sapeva dove volesse andare a parare, ma doveva finirla prima di subito. Se voleva far avere un momento di realizzazione a Fenrir, proprio in quel momento e dentro la torre, sbagliava di grosso. Per tutta la vita il barbaro era cresciuto in mezzo ai mezz'orchi e si credeva uno di loro... Una notizia simile non l'avrebbe di certo presa bene.
Dantetor capì, ma non demorse. Del resto, qualche notte prima, Kord gli era apparso in sogno e gli aveva detto che quella era la sua missione. Non ne aveva parlato col gruppo e non l'avrebbe mai fatto, consapevole che, come minimo, lo avrebbero mandato a quel paese.
Dopo quella piccola scenata, fu il turno di Kiplin. Non ebbe molto da dire, se non che amava studiare e non ricordava molto di sé, ma sapeva che il suo obbiettivo era quello di "acchiapparli tutti", e quindi imparare quante più evocazioni possibili, sempre più potenti. Cora si trovò nella stessa situazione. Disse unicamente che in quegli anni aveva viaggiato un po' ovunque e che conosceva un po' di tutto e un po' di niente.
In quel momento, scesero anche Aritth e Celebrian, venute a recuperare un bicchiere d'acqua.

Meinart, vedendole, tirò su col naso e sospirò. ‹‹Penso che ora tocchi a me raccontare. Tanto, ormai, non ha più senso tenerlo nascosto. Molto probabilmente, chi non doveva sapere sa già, quindi...›› parlava tenendo lo sguardo incollato al pavimento. Fece un respiro profondo e riprese.
‹‹Il mio nome è Meinart Vallter, e–››
‹‹Vallterino!›› esordì Dantetor.
Meinart lo guardò malissimo, ma gli altri al tavolo non riuscirono a trattenere uno sbuffo divertito. Lui riprese a parlare come se non avesse sentito quell'obbrobrio di nomignolo. ‹‹Ho 215 anni. Ero un nobile. Il giorno in cui arrivò il miasma avevo dodici anni. Fuggì con la mia famiglia, e ben presto mi ritrovai da solo. Non riesco a ricordare cosa successe esattamente quel giorno, anche se ho come l'impressione che fosse qualcosa di molto importante.››
‹‹In tutto, ho passato tredici anni a nascondermi, nella paura che, se avessero scoperto chi fossi, mi avrebbero linciato vivo. Già, la gente non perdonò i nobili per la loro fuga. Subito dopo il miasma, venni reclutato da una banda di ladruncoli e poi catturato come schiavo. Dopo due anni, una banda di giustizieri mi liberò, e allora decisi di diventare un avventuriero. Dopo qualche anno, mi sono ritrovato catapultato improvvisamente nel futuro. Fine della storia.››
Crimson, sbuffò.
‹‹Quindi sei davvero un reale. Sai, per colpa vostra io ho avuto una vita davvero di merda››, disse. Cora notò che era stranamente calmo.
‹‹Non esattamente un reale, direi. Il rango della mia famiglia era abbastanza alto, ma non posso dire che fossi esattamente in cima alla lista di successione. Non so cosa ti abbiano causato, ma mi dispiace. Se potessi, la farei pagare anche io alla mia famiglia e a tutti i nobili. Del resto, se il mondo è andato completamente a puttane è anche colpa loro.››
Crimson ridacchiò. ‹‹Bene. Sai cosa? Mi piace questo spirito. Allora facciamo così. D'ora in poi proverò a fidarmi di te, e tu, un giorno, mi darai una mano a vendicarmi››, disse, porgendo la mano a Meinart. Il ladro la guardò, e poi la strinse.
Aritth, che era rimasto ad ascoltare più per il gusto di farsi i fatti altrui che altro, scosse la spalla di Celebrian, la quale, invece, si era seriamente interessata alla storia del ragazzo.
‹‹Hai visto? Hai visto? Finalmente ha detto qualcosa!›› esclamò sottovoce.
‹‹Mi dispiace per quello che hai vissuto››, disse Dantetor. ‹‹In quanto chierico, il mio compito è sconfiggere il male che ha portato il miasma, quindi farò del meglio... Vallterino!››
Meinart fece un sorriso storto. ‹‹Si... Grazie... Suppongo.›
‹‹Mi ero già messo all'opera, cercando mio fratello. Era stato cacciato dal nostro clan perché gli auspici dicevano che era un essere malvagio. Io poi sono andato a cercarlo, e alla fine l'ho trovato. Ho cercato di farlo ragionare, ma purtroppo era già stato corrotto. Ha cercato di uccidermi, e allora me ne sono andato via. Non lo vedo da un sacco di tempo.››
‹‹Certo che se imparassi anche a usare i tuoi miracoli saresti proprio un chierico provetto››, disse Cora, schioccando la lingua contro il palato.
Il mezz'orco abbozzo un "ma..." e non riuscì a trovare una risposta. Chiacchierarono tutti quanti del più e del meno ancora per un po' e poi andarono a dormire.

‹‹Bene, io vado a comprare delle pergamene. Qualcuno vuole venire con me?›› chiese Kiplin, mettendosi la sacca in spalla. Era eccitatissimo all'idea di fare acquisti, e aveva passato giornate intere sui libri a studiare quali fossero le pergamene migliori da comprare con i soldi che aveva.
‹‹C'è un anche un negozio che vende pozioni, lì vicino?›› chiese Meinart. Dopo l'ultima battaglia, aveva deciso che fare la scorta di pozioni come Celebrian era la scelta migliore.
L'elfa, sentendo parlare di pozioni, drizzò le orecchie e si mostrò interessata.
‹‹Si››, s'intromise Cora. ‹‹A dire il vero, c'è un negozio che vende sia pergamene che pozioni. È gestito da un halfling, e si trova un po' in periferia. È ben fornito, però. Io e Fenrir abbiamo una piccola questione da sbrigare, quindi non saremo dei vostri. Kiplin, se puoi prendi qualcosa anche a me. Ti restituirò i soldi, ovviamente, ma solo perché sei tu.››
L'elfo annuì, e si fece dare dalla ragazza una lista.
Aritth decise di rimanere nella torre. Era preoccupato per Fenia. Erano passati tre giorni dall'ultima volta in cui l'aveva vista, e Galtarios non aveva fatto avere notizie.
Crimson e Dantetor erano usciti già da un po' e si erano diretti in armeria. L'umano era intenzionato a comprare una nuova spada, ma optò per far sistemare e affilare la propria, sotto consiglio dell'armaiolo. Il mezz'orco voleva comprare la "piccola grande" spada dei suoi sogni. Impiegò qualcosa come venti minuti buoni a spiegare in maniera contorta la sua idea. In breve, voleva una lama retrattile.
L'armaiolo rifiutò immediatamente. Non che fosse un lavoro impossibile, ma sicuramente molto complicato. Anche Dantetor cambiò idea quando venne a sapere che gli sarebbe costato diecimila monete d'oro. Allora, nell'attesa che l'arma del compagno fosse pronta, si mise a chiedere di ogni singola arma all'interno del negozio, mettendo a dura prova la pazienza di chi lavorava lì.
A Kiplin andò meglio, sebbene per poco rischiò di essere preso a gallinate in faccia dall'eccentrico negoziante. Fece un rifornimento pompato di pergamene, tra cui un Evoca Gatto da regalare a Cora, dato che sapeva quanto lei amasse quegli animali.
Meinart e Celebrian presero un sacco di pozioni curative, rischiando di finire quasi a secco con le monete. Tuttavia, preferivano rimanere senza soldi piuttosto che senza vita.
Il trio decise di fare una strada più lunga per il rientro, per esplorare meglio la città. L'ambiente era tranquillo e multietnico, per cui la passeggiata fu godibile, fino a quando non arrivarono alla piazza centrale del distretto mercantile.
Una discreta calca di persone, abbastanza grande da attirare la loro attenzione, si era ammassata in un angolo.
‹‹Forza, nessuno vuole questa pozione? È potentissima, oltre che rara! Si tratta di una pozione capace di curare qualsiasi danno e fornire poteri illimitati per un tempo illimitato, se ingerita tutta d'un fiato!›› una voce piuttosto familiare fece capolino dalla folla. Meinart la riconobbe subito. Era di Cora.
Il ragazzo cominciò a spintonare le persone di fronte a sé per avvicinarsi. Alla fine, riuscì a scorgere l'halfling, in piedi su delle casse impilate, che agitava una boccetta in aria, mentre Fenrir girava attorno a lei come un cane da guardia, ringhiando a chiunque si facesse più avanti del dovuto.
‹‹Io offro venti monete d'oro!››
‹‹Io venticinque!››
Gli acquirenti fioccavano, ma Cora storse le labbra.
‹‹Nessuno di voi ha anche un pugnale? Avanti, per questa pozione è un prezzo minimo!›› gridò, scuotendo il liquido e ritraendolo subito dopo.
‹‹Io ho qui un pugnale antico, e cento monete d'oro!›› urlò qualcuno. La ragazza lo indicò, sorridendogli.
‹‹Qualcuno offre di più?›› e, dal momento che nessun'altro rispose, gli fece cenno di avvicinarsi.
Lo scambio fu abbastanza rapido e indolore.
Meinart, vedendo la boccetta più da vicino, riconobbe di cosa si trattava. Era una pozione curativa scaduta, che aveva perso il suo colorito azzurrino, guadagnando un verde acido con tanto di grumi. Come facevano quelle persone a crederle? Chiunque avesse osato bere quella roba rischiava di finire in stato catatonico per ore, se era fortunato. Altrimenti, sarebbe morto sul colpo.
Una volta che la folla si disperse, Cora passò il pugnale a Fenrir.
Nel suo villaggio era usanza dare un pugnale o un'altra arma come dono nuziale. Non sapeva il perché, dato che – per quel poco che ricordava – quel villaggio, di cui ancora non riusciva a ricordarsi il nome, non era bellicoso.
‹‹Aspettami qui un attimo, per favore, okay? Entro nel negozio qui di fronte, già che ho queste monete.››
Fenrir annuì, poggiandosi alle casse impilate, guardando la moglie dirigersi al negozietto lì vicino.
Meinart rimase totalmente senza parole, piuttosto disgustato dal comportamento di Cora. Quella era una truffa bella e buona, e anche rischiosa. Kiplin si guardò con Celebrian, ma ormai loro non avevano nemmeno più di che stupirsi.
La commessa del negozio era un'umana di bell'aspetto. Parecchio in avanti con l'età, ma si teneva davvero molto bene. Alla vista dell'halfling, sorrise in maniera davvero molto cordiale, sporgendosi subito dal bancone.
Si guardò attorno e, notando che non c'era nessun altro oltre a lei, cercò di assumere un'espressione fin troppo gentile e dolce. Cora capì immediatamente cosa stesse per succedere.
‹‹Ciao, piccolina. Ti sei persa? Dov'è la tua mamma?›› ecco, appunto.
La piccolina aggrottò la fronte e schioccò la lingua in maniera davvero infastidita. ‹‹Sono adulta››, disse incrociando le braccia.
‹‹Oh cielo, che figura!›› la commessa andò nel panico e cominciò a gesticolare in maniera rapida e confusa. ‹‹Un'halfling! Mi perdoni, davvero, che sbadata che sono stata!››
Cora capì immediatamente che quella situazione le avrebbe giovato. Diede fondo a tutte le sue doti recitative e mantenne la parte dell'offesa.
‹‹Mi ritengo piuttosto offesa. Penso che cambierò negozio.››
‹‹No, no! Cielo, mi perdoni, davvero! Cosa deve comprare? Cosmetici? La prego, non vada via, le farò uno sconto!››
Bingo.
‹‹Vorrei prendere due specchi.››
‹‹Guardi, giusto oggi sono arrivati dei modelli nuovissimi e con delle decorazioni davvero graziose!›› presa dalla frenesia, la commessa frugò dietro il bancone. Per poco, dall'agitazione, non fece cadere tutti i prodotti a terra prima di tirare fuori gli specchi, ancora incartati.
Li poggiò sul bancone, spingendoli delicatamente in direzione dell'halfling.
‹‹Vuole che glieli abbassi di poco?››
Cora si imbronciò.
‹‹Non intendo dire che non ci arriva, ma... Cielo, meglio che stia zitta!›› si affrettò a correggersi.
‹‹Si, dovrebbe proprio farlo a questo punto››, la ragazza prese lo specchio, passando le dita lungo gli incavi degli ornamenti. Lo soppesò e lo controllò minuziosamente.
Era davvero bello, elaborato, e, soprattutto, palesemente di valore.
‹‹Di norma questi pezzi vengono sulle ottanta monete d'oro l'uno... Ma dato l'enorme inconveniente davvero spiacevole, posso lasciarglieli a sessanta monete l'uno, che ne dice?››
‹‹Io dico quaranta monete l'uno.››
La commessa storse il labbro, visibilmente in disaccordo, per cui Cora tirò fuori la carta dei sensi di colpa.
‹‹Considerando che mi ha fatto notare di essere anche più bassa del bancone e mi ha trattata come una bambina... Se mi dà entrambi gli specchi a ottanta, farò finta che non sia successo niente e non farò una pessima recensione del negozio.››
La commessa accettò senza pensarci troppo. Del resto, il cliente ha sempre ragione, soprattutto in casi come questo.
L'halfling uscì, orgogliosa dell'acquisto, e incrociò Dantetor, che era stato cacciato via dall'armeria – si erano stancati di tutte le sue domande e del suo non comprare nulla – e aveva un muso talmente lungo da toccare quasi terra.
‹‹Oh, Cora!›› vedendola, il suo viso si rasserenò. Le andò incontro quasi saltellando.
Sul volto dell'halfling si dipinse un sorrisino malefico. Il suo piano si sarebbe compiuto.
Mise uno degli specchi in borsa, mentre porse l'altro al mezz'orco.
‹‹Tieni››, sogghignò.
‹‹È per me?›› Dantetor inclinò un poco la testa, come i cani quando sentono un rumore particolarmente forte.
‹‹Dio, no. Non volevi far avere la realizzazione del secolo a Fenrir? Eccoti lo strumento. Ti avverto: non voglio sentire piagnistei da parte tua se ti attacca.››
‹‹Questo è perché gli avevo chiesto se si fosse mai visto allo specchio?››
‹‹Interpretalo come ti pare››, rispose lei, già disinteressata alla questione, e lo congedò saltellando in direzione del marito.
Il chierico inspirò, e rifletté un attimo su ciò che stava per fare. Doveva trovare le parole giuste. Ma qual era il modo corretto per farlo? Esisteva? Forse no, ma doveva trovarlo. Quella era la sua missione, l'aveva detto il suo Dio!
‹‹Forza... Non è difficile!›› si disse tra sé e sé.
Si incamminò con passo deciso verso Fenrir. Cora trattenne a stento una risatina sotto i baffi e si allontanò preventivamente. Voleva solo divertirsi un po'. Sapeva che Fenrir l'avrebbe presa malissimo e sarebbe immediatamente andato in ira. Sperava solo che non ci sarebbe rimasto troppo male, ma, in quel caso, ci avrebbe pensato lei una volta tornati alla torre.

Fenrir sarebbe comunque arrivato prima o poi alla conclusione di essere un mezz'elfo, e in quel modo Dantetor avrebbe anche imparato a farsi i fatti propri.
‹‹Fenrir››, lo chiamò il mezz'orco. Il barbaro si girò, stupito che, per una volta, avesse azzeccato il suo nome. Il chierico si mise accanto a lui, porgendogli lo specchio con un sorriso davvero convinto e soddisfatto.
‹‹Mi dispiace, ma non sono gay. Puoi tenertelo››, Fenrir spostò lo specchio dalla sua vista e fece per andarsene, ma Dantetor lo trattenne con una mano sulla spalla, riporgendogli l'oggetto.
‹‹No, aspetta, hai frainteso. Guardati!›› il mezz'elfo prese lo specchio e guardò il proprio riflesso, aggrottando le sopracciglia.
‹‹Cosa vedi?››
‹‹Me stesso››, rispose sollevando un sopracciglio. Che domanda del cazzo.
‹‹Esatto, e quindi?››
‹‹E quindi cosa? Volevi controllare la mia vista?››
Cora rise tra sé e sé, guardando Meinart. Lui, Kiplin e Celebrian, che erano rimasti lì, avevano le braccia a terra.
‹‹Cazzo...›› sibilò il ladro. Aveva perfettamente capito il piano dell'halfling.
Dantetor la tirò piuttosto per le lunghe. Continuava a girare attorno al fatto che Fenrir era un mezz'elfo, ma senza dirglielo esplicitamente. Era arrivato al punto di trascinare Kiplin di fronte a sé, mettendolo a confronto con il barbaro.
Il momento più brutto, che fece stizzire davvero tanto Meinart, fu quando il chierico acchiappò un mezz'elfo che camminava per strada.
‹‹Guardati, poi guarda lui. Non noti niente?››
‹‹Non sto capendo, dove vuoi arrivare?›› Fenrir era palesemente stufo di quella situazione, e si stava innervosendo parecchio. In realtà aveva capito benissimo, non era stupido. Semplicemente non voleva ammetterlo.
‹‹Qui non ne usciamo più. Kiplin, tieniti pronto››, disse Meinart. L'elfo capì immediatamente cosa volesse fare.
‹‹Fenrir, sei un mezz'elfo!›› gridò il ladro.
Fenrir scattò immediatamente. Strinse lo specchio e lo spaccò a terra. Afferrò l'ascia e cominciò a colpire qualsiasi cosa avesse vicino – specialmente Dantetor – urlando dalla rabbia. Il mezz'orco cominciò a difendersi e cercare di evitare i colpi.
Successe tutto così velocemente che Kiplin non ebbe nemmeno il tempo di muoversi. A quella vista, Cora cominciò a sentirsi un filino in colpa. Non per Dantetor, ovviamente. Di lui non gliene poteva fregare di meno.
Delle guardie accorsero, facendo per mettersi in mezzo, ma si ritrassero vedendo la furia sanguinaria del barbaro.
‹‹Via, via! Sono la protezione di Galtarios!›› una scusa come un'altra per lavarsi le mani del problema.
Almeno, le sentinelle riuscirono a distrarre Fenrir per un secondo, e Kiplin ne approfittò per stenderlo con Frastornare. Proprio come Crimson a Silvacque, il mezz'elfo crollò sulle ginocchia. Meinart si fece passare subito delle manette dalle guardie e gliele legò ai polsi, per evitare che cercasse di attaccarli di nuovo una volta passato l'effetto dell'incantesimo. Forse delle catene sarebbero state più efficaci, ma in quel momento era il meglio che potessero trovare.
Il mezz'elfo si riprese abbastanza velocemente. Rimase a guardare Dantetor in cagnesco, silenzioso come una tomba.
‹‹Fenrir, questa è la verità, non puoi sfuggirle!›› disse il chierico, ottenendo in risposta un grugnito.
‹‹Così peggiori solo la situazione,›› gli fece notare Cora, affiancando il marito, ‹‹direi che hai fatto abbastanza.››
‹‹Esatto››, si intromise Meinart. ‹‹Fenrir, cerca di calmarti. La tua razza non sminuisce il tuo valore da guerriero.››
Fenrir grugnì di nuovo, più forte, e Kiplin si nascose dietro Celebrian, che rimaneva seria e impassibile come sempre.
‹‹Non avete capito!›› esclamò Dantetor. ‹‹Kord, il nostro Dio, ha detto che prendere consapevolezza del tuo essere ti renderà più forte di quanto tu non sia mai stato! Non puoi fingere di essere chi non sei, perché questo non ti permette di dare il massimo!››
Cora sollevò un sopracciglio. Stava dicendo un enorme cazzata. Erano palesemente puttanate. Fenrir, però, sembrò crederci. Forse perché ne era davvero convinto, o forse perché voleva esorcizzare il trauma, ma sembrò crederci.
‹‹Se è questo che vuole Kord, allora...›› disse.
‹‹Fidati di me, non ho motivo di mentirti.››
Oh, si che lo aveva. Rimanere in vita, per esempio.
Una volta accertato che il barbaro non si sarebbe rimesso a spaccare tutto, Meinart gli fece togliere le manette da una guardia, e si rimisero in cammino verso casa.

Galtarios bussò alla porta della torre. Fu Aritth ad aprirgli.
L'elfo chiese gentilmente il permesso di entrare, e, vedendo che non c'era nessun altro, chiese dove fossero tutti.
‹‹Al mercato››, rispose il ranger. ‹‹Se vuoi, posso mandare Zeke a cercarli››, disse indicando il corvo appollaiato sulla sua spalla.
‹‹No, nessun problema, posso aspettare.››
Il mezz'elfo fece per chiedergli notizie di Fenia, ma in quel momento la porta si aprì. Il resto del gruppo, che aveva anche incontrato Crimson per strada, entrò nel salotto.
‹‹Ciao, Galbanino!›› Cora lo salutò sventolando la mano, mentre con Fenrir si affrettava a salire al piano superiore, trascinandola con sé.
Galtarios le rispose con un cenno, mentre Meinart si coprì la faccia con la mano.
‹‹Perdonali››, si limitò a dire, nemmeno tentando di giustificarli. ‹‹Ci sono novità?››
‹‹È normale, è la passione dei novelli sposi. A dire il vero sono qui per due motivi. Il primo è la nostra chiacchierata, mentre per quanto riguarda il secondo avevo una proposta da farvi.››
‹‹Ah, bene. Allora, dicci pure.››
‹‹Si tratta di un lavoro di cui ha bisogno un mio amico mercante, che è disposto a pagarvi molto bene. Da un po' di tempo ha notato che in casa sua accadono delle cose abbastanza strane. Ogni tanto si sentono dei rumori e degli oggetti spariscono misteriosamente. Pensa che sia infestata, e mi ha chiesto di trovare qualcuno che potesse indagare con discrezione. Se una cosa così si dovesse sapere in giro, perderebbe molta credibilità, quindi non potrete parlare con nessuno di questa faccenda.››
La missione sembrava essere facile, ma poteva esserci anche di più sotto. Davanti a un lauto guadagno e un lavoro non troppo movimentato, però, nessuno si tirò indietro.
Mentre gli altri cominciavano a prepararsi, Meinart e Galtarios uscirono dalla torre a parlare.
‹‹Ho notizie della vostra amica››, disse l'elfo. ‹‹Non ho voluto dirlo agli altri per non intimorirli, ma... È messa piuttosto male. I nostri migliori dottori e maghi la stanno curando al meglio, ma c'è la possibilità che possa rimanere paraplegica.››
‹‹Cazzo...›› mormorò Meinart. ‹‹Forse, per il momento, è meglio con sappiano nulla. Specialmente Aritth.››
‹‹Hanno un rapporto speciale loro due, vero?››
‹‹Beh si, o almeno credo.››
Ci fu qualche istante di silenzio.
‹‹Quindi, di cosa volevi parlarmi?›› disse Galtarios, sorridendo.
‹‹Ecco... Io... Innanzitutto vorrei ringraziarti per averci salvato. Ti sono davvero riconoscente. Per il resto... penso di dovere qualche spiegazione anche a te. Il fatto è che... Io vengo dal passato. Non so come abbia fatto a ritrovarmi in quest'epoca. So solo che una volta usciti dalla fortezza mi sono reso conto che era tutto diverso, e poi mi sono reso conto del tempo che è passato.››
L'elfo continuò a guardarlo in silenzio, senza smettere di sorridere.
‹‹Io... Ho assistito alla venuta del miasma. Ero un nobile e la mia famiglia fuggì quel giorno, ma non riesco... Non riesco... a... ricordare...››
In quel momento, le parole di Meinart vennero strozzate da un fortissimo mal di testa. Sentiva che, dentro la sua mente, c'era come qualcosa che stava cercando insistentemente di uscire, bloccato da un tappo. Tuttavia, delle immagini riuscirono a filtrare.
‹‹La nube... Cora? No, non è Cora... Capelli neri... Occhi veri... Ci assomiglia... Un bambino... albino... In braccio... Il miasma... Li investe... Un'elfa... Bionda... Somiglia a Fenrir... Scappa...››
Il ladro si rese a malapena conto di quello che stava dicendo. Il suo sguardo era rivolto verso terra, con gli occhi sbarrati. Sentì il suo viso freddo e umido, forse per il sudore, o forse per le lacrime. Di scatto, sollevò la testa, realizzando quello che aveva appena visto.
Galtarios continuava a guardarlo, sereno.
‹‹Io... Io credo di avere appena ricordato qualcosa. Devo andare a dirlo agli altri, scusami.››
‹‹Capisco, non ti preoccupare. Io ti aspetterò qui fuori. Ho bisogno del tuo aiuto.››
Meinart annuì e corse dentro la torre.
Cora e Fenrir erano in salotto, tutti scompigliati e sfatti.
‹‹Dove state andando?›› chiese Cora, passandosi la mano tra i capelli per sistemarli un po'.
‹‹Abbiamo un lavoro, e ben pagato. Vi unite o state qui a fare i ricci?›› rispose Crimson, sistemandosi l'elmo in testa.
L'halfling schioccò la lingua. ‹‹Certo che veniamo con voi.››
‹‹Ragazzi...›› Meinart si fece avanti, pallido come un cencio.
Raccontò quello che aveva visto, senza guardare in faccia a nessuno. La ragazza che sembra Cora, il bambino albino, e l'elfa che assomigliava a Fenrir. Erano suoi ricordi, e di questo ne era certo. Non sapeva darsi una spiegazione, così come non sapeva perché si fosse ricordato di quei dettagli solo in quel momento.
Era sicuro che, però, quello fosse uno dei tasselli più importanti di quel puzzle che stava cercando di ricostruire.

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