Capitolo 1 - Il risveglio

La luce nella stanza era davvero troppo poca. Una sola torcia, da dividere in due, per un enorme stanzone buio. La polvere era entrata nel naso e pizzicava in maniera fastidiosa. Troppo fastidiosa. Erano lì da così tanto tempo che Cora non si ricordava nemmeno quanto ne fosse passato. Giorni? Mesi? Settimane? Non ne aveva davvero idea. L'unica cosa che sapeva era che quel posto era angusto. Nonostante tutto, però, sembrava che il ragazzo di fronte a lei avesse preso confidenza col buio.
I ricordi su come si erano ritrovati li erano parecchio confusi. Cora, a dire il vero, non voleva nemmeno ricordarselo.
‹‹Quindi nana,›› disse Crimson sistemandosi l'elmo in testa ‹‹hai intenzione di dormire ancora o possiamo muoverci adesso?››
Cora trovò strano sentire la sua voce. Nonostante fossero lì soli ormai da... boh, non avevano parlato poi così tanto. Piuttosto, c'era stata una sorta d'intesa reciproca silenziosa, data forse dall'istinto di sopravvivenza.
Crimson sembrava parecchio infastidito dal fatto che la ragazza lo aveva visto senza l'elmo, come se quasi si vergognasse dei suoi capelli bianchi e gli occhi rossi come rubini.
A lei, però, non interessava minimamente. Era un bel ragazzo, non aveva motivo di nascondere il suo essere albino.
‹‹Non sono una nana, sono una halfling... idiota.››
Sbuffò, per poi mettersi seduta. Aveva bisogno di dormire. Non facevano altro che affrontare nemici e trappole, e le pergamene da usare stavano terminando. Quel posto sembrava un labirinto, mai ci fossero entrati. Ma i soldi... beh.
‹‹Si fa per dire›› disse lui. ‹‹Riesci a camminare o sei troppo ferita?››
‹‹Sto bene. E tanto lo so che ti interessi solo per la mia magia.››
Prima di alzarsi decise di dare rapidamente un'occhiata allo zaino. Oltre alle pergamene, anche le pozioni ormai scarseggiavano. Aveva ormai pochi oggetti e tutti rubati all'insaputa del suo compagno – che forse aveva solo fatto finta di non vedere.
Le uniche cose proprie che erano rimaste intatte, per fortuna, erano la collana di diamanti rossi, la balestra, e il flauto.
Quello strumento era stato personalizzato, infilato all'interno del dito di un orco dopo aver rimosso le ossa. Era perfettamente integro e conservato con la magia, così da evitarne la decomposizione.
Ogni volta che Cora lo tirava fuori, Crimson assumeva un'espressione disgustata.
Non aveva mai chiesto perché avesse un dito di orco al posto di un flauto normale, e probabilmente non era nemmeno così sicuro di volerlo sapere.
‹‹Qui dentro tutto okay. Hai bisogno di una pozione? Ce ne sono solo due.››
Il ragazzo scosse la testa e si abbassò accanto a lei, porgendole il braccio.
‹‹No, sto bene. Forza, sali sulla mia spalla. Facciamo prima, altrimenti rimarresti indietro e non potrei proteggerti.››
Cora non amava l'idea di fare la pulzella in difficoltà. A dire il vero, la cosa la faceva parecchio incazzare. Crimson era già armato fino ai denti, salire su di lui lo avrebbe solo rallentato.
Fece per controbattere, ma, non appena aprì bocca, lui quasi le ringhiò contro e diede un piccolo pugno al pavimento.
‹‹Muoviti, non ho voglia di stare qui!››
Cora sbuffò e, nemmeno fosse uno scoiattolo, gli salì sulla spalla. Certo, le faceva comodo stare col culo seduto: almeno non rischiava di cadere da qualche parte.
Rimaneva comunque il fatto che non fosse esattamente contenta di essere trattata in quel modo. Dall'altra parte, però, avere quel carro da battaglia con sé le garantiva un minimo di difesa personale in più. Con la sua bassa statura da halfling e come bardo, non poteva certo lanciarsi a capofitto contro i mostri in quel dannato posto.

Appena fuori da quella stanza, si ritrovarono faccia a faccia con uno scheletro grande il doppio di Crimson (e lui già di per sé era un uomo piuttosto alto).
Se Cora fosse stata da sola, la magia e la balestra non le sarebbero certamente bastati ad abbattere quella bestia.
A Crimson bastò un colpo di spada ben assestato. Continuarono ad avanzare lentamente, incontrando altri scheletri a ogni piè sospinto. Come smisero di arrivare, Crimson rinfoderò la spada e si fece passare la torcia da Cora, mantenendola di fronte a sé. Il pavimento non era illuminato granché, ma era sicuramente meglio di brancolare nel buio.
‹‹Se usciamo vivi da qui, mio caro Crimson,›› disse Cora, stringendo una mano sulla spalla del ragazzo per evitare di cadere, ‹‹andiamo a bere insieme››.
‹‹Ma ti sembra il momento di pensare a queste stronzate?››
‹‹Bere non è una stronzata!›› Cora si sentì quasi offesa da quella frase. ‹‹È una cosa molto importante. E poi, che dovrei fare altrimenti? Deprimermi e pensare a quanto vorrei essere fuori da qui? Grazie, ci sto pensando già da un po'.››
‹‹Magari dovresti attivare il cervello e pensare ad un modo per uscire, no?››
‹‹Ci sto pensando, genio›› diede un piccolo calcio contro il petto del ragazzo, ottenendo solo un rumore metallico e una scossa al piede. ‹‹Peccato che nessuno di noi abbia una mappa, che questo posto sia buio e che sia palesemente enorme.››
‹‹Credevo che gli halfling fossero bravi ad orientarsi. ››
‹‹Rispetto a voi umani, che vi perdete pure per andare al vostro stesso bagno, sì. Il problema è che qui non si vede niente.››
‹‹Non avevate una sorta di visione notturna?››
‹‹Oh!›› Cora si portò la mano alla fronte, sospirando di stupore. ‹‹Accidenti, come ho fatto a non ricordarlo prima! Che intelligente che sei!››
Crimson sbuffò. ‹‹Il tuo sarcasmo potrebbe costarti la vita in questo momento, Cora.››
Fu seriamente tentato di lasciarla cadere all'indietro, ma era conscio che al momento gli sarebbe stata particolarmente utile, dato il supporto che riusciva a dargli con la musica in battaglia.
E poi, in un posto così dispersivo, stare con qualcuno era molto meglio che stare da solo. Anche se quel qualcuno era un halfling rompiscatole.

Bivio.
L'ennesimo.
Crimson si portò una mano sulla fronte, guardando l'halfling con la coda dell'occhio.
Non ne poteva davvero più.
Gli occhi rossi della ragazza balzarono da una strada all'altra.
‹‹Andiamo in quella più pulita,›› disse indicando la strada a destra, ‹‹di là››.
‹‹Perché?›› Crimson si aspettava una risposta sul fatto che fosse più igienico.
‹‹Perché se è più pulita molto probabilmente è più trafficata. Chi è l'idiota che si butterebbe a capofitto in una strada sporca? ››
Crimson ci pensò su un secondo ‹‹Un orco o un barbaro, probabilmente››, rispose, ma non era tanto concentrato su quello quanto sulle parole della ragazza. Non aveva tutti i torti, quel ragionamento era corretto.
‹‹Sì. Ma, in ogni caso, al suo passaggio quel posto sarebbe pulito o comunque smosso.››
‹‹Chi ci assicura che, però, non sia passato qualche altro non morto o cose così? Questo posto ne è pieno.››
‹‹Niente, infatti. Ma, comunque, meglio che stare qui. Alle brutte lo si affronta come abbiamo fatto le altre volte. Cosa cambia? Siamo comunque intrappolati qui.››
‹‹Dovremmo cercare qualcosa per marcare i muri o il pavimento. Non vorrei cominciare a camminare in cerchio.››
‹‹Lo so... ›› ci aveva pensato anche lei, ma al momento non avevano niente su cui segnare il cammino, ed anche Crimson lo sapeva bene.
Avevano praticamente esaurito anche le scorte di cibo, nonostante avessero razionato come pazzi. Ovviamente però nemmeno quelle potevano durare in eterno.
Per Cora, capace di non mangiare per giorni interi, non era un enorme problema. Per Crimson sicuramente sì.
Affrontarono altre ore di camminata, sorprendentemente con nessun incontro.
Finirono davanti a un portone rosso.
La mano di Cora si scaldò. Le sembrò che stesse quasi per iniziare a bruciare.
Se la guardò. Il simbolo che era apparso sulla sua mano e su quella di Crimson, ormai talmente sbiadito da essere quasi totalmente sparito, brillò per un istante. Il bruciore passò subito dopo.
Cora spostò nuovamente l'attenzione sul portone.
‹‹Apri››, disse guardando Crimson. Lui annuì, e subito dopo un grido, tutto fuorché umano, rimbombò tra le pareti di pietra.
Aperta l'entrata si scagliò di fronte a loro un gigantesco scheletro, molto più grande di tutti quelli che avevano affrontato fino a quel momento. Cora balzò agilmente giù dalla spalla del ragazzo, per permettergli di attaccare il mostro senza intoppi, ed immediatamente tirò fuori il flauto e cominciò a suonare.
Immediatamente grazie all'influenza della musica bardica della ragazza, Crimson cominciò a colpire con molta più forza.
La magia bardica di Cora donava forza, ma era lei a decidere chi aiutare.
Questa era una delle ragioni che aveva convinto Crimson che in fondo tenere l'halfling in vita e con sé non era poi una così cattiva idea.
Il ragazzo continuava a colpire i femori dello scheletro con foga, evitando i colpi che arrivavano e parandoli con lo scudo. Cercava per quanto più possibile di farlo arretrare, in modo da guadagnare ulteriore spazio di manovra.
All'improvviso, un brivido percorse la schiena di Cora.
Grazie al suo udito fine, dal fondo buio della stanza sentì altri grugniti e rumori di ossa che si muovevano. Per un attimo sussultò, ma non perse nemmeno una nota della melodia. Cominciò a suonare con una sola mano, mentre con l'altra si affrettò a frugare nella borsa, cercando l'ultima pergamena di Palla di Fuoco. Crimson, con un colpo vigoroso, riuscì a far arretrare lo scheletro gigante.
Dopo pochi istanti, però, riuscì a scorgere nella penombra altri movimenti. Capì immediatamente di cosa si trattasse.
Si girò verso Cora, respirando affannosamente per via dell'adrenalina che pompava nelle sue vene, e la vide correre verso il lato della stanza.
Capendo cosa volesse fare, la seguì.
Gli scheletri correvano dietro di loro, ma il pavimento pieno di dislivelli e pietre sporgenti rendevano loro difficile avanzare senza cadere e distruggersi. Nonostante ciò, sembravano non finire mai.
‹‹Sono tanti... davvero tanti!›› la piccola halfling sussurrò a sé stessa. Due scheletri riuscirono a raggiungerli.
Crimson li distrusse immediatamente con un colpo di scudo e un colpo di spada. ‹‹Fallo!›› urlò.
Proprio mentre Cora stava per cominciare a recitare la formula scritta nella pergamena, sentì altri rumori. Erano dei suoni diversi dagli scricchiolii delle ossa e dai rantoli provenienti dai teschi. Erano delle voci. Subito dopo, una luce si affacciò dall'altro lato della stanza. Crimson e Cora videro un globo luminoso che si faceva timidamente strada nel buio. Lo percepirono anche gli scheletri, che si girarono.
‹‹Cora, adesso!›› urlò Crimson.
Cora recitò in meno di un secondo la formula e, di fronte a sé, come se l'aria avesse iniziato a colorarsi, prese forma l'immagine di un gatto arancione col pelo lungo, che lei chiamava "procione da battaglia, e si muoveva sinuosamente, quasi danzando sulle note della musica.
Zampettò lentamente, si arrampicò sulle braccia della ragazza, impegnata a suonare, e sfregò dolcemente il muso contro la sua guancia.
Poi sfrecciò velocemente e rapidamente verso l'interno della stanza, e da lì, come sputata fuori dal suo muso, partì una palla di fuoco, che esplose in un'enorme nuvola di fiamme, investendo gli scheletri di fronte a loro e disintegrandoli.
Il globo luminoso si fece leggermente più grosso e si posizionò sul soffitto. Ora finalmente potevano vedere. La maggior parte degli scheletri era stata ridotta a un cumulo di cenere, ma ne mancavano ancora tanti.
Dall'altra parte della stanza, fece capolino un altro gruppo di persone che li guardarono per un attimo, attirati dall'enorme fiammata.
Ci fu un momento di esitazione, ma immediatamente tutti quanti si buttarono verso gli scheletri più piccoli e quello gigante, che era ancora rimasto in piedi. Le presentazioni non sarebbero iniziate subito, ovviamente.
Cora, intanto, riprese a suonare per dare il supporto anche agli altri.
La musica rimbombava nella stanza, ed era come se delle dolci carezze sfiorassero le loro orecchie e li cullassero.
Allo stesso tempo, però, l'halfling, cercava di avvicinarsi al portone da cui era arrivato l'altro gruppo, per vedere dove portasse. Non che avesse intenzione di fuggire: non avrebbe abbandonato così Crimson, sarebbe stato un gesto piuttosto egoistico da parte sua.
Ad ogni passo sentiva il rumore delle ossa che cadevano e si frantumavano. Balzava di continuo sul terreno, col terrore che uno di quei cosi le cadesse addosso.
Erano grandi, ma per lei, che era alta un metro esatto, lo erano ancora di più. Tentava di allontanarli sparando con la balestra, ma riusciva solo a rallentarli un po'.
Con quell'andamento così lento sarebbe stato impossibile raggiungere la porta, così alla fine ci rinunciò e decise di nascondersi dietro un barile, in modo da passare inosservata e sparare di nascosto.
La battaglia infuriò ancora per qualche minuto. Mentre Crimson teneva a bada gli scheletri più piccoli assieme a qualcuno dell'altro gruppo, gli altri si erano concentrati sullo scheletro gigante, riuscendo ad abbatterlo. Di sicuro oltre ad essere armati fino ai denti erano anche carichi di rabbia repressa.

Non appena il combattimento finì, Cora corse al fianco di Crimson. Lui non ebbe nemmeno il tempo di parlare, che si ritrovò muso a muso con un mezz'elfo biondo.
‹‹Chi siete?›› ringhiò il biondo. Prima che potesse dire altro, un ragazzo con i capelli castani si frappose fra i due.
‹‹Ehi, fermo, con calma››, gli disse, ma lui nemmeno lo ascoltò, tenendo gli occhi puntati contro Crimson.
‹‹Potremmo chiedervi la stessa cosa››, rispose il ragazzo in armatura, contraendo la mascella sotto l'elmo. ‹‹Non nemici, questo è sicuro. Se lo fossimo stati allora non vi avremmo aiutati, no?››
‹‹E chi ci dice che possiamo fidarci di voi?›› continuò il mezz'elfo.
‹‹Vi abbiamo appena aiutato a salvarvi il culo.››
‹‹Beh, sì, ma...›› Il ragazzo dai capelli castani sospirò e si girò a dare un'occhiata al proprio gruppo prima di riprendere a parlare. ‹‹Okay, va bene, direi che siamo tutti un po' stressati e stanchi, quindi prendiamocela con calma.››
‹‹Già, non ditelo a noi››, sospirò Crimson. ‹‹Siamo chiusi qui da... non sappiamo nemmeno quanto tempo. Troppo, questo è certo.››
‹‹Penso che siamo tutti nella stessa barca, quindi è inutile che stiamo qui a gridarci addosso››, disse Cora, lucidando il suo flauto dito-di-orco con la manica della maglietta. Tutti gli altri la guardarono, e il biondo mise il broncio e grugnì appena in maniera contrariata, quasi sicuramente dalla consapevolezza del fatto che lei avesse ragione.
‹‹Ad ogni modo,›› riprese Crimson, ‹‹mi chiamo Crimson, e la nana qui accanto si chiama Cora››.
Lei alzò gli occhi nella sua direzione, senza nemmeno alzare la testa.
‹‹Halfling››, lo corresse. Avrebbe voluto dargli un pugno sul ginocchio, ma si rese conto che si sarebbe fatta molto male, dato che lui indossava l'armatura.
‹‹È un problema se ci uniamo a voi?›› propose il suo compagno. ‹‹Siamo qui soli da giorni... e penso che unire le forze non sarebbe una cattiva idea.››
Cora sollevò un sopracciglio. Lei dava già per scontato che lo avrebbero fatto.
Il ragazzo dai capelli castani, per contro, esitò, mostrando della riluttanza, ma alla fine accettò.
‹‹Beh... a questo punto, forse, più siamo meglio siamo. Da dove siete passati? Sapete dov'è l'uscita?››
‹‹Non sappiamo nemmeno in che punto ci troviamo, a dire il vero››, Cora rispose sinceramente. ‹‹Siamo arrivati da lì in fondo, ma se ti indicassimo una zona precisa ti diremmo una stronzata. Voi sapete qualcosa di più?››
‹‹Noi... noi ci siamo risvegliati in questo posto dentro a delle celle. Abbiamo fatto un casino per raggiungere questo posto, e il resto... pullulava di non morti››, rispose il ragazzo, rabbrividendo. ‹‹Non sappiamo nemmeno da quanto tempo siamo qui. ››
Non c'erano informazioni nuove, dunque.
Una ragazza del gruppo, dai capelli ramati, si avvicinò. Cora, dopo un'occhiata più attenta, si rese conto che era una mezz'elfa.
Allora diede uno sguardo più attento anche agli altri, notando con disgusto che molti in quel gruppo avevano le orecchie a punta.
‹‹Ehi!›› disse, facendo sventolare la chioma color rame, ‹‹a dire il vero abbiamo trovato quella torre!›› Il ragazzo con i capelli castani la fulminò con lo sguardo. ‹‹Che torre?›› chiese Crimson. Nemmeno incontrati e, alla faccia della sincerità, già stava nascondendo qualcosa?
Il ragazzo sospirò, e dopo un momento di esitazione, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il modellino di una torre, poco più grande di un pezzo da scacchi. ‹‹Questa.››
Cora si soffermò a osservarla. Percepiva qualcosa, uno strano senso di agio e familiarità. Con uno scatto provò ad afferrarla, ma il ragazzo fu più veloce di lui e ritrasse la mano.
‹‹Mi dispiace, ma no. E voi? Come siete finiti qui?›› Cora sbuffò e, con fare offeso, tornò dietro la gamba del ragazzo in armatura, poggiandovisi contro.
‹‹Siamo venuti qui con un gruppo››, rispose Crimson. ‹‹Ci avevano ingaggiati per scoprire cosa fosse un certo simbolo, ma... non lo so, penso ci abbiano attaccati, non ne sono sicuro.
È successo tutto molto in fretta. So solo che quel simbolo è comparso sui nostri corpi e ha iniziato a bruciare. Poi penso di essere svenuto dal dolore. Io, almeno... ›› abbassò lo sguardo verso Cora, che lo ignorò. Non nascose il suo irritamento. Lei gli aveva detto più di una volta di non aver visto niente di più e niente di meno di lui.
La verità, però, è che a Cora la vista di tutto quel sangue aveva lasciato dentro un enorme senso di disgusto e preferiva non pensarci e dimenticare il prima possibile.
‹‹Quando mi sono svegliato c'eravamo solo io e lei. La stanza era chiusa e piena di sangue, ma nessun corpo.››
L'halfling si limitò ad annuire.
‹‹Un momento... che simbolo?!›› il ragazzo castano si avvicinò. ‹‹Sapete disegnarlo o descriverlo?››
‹‹Molto meglio››, disse Crimson afferrando delicatamente la mano dell'halfling e mostrando il marchio. Era appena visibile, ma ancora distinguibile.
Il ragazzo inspirò appena, in modo piuttosto strano, attirando l'attenzione di Cora. In un attimo gli fece una radiografia completa.
Aveva la netta impressione di averlo già visto da qualche parte, e questo le fece storcere il naso per un attimo.
‹‹È uguale al nostro›› disse mostrando la mano con lo stesso identico simbolo, per dimostrare che diceva la verità. ‹‹Ci è spuntato mentre stavamo cercando una via d'uscita››, sospirò. Non aggiunse altro, ma la sua espressione lasciava trasparire una cosa: erano tutti sulla stessa barca, e quella ne era la conferma totale.
‹‹Bene,›› disse Crimson, ‹‹che ne dite di presentarvi anche voi adesso? Dato che noi il primo passo lo abbiamo fatto››.
Il ragazzo fece una smorfia e cominciò a grattarsi la nuca.
‹‹Lui non ci vuole dire il suo nome! Dovrebbe proprio dircelo. Io sono Dantetor!›› esclamò una voce alle sue spalle. Veniva da un grosso mezz'orco, che si fece avanti e porse la mano. Fino a quel momento era stato così tanto in disparte che né Cora né Crimson lo avevano notato, nonostante la sua stazza imponente.
L'halfling ebbe un brivido di disgusto alla sua vista, e si limitò a stringere il flauto nelle sue mani, piuttosto che la sua mano. Non sapeva perché di quella reazione, ma succedeva ogni volta che ne vedeva uno. Le facevano schifo e provava un odio talmente forte da farle venire il voltastomaco.
Ovviamente Dantetor notò che quel flauto fosse un enorme dito di Orco, ma non ci diede peso... più o meno. Crimson fece un cenno con la testa, rifiutando anche lui la sua mano.
Il mezz'elfo biondo fece un cenno con la testa, attirando così la loro attenzione. ‹‹Fenrir.››
Cora lo guardò meglio e notò che era ricoperto totalmente da una fitta coltre di sporcizia e incrostazioni di sangue. Sicuramente era un barbaro, ed era scontato anche dal modo di porsi.
La sua pignoleria nei confronti del pulito si fece sentire, ma riconosceva ben da sola che nessuno di loro era esattamente pulito e profumato. Nemmeno lei.
‹‹Io sono Aritth››, la mezz'elfa di prima quasi saltò sul posto e fece un cenno con la mano.
Poi si fece avanti, a passo calmo e misurato, un'elfa dalla pelle pallida e dai lunghi capelli azzurri. ‹‹Celebrian, piacere.››
Cora, in linea di massima, non amava gli elfi. Li trovava immotivatamente vanitosi e fastidiosi.
Infatti, ritrovarsi circondata da orecchie a punta la metteva a disagio, oltre a procurarle un fortissimo senso di nausea – ma quello c'era già dalla vista del mezz'orco.
Successivamente, dal fondo della stanza, si fece avanti un'altra figura. Era troppo piccolo per essere un elfo, ma, allo stesso tempo, aveva le orecchie troppo a punta per essere qualcos'altro.
Aveva la mano sulla fronte, che teneva i suoi capelli celesti.
‹‹Oh...›› mugugnò. ‹‹Che è successo? Oh? E voi chi siete?››
‹‹Alleati››, spiegò Dantetor. ‹‹Amici, ora. Non preoccuparti, ti spiegheremo dopo! Come stai?››
‹‹Come uno che ha preso contro una parete››, brontolò, poi alzò la mano per salutare. ‹‹Io sono Kiplin, piacere!›› esclamò. Il suo entusiasmo lo faceva sembrare più un bambino che altro.
Cora notò l'enorme bernoccolo arrossato sulla sua fronte e quasi iniziò a ridere, ma cercò di evitare.
‹‹E quindi? Tu non hai intenzione di presentarti?›› disse Crimson rivolto al ragazzo castano. Lui per contro continuò a grattarsi la nuca. ‹‹Ecco... Il fatto è che... Non mi ricordo il mio nome.››
Crimson si sistemò l'elmo. Cora la trovò una scusa del cazzo, ma lui sembrò volergli dare fiducia.
‹‹Mh... Non posso rivolgermi a te se non so come ti chiami. Ti darò il nome di un vecchio generale. Lavelnir. Vedi di meritartelo.››
‹‹Va bene››, rispose lui. ‹‹Come vuoi. Non importa come mi chiamate.››
Cora cominciò a grattarsi il mento.
‹‹Che gruppo poco... armonioso››, mormorò in modo pensieroso. E dire che il suo gruppo precedente era comunque molto altalenante. Le faceva ridere il fatto che non si ricordasse nemmeno le loro facce.
‹‹Piacere››, disse poi a voce alta, prima di allontanarsi. Non voleva stare ferma per troppo tempo. Crimson si limitò a chiedere se avessero qualche idea di dove andare, ma ricevette solo una risposta negativa. Decisero allora di andare alla cieca insieme.

Lavelnir scrutava attentamente i corridoi in cerca di trappole, mentre gli altri si tenevano in formazione da battaglia, pronti a respingere eventuali imboscate da parte degli scheletri, che ovviamente ci furono.
Intanto, Kiplin aveva avuto un'idea su dove potessero andare, e si mise alla guida del gruppo.
Per il resto, a Cora non sembrava che gli altri fossero dotati di particolare perspicacia. Dantetor, nonostante dicesse di essere un chierico al servizio di Kord, non usava chissà quanto i suoi miracoli, anzi... praticamente nessuno e praticamente mai; Fenrir si buttava in mezzo ai gruppi di scheletri senza pensarci due volte; Celebrian rimaneva estremamente silenziosa e non si capiva mai cosa pensasse;
Aritth rimaneva a distanza e ogni tanto faceva cose come mettere le mani in posti pericolosi, rischiando di perderle.
Arrivarono all'interno di una stanza che non era spoglia come le altre. Sembrava essere una vecchia armeria, ormai fatiscente. Aritth andò subito ad aprire un vecchio barile e venne morsa da un ragno alla mano.
Questa si gonfiò rapidamente, diventando rossa e poi viola e fu solo grazie alla prontezza di Dantetor, che tirò fuori una pozione, che si salvò dall'amputazione immediata, con estrema delusione da parte di Fenrir, già pronto con la sua ascia.
Tutti gli altri stavano sull'attenti. In particolare, Lavelnir, che era palesemente terrorizzato. Ogni volta che spuntavano dei non morti sembrava che stesse per mettersi a piangere.
La concentrazione venne spezzata da un moto di entusiasmo di Kiplin.
‹‹Ehi! Guardate!›› esclamò indicando il fondo della stanza.
‹‹Che c'è? che succede?›› Lavelnir quasi si lanciò al suo fianco, per poi sussultare.
‹‹Ma quella... non è la stessa porta che prima aveva quella barriera nera?››
‹‹Si! la mia sensazione era giusta!››
‹‹Perfetto! ottimo lavoro!››
Non ci furono altre reazioni, erano tutti stanchi, distrutti e senza speranza. Cora in primis, tanto che si aspettava semplicemente di trovare l'ennesimo corridoio.
Kiplin fece per aprire la porta, ma Lavelnir gli balzò davanti.
Esaminò con attenzione la porta, e poi accostò l'orecchio.
Nessun rumore.
Aprì lentamente, e Kiplin, affamato dalla curiosità di sapere cosa ci fosse oltre la soglia, corse dentro la sala che gli si parava davanti. Il ragazzo tentò di fermarlo, ma non riuscì ad acchiapparlo. Il resto del gruppo lo seguì.
La stanza era immensa. Il soffitto era retto da un grosso colonnato, ancora in piedi forse per miracolo. Crimson scattò davanti a Cora. ‹‹Sta dietro di me››, le disse spingendola lievemente per farla arretrare.
Era quasi certo che sarebbe scoppiata l'ennesima battaglia.
Dei passi cominciarono a riecheggiare.
Tap...
Tap...
Tap...
Fenrir impugnò la sua ascia, facendola dondolare al suo fianco. Dantetor fece lo stesso con il suo spadone.
Tap...
Tap...
Tap...
Kiplin afferrò il suo bastone, pronto a lanciare un incantesimo. Aritth incoccò una freccia nel suo arco. Lavelnir deglutì e rinforzò la presa sulla spada. Celebrian, per contro, era di una tranquillità stoica come sempre.
Tap...
Tap...
Tap...
‹‹Oh? E voi che ci fate qui?››
Una voce stupita fece scattare tutti sull'attenti. Gli si parò davanti un elfo dai capelli biondi chiarissimi. Dopo molta esitazione, fu Lavelnir il primo a farsi avanti. Iniziarono a parlare, ma Cora non prestò attenzione a quello che si dicevano. Nonostante quello che avevano davanti fosse un elfo, la sua figura era estremamente affascinante.
Vedere quelle orecchie a punta era davvero snervante per lei. Dietro di sé, l'uomo aveva quella che sembrava essere una sorta di... lucertola?
‹‹Bene bene, cosa abbiamo qui? Un gruppetto disperso?›› e parlava pure!
‹‹Un tacchino!›› mormorò Cora, irrigidendosi nel tentativo di non ridere, ma Aritth evidentemente l'aveva sentita, e non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito.
La lucertola rimase ad ascoltare Lavelnir e il resto del gruppo che spiegava l'accaduto. Intanto, all'interno della stanza si fecero strada degli strani animali, più simili a delle chimere che altro. Cora non si preoccupò di cosa fossero e si cominciò ad avvicinarsi, seguita a ruota anche da Fenrir e Aritth.
‹‹Kirin, sta qui con loro. Vado a chiamare Vijarc››, disse l'elfo rivolgendosi alla lucertola.
Il dinosauro umanoide gli rispose in maniera affermativa, con una voce nasale che a Cora ricordava vagamente quella delle anziane del proprio villaggio. La cosa divertente era che però lei nemmeno si ricordava del suo villaggio.
‹‹Che sono quei cosi?›› sibilò Fenrir, inchinandosi appena e strizzando gli occhi. Quelle piccole bestie a quattro zampe avevano iniziato a muoversi verso di loro. Anche queste sembravano essere delle lucertole, però miste a dei cani. Potevano anche essere delle bestie velenose, ma avevano un musetto davvero carino. Cora e Fenrir, quasi come se condividessero un neurone in due, si precipitarono ad accarezzarli.
‹‹Ma siete impazziti?!›› Crimson si batté rumorosamente le mani contro l'armatura, spaventando Aritth.
La mezz'elfa rimase sgomenta solo per un secondo, prima di fiondarsi anche lei sulle bestie urlando come una ragazzina. ‹‹Che carini!››
Crimson stava implodendo dalla rabbia.
Non era un comportamento normale e tantomeno era una buona idea in quel momento. Lavelnir si girò in direzione dei rumori, per poi sospirare estenuatamente.
‹‹Stressante, eh?›› ridacchiò Kirin, poggiandosi di peso al lungo bastone che teneva in mano.
Sembrava dargli un senso di saggezza, anche se saggio non lo era affatto.
‹‹Già››, sbuffò Lavelnir. ‹‹Non vedo l'ora di andarmene. Sono solo un ammasso di casinisti.››
‹‹Ma no, vedrai che andrà tutto bene››, disse la lucertola mentre la stanza aveva cominciato a riempirsi del baccano degli altri, che avevano iniziato a discutere animatamente. Lavelnir si limitò a guardare la scena con un filo di esasperazione. Kirin gli batté la coda sul braccio un paio di volte e si allontanò.
Poco dopo tornò l'elfo dai capelli biondi, affiancato da un altro uomo in età decisamente più avanzata.
‹‹Bene,›› disse, ‹‹ è arrivato il momento di fare delle presentazioni. Io sono Galtarios. Lui è Vijarc.››
L'uomo si limitò a guardare quel gruppo poco omogeneo e sospirò. Si accarezzò la sua folta barba ordinata e ben curata. Diede un'altra occhiata e fece per tornare indietro.
‹‹Seguiteci. Vi riposerete e poi dovrete rispondere ad alcune domande.››
‹‹Io non vado proprio da nessuna parte, sporco elfo››, ringhiò Fenrir, senza nemmeno considerare l'uomo. Tutti, ad eccezione di Vijarc e Galtarios, lo guardarono abbastanza confusi.
‹‹Penso ci convenga seguirli, per ora››, Lavelnir ruppe il silenzio. Tutti furono d'accordo con lui. Fenrir borbottò, ma alla fine non oppose altra resistenza.

Usciti dalla struttura in cui si trovavano, che era una vecchia fortezza in rovina, vennero accolti dalla luce del sole sbiadita dal miasma. Come sempre il cielo era grigio, imputridito dalla catastrofe. Davanti a loro sorgeva un accampamento, composto da diversi carri e tende. Vi erano diverse guardie armate, con alcuni stendardi che Lavelnir riconobbe come reali e ne rimase parecchio confuso. Kirin indirizzò il gruppo verso una larga tenda che avrebbero potuto usare per riposarsi. Cora incrociò le braccia. ‹‹Una tenda... Che scomoda!››
Kiplin la guardò con la coda dell'occhio. Pensò che quella ragazzina fosse piuttosto ingrata: del resto gli stavano offrendo cibo e riparo, anziché lasciarli sepolti tra le macerie lì dentro.
‹‹Tu ti fideresti a far dormire degli estranei in casa tua?›› la voce tagliente di Celebrian colpì l'halfling.
‹‹Nel mio villaggio non ci mettiamo di questi problemi››, e quello era vero.
‹‹Beh, direi che non è importante, per ora››, Kiplin fece un cenno in direzione del vecchio che si allontanava. ‹‹Quello è un mago molto potente. Riesco a percepire la sua forza e la sua saggezza solo guardandolo.››
‹‹Sono i tuoi sensi da elfo?›› chiese sarcasticamente Cora.
‹‹Diciamo di sì. Fatto sta che avrebbe potuto ucciderci anche con uno starnuto magico, eppure non lo ha fatto.››
‹‹Già...›› si intromise Lavelnir. ‹‹ Non sappiamo chi siano né cosa vogliano, ma potremmo ficcarci nei guai. Quelle negli stendardi delle guardie sono delle insegne reali e –››
Non fece in tempo a finire la frase, perché Crimson lo interruppe, stizzito.
‹‹Insegne reali? Ma che diamine stai dicendo? La tua memoria è talmente fottuta da non ricordarsi che i reali sono stati cacciati decenni fa?››
Lavelnir si bloccò ed il suo sguardo si perse nel vuoto. Si girò e osservò meglio gli stendardi, in totale silenzio. Poi alzò gli occhi al cielo, badando solo in quel momento al fatto che fosse un po' più luminoso dell'ultima volta che lo aveva visto, prima di ritrovarsi dentro quella prigione di pietra dalla quale erano usciti poco fa.
Un pensiero, allora, si insinuò nella sua mente, iniziando a mettere delle radici profonde ed un campanellino d'allarme più sonoro del dovuto: quanto tempo era passato, esattamente, dentro quel posto?
La sua testa si riempì di domande in pochissimo tempo, ma la più ricorrente era proprio relativa al tempo trascorso.
Ebbe un sussulto talmente forte che quasi gli cedettero le gambe. Aveva urgentemente bisogno di rispose.
‹‹Tutto bene?›› chiese Crimson, notando il pallore nel viso del ragazzo.
‹‹Si... si, tutto bene...›› il ragazzo scosse la testa velocemente e si riprese. ‹‹Ho solo avuto un momento di confusione, ecco tutto. Comunque, il discorso rimane lo stesso. Non possiamo fidarci. Nessuno di noi ha trovato niente e non è successo niente, okay? Abbiamo solo incontrato un esercito di non morti e basta.››
‹‹Ma...›› intervenne Dantetor. ‹‹Dovremmo essere onesti e dire la verit– Ahia! Cora... ma perché mi hai dato un calcio?››
Cora non rispose. Già la presenza del mezz'orco la infastidiva, sentirlo dire stronzate la faceva imbestialire. Lavelnir aveva ragione. Quei tizi avrebbero potuto tranquillamente renderli schiavi o catturarli, tagliando loro gambe e braccia per non farli fuggire. Ragionandoci meglio, però, capì che la diffidenza regnava sovrana anche all'interno del gruppo.
‹‹No. Non possiamo permettercelo. Nessuno dica nulla.››
Nessun'altro obiettò le parole di Lavelnir.
Era pomeriggio. Il gruppo si disperse. Ognuno cercava di allentare la tensione come poteva e di riposare un po'. Cora si sedette davanti al fuoco da campo, accompagnata da Kiplin, stravaccato su un sasso come se fosse una poltrona imbottita. L'halfling studiò attentamente i suoi nuovi compagni. Qualcosa le diceva che avrebbero dovuto viaggiare insieme ancora per un po'. Si rassegnò a questa idea.
Il suo flusso di pensieri partì proprio da Kiplin. Ancora non capiva come un elfo potesse essere così basso. Occhi e capelli celesti, così chiari da sembrare quasi bianchi. Se avesse ragionato come un halfling medio, avrebbe pensato subito che lui e Celebrian fossero fratelli.
Lei aveva una pelle molto delicata per delle mani così palesemente abituate a prendere a pugni qualsiasi cosa. Viso e occhi angelici, eppure la sua espressione era sempre pensierosa. Parlava molto di rado, praticamente mai.
Per contro, Aritth era molto particolare. Il suo viso era asciutto e molto androgino. Non aveva specificato il suo sesso, e Cora avrebbe scommesso ogni cosa sul fatto che fosse una donna. Aveva i capelli color rame e gli occhi erano dipinti di un intenso nocciola. Seppure fosse un mezz'elfo, aveva ereditato i tratti migliori dei maledetti orecchie a punta... tranne la grazia.
Infatti, Cora non ebbe nemmeno finito di pensare che tutto sommato fosse un po' una sorta di prodigio genetico, che la sentì ruttare sonoramente in risposta a un "che stai facendo?" di Crimson.
In un angolino sotto un albero, illuminato da una piccola lanterna, c'era Dantetor, che cercava dei funghi selvatici, insistendo sul fatto che con quelli avrebbe procurato uno spuntino per lo stomaco brontolante di Cora. Era il classico esempio di gigante buono, e l'halfling avrebbe anche potuto volergli bene, se solo non fosse stato un mezz'orco. Portava dei bei capelli castani, abbastanza lunghi per fargli una bella treccia. E probabilmente Cora gliel'avrebbe fatta... prima o poi.
Lì a pochi passi c'era Fenrir. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che provarci con tutte le ragazze del gruppo. Per qualche ragione non faceva altro che chiamare Dantetor "compagno", parlando spesso al plurale con lui. Forse erano cresciuti assieme o qualcosa di simile. Oltre alla sporcizia che copriva i suoi tratti elfici, una cicatrice verticale gli segnava il lato sinistro della mascella.
Ed infine, ultimo di quella compagnia, c'era Lavelnir, l'unico umano oltre a Crimson. Si avvicinarono entrambi al falò. Lui portava i suoi capelli castani, di media lunghezza e con un palese bisogno di essere lavati, chiusi in una coda stretta con un piccolo filo di cuoio.
Intanto che Cora lo osservava, i suoi occhi verdi si posarono proprio sull'halfling, con uno sguardo che lasciava intendere un chiarissimo "che diavolo hai da guardare?".
Lavelnir si sedette dalla parte opposta del falò, mentre Crimson preferì rimanere in piedi. Sebbene tutti avessero almeno allentato le cinghie dei foderi delle armi, Crimson era ancora armato di tutto punto e in armatura completa. La ragazza si chiese ancora perché non fosse così entusiasta dall'idea di mostrarsi senza elmo.
Avere i capelli bianchi e gli occhi rossi non era una cosa così comune, ma, in fondo, anche lei aveva gli occhi rossi. L'unica cosa diversa da lui erano i suoi capelli corvini e mossi, forse anche troppo lunghi per un'halfling di un misero metro d'altezza.
Dopo qualche momento di silenzio, Lavelnir tossicchiò. ‹‹Cora, giusto?››
‹‹Sì?›› rispose lei.
‹‹Crimson ha detto che probabilmente ricordi qualcosa in più di lui...››
‹‹Non credo››, tagliò corto l'halfling, guardandosi attorno.
‹‹Beh... dico solo che sarebbe opportuno che, se tu sapessi qualcosa in più, lo dicessi, vista la situazione in cui siamo.››
‹‹ Ironico detto da uno che non vuole nemmeno dire il suo nome... Patrizia.››
Lavelnir contrasse la mascella e alzò gli occhi al cielo, facendoli poi ricadere di nuovo su di lei. ‹‹Patrizia?››
‹‹Sì. Visto che non vuoi dire il tuo nome, per me sarai Patrizia. Comunque, non so molto di più››, e lì stava dicendo la verità... forse.
‹‹Ho già detto che non mi ricordo››, sbuffò Patrizia in maniera esausta. ‹‹Ah, va beh, fai come ti pare. Ad ogni modo, fra poco dovrebbero chiamarci per parlare con Vijarc e Galtarios.››
Nonostante l'elfo si fosse già presentato, solo in quel momento il nome risultò familiare a Cora, che quasi si illuminò ‹‹Galbanino, dici?››
Era più forte di lei. Nonostante avesse un sospetto su chi fosse, non riusciva nemmeno a prendere sul serio una persona come lui. Durante i suoi viaggi aveva sentito parlare del "temibile elfo". Le storie dicevano che chiunque lo avesse incontrato e gli avesse fatto girare i suddetti, non aveva fatto una buona fine.
Sempre i racconti lo descrivevano come una persona potente e temibile, ma allo stesso tempo anche affidabile e leale.
‹‹Galtarios,›› la corresse Patrizia, ‹‹mi ha anticipato che dovremmo raccontargli di cosa abbiamo visto là dentro. Non penso abbia molta voglia di scherzare, quindi cerchiamo di non fare casini. Okay, Cora?››
‹‹E perché lo dici a me scusa? ››
‹‹Chissà, forse perché ti ho visto prima, mentre cercavi di derubare le guardie. E anche mentre le stavi minacciando di tagliarle le dita dei piedi se si fossero avvicinate.››
Cora pensò che Patrizia fosse un po' noioso. Suvvia, non era nulla di così importante del resto! E poi avevano quattro arti per un'ottima ragione.
‹‹Tranquillo, so chi è Galbanino... e datti una calmata, o giuro che ti prendo a schiaffi con un avambraccio di scheletro. Cagasotto.››
Lavelnir non rispose, e si limitò a fare una smorfia con un grugnito schifato.

Poco dopo, Kirin venne a chiamarli e li portò dentro una tenda, dove li aspettavano Vijarc e Galtarios. L'elfo, con un'espressione gentile e in maniera educata, li invitò ad accomodarsi. Il mago, per contro, fu molto più scortese.
‹‹Bene, diteci tutto quello che è successo là dentro.››
‹‹Non molto››, rispose pacatamente Lavelnir, anche se la sua indisposizione per i modi dell'uomo era palpabile. ‹‹Ci siamo risvegliati all'interno di alcune celle. Nessuno di noi si ricorda come sia finito lì. Io, in particolare, ho un'amnesia più generale, ricordo poco e nulla. Ci siamo fatti strada attraverso stanze piene di non morti e ragni giganti, fino a quando non abbiamo incontrato loro due››, disse indicando Crimson e Cora, che aveva totalmente la testa tra le nuvole e non badava minimamente né quello che stava succedendo né a quelle persone.
Voleva solo dormire, e si era persa a fantasticare su quanto sarebbe stato bello poggiare la testa sul cuscino in quel momento.
‹‹Nient'altro››. concluse Lavelnir.
Crimson raccontò quel poco che ricordava, omettendo però il simbolo. Cora si limitò ad annuire. Vijarc si accarezzò la barba.
‹‹E di quel simbolo che mi dite?›› disse in tono inquisitore. Lui sapeva.
Lavelnir non si scompose più di tanto. ‹‹Ah, giusto, il simbolo. Ce lo siamo ritrovati mentre stavamo vagando dentro la fortezza. Non saprei dire altro.››
Vijarc annuì.
‹‹Vedete,›› riprese poi, ‹‹quel simbolo è scolpito anche sulla fortezza, ed era illuminato fino a quando non siete usciti voi. Molto curioso...››
‹‹Purtroppo, penso che non possiamo fornirvi molte informazioni utili. Ne sappiamo meno di voi.››
‹‹E, per caso, avete trovato altro?››
In quel momento Dantetor fece per aprire la bocca. Cora, intuendo la sua volontà di parlare di quella piccola torre, gli diede un calcio sullo stinco abbastanza forte da dissuaderlo. Con un movimento fluido e naturale, Lavelnir si mise le mani in tasca, come se volesse proteggere il suo contenuto.
‹‹Nient'altro››, concluse, mantenendo un'impeccabile faccia di bronzo.
Vijarc continuava a guardare tutti quanti in maniera sospettosa. Non sembrava totalmente convinto, ma non riusciva nemmeno a trovare altro su cui ribattere.
‹‹Bene, allora direi che non abbiamo altro da chiedervi››, Galtarios interruppe il clima di tensione. ‹‹Per stanotte riposate pure nella tenda che vi abbiamo assegnato. Per domani, devo chiedervi di seguirci a Virtus, dove il concilio cittadino vorrà esaminare più attentamente la questione.››
‹‹E perché?›› chiese Lavelnir.
‹‹Questo temo di non potervelo dire. Affari della città.››
Galtarios parlava con un tono e un'espressione assolutamente calmi, ma irremovibili. Tutti capirono in un istante che non ammetteva repliche.
‹‹Abbiamo scelta?››
‹‹Temo proprio di no››, concluse sorridendo.

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