Capitolo 7




Angelica e Caterina tornarono in tutta fretta nelle loro rispettive stanze, avendo cura di non fare il minimo rumore. Era ormai notte inoltrata e mancavano poche ore alle prime luci dell'alba e al risveglio dell'intera fortezza. Nonostante ciò, Angelica decise di seguire immediatamente il consiglio di maestro Ivano: prese una delle sette foglie, la mise in bocca e iniziò a masticarla. Dopo pochi secondi, sentì il corpo rilassarsi e cadere tra le braccia di Morfeo. Fece appena in tempo ad ingoiare il resto, poi, cadde in un sonno profondo.

Il sogno fu sempre lo stesso, ma questa volta, giunta al punto in cui prendeva a vorticare furiosamente in quella specie di pozzo, non si svegliò in preda ai capogiri, anzi, il sogno continuò. Dopo un momento di immobilità, Angelica guardò su e vide uno spiraglio di luce, un piccolo foro pervaso da una fioca luce. Poi, udì delle parole. Incomprensibili, ma pronunciate da una voce maschile che non conosceva. Infine, una risata femminile, aspra e roca. Malefica.

Il gallo, d'improvviso, cantò ed Angelica si svegliò di soprassalto. Ancora sdraiata nel suo letto, realizzò che il calmante consegnatole dal suo maestro aveva funzionato: non aveva più vissuto quel sogno come un incubo, ma come una visione da capire. Una profezia. Fu grata di ciò.

Il sole faceva allegramente capolino dalle finestre della sua camera, si alzò, si vestì in fretta e si recò nelle stanze di suo padre. Stranamente era ancora lì. Con l'arrivo di Tristano e il suo seguito, i preparativi non ricadevano sotto la sua completa responsabilità, quindi poteva dedicarsi ad altro. Angelica lo trovò intento a fare colazione, su di un tavolino apparecchiato vicino alla finestra della sua camera, di fianco ad un grande camino circolare. Da lì, poteva ammirare la piazza antistante che era un andirivieni di servitori, paggi e cavalieri.

Una gran luce penetrava dall'ampia finestra che aveva di fronte, e quel sole di inizio primavera andava via via acquistando vigore.

- Buongiorno, figliola. Cosa ti porta qui, nelle mie stanze? -

- Volevo fare colazione con voi, padre. È da tempo, ormai, che non passiamo una mattinata insieme. -

- Hai ragione, mia cara. Vieni, siediti accanto a me. -

Angelica si accomodò accanto al padre, su di una sedia, e prese a raccontare del sogno che la tormentava tutte le notti, da quasi una settimana. Il barone rimase molto turbato, assunse una strana espressione corrucciata.

- Davvero molto strano, non saprei davvero cosa dirti, mia cara Angelica. - I suoi occhi azzurri indugiarono a lungo, fuori dalla finestra. - Non roviniamo i giorni lieti che ci attendono con questi tristi racconti. Stai per sposarti, vivrai una vita felice con il tuo sposo, qui, a Pulsano e donerai a tutti noi una ricca discendenza. -

Improvvisamente, Angelica comprese che suo padre era molto invecchiato, non nel vigore del fisico, né nella vivacità dei suoi occhi, ma nella mente. Era stanco di avventure, battaglie ed enigmi da risolvere. Forse era proprio quello il motivo che lo aveva portato ad affrettare i preparativi del suo matrimonio? Non lo riconosceva più, ultimamente, e da parecchio tempo, ormai, che non impugnava la sua spada o andava a caccia con il resto della corte o faceva visita alla nobiltà tarantina. Cosa accadeva a suo padre? Maestro Ivano ne sapeva qualcosa? Decise di chiederglielo direttamente, appena se ne fosse presentata l'occasione.

Angelica si congedò in fretta andando a cercare Tristano. Lo trovò intento a dirigere i preparativi nella piazza antistante. Stava aiutando i suoi uomini e la servitù ad erigere le grandi tende che avrebbero ospitato tutti i sudditi del feudo ed il palco che sarebbe servito per il torneo. Angelica interruppe il suo lavoro, con la richiesta di potergli parlare. Ad un cenno affermativo dell'uomo, andarono ad appartarsi sotto un ulivo secolare nei pressi degli orti baronali.

Angelica raccontò quanto vissuto la notte precedente, la fuga dalle mura del castello e il sogno che ritornava incessantemente ogni notte, da circa una settimana. Quando la baronessa terminò il suo lungo racconto, Tristano prese la parola.

- Mi sa tanto che sposerò la ragazza più matta del principato di Taranto. - Disse sorridendole ed accarezzandole una ciocca dei suoi capelli biondissimi - Scappare nel bel mezzo della notte per andare nei boschi. Sei stata coraggiosa ma potevano scoprirti o peggio, una guardia assonnata avrebbe potuto scagliarti una freccia. D'ora in poi avvertimi prima, baronessa, e ti ci accompagnerò io stesso. -

Quanto aveva detto Caterina si era rivelato giusto e sensato. Tristano non era come gli altri uomini e, a quanto pare, il lato guerriero e avventuroso della giovane ragazza lo affascinava ancor di più. Tant'è che le cinse una vita con un braccio e la avvicinò a sé. Angelica arrossì e abbasso lo sguardo.

- Caro principe, ti ricordo che non siamo ancora sposati. - disse, puntandogli un dito sul petto - quindi non puoi ancora baciarmi! - Lo stuzzicò abilmente.

- Ah davvero?! - disse Tristano - E questo chi lo dice? - E senza aggiungere altro la baciò con trasporto, nascosti assieme sotto le fronde d'un albero secolare.

- Non vedo l'ora di sposarti, Angelica. -

- Anche io, Tristano. -

Stavano nuovamente per baciarsi, quando uno squillo di trombe interruppe tutta la corte. In fretta, la baronessa salutò il principe con un bacio e raggiunse suo padre, sul ponte levatoio. Il ciambellano stava per annunciare l'arrivo di nuovi nobili a corte, e Angelica doveva essere pronta a riceverli al fianco di suo padre. Tristano, invece, riprese abilmente ad aiutare i suoi uomini.

Il ciambellano, portatosi al centro della piazza, si schiarì la gola ed annunciò a gran voce:

- Messer Rodrigo De Falconibus e Agata De Falconibus. - Un altro squillo di trombe annunciò il loro arrivo. Il piccolo seguito si fermò dinanzi al ponte levatoio, ad attenderli c'erano il barone Renzo e sua figlia.

- Mio caro fratello! Da quanto tempo! - proruppe esclamando l'uomo che somigliava sorprendentemente a suo padre, tranne per il fatto che era meno alto. Per il resto, aveva gli stessi occhi azzurro cielo, barba e capelli bianchi, ben curati e corti. Si avvicinò e abbracciò suo fratello Renzo calorosamente, mentre si inchinò nei riguardi della nipote Angelica.

La donna che era con lui, invece, rimase un po' in disparte. Attese che il marito la presentasse.

- Questa è mia moglie, Agata. - Disse Rodrigo, invitandola a salire sul ponte levatoio con un gesto della mano. Ella fece una delicata riverenza nei confronti dei presenti. Non era molto graziosa, a dire il vero, era alta, molto magra, dai lineamenti affilati e l'incarnato pallido. I suoi occhi erano verdi e attenti ad ogni minimo particolare, sembravano scrutare attorno senza lasciarsi sfuggire nulla, appuntandosi mentalmente ogni cosa.

- Benvenuti al mio castello! - esclamò il barone Renzo, invitandoli poi a seguirlo verso il primo piano della fortezza, mostrando loro personalmente le camere destinate agli ospiti. Angelica rimase a guardarli da lontano.

Rodrigo era l'ultimo figlio rimasto in vita della casata dei De Falconibus, oltre suo padre, e possedeva alcuni feudi in terra d'Otranto e in Terra di Bari. Gli altri eredi erano tutti morti in battaglia o portati via da qualche malanno. Ricordava ancora, quando, di tanto in tanto, faceva loro visita. Il suo carattere era gioviale, sicché intimava sempre Angelica di sedersi sulle sue ginocchia, quando era bambina, e prendeva a raccontare storie di battaglie e d'avventure. Poi, aveva trovato l'amore ed aveva sposato Agata. Da allora non si era più recato in visita da loro, erano passati esattamente dodici anni e non aveva dato più sue notizie, facendo preoccupare non poco suo padre Renzo, che era il maggiore, tra i due.

Agata, invece, la moglie di suo zio, non le piaceva affatto e Angelica, a prima vista, aveva avuto una strana sensazione nei suoi riguardi.

Era così immersa nei suoi pensieri, che non sentì giungere Caterina, e quando questa le toccò una spalla, sobbalzò.

- Caterina, mi hai fatto prendere un colpo! - esclamò Angelica portandosi una mano al petto.

- A cosa pensavi? Avevi una strana espressione! - ribatté l'amica.

- Niente di importante, pensavo ai miei zii che sono appena giunti. Tu, invece, dove sei stata? Ti ho cercata, stamattina, ma non ti ho trovata qui al castello. -

- Scusami, ero andata a far visita a mio nonno. Dopo la nostra avventura mi sono sentita un po' in colpa per avergli preso in prestito Argo, così ho passato qualche ora con lui e gli ho preparato una gran colazione. Era contento di rivedermi e ti manda i suoi saluti! -

- Non devi scusarti, hai fatto benissimo. E porgigli di rimando i miei più cari saluti. - Angelica le sorrise.

- Comunque - continuò la dama - porto notizie da parte di maestro Ivano. Ti cercavo per questo. Ha interrogato le sue rune, stanotte, e mi ha fatto recapitare questo messaggio tramite piccione viaggiatore. Si è posato sulla finestra di mio nonno. -

- Allora, seguimi. Andiamo nelle mie stanze! - esclamò Angelica in tutta fretta. - Leggeremo lontano da occhi indiscreti ciò che il maestro ha da dirci. Deve essere urgente, se si è messo ad interrogare le rune fin da subito, ieri notte, e poi ad inviarci il suo responso questa mattina. -

Attraversarono insieme il ponte levatoio e poi, di volata, lungo la grande scalinata esterna, diretti al primo piano, verso le stanze baronali.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top