Capitolo 27
Sul ponte levatoio, lasciato aperto dalla guarnigione del castello per una possibile ritirata, si ergeva lei. Una donna dal pallore mortale, dai lunghi capelli neri che le arrivavano fino alla vita e da oscuri occhi di egual tenebroso colore.
Era Agata.
Con il suo sguardo furente di rabbia.
- Non passerete oltre! A differenza del mio ingenuo figlio, ho capito cosa avete in mente! Avete creato ad arte un diversivo per poter giungere indisturbati all'entrata settentrionale e aprire i cancelli dall'interno, così da poter far entrare il tuo sposo! Eppure, non mi aspettavo tanto ingegno da voi! Ma la vostra corsa finisce qui! Mi spiace, ma non andrete oltre! - disse sprezzante la donna, estraendo la spada che aveva legata al fianco, su di una veste di colore verde smeraldo.
- Davvero credi di poterci fermare? Una donna sola contro tutti noi? - esclamò Caterina, ironica, mentre avanzava, brandendo l'arma che impugnava.
Ma Angelica la fermò, sollevando lo scudo, proferendo a bassa voce queste parole:
- Aspetta, Caterina. Tristano e gli altri devono poter entrare nella fortezza. Lasciate Agata a me, voi recatevi alle porte! -
- Angelica ha ragione! - confermò Ivano, alle loro spalle - Facciamo come dice! -
- Cara nipote, amici, vorrei cercare di convincere la mia consorte a desistere e ad arrendersi, lasciatemi fare un ultimo tentativo. - disse Rodrigo, affianco ad Ivano.
Tutti furono d'accordo.
- Agata, fatti da parte senza intrometterti e ti sarà perdonato tutto! Partiremo insieme per lasciare Uberto al suo destino e in mano alla giustizia. Ti prego, se nutri anche solo un briciolo di amore nei miei confronti, fa' come dico, e lasciamoci il passato alle spalle! -
- Cosa vai blaterando, stupido uomo! Non lascerò mai Uberto da solo; e poi, non posso cancellare quello che da me è stato compiuto in tutti questi anni. Ma non posso farci nulla, questa è la mia natura, e non andrò contro di essa. -
- Non hai mai provato niente per me? Mi hai solo ingannato, in tutti questi anni? Dimmi la verità! -
Agata vacillò un poco, mordendosi il labbro inferiore e guardando Rodrigo negli occhi.
- È così, Rodrigo. Non c'è nulla, nel mio cuore, per te. Non c'è mai stato! -
- E sia! Non mi opporrò oltre alla tua decisione! Hai scelto da che parte stare e hai decretato così il tuo destino! -
Eppure, ma non ne fu mai sicuro, a Rodrigo parve scorgere una lacrima cadere solitaria sul viso di Agata. L'uomo non proferì parola. Troppo grande, era il suo dolore.
D'un tratto, Angelica ruppe il silenzio.
- A lungo ho aspettato questo momento! - la baronessa prese a parlare ad alta voce - Mesi fa vi siete introdotti nel mio castello, durante i festeggiamenti per le mie nozze, al fianco di mio zio, ingannando tutti noi. Avete tramato alle nostre spalle, e con l'inganno avete sottratto il regno, facendo accordi con sporchi mercenari, causando la morte del barone, mio padre e gettandomi in un pozzo. Le vostre azioni non rimarranno impunite! E adesso in guardia, voglio proprio vedere di cosa siete capace! -
Agata si scagliò, piena di rabbia e risentimento, in direzione di Angelica con la spada sollevata. Alcune assi del ponte scricchiolarono al suo passaggio mentre, giunta alla giusta distanza, sferrò un fendente sulla testa di Angelica. La ragazza parò il colpo con lo scudo, deviandolo di lato e facendo perdere ad Agata l'equilibrio.
A scontro iniziato, Caterina e gli altri corsero via. Superarono il ponte levatoio e poi procedettero silenziosi in direzione della porta settentrionale, camminando rasenti alle mura del castello, in modo tale da rimanere celati il più possibile.
Nel frattempo, il duello tra Angelica ed Agata continuava.
Le donne si scambiarono furenti colpi di spada. Angelica sembrava possedere una difesa più solida, aiutata dallo scudo, ma la corazza non le permetteva di muoversi con la sua solita destrezza. Al contrario, Agata, munita di una sola spada, risultava essere più agile e veloce, ma a differenza della fanciulla, la sua tecnica era molto più rozza.
La baronessa fece appello a tutte le lezioni di scherma impartitele da suo padre Renzo, al fianco di Caterina, quando erano più piccole, sotto la supervisione della madre di quest'ultima, la quale era stata come più di una madre per la piccola Angelica.
- Angelica, Caterina, ricordate: lo scudo non serve soltanto per la difesa, possiede un alto potenziale offensivo, se lo si sa usare! -
Il ricordo di quei momenti la rese più determinata che mai. Un fuoco da tempo sopito esplose in lei all'improvviso, facendole vibrare i muscoli.
Parò l'ennesimo fendente di Agata, questa volta però, ricordando gli insegnamenti del padre, non utilizzò lo scudo per bloccare il colpo. Fra il suo capo e la lama avversaria frappose, invece, la sua spada e, avendo così libero lo scudo, lo scagliò di taglio nell'addome della sua nemica, svuotandole d'un tratto i polmoni e al contempo ferendola al braccio con la lama.
Caterina, Francesco, Ivano, Rodrigo e i cinque cavalieri giunsero di soppiatto, senza essere visti, vicino all'argano della porta settentrionale.
Uberto, sopra di loro, sulle mura, continuava a sbraitare in direzione dei cavalieri assedianti.
- Cosa diavolo aspettano?! Perché non si muovono!? - esclamò Uberto.
- Non saprei, sire. Forse temono i nostri arcieri! -
- Non credo, staranno aspettando dei rinforzi! Ne sono sicuro! Avranno avuto tutto il tempo di organizzarsi, nei giorni seguenti allo sbarco dei saraceni. Probabilmente, quando Sharif è giunto sulla spiaggia, Tristano e i suoi se n'erano già andati, magari su ordine dello stesso De Falconibus. Ecco perché il pirata mi ha riferito di non aver fatto sopravvissuti! Anche lui ignorava la fuga di alcuni di loro! Che io sia dannato per la mia ingenuità! -
Mentre Uberto diceva ciò al suo attendente, ritto sulle mura, i nove amici si erano disposti in cerchio intorno all'argano.
Caterina fu la prima a parlare, a voce bassissima.
- Dopo il segnale di Ivano, ruoteremo l'argano più in fretta possibile, d'accordo? Avremo poco tempo a disposizione, la carica dei nostri sarà fulminea! -
Tutti annuirono e, mentre i cinque cavalieri rimuovevano la grande sbarra di legno che teneva chiuse le porte, appoggiandola a terra in un religioso silenzio, Caterina, Francesco e Rodrigo afferrarono le braccia dell'argano, raggiunti poi dagli stessi soldati che avevano rimosso la sbarra.
Contemporaneamente, Ivano, scostandosi dal gruppo, tirò fuori dalla bisaccia uno strano cilindro metallico. Lo poggiò a terra. Poi, estrasse una sfera di carta con una lunga cordicella legata all'estremità. Inserì la sfera nel cilindro e produsse delle scintille utilizzando un acciarino.
Quando la miccia prese fuoco, Ivano si allontanò, avvicinandosi al gruppo.
- Aspettate e vedrete! -
Quando la cordicella bruciò tutta, fin dentro al cilindro, ci fu un attimo d'attesa sospeso nel vuoto. I nove amici trattennero il fiato per un momento che sembrò interminabile, poi, dalla piccola cannula metallica, fuoriuscì, librandosi in aria, un dardo infuocato.
Giunse nel punto più alto del cielo, poi scoppiò in mille furiose scintille, provocando un terribile frastuono. Era l'effetto della famosissima polvere nera di Ivano, vanto dell'alchimia, ricavata dal carbone ed unita ad altri speciali elementi. In oriente era conosciuta da cinquecento anni o più, ed era giunta in occidente insieme ai mercanti di spezie, attraverso la Via della Seta.
- Ecco il segnale! - esclamò Tristano - Carica, miei prodi! Attacchiamo le mura! - sguainò la spada lanciandosi al galoppo.
Anche Ivano si unì al gruppo, facendo ruotare l'argano con tutte le forze.
- Bene! Cominciano l'attacco! - esclamò Uberto - Arcieri, scoccate! -
Cominciò una fitta pioggia di frecce, molte delle quali andarono a segno, disarcionando cavalli e cavalieri.
Tuttavia, il sincronismo degli assedianti fu perfetto.
Proprio mentre Tristano e i suoi uomini raggiungevano in fretta le mura, le porte cominciarono a ruotare su loro stesse e ad aprirsi, consentendo a tutti i loro amici di entrare velocemente al galoppo e prendere possesso del piazzale.
Uberto, incredulo e incapace di capire cosa stesse accadendo, si voltò di scatto e vide Caterina e gli altri ancora poggiati sull'argano, stremati dallo sforzo disumano, mentre i suoi nemici, con urla di trionfo, riuscendo ad entrare nella fortezza, scendevano dalle loro cavalcature e si riversavano ovunque: sugli spalti, all'interno del castello, nei vicoli del villaggio, cercando la lotta, senza concedere quartiere.
Mentre ancora cercava di comprendere e allibito da quanto stava accadendo, Uberto vide, dall'alto delle mura, sua madre irrompere di corsa nella piazza principale, inseguita da Angelica.
Invocava a gran voce il nome di suo figlio, pregandolo di salvarle la vita.
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