Capitolo 20
- Ragazzina, tutto bene? - chiese Agata, seduta su di uno sgabello di fianco al letto. Prese la tazza ormai vuota dalle mani di Angelica e la poggiò sul comodino alla sua destra. - Come ti senti, adesso? -
- Intontita e molto debole. Ma cosa è successo? - chiese la fanciulla, portandosi una mano sul capo per via di una forte emicrania.
- Davvero non ricordi nulla? -
- Ricordo le parole pronunciate dal tuo spregevole figlio! -
- Allora ti rinfresco la memoria. Dopo l'interessante colloquio a cui ho assistito di nascosto, sei quasi svenuta, iniziando a dare di stomaco. Per tua fortuna, ero lì ad origliare, dunque ho potuto soccorrerti. -
- Adesso vuoi la mia gratitudine? -
- Non è per questo che ti ho portata nelle tue vecchie stanze. Ti ho condotta fin qui per chiederti qualcosa di molto più importante. -
Ci fu una breve pausa in cui le donne si guardarono negli occhi. Occhi molto diversi, azzurro cielo quelli di Angelica, bellissimi, anche se molto stanchi e onesti; neri quelli di Agata, freddi e calcolatori.
- Sono tutta orecchi! Sentiamo! - esclamò la ragazza, mettendosi a sedere, rimasta sdraiata fino a quel momento.
- Ultimamente il tuo mestruo è stato regolare? -
- Cosa? Non ricordo, sinceramente. Credo però di aver saltato l'ultimo mese. Perché mi fai questa domanda? -
- Quando sono iniziate le nausee mattutine? -
- Da quando mi avete rinchiusa in quella specie di orribile pozzo! -
- Capisco. -
Detto ciò, Agata si avventò sulla baronessa con un ghigno malefico stampato sul volto. Angelica, incredula, sollevò le mani davanti a sé per difendersi, ma si fermò non appena vide che la donna iniziò a tastarle il ventre.
- Cosa diavolo fate?! -
- Siete appena gonfia, Angelica. Ho da darvi una notizia molto importante: siete incinta! -
- Cosa? Che cosa dite? -
- So che può sembrare strano, ma essendo stata allevata da vostro padre, può darsi che nessuno mai vi abbia informata su determinati argomenti. Dopo il matrimonio, presumo che abbiate rispettato il vostro dovere coniugale e giaciuto con vostro marito. -
- Presumete bene. E quindi? -
- Allora, di sicuro, aspettate un bambino! -
Angelica ripercorse mentalmente gli accadimenti degli ultimi tre mesi, a partire dal matrimonio, avvenuto alla fine del mese di marzo. Effettivamente, presi dall'ardore giovanile e dal grande amore che provavano l'una per l'altro, Angelica e Tristano avevano passato ore indimenticabili, illuminati dal chiarore della luna e dalla tenue luce delle candele, avvinghiati dolcemente, amandosi ogni notte, con tutto il loro essere.
Tornata con la mente al presente, incantata dal miracolo della vita che già cresceva dentro di lei, guardò Agata, senza dire una parola.
- Informerò dei fatti mio figlio Uberto e vostro zio Rodrigo. Ovviamente, nelle vostre condizioni, non potrete più tornare nel pozzo. La futura moglie di mio figlio deve essere in salute. - Poi, Agata, avvicinandosi all'orecchio della ragazza, sussurrò qualcosa: - Siete stata baciata dalla fortuna, stupida sgualdrina! Anche se avrete il permesso di restare nel castello, verrete comunque trattata da prigioniera. E questa vostre condizione non cambierà neppure dopo le vostre seconde nozze. Sarete per sempre la mia schiava! -
Detto ciò, la malefica Agata lasciò la stanza, in fretta, senza concedere il tempo alla giovane baronessa di replicare e richiudendosi la porta alle sue spalle.
Uno sguardo di sfida apparve sul volto della bella Angelica.
. . .
Cavalcando in direzione ovest con andatura sostenuta, Tristano ed Ivano, raggiunsero presto la città di Taranto. Dopo aver superato il controllo delle guardie, nei pressi della porta sud-occidentale, identificandosi come il proprietario del feudo di Pulsano e il suo fido consigliere di corte, i due amici raggiunsero di volata il castello.
Il castello di Taranto, noto anche come Castel S. Angelo, era ubicato vicino ad un'antica depressione naturale, a stretto contatto col mare, e dietro il quale sorgeva, in direzione nord, la parte più antica del borgo. Esso era stato costruito sopra una precedente fortificazione bizantina, la quale aveva a sua volta le fondamenta poggiate su strutture risalenti al periodo ellenico. Era risaputo, infatti, che la stessa città di Taranto, anticamente conosciuta con il nome greco di Taras, era stata fondata, secondo le cronache, da coloni spartani nell'anno 706 avanti Cristo.
Questo era ciò che il saggio Ivano aveva narrato al giovane Tristano durante il loro piccolo tragitto in direzione della fortezza. Giunti di fronte ad essa, il giovane principe rimase esterrefatto. Alte torri merlate toccavano il cielo a picco sul mare, dietro il quale dormivano due piccoli specchi d'acqua, che comunicavano con il golfo antistante per mezzo di uno stretto canale, a nord dell'antico borgo. Questo piccolo specchio d'acqua, quasi indipendente, venne denominato dagli abitanti locali con il nome di Mar Piccolo, profondo all'incirca dieci metri e con una minor concentrazione di sale. Grazie allo scarso riciclo di acqua marina e alla presenza di numerose sorgenti subacquee di acqua dolce, esso creava delle condizioni estremamente favorevoli alla pesca, facendo sì che una buona fetta dell'economia del luogo si basasse proprio su questa attività, insieme all'agricoltura e all'allevamento del bestiame. Tutto ciò, consolidava maggiormente l'eterno rapporto d'amore che, da millenni, la popolazione tarantina nutriva verso il proprio mare e la propria terra.
Attraversato il ponte levatoio, i due uomini si trovarono all'interno di un'ampia piazza d'armi, circondata da massicci edifici realizzati in pietra locale, come tutto il resto della fortezza. Attesero qualche minuto, scendendo dalle loro cavalcature, poi furono raggiunti da un uomo che si qualificò come il siniscalco di corte, seguito diligentemente da un manipolo di guardie.
- Salve, messeri, a voi mi presento: sono il siniscalco di questo castello e della reale famiglia d'Angiò. Avrebbero, lor signori, la cortesia di presentarsi? -
- Salve a voi, messere. Io sono il principe Tristano Branciforte-d'Avalos, reggente, insieme alla mia amata consorte Angelica De Falconibus, del feudo di Pulsano e vostro vassallo. Questi, invece, è il nostro consigliere di corte, il buono e saggio Ivano. Vorremmo essere ricevuti dal principe di Taranto per questioni urgenti ed informarlo di alcuni eventi funesti da pochi giorni accaduti all'interno del nostro feudo, nonché del Principato stesso, i quali richiedono l'attenzione di sua maestà, per la gravità degli stessi. -
Ambedue s'inchinarono con la mano destra sul cuore, il siniscalco ricambiò loro il cortese inchino.
- Vi annuncio immediatamente, messeri, in modo da essere accolti in maniera appropriata. Intanto, potete consegnare i cavalli ai nostri scudieri. -
Così dicendo, l'uomo sparì all'interno dell'edificio principale attraverso una porticina laterale. Poco dopo, annunciati da un solenne squillo di trombe e scortati da due soldati, furono introdotti nella sala delle udienze, al pian terreno, varcando la soglia di una grande volta. Sulla parete di destra vi era un grande camino di pietra sorretto da esili colonne, sulla parete di sinistra, invece grandi finestre si affacciavano sul mare, intervallate da eleganti panche di pietra. Erano aperte, per via dell'opprimente calura estiva, e lo stridio dei gabbiani echeggiava per tutta la stanza, similmente al forte profumo di salsedine. Il soffitto ligneo, dagli intarsi dorati, era splendido, con i suoi motivi floreali. Alle pareti pendevano grandi arazzi con scene di guerra o di caccia, a differenza di quello posizionato sopra il trono, che invece raffigurava lo stemma della famiglia angioina.
In fondo al lungo salone di pietra, su di un trono intagliato nel marmo, sedeva un giovane uomo. Doveva avere all'incirca la stessa età di Tristano. Quando gli furono davanti, Tristano ed Ivano s'inchinarono, poggiando il ginocchio sinistro sul pavimento di pietra, portando la mano destra sul cuore e reclinando lievemente il capo, in segno di rispettosa cortesia.
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