Capitolo 18


Messer Giorgio, dopo aver fatto accomodare i nuovi ospiti all'interno del castello, ordinò ai suoi paggi che fosse allestita la tavola per la cena. Nel frattempo, Caterina, Tristano, Antonio e i cavalieri furono congedati, andando a rinfrescarsi nelle rispettive stanze, preparate appositamente per loro. Ivano, da parte sua, raccontò al suo anfitrione quanto era accaduto il giorno prima, ovvero l'avvistamento delle navi saracene, il consiglio di guerra e la successiva battaglia, quasi al tramonto; poi, la ritirata dei pochi superstiti, il sacrificio del barone, l'occupazione del feudo di Pulsano da parte di Rodrigo ed Agata e la notte passata in una grotta adiacente al mare.

Non appena il saggio Ivano ebbe terminato il racconto dei tristi eventi che si erano susseguiti con straordinaria rapidità, il castellano rimase pressoché esterrefatto.

- Sono davvero dispiaciuto per quanto è accaduto alle vostre vite, mio caro amico, siete stati travolti da una vera e propria tempesta! Sono accaduti così tanti eventi e in così poco tempo che non oso immaginare come si sia sentita la povera Angelica e, ovviamente, tutti voi. -

- Non auguro a nessuno ciò che questi occhi hanno visto, messer Giorgio, ma adesso siamo qui, bisognosi del tuo aiuto! -

- E lo avrete! Lo giuro sul mio caro amico ormai defunto che fu il barone De Falconibus, il quale anni or sono mi affidò le cure di questa piccola ed antica rocca. -

- Vi ringrazio, messer Giorgio, vi ringrazio dal più profondo del cuore. -

. . .

Angelica, nel frattempo, in quel pozzo stantio ed umido, continuò a pensare al proprio destino. Era passato un solo giorno, ma ad ella sembrò che fosse volata via già una settimana, senza uno stralcio di luce, se non per la piccola apertura posta in alto e sormontata da una pesante grata di ferro.

Pensò all'amato padre e al suo sposo.

Quel tale, Sharif, non aveva minimamente menzionato Tristano o Antonio, dunque essi potevano essere ancora vivi e pronti a riconquistare il castello. E poi, che fine avevano fatto Ivano e Caterina? Sicuramente, avendo visto che la situazione si volgeva al peggio, erano fuggiti, magari utilizzando il passaggio segreto mostratole qualche mese prima dalla sua stessa amica, quando lo avevano utilizzato per raggiungere le mura del castello e, da lì, la capanna di Ivano nel cuore del bosco.

Sperò che fossero in salvo, da qualche parte, e che magari stessero pianificando qualcosa. Conosceva l'astuzia e la forza di Caterina, e conosceva il buon senso e la saggezza del suo vecchio maestro. 

Confidava in loro più di chiunque altro.

Giunse presto la notte. Anche se non fece alcuna differenza, all'interno di quel pozzo umido e tenebroso, in cui era notte fonda anche in pieno giorno. La baronessa non mangiò nulla, bevve soltanto un po' d'acqua che le fu calata dall'alto, insieme ad un tozzo di pane, grazie all'ausilio di una cesta annodata ad una corda.

Immersa nei suoi pensieri ed estenuata dai lunghi pianti, s'addormentò in fretta, sullo sporco pagliericcio della cella, invasa da un forte odore di umida terra e cullata dal lieve gocciolio dell'acqua, che si faceva strada all'interno delle pareti.

. . .

Quando i cavalieri furono pronti a prendere posto, i paggi servirono la cena. 

La lunga tavola era composta dai nuovi arrivati e dalla famiglia di messer Giorgio, formata dalla sua bellissima moglie, discreta oltre ogni dire, e da suo figlio Francesco, futuro erede del casale di Rocca Vecchia, appena sedicenne. 

Il pasto fu abbastanza frugale, formato da una zuppa di ceci e verdure, del pane e dell'arrosto di fagiano, il tutto accompagnato con del buon vino rosso. Caterina era seduta accanto al suo Antonio, sul lato destro della tavola, mentre il buon Ivano aveva preso posto accanto al principe Tristano. 

Dopo che i paggi ebbero sparecchiato la tavola, ebbe luogo un piccolo consiglio di guerra, a cui vi parteciparono tutti, anche la moglie del castellano.

Il primo a prendere la parola fu Ivano.

- Dunque, cavalieri, siamo qui riuniti, in questa notte di fine giugno, per decidere il destino di noi tutti e le sorti del feudo di Pulsano. In questo momento, la nostra amata baronessa è detenuta presso il nemico, il quale si è appropriato infidamente del nostro castello, quando esso era sguarnito e senza difese, dimostrando grande disonore. -

Fece una breve pausa guardando i suoi interlocutori, poi continuò.

- Ho riflettuto molto, sul da farsi, e credo che la cosa migliore per noi tutti, sia quella di chiedere ulteriore aiuto. Siamo, infatti, ancora in disparità numerica, come abbiamo potuto constatare io e la dolce Caterina durante la fuga dalla fortezza. Ci servono più uomini, se vogliamo assediare il castello e riprendere il controllo del feudo. -

- Dunque, cosa consigli di fare? - esclamò Tristano.

- Convengo che sia saggio chiedere aiuto alla città di Taranto. Dopotutto, questi territori fanno parte del Principato ed è loro dovere mantenere stabili gli equilibri e riportare la pace, rispettando gli antichi doveri feudali. -

- Sono d'accordo! - esclamò Antonio.

- Sei sicuro che accoglieranno la nostra richiesta d'aiuto? - domandò Caterina.

- Certo, bisognerà soltanto essere convincenti! Tuttavia, gli avvenimenti accaduti in questa parte del regno non sono cosa da niente, se pensiamo allo sbarco dei pirati saraceni, alla morte di un barone fedele alla corona e alla successiva occupazione del feudo di Pulsano da parte di un nobile vicino, per non parlare della prigionia della nostra erede al trono. Taranto è sempre stata poco incline ad accettare le dispute interne che turbano la tranquillità del Principato. - le rispose Ivano.

- Dovremmo, comunque, preparare un'ottima ambasceria. - esclamò Tristano. - In quanto reggente del feudo insieme alla mia amata moglie, è giusto che vada io. Ma conosco così poco i territori limitrofi, e ancor meno la città di Taranto e i suoi regnanti, che rischierei di perdermi, o di non portare a termine la missione. -

- Vi accompagnerò io, Tristano. - esclamò il saggio Ivano - Conosco la città come le mie tasche, e ho avuto già modo di conoscere la famiglia reale ed interloquire con il principe, in altre passate occasioni. -

- Dunque, è deciso! Andremo io e messer Ivano! - esclamò, risoluto, il giovane Tristano.

Il resto del gruppo annuì.

- Noi penseremo ai preparativi per la battaglia! - esclamò Caterina - se messer Giorgio vorrà! -

- Ma certo! Devo tutto alla baronia dei De Falconibus, e questo è il minimo che possa fare. Passeremo in rassegna uomini ed armi e ci addestreremo insieme, nell'attesa che voi arriviate coi rinforzi! -

- Non vedo l'ora di rendermi utile, padre! E destreggiarmi sul campo di battaglia! - esclamò Francesco, il figlio di messer Giorgio, fino ad allora rimasto in silenzio, ad ascoltare. Il suo animo parve infervorato da tutti quei discorsi, essendo il primo consiglio di guerra a cui prendeva parte.

- Ben detto! - esclamò Antonio - Ti insegnerò qualche trucco con la spada, giovane scudiero, ma adesso bisogna brindare, e suggellare questa nuova alleanza! - propose il capitano della guardia, avvicinandosi alla bottiglia di vino lasciata sul tavolo da uno dei paggi di messer Giorgio e riempiendo i rispettivi calici. 

Ne prese uno per sé, poi, sollevandolo al cielo, urlò : - Morte all'usurpatore e lunga vita alla baronessa! -

- Morte all'usurpatore e lunga vita alla baronessa! - urlò in coro il resto degli astanti, facendo tintinnare i calici di metallo, i quali brillarono alla tenue luce delle torce. 

La piana sottostante emanava un forte odore di pini e di grano mietuto di fresco. Il profumo dei campi in fiore penetrava dalle finestre aperte della sala. Le stelle erano alte, nel cielo terso. Scrutavano indifferenti il destino degli uomini, il quale andava dispiegandosi nel tempo.


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