Capitolo 17
- Mio prezioso amico! Entra pure. Sei sempre il benvenuto, alla mia corte! - esclamò Uberto in direzione dello strano individuo che attendeva immobile sulla soglia.
Inchinandosi, l'uomo, dall'incarnato olivastro e vestito di bianco, come bianco era il turbante sul suo capo, parlò con un accento fortemente straniero.
- Il piacere è mio, padron Uberto. Ma, perdonate la scortesia di non essermi ancora presentato: mi chiamo Al-Mansur-Sharif, capitano di galea e proveniente dal grande Impero Ottomano del sovrano Osman I. - disse il capitano dei pirati, presentandosi al resto dei commensali.
- Vedi, mia cara - disse Uberto richiamando l'attenzione della povera Angelica - quest'uomo è il capitano delle due navi avvistate al largo della vostra costa. È qui per riscotere il compenso dei suoi servigi e ribadire quanto detto poco fa: De Falconibus è morto, vero, Sharif? -
Il turco batté prontamente le mani e due dei suoi mozzi entrarono in tutta fretta, consegnando un lungo fagotto di seta ad Uberto. Quest'ultimo, lentamente, ne srotolò i soffici lembi, rivelando cosa era nascosto al suo interno.
Una spada dai finimenti argentei, bellissima a vedersi, anche se ancora lorda di sangue ormai rappreso.
- Se non sbaglio, questa è la spada del nobile De Falconibus, vero? - domandò lo spregevole Uberto.
- Si, signore. È stata presa dal suo cadavere poche ore fa. - confermò il capitano Sharif.
- E voi, lo confermate? - chiese il signore del castello ad Angelica, ironico e perfido allo stesso tempo.
La ragazza, da parte sua, avendo riconosciuto l'elsa di quella che un tempo fu la spada di suo padre, annuì tristemente, e non poté fare a meno di trattenere le lacrime.
- E dei corpi, cosa ne avete fatto? - Uberto rincarò la dose.
- Seppelliti, mio signore. In una radura, vicina al luogo della battaglia. -
- Molto bene, Sharif! -
- Siete dei mostri! Tutti quanti! E brucerete all'inferno! - esclamò Angelica in preda ad un pianto disperato, nascondendosi il volto con le mani e pensando a suo padre, sepolto in un campo qualsiasi, anonimo, senza alcuna benedizione.
- Il nostro affare può ritenersi concluso! - aggiunse lo spregevole Uberto - Una delle mie guardie v'attende all'ingresso con un forziere pieno di monete. Ora potete andare! -
- A buon rendere, messer Uberto! Sempre al vostro servizio! - disse Al-Mansur-Sharif, inchinandosi nuovamente e, questa volta, congedandosi.
- Il nostro piano è riuscito alla perfezione, mio caro! - esclamò Agata, afferrando la mano di suo figlio e baciandola.
- Tutto merito vostro, madre, e della vostra astuzia. - Le sorrise con gran soddisfazione. - Bene. Volevo giusto mostrarvi questa spada, Angelica, e darvi la notizia della morte del vostro amato padre. Ora potete tornare in cella. Guardie! - esclamò l'uomo a gran voce, impartendo nuovi ordini.
Distrutta dal dolore, la ragazza fu presa e condotta ancora nel pozzo.
Si lasciò cadere sulla nuda terra, piangendo il suo amaro destino.
. . .
L'alba giunse in fretta, e con essa, lo stridio dei gabbiani che si affaccendavano sulla rena. La piccola baia era deserta. Tristano e Antonio, furono i primi a destarsi. Si rinfrescarono nelle dolci acque del mare. Poi, svegliarono i loro compagni, compresi Caterina ed Ivano. Tutti insieme, seduti sulla scogliera intorno alla grotta, mangiucchiarono un po' di pane raffermo preso dalle loro bisacce, pianificando le prossime mosse.
- E ora cosa facciamo? - domandò Caterina - il castello è stato occupato, Angelica imprigionata e il barone è morto. -
- Ci riprenderemo ciò che è nostro di diritto! Lo giuro sul nome della mia famiglia, qui, sulle sponde del mare! - esclamò Tristano.
- Ben detto! - confermò Antonio - Ma cosa facciamo? Siamo inferiori di numero, un assedio ci porterebbe, di sicuro, a morte certa! -
- Io ho un'idea! - esclamò Ivano. - Se me lo consentite, caro principe, conosco molto bene il territorio, e più a lungo di voi, dunque potrei consigliarvi al meglio. -
- D'accordo, mio buon amico. Cosa proponete? - disse Tristano, prendendo posto su di una roccia al suo fianco. Il sole del mattino scaldava, intanto, i loro corpi, i quali avevano a lungo sofferto l'umidità della notte.
- Vi ringrazio per la fiducia, sire! - esclamò l'anziano maestro, annuendo in segno di gratitudine e cominciando ad esporre le proprie idee.
. . .
Il cielo s'era appena annuvolato. Stormi di rondini volavano sulle teste dei cavalieri intenti a galoppare sotto il sole cocente di fine giugno. Un falco, alto nel cielo, solcava le nubi in cerca di possibili prede. Le sue strida echeggiavano imperiose, sulle pianure sottostanti.
Quella immagine riportò alla mente il ricordo del barone De Falconibus.
Ebbero la certezza che, anche in quella nuova impresa, egli era con loro, e non li avrebbe mai abbandonati.
Il gruppo, formato da Tristano, Antonio, Caterina, Ivano e circa una decina dei cavalieri sopravvissuti, si dirigeva verso l'entroterra. I boschi e i campi coltivati aumentarono ben presto di numero e di intensità, pur rimanendo comunque deserti, per via della forte calura estiva di mezzogiorno. Per rimanere celati il più possibile e ripararsi dal sole, preferirono viaggiare all'ombra dei pini, fermandosi di tanto in tanto vicino a piccole fonti sorgive, facendo abbeverare i destrieri e riempiendo gli otri del prezioso liquido.
I consigli di Ivano risultarono preziosissimi, dunque, per giungere finalmente a destinazione non visti ed illesi.
Era pomeriggio inoltrato e si era vicini al tramonto.
Il minuscolo borgo di Rocca Vecchia sorgeva su di un piccolo colle di origine calcarea. Esso dominava l'intera area, dall'alto della sua dimora rocciosa, e si trovava in una posizione altamente strategica. Questo, il saggio Ivano, lo sapeva benissimo. Ed era certo che, il piccolo fortilizio a strapiombo sulla valle, avrebbe garantito loro una generosa ospitalità.
Il castello era formato da una alta torre di guardia, il cui sguardo spaziava per molte leghe fino alla costa ionica, ed un basso e tozzo casale, il cui portone centrale conduceva ad un ampio cortile rettangolare. Intorno ad esso, erano distribuite le sale principali, occupate, più che altro, dalla guarnigione di stanza, formata da poco più di trenta soldati. Il territorio di Rocca Vecchia faceva parte del feudo dei nobili De Falconibus, e il castellano, un certo messer Giorgio, viveva lì con la sua famiglia da molti anni.
- Mio caro Ivano! - esclamò messer Giorgio, non appena lo vide - Quali nuove porti fin qui? Come mai sei accompagnato da un così numeroso seguito? -
Il castellano li attendeva a braccia aperte. Aveva baffi e capigliatura rossiccia ed una tempra robusta, come le pietre della sua fortezza.
- Amico mio - esclamò il saggio Ivano - ahimè, non reco affatto buone notizie! Venti mortiferi soffiano sul nostro feudo e sul nostro sventurato destino! -
All'udire quelle parole, messer Giorgio si rabbuiò, preoccupato, ordinando subito ad alcuni scudieri di prendere in consegna le cavalcature dei nuovi arrivati, ed invitando i propri ospiti ad accomodarsi all'interno del castello.
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