Capitolo 14
Al-Mansur-Sharif, capitano dei pirati saraceni, osservava lo sbarco del suo equipaggio dall'alto del cassero di poppa. Era riuscito nel suo intento, scegliendo di sbarcare direttamente sulla scogliera, anziché su una delle tante baie disseminate lungo la costa. I soldati di quelle terre, infatti, non avevano potuto accerchiare le sue truppe, e la cavalleria si era dimostrata assente. I suoi uomini, per di più, erano di gran lunga più avvezzi a simili combattimenti, per non parlare del fatto che il nemico, già a partire dalle fasi iniziali dello scontro, era stato costretto a dividere le forze, in modo da difendere un tratto costiero molto più ampio.
Tutto stava andando per il verso giusto.
Avrebbero vinto e reso fiero il loro padrone. Grande sarebbe stata la loro ricompensa.
Tuttavia, gli ordini erano stati chiari: infliggere al nemico la più pesante delle sconfitte. Il padrone non avrebbe tollerato alcun saccheggio. Ma non era stato chiaro riguardo le modalità della carneficina.
Perché di questo si trattava. Di un massacro.
E non avrebbero avuto alcuna pietà.
Questi erano i pensieri di Al-Mansur-Sharif a bordo della sua galea, a distanza di sicurezza, scrutando da lontano i suoi uomini durante il massacro di quei cristiani, inferiori di numero, e senza alcun vantaggio.
Le due ali del piccolo esercito erano in grandissime difficoltà. A stento, Tristano, ordinò loro di resistere, tempestato com'era dai colpi delle scimitarre nemiche. Dopo aver parato un fendente laterale di sciabola ed aver affondato la sua lama nel collo di un saraceno, il principe, col volto e le mani coperte di sangue, diede una veloce occhiata sullo sperone di roccia un po' più lontano, alla sua destra, dove combatteva il resto delle truppe, guidato dal barone Renzo e da messer Guido, il fido capitano del castello.
La situazione, da quella parte, era ancora più disperata. Erano in pochissimi. Renzo, Guido ed altri prodi difendevano a stento la posizione, e presto, temeva Tristano, sarebbero morti sotto gli incessanti colpi del nemico.
Doveva intervenire.
Doveva assolutamente raggiungere il barone Renzo ed ordinare la ritirata.
Immerso brevemente in questi pensieri, schivò a stento una freccia saracena che per poco non lo colpì alla testa. Aveva lasciato cadere l'elmo e la corazza, all'inizio della battaglia, come aveva ordinato di fare a tutti, per avere una maggior agilità nei movimenti.
Saltando da una roccia all'altra, schivando colpi e restituendone altri, prendendosi le vite di molti furfanti con stoccate veloci e fendenti micidiali, Tristano riuscì a raggiungere in tempo il barone Renzo, tormentato dai colpi di un ostinato pirata saraceno. Il De Falconibus era con la schiena a terra, e deviava da un lato o dall'altro i furiosi fendenti di scimitarra. Quando il giovane principe gli fu vicino, serrò la mano che afferrava la spada e affondò repentino la lama nelle costole, facendolo cadere tramortito. Il pirata finì direttamente sulle rocce aguzze, più in basso, cadendo poi in mare.
- Renzo, state bene? -
- Potrebbe andare meglio! Ma ho visto battaglie peggiori di questa, con il tuo vecchio! Se solo fosse qui, ne faremmo vedere delle belle a questi quattro farabutti senza onore! -
- Riuscite a rimettervi in piedi? -
- Ci provo! -
Il barone fece leva sulla spalla del giovane ma non ci riuscì. Rimase seduto sulle rocce. Fu in quel momento, e dopo un sommesso gemito di dolore del vecchio, che il principe s'accorse della grande ferita, poco al di sopra del costato sinistro, da cui sbucava una freccia spezzata di netto.
- Ma siete ferito, mio signore! -
- Si. Una dannata freccia mi ha colpito mentre sollevavo lo scudo! Che siano maledetti, questi sporchi pirati senza onore! - Sputò per terra un piccolo fiotto di sangue.
- Sire, dobbiamo ordinare la ritirata, al più presto. O moriremo tutti, su questa spiaggia! -
- E perdere il nostro onore? No, Tristano, per me è finita. E non intendo passare gli ultimi istanti di vita fuggendo come un codardo della peggior specie. Voglio andarmene combattendo, come un vecchio leone, e tuo padre sarebbe d'accordo con me. Ma tu devi andare via al più presto, con il resto delle truppe sopravvissute. Non permetterò che mia figlia perda ciò che le è più caro al mondo. Raduna i tuoi uomini, io resterò con i miei soldati a coprirvi la fuga. Una volta a Pulsano, invia dispacci al Principato di Taranto e ad altri feudi vicini, affinché vi prestino immediato soccorso. Va', ora, qui tutto è ormai perduto! -
Così dicendo e con rinnovato vigore, il De Falconibus s'alzò in piedi, aiutandosi con la sua spada, incitando i suoi uomini a combattere per un'ultima volta.
- Miei prodi, non cediamo terreno! Facciamo vedere a questi sporchi pirati senza onore la potenza dei nostri polsi! Per la gloria eterna e ad imperitura memoria! - Sollevò la spada verso il cielo. I suoi uomini emisero un forte boato di voci ed armi.
L'eco che riecheggiò nella baia, sovrastando il ciclico suono della risacca, fece tentennare brevemente l'assalitore. Infervorati gli animi con quelle parole, i soldati pulsanesi si lanciarono all'assalto di uomini e scialuppe, dall'alto delle loro rocce.
Tristano si commosse. Ammirò il loro coraggio e la loro determinazione. Con quell'ultimo atto di difesa avrebbero protetto la propria terra e i propri cari. Avrebbe tanto voluto combattere al loro fianco, come gli era stato insegnato. Poi pensò ad Angelica e alla perdita che avrebbe dovuto affrontare. Che avrebbero dovuto affrontare insieme, perché in fondo, Tristano, amava quell'uomo come se fosse suo padre. Pensò al vecchio Branciforte, lontano dal suo fraterno compagno di venture che ora si lanciava contro la morte con le armi in pugno.
Presto, il giovane, saltando di roccia in roccia, raggiunse i suoi uomini e trasmise l'ultimo volere del De Falconibus.
Tristano si voltò, per l'ennesima volta, in direzione di quei valorosi uomini, i quali permettevano loro di sopravvivere e combattere ancora. Vide il barone Renzo, un'ultima fugace occhiata, mentre strenuamente difendeva la propria vita e quella dei suoi compagni, brandendo la spada, forte come un leone.
Poi, fu accerchiato, e nascosto alla sua vista, per sempre.
Il falco era caduto.
Si palesò repentino ai suoi occhi il sogno narratogli da Angelica. C'era tutto quello che sua moglie gli aveva raccontato. La spiaggia vermiglia e la rossa risacca colorata dal sangue.
Calde ed amare lacrime sgorgarono, all'improvviso, sul volto già stanco del nobile principe, pensando ai giorni oscuri che lo attendevano.
I giorni oscuri che attendevano tutti loro.
. . .
Dalla porta nord del borgo fortificato, una guardia annunciò l'arrivo di alcuni visitatori.
Angelica, vistosamente in preda all'ansia e alla preoccupazione, scorse un barlume di speranza. Che qualcuno avesse avvistato lo stesso segnale di fumo dall'entroterra ed inviava ora rinforzi? Magari la stessa città di Taranto o qualche altro piccolo feudo nelle vicinanze.
In assenza di suo padre e del suo sposo, Angelica fece condurre i suoi ospiti nell'ampia sala delle udienze al pian terreno. Ella attendeva seduta sull'alto scranno di legno al centro della sala.
La sorpresa fu tremendamente grande, quando sulla soglia della porta comparvero suo zio Rodrigo e la sua strana consorte. Senza ulteriori indugi, visto anche lo stato d'urgenza delle cose, essi si avvicinarono presso il trono su cui era seduta la baronessa senza troppe cerimonie.
- Caro zio Rodrigo, siete qui per rispondere alla chiamata di mio padre? Vi sono giunte notizie dell'avvistamento? - disse la bella Angelica con ansia crescente, guardandoli dall'alto del suo seggio.
I loro volti erano maschere di ghiaccio. Inespressive.
La giovane ebbe appena il tempo di guardarsi intorno, quando le guardie giunte assieme ai suoi zii scattarono in avanti e la immobilizzarono.
- Te l'avevo detto, mia cara ragazza, che ci saremmo visti presto! - esclamò Agata con il più maligno dei sorrisi.
- Cosa fate? Lasciatemi immediatamente! Quando mio padre o Tristano verranno a saperlo sarà la vostra fine! -
- Ti correggo, mia cara. Se mai vostro padre o vostro marito verranno a saperlo! - Pose volutamente enfasi sulla congiunzione dal valore ipotetico, e proruppe in una fragorosa risata.
- E ora, conducetela immediatamente nelle segrete! Prendiamo possesso di questo castello! - Aveva appena finito di pronunciare questa frase, che un fragoroso rumore di corni da guerra riecheggiò nella pianura, al di fuori delle mura del borgo.
Lo spregevole Uberto della Spada attendeva che le porte gli venissero aperte.
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