7. Senza un passato


Il Passato giace sul Presente come il corpo morto di un gigante.

-Nathaniel Hawthorne

***

                    
-Il signor Donson, poi Michael Brody... adesso Jhonatan Knorr.

-E tra questi hai rischiato anche tu... non scordiamocelo!

-No che non me lo scordo mamma, è impossibile.

-Chi può mai essere quella persona che ce l'ha con gli abitanti del nostro palazzo... -rifletté ad alta voce mia madre.

-Se consideri i vari inquilini... non c'è da stupirsi.

-Giusto... ma chiunque sia, ce l'ha a morte con questo condominio! -rise compiaciuta della sua battuta.

-Questa freddura potevi risparmiartela, mammina.

-Ok... perdonami. -disse sfiorandomi una guancia con il dorso della sua mano troppo rovinata per essere quella di una donna. A volte ero un po' dura con lei ma l'amavo. E poi vedere quel sorriso e la sua espansività nonostante quello che aveva dovuto passare a causa di mio padre, era  qualcosa di straordinario che esaltava la sua forza interiore. Chiunque sarebbe sprofondato nella depressione più buia. Lei invece amava la vita e si impegnava per essere attiva e... viva, appunto. -Tesoro,  io devo andare al lavoro. Però ho una sorpresina per te.

-Che sorpresa?

   In quell'istante suonarono alla porta.

-Ah, ecco... probabilmente è quello di cui ti stavo parlando! ...Nat pranzerà con te.

-Cosa?!

-Vado ad aprire!

-Mamma! Perché non me l'hai detto?!

-Sì che l'ho fatto.

-Intendo prima!

-Oh scusa! -si finse dispiaciuta. Aprì la porta. Quando vidi Nathan non fui poi così seccata che mia madre avesse preso l'iniziativa di invitarlo.

-Ah... ma lei va via Grace? -disse lui notando che aveva già appoggiato sul braccio, cappotto, cappello e borsa.

   Mi portai le mani sul viso, sprofondando. Forse per lui non era divertente stare con me. Preferiva la compagnia di mia madre evidentemente.

-Devo lavorare ragazzo mio! Sarà per la prossima volta, tanto sai che puoi venire da noi tutte le volte che vuoi e... un'ultima cosa Nat, dammi del tu. Non sono una vecchietta. Ok?

-Certo Grace... allora... buon lavoro. -sfoderò il suo sorriso migliore. Iniziai a pensare che avesse un debole per lei! E comunque aveva ragione. Mia madre era molto più simpatica e moderna di me.

  Di certo si chiedeva perché lei lavorasse mentre io me ne stavo a casa senza apparentemente far nulla! Non mi guardò nemmeno in faccia. Certo che doveva essere deluso del fatto che a pranzare saremmo stati solo io e lui!

   Ci mettemmo a tavola. Quando fui seduta di fronte a Nathan, notai che mi fissava. Ricambiai anch'io lo sguardo alzando le sopracciglia.

-Ciao. -disse lui ancora con gli occhi fissi su di me.

-Ciao... -risposi sorpresa. Finalmente sorrise e, come accadeva solo raramente, parve rilassato.

-Ho incontrato Stephanie mentre salivo...

-Ah sì?

-Sai... ho l'impressione che sospetti di me...

-In che senso?

-Mi ha visto diverse volte in terrazza. È capitato che quando sono salito a portare qualcosa a Nirvana, lei era su a fare non so che, e mi guardava storto...

-Oh... lei guarda così tutti.

-Tu dici?

-Sì, fidati. È una donna schiva, e quando ti guarda, sembra che ti squadri sospettosa. Ormai ci abbiamo fatto l'abitudine.

-Quindi sono normali le sue occhiate fulminanti?

-Sì! -scoppiai a ridere. Mi piaceva come parlava. Adoravo la sua voce dal timbro profondo.

-Mi chiedevo cosa volesse dire Regina l'altra volta. Ha lasciato intendere che il marito di quella donna avesse fatto del male alla figlia... non è così?

-Oh... sì. In realtà non si sa molto di quella faccenda... Ti dico solo che il marito di Stephanie è in prigione per pedofilia.

-Accidenti...

-Non so se è uscito... ma forse sì,  in base alle voci che ho sentito. È stato condannato diversi anni fa. Ma so bene che gli abitanti del palazzo l'hanno... esiliato... diciamo così. Ho sentito parlare di minacce. Nessuno vuole che torni e quindi in pratica qualcuno del palazzo l'ha minacciato di non tornare a casa sua, altrimenti gli avrebbe fatto fare una brutta fine.

-Così si spiegano tante cose.

-Pensi possa essere lui il killer? Cioè... magari per vendicarsi...

-È plausibile.

-Sai, la notte spesso penso a chi possa fare una cosa del genere... Chi può agire con tanta efferatezza senza neppure avere un briciolo di risentimento?!

-Tu sospetti di qualcuno?

-Intendi qualcuno del palazzo?

-Sì. 

-Quindi tu pensi che sia un inquilino?

-Sono qui da poco ma... ti assicuro che anch'io avrei voglia di far fuori un po' di gente!

   Restai interdetta e lui se ne accorse.

-Guarda che scherzavo...! -disse prendendo la forchetta. -Vogliamo mangiare prima che si freddi?

   Annuii ma non senza avere un accenno di perplessità. Sapere che l'assassino era ancora a piede libero mi metteva ansia e pensare che fosse all'interno del condominio, ancora peggio. Inoltre alcune frasi pronunciate da Nathan mi confondevano parecchio. Ma non potevo, non volevo credere che avesse a che fare con la morte di quelle persone.

-L'altra volta avevi fatto delle allusioni su Regina... -ripresi la parola. -Perché avrebbe dovuto commettere quegli omicidi...? Suo marito tra l'altro...! Certo, non erano una coppia perfetta, ma...

-Regina è il tipo di persona di cui sospetterebbero tutti. Ma, siccome sarebbe troppo semplice che fosse lei la colpevole, viene scartata a priori.

-Che bella teoria! -dissi dopo aver mandato giù il boccone. -Non è che tu sia un agente di polizia sotto copertura mandato ad indagare dall'interno della scena del crimine?!

   Un attimo di silenzio che parve infinito. Mi accorsi che le mie parole l'avevano paralizzato. E rimanemmo così, come due statue. Lui poi ruppe la tensione, ridendo imbarazzato. Io però non risi affatto. Che la mia battuta nascondesse la verità?
Dopotutto io non conoscevo chi avevo di fronte a me. E se davvero non fosse un semplice chitarrista ma un agente?

   Passavo dal pensare che potesse essere addirittura il killer degli omicidi compiuti,  al credere che fosse venuto ad abitare nel palazzo, per prendere l'assassino. Per me, quel ragazzo controverso era un mistero.

-Nathan... da dove vieni? ...Chi sei?

   Lui, sbigottito da quelle improvvise domande, smise di masticare, quasi sorpreso dalla mia curiosità, o meglio dal mio indagare su di lui.

   Guardò l'orologio con l'espressione turbata, si alzò e disse qualche parola di circostanza.

-È stato tutto buonissimo. -disse, pur non avendo assaggiato quasi nulla. -Dopo ringrazia tua madre... io vado a portare il cibo a Nirvana... sarà affamata a quest'ora.

-Nathan...! -lo chiamai quando a grandi passi era ormai arrivato alla porta. -Ehi...! -lo bloccai per un braccio. Lui si voltò guardandomi finalmente in faccia. -Cos'ho detto...? -gli sussurrai dispiaciuta. Il suo comportamento non era normale. Cosa voleva nascondere?

-Il mio passato non esiste. -disse lasciandomi senza parole. Gli tolsi la mano dal braccio, mentre a bocca aperta lo guardavo andare via. Scese giù per le scale a testa bassa. Non ebbi nemmeno il coraggio di richiamarlo.

   Il pomeriggio decisi che sarei scesa a chiedere scusa a Nathan per le mie domande che evidentemente l'avevano turbato. Quando, dopo aver preso coraggio, scoprii che non era a casa sua, pensai che dovesse essere in terrazza, dal suo animaletto.

   La porta dello stanzino era aperta, spalancata. Questo mi parve strano, visto che teneva l'iguana ben nascosta agli altri condomini, quindi non avrebbe rischiato che qualcuno la vedesse e gliela facesse togliere.

-Nat... -mi resi subito conto di come l'avessi chiamato e anche di come, in realtà non potesse essere mio amico. Gli amici sanno tutto uno dell'altro. Io invece non lo conoscevo affatto, e lui altrettanto. Cosa sapeva in fondo di me?

-Nathan...! -ripetei fra i pensieri che tormentavano la mia mente. La luce della lampada del terrario, stranamente, era spenta e con il freddo che faceva, questo mi sorprese parecchio.

   Sentii qualcosa scricchiolare sotto i miei piedi. Sembrava di calpestare vetri frantumati ma lo stanzino era buio e non riuscivo a vedere di cosa si trattasse. Mi resi conto che quasi sicuramente ero sola.

Nathan non c'era.  Indietreggiai cercando l'interruttore. Quando la lampadina illuminò l'ambiente circostante, c'era sangue dappertutto... Un odore pungente che solo in quel momento sentii, mentre una valanga di pensieri si accalcava nel mio cervello che temevo sarebbe esploso.

   Ero di nuovo sulla scena di un crimine.

Stesa a terra, in uno scenario da film horror, Stephanie. E al suo fianco, Nirvana, ridotta a qualcosa che non si poteva vedere. Pareva che chi l'avesse uccisa, si fosse accanito brutalmente e ferocemente su quel rettile.

   Non capivo più nulla. Non riuscivo nemmeno a gridare. Sentivo che le energie venivano meno dentro di me, che sarei presto svenuta;  così arrancando, tentai di raggiungere l'ascensore che si aprì proprio in quel momento.

-Nathan! -urlai vedendolo uscire dalle porte.  Mi prese in tempo, prima che cedetti e che mi lasciassi andare. La vista mi si annebbiò e ciò che vidi al mio risveglio fu il viso in lacrime di mia madre.

   Sperai che tutto fosse stato solo un sogno. Un terribile sogno. Vidi poi dietro di lei che c'era Nathan e la sua espressione la diceva lunga.

   Si avvicinò a me per vedere se stessi bene. Sembrava lì per accertarsi che mi risvegliassi e nient'altro,  perché quando pronunciai le prime parole per rassicurare mia madre, lui, dopo un'ultima occhiata, se ne andò. 
  


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