5. Ignoranza



È impossibile aver la meglio su un uomo ignorante in una discussione.
-William G. McAdoo

Essere ignoranti della propria ignoranza è la malattia dell'ignoranza.
-A. Bronson Alcott

***

-Io quella donna non la sopporto più! -sbottò Nathan, dopo aver trattenuto la sua ira per una buona mezz'oretta.

Finalmente sentivo la sua voce. Per tutto il tragitto che portava al pub, era rimasto in silenzio, con gli occhi rivolti in avanti, diretti verso un punto fisso, come se non fosse presente... e come se non fosse con me.

-Pensi che sia stata Regina a bucarti le ruote? ...Voglio dire... come fai ad essere sicuro che sia lei la "colpevole"?

-Credi che non l'abbia sentita quel giorno, quando parlava con te...?! Con quella voce squillante che si ritrova! Come prima! Urlava come una pazza per le scale... pensava che non la sentissi?!

-Regina non spicca certo per simpatia... ma in questi anni ho imparato a conoscerla per quello che è... e ti assicuro che è brava solo a parlare.

-...No, lo è anche ad urlare! Comunque se non è stata lei, allora chi è stato secondo te?

-Non lo so. Una cosa però mi sento in dovere di consigliartela... Ricorda che quella è gente ignorante e perciò non vale nemmeno la pena parlare con loro... non caveresti un ragno dal buco... Io e la maggior parte dei condomini lasciamo credere a lei e alla sua famiglia che hanno tutto sotto il loro "potere", per il quieto vivere... con tipi del genere non serve parlare... ti abbasseresti solo al loro livello... con quella gente è meglio agire...

-Agire? Ok.

-Che significa ok?

-Significa che ho capito.

La sua espressione non mi piaceva. Non mi convinceva affatto. Continuai sperando che si convincesse a lasciarla perdere.

-L'unico che si opponeva fermamente a lei era il signor Donson. Ora che non c'è più dobbiamo... sottostare... anche se non è il termine più adatto... -sorrisi lievemente.

-Già... -continuò lui ancora con evidente risentimento. -L'unico a tenergli testa è morto... non mi stupisce questa cosa, sai?

-A cosa alludi? ...Ma no, dai... Regina? Non ne sarebbe capace...

-Se lo dici tu... -rivolse gli occhi verso di me per la prima volta da quando eravamo sulla strada verso il pub.

-Però... ora basta parlare di Regina e compagnia bella... -dissi timidamente.-...non roviniamoci la serata per colpa sua...

-Giusto.

Dopo tre quarti d'ora arrivammo al "Microscoppio". Saremmo stati un po' più avvantaggiati se avessimo avuto la macchina. Dopotutto però, non mi era dispiaciuto fare la strada a piedi con lui e tanto meno pensare che chi ci vedesse potesse immaginare che fossimo una coppia.

Sprofondai nell'imbarazzo quando arrivando al pub affollatissimo, Nathan rivolgendosi al buttafuori disse: -Lei sta con me.

Sapevo che era solo un modo di dire ma mi faceva letteralmente impazzire il fatto di passare una serata con lui. Solo io e lui!

-Scusa se non te l'ho detto prima... ma non saremo soli... mi è sfuggito per colpa di quella pazza di Regina!

Che significava che non saremmo stati soli?

-Quando ho visto le gomme forate e lei che si aggirava nei pressi della macchina, non ho capito più nulla. Abbiamo iniziato a litigare così forte che tutto il condominio ha sentito le urla.

-Oh, sì... Te lo assicuro! -finsi che quello che mi aveva appena detto non avesse influito minimamente sul mio stato d'ansia.

-Certo che si è ripresa subito dalla morte del marito...!

Quella frase rievocò alla mia mente il momento in cui avevamo sentito le sue strazianti urla mentre eravamo in terrazza. Ci eravamo precipitati immediatamente giù. Lei tentava disperatamente di dirci qualcosa che però non riuscivamo a comprendere. Era in uno stato confusionale e solo dai suoi gesti avevamo capito che dovevamo correre verso la camera da letto.

Nathan mi aveva bloccata appena fuori, insistendo perché non entrassi. Quando mi aveva lasciata però, mi ero sporta e il mio occhio era caduto sul corpo di Michael, il marito di Regina, steso sul letto in una posizione innaturale e avvolto dalle lenzuola macchiate di rosso.

Il panico si era impossessato del mio corpo, scuotendomi dalla testa ai piedi. Avevo visto poi Nathan che con due dita premeva sul collo dell'uomo per sentirne il battito. Quando dalla sua espressione era evidente che non c'era nulla da fare, avevo lanciato un urlo da svegliare i cadaveri. Regina aveva unito il suo al mio e Nathan era stato costretto ad allontanarci di lì, spingendoci via e chiamando in seguito la polizia.

Tutto era assurdo, inspiegabile... due omicidi nel giro di nemmeno due settimane. E la polizia brancolava nel buio... nessun indizio, nessuna traccia. Nemmeno una prova che indicasse per quale verso dovevano procedere le indagini.

-A che pensi... -notò la mia espressione accigliata.

-A Michael... -sussurrai. La dolce musica di sottofondo, unita alla compagnia di Nathan, mi infuse tranquillità. -Lasciamo perdere... Mi dicevi che... avremo compagnia...

-Ah, sì. Sono gli altri membri della band.

-Quale band?

-Quella in cui suono. -così dicendo mi guidò ad un tavolino, in un posto appartato del locale. In quell'angolo mi fece sedere e mi disse di attendere lì.

Restai sola con i miei pensieri ma non per molto perché ad un certo punto vidi Nathan salire sul palco. Insieme a lui altre tre persone, di cui due ragazzi ed una ragazza. Lei si mise al microfono con fare deciso e la mano di Nathan iniziò a scivolare sulla chitarra.


La luna era alta in cielo. Se ne vedeva solo uno spicchio, una piccola falce. La fissavo dalla finestra della mia camera, dopo aver contato tutte le pecorelle possibili e non essere riuscita a prendere sonno.

La serata mi aveva delusa. Avevo immaginato tutt'altro. Pensavo di passare almeno un po' di tempo con Nathan, anche solo per conoscerci meglio. Mi rendevo conto infatti che ciò che sapevo di lui era veramente poco. Pochissimo.

Quella sera quantomeno avevo scoperto che era un bravissimo chitarrista e che suonava in una band... il nome non lo ricordavo... i Krauvel... Kraverr... non avrei saputo dire perché non mi ero soffermata sul gruppo ma sul fascino di Nathan.

Un po' mi era seccato che dal palco avesse diretto il suo sguardo su di me, solo un paio di volte. Forse era concentrato sulla musica e si sarebbe distratto a guardarmi o forse... anzi sicuramente non gli importava niente di me... era solo stato gentile nell'invitarmi, per passare una serata diversa. Probabilmente aveva capito anche lui quale vita patetica conducevo e gli facevo pena.

Infilai la testa sotto al cuscino. Purtroppo anche lì i miei rimbombanti pensieri mi seguirono. Volevo solo dormire, volevo scordare anche lo sguardo dei ragazzi della band quando mi aveva presentata loro. Sicuramente dovevano aver pensato che non c'entrassi proprio niente lì... e soprattutto con Nathan.

Inoltre volevo dimenticare come Alina, la cantante del gruppo, lanciava occhiate languide al suo chitarrista e come lui le ricambiava...

L'orologio segnava le tre. Mia madre non era ancora tornata dal ristorante in cui faceva la lava piatti... questo mi preoccupava. Presi il telefono e selezionai "mamma". Non voleva che la chiamassi sul posto di lavoro ma stava tardando e con quello che stava succedendo negli ultimi giorni, il timore mi spingeva ad infrangere la regola imposta da mia madre.

In quel momento preciso sentii la porta aprirsi. Mi alzai per andarle in contro e ...sì, anche per rimproverarla. Avrebbe dovuto avvisarmi del suo ritardo.

Il mio stupore arrivò a mille quando al posto di mia madre vidi una sagoma che non aveva niente a che vedere con la figura snella e longilinea che lei aveva.

Le pulsazioni mi rimbombarono nelle orecchie, mentre al buio e ferma come un palo rimasi davanti alla porta a fissare quella persona che si era intrufolata in casa.

Prima il signor Donson, poi Michael Brody... quella sera... quella sera toccava a me.

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