22. Assurde rivelazioni

L'assurdità di una cosa non è una ragione contro la sua esistenza, ne è piuttosto una condizione.

-Friedrich Nietzsche

***

La porta restò chiusa per circa cinque minuti. Rimanemmo lo stesso ad aspettare perché dall'interno la voce in falsetto di Rose Knorr ci aveva avvisati di aspettare "un attimo". Attendemmo con pazienza sperando che almeno potesse aiutarci a chiarire un po' di cose.

Non se la stava prendendo con comodo, no. Era proprio quella la sua andatura.

In quel momento immaginai che dovesse fare una di quelle prove d'emergenza, dove bisogna essere fuori nel minor tempo possibile. Chissà se in quella circostanza o se di fronte ad un pericolo vero la sua schiena e le sue gambe che a malapena la reggevano, avrebbero fatto miracoli!

Ridacchiai al pensiero. Nat mi sbirciò col sopracciglio inarcato. Con un gesto delle mani, gli indicai che non era niente.

Quando finalmente sentimmo lo scricchiolio e vedemmo il viso rugoso e anche un po' sorpreso della donna, le chiedemmo se potevamo farle alcune domande. Non ci fece entrare. Ci lasciò sulla soglia ma non ci importava più di tanto. Ciò che speravamo era solo trovare delle risposte.

-Mark? Mh... Mark Mark Mark... -ripeté assorta. -Mark avete detto, eh?

-Almeno il nome l'ha capito... -bisbigliò Nathan sbuffando. Lei, di udito duro, non si accorse nemmeno dell'osservazione fattagli. E continuò con gli occhi rivolti in alto a ripetere quel nome come se così facendo trovasse la concentrazione per capire poi chi fosse.

-Ma sì! -esclamò con un acuto della sua strana voce. -Se non sbaglio era quell'uomo... Sì, quello del sesto piano...

-Allora avevo ragione. -mi rivolsi a Nathan. È Donson.

-Rose, lei sa dove abitano i suoi parenti? -chiese lui all'anziana donna che ci fissava tentando di farsi un'idea del motivo per cui indagavamo sull'ex banchiere.

-Mi sa che ha un fratello. Credo che abiti vicino alla pescheria... quella che si affaccia sulla Piazza. Ma perché volete saperlo? È utile ai fini delle indagini?

-Non lo sappiamo Rose. -dissi. -Ma forse sì. Grazie.

Nathan le prese il viso privo di elasticità e solcato da tante rughe e la ringraziò scoccandole un bacio sulla fronte. Poi ce ne andammo in fretta lasciandola perplessa.

Regina ci incrociò mentre rientrava. Le chiesi come stesse Bianca e in effetti faceva progressi ogni giorno che passava. Mentre salivamo in auto vedemmo che si era fermata a parlare con Rose.

Nathan restò per un attimo a guardarle in modo strano.

-Che c'è? -domandai.

-Qualcosa mi dice che la prossima è Rose...

-Come?

-No niente... Andiamo.

-C'era proprio bisogno di darle quel bacio? -dissi seccata.

-Ma a chi? A Rose?

-Sì. -lui sorrise.

-Se grazie a lei riusciamo a scoprire qualcosa, sì! Sei gelosa?

-Di Rose? No...! -mi sentii ridicola perché in effetti mi aveva dato fastidio.

-Sali in macchina. Si va dal fratello di "Mark"!

Grazie alle istruzioni della vecchia Rose che abitava di fianco a Nathan, non fu difficile trovare la casa che cercavamo. Perdemmo un po' di tempo a leggere tutti i tasti dei citofoni presenti in quella strada e infine trovammo Byron Donson.

Ci facemmo coraggio e suonammo. La voce profonda, maschile di qualcuno all'altro capo, fu gentile e disponibile e anche se attese un attimo per pensarci, alla fine ci fece salire.

Alla porta, quando arrivammo al secondo piano, c'era un ragazzo ad attenderci.

-Oh mio Dio, Nathan! -esclamai quando lo intravidi attraverso la ringhiera, salendo ancora l'ultima rampa. -Non ci posso credere!

Il tipo, scioccato almeno quanto noi, fissando Nathan e poi me, ci chiese cosa e soprattutto chi cercassimo. Bastarono poche parole e ci lasciò entrare.

Un omone alto e con tutti i capelli bianchi, ci squadrò dall'altezza dei suoi due metri, o almeno così pareva visto da dove lo vedevo io. Era praticamente la copia del signor Donson. Faceva impressione ma non quanto lo facesse suo figlio, quel ragazzo venuto ad aprirci. Timothy, era il suo nome.

-Sedetevi. Sapevo che sarebbe arrivato questo giorno. Speravo di no, ma lo sapevo.

Timothy si sedette di fronte a Nathan e pareva di vedere la stessa persona che si rifletteva nello specchio!

-Così tu sei ...Nathan? -parve che ad un certo punto gli si fossero paralizzate le labbra.

Nat non disse niente. Rimase rigido, travolto da un turbine di pensieri che evidentemente l'avevano mandato in confusione totale. La stessa espressione era stampata sul viso dell'altro ragazzo che si mordicchiava la bocca spiazzato anche lui per l'agitazione inevitabilmente prodotta dal vedere una copia quasi perfetta di sé.

-Non capisco... -disse Nat, non perché fosse stupido ma perché si rifiutava di comprendere quella cosa assurda.

-Posso sapere cosa vi ha portati qui? -disse l'uomo battendo nervosamente sul tappeto persiano la sua scarpa di vernice nera, troppo piccola per uno della sua stazza.

-Papà... -prese parola Timothy. -Cosa sta succedendo? Perché questo ragazzo mi somiglia così tanto?!

-No figliolo... non farti strani pensieri. Non hai un fratello, no. Lui è... lui è tuo cugino.

Tutto ci saremmo aspettati quel pomeriggio, tranne che scoprire una simile rivelazione sconvolgente!
Nella nostra mente, facemmo uno più uno e giungemmo ad una conclusione, l'unica possibile.

-Mark Donson... suo fratello... era ...mio padre?! Com'è possibile?!

La moglie dell'uomo, fece il suo ingresso nel salotto, dove eravamo noi e si coprì immediatamente la bocca.

-Non ci credevo...! Ma ora che vedo il ragazzo...! Ma guardalo! È identico al nostro Timothy!

Superato lo shock iniziale, tentammo di rilassarci bevendo un the, rigorosamente deteinato.

-...Mark mi disse che un giorno la verità sarebbe necessariamente venuta a galla. Solo io e mia moglie Loren conosciamo la verità e la vecchia Bianca, la mamma di Regina. Margerette è morta...

-Che c'entra Margerette?! -lo interruppe Nathan.

-Ovviamente anche lei era implicata in questa faccenda.

-Mia madre? Mia madre Margerette è stata con suo fratello, giusto?

-Mi spiace ma non è così semplice, ragazzo.

Nat si portò la tazza alla bocca e ingoiò un sorso di the.
Quello sarebbe stato di grande aiuto per affrontare un'altra grossa sorpresa che ci attendeva.

Andammo via da quella casa con Nathan scomposto in mille pezzi. Non aveva voluto parlare per tutto il tragitto. Sapevo che non era un bene trattenere tutto dentro, ad un certo punto non ce l'avrebbe fatta più e sarebbe certamente esploso.

Invece di tornare a casa, deviò verso la spiaggia. Avevamo vagato per un po' nelle strade quasi deserte del paese ma evidentemente non era servito a fargli sbollire la rabbia.

Accostò nella zona parcheggio e scese di fretta. Lo seguii ma lui mi bloccò.

-Lasciami solo... -disse amareggiato e corse verso la spiaggia.

Non avrei mai immaginato di poter provare un senso di dolore e impotenza così forte, mentre lo vedevo che si faceva sempre più piccolo raggiungendo il punto in cui si infrangevano le onde.

Nonostante fosse così lontano, riuscii a vedere che si era gettato di ginocchia a terra. Forse stava piangendo, non avrei saputo dirlo ma fu un'impresa per me restare lì a guardarlo mentre aspettavo che tornasse.

Lo vidi arrivare con la testa bassa, mentre camminava lentamente. Gli corsi incontro, sprofondando ad ogni passo nella sabbia umida e sperando che si lasciasse abbracciare.

Si fermò sentendomi arrivare e allargò le sue braccia accogliendomi presso di sé.

-Adesso sei solo tu l'unica cosa certa che possiedo. -mi disse ancora tremante mentre lo stringevo.

Risalimmo in macchina e com'era già capitato, al nostro ritorno al palazzo c'era la polizia.

Rose, era lei la vittima.

Le telecamere di sorveglianza erano state completamente distrutte, inoltre Morris ci aveva avvisati che sua zia, la povera Bianca, ricoverata ancora in ospedale, aveva avuto improvvisamente un peggioramento e si temeva per la sua vita.

Come si poteva cancellare una giornata come quella?!

Una doccia calda era tutto ciò di cui avevo bisogno. Anche se sarebbe stato impossibile scrollare di dosso ogni cosa come venivano lavate via le cellule morte.

Feci promettere a Nathan che sarebbe salito su da me una volta che anche lui si fosse dato una rinfrescata.

Come da prassi avevamo parlato con la polizia, il che ci aveva rubato tanto tempo. Era passata la mezzanotte ormai e lo stomaco vuoto protestava, quasi ruggendo di dolore.

Nathan si presentò con pizza e birra al limone, segno che aveva ricordato quali fossero i miei gusti. Quel giorno, di qualche mese prima, quando eravamo giù al portone e gli avevo offerto un po' di birra, mi sembrava così lontano. Non sapevo ancora che la vita ci avrebbe portato ad affrontare così tante cose assieme.

Ci sedemmo sul divano e lui mi mostrò ciò che aveva nelle mani.

-Finalmente potrò dire di aver visto anch'io questo film! -ne indicò la custodia.

-Ma no...! Davvero...?! Hai preso "the bodyguard"!?

Mi sorrise, celando per l'ennesima volta la sua sofferenza. Lo strinsi forte, cogliendolo di sorpresa.

Gli sussurrai all'orecchio che gli volevo bene e lui sospirò.

Gli sarei stata vicino per sempre, questo lo sapevo e volevo che ne avesse la certezza.

-Per questa sera cancelliamo quello che è successo... -bisbigliò lui.

-Sì. -dissi porgendogli la pizza. -Ci penseremo domani.

-Siamo ormai agli sgoccioli... a breve tutto finirà. -disse convinto.

Annuii. Lui fece partire il lettore DVD e per quella sera si rilassò completamente, come se tutte quelle scoperte fatte il giorno stesso, non avessero alcuna influenza su di lui.

La realtà, invece, era ben diversa.

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