15. Minacce
Il codardo minaccia quando è al sicuro.
-Wolfgang Goethe
***
-Che ore sono Nathan?
-Quasi mezzogiorno.
-Il cimitero sta per chiudere...
-Sì Karin. Vogliamo andare?
-Ok.
Camminando in mezzo a tutte quelle tombe, mi chiedevo se ci sarebbe stato ancora abbastanza spazio per contenere i cadaveri che ogni settimana si aggiungevano. Una per una, guardai le lapidi degli abitanti o meglio, ex abitanti del palazzo Palme. Erano una a fianco della successiva, quasi a testimoniare che quelle persone avevano avuto, una dopo l'altra, lo stesso tragico destino.
Una lista interminabile di nomi. Ormai solo quello restava di loro. Ed una foto a ricordare com'erano stati.
La mia mamma, Michael Brody e suo figlio Thomas, il signor Donson, Jhonatan Knorr cioè il marito di Rose, la vecchia vedova Lela, Stephanie, Britney, nipote acquisita di Regina...
Non mi ero mai accorta che un po' più avanti, proprio da quelle parti, c'era la tomba spoglia e per niente curata di Margerette, l'inquilina che viveva dove adesso abitava Nathan.
-Guarda un po'! -esclamai scandalizzata. -I suoi parenti non vengono a curarla nemmeno ora che è morta! Così come hanno permesso che fosse seppellita sotto le cose che accumulava, permettono che questa tomba sia sotterrata da sporcizia e polvere!
Mi abbassai e, presi alcuni fazzoletti di carta e la bottiglietta d'acqua che avevo con me, mi diedi da fare per ripulire al meglio quello che consideravo un vero e proprio scempio.
-Credo che i suoi parenti sarebbero più da rimproverare se avessero prestato ora attenzione alla sua tomba piuttosto che a lei quando era in vita, no?
-Sono comunque da rimproverare. Non si abbandona così una persona.
-E se fosse stata colpa sua?
-Che vuoi dire? -dissi rialzandomi.
-Se fosse stata lei ad allontanare tutti?
-Ma che dici?! Nessuno vorrebbe stare solo per tutti i giorni della sua vita!
-Nessuno sano di mente. Quella donna però era ammalata...
-È troppo brutto anche solo a pensarci.
-Lo so.
Guardai l'immagine di Margerette. Gli occhi azzurri erano spenti anche in quella foto immortalata chissà quando e da chissà chi. Rivolsi poi lo sguardo a Nathan e anche i suoi occhi azzurri rispecchiavano profonda tristezza. Sul suo viso era stampata la stessa espressione di quella donna.
-A che pensi? -chiesi.
-Penso che ho un vuoto tremendo nello stomaco! Ho fame. Andiamo? Offro io. Ti porto al ristorante Indiano.
-Indiano? Troppo piccante per i miei gusti. Facciamo cinese?
-Cinese? Ok vada per gli involtini primavera.
Nathan iniziò ad incamminarsi poi si bloccò un po' più avanti quando vide che non lo seguivo. La sua figura longilinea, non altissima, sfiorava sicuramente il metro e settanta. Quel modo di portare i vestiti, sempre rigorosamente neri ma dallo stile inconfondibile. Quegli occhi penetranti che risaltavano in mezzo alle ciocche di capelli neri che li sfioravano... Mi sentivo letteralmente impazzire e non riuscivo ancora a capacitarmi che non avrei potuto averlo di più che come un buon amico. Perché?! Perché si tratteneva? Aveva detto che mia madre aveva ragione. Allora perché continuava a fare finta che non fosse così!
Nathan prese il suo cellulare e selezionò qualcosa che poi mi mostrò. Era il selfie.
-È venuta al locale quella sera... -iniziò lui a spiegare. -...in realtà è presente tutte le sere che suono. Il direttore del Microscoppio ha visto il crescente numero di clienti e, come li chiama lui, fans. Dunque ha deciso che ognuno di loro poteva fare foto con noi del gruppo. Mariana l'ha fatta con me.
-Non mi devi delle spiegazioni. -mentii spudoratamente mentre mi si accendevano le guance di un prepotente rosso fuoco.
-Ah no? -sorrise lui compiaciuto.
-E cos'è quella faccia!? Non ci credi?! -esclamai con una voce insolitamente alta, schizzata fuori mentre ero in preda al panico. Ero imbarazzata all'ennesima potenza. C'erano almeno due gradi sotto zero e sentivo la mia fronte riempirsi di goccioline di sudore. Freddo, tra l'altro. Sì, sudavo freddo! Nel contempo un bagliore di luce era apparso nei miei occhi e tentavo di trattenere i miei zigomi che non ne volevano proprio sapere di restare al loro posto! Sentivo che si sollevavano e che gli angoli della mia bocca li seguivano. Non potevo essere così felice. Non dovevo. Il fatto che quel selfie non fosse nulla, non significava che mi avrebbe chiesto di diventare la sua ragazza, no?
-Al funerale sono stato incastrato... Mi faceva pena vederla così e ci sono andato ed è rimasta tutto il tempo incollata a me senza che avessi il coraggio di staccarmela di dosso. Avevo gli occhi di tutti puntati su di me. Ho sentito alcuni definirmi il suo fidanzato! -disse e gli sfuggì spontaneamente una smorfia di disgusto.
Scoppiai a ridere, come se non avessi più freni, il che non era decisamente appropriato visto il luogo. Alcune persone a una decina di metri di distanza ci fissarono con uno sguardo di rimprovero. Mossero le labbra sparlando di me, era percepibile da come scuotevano la testa.
-Andiamo via! -tornai seria ma non meno imbarazzata. Lo tirai per un braccio portandolo all'uscita. Lì ebbi il forte desiderio di abbracciarlo. Quantomeno, non mi sentivo più tradita da lui! Decisi di dar retta al mio istinto e sollevai le braccia andando verso di lui. Mi fermai e le riabbassai, quando vidi arrivare Mariana. Con lei Regina, Sal, e un lungo corteo di familiari, compresa Bianca, la madre novantenne di Regina che trasportavano con una sedia a rotelle.
-Hai visto Karin...? -disse Bianca piangendo a dirotto, seguita subito dagli altri. -Stanno sterminando tutti. Proprio tutti...!
Il corteo passò oltre. Le parole di Bianca mi fecero effetto e non mi accorsi che Mariana era ferma di fronte a me.
-Tu! -disse puntandomi il dito. -E tu...! -indicò Nathan. -Che faccia tosta avete!
Lanciò quelle parole e voltando i tacchi si dileguò.
Restai con un sopracciglio sollevato e l'espressione persa, la stessa che tra l'altro, aveva Nathan.
-Indiano? -fece lui.
-No, cinese.
-Ok. Basta che ce ne andiamo di qui.
La sera Nathan lavorava ma verso le 23 telefonò per darmi una bella notizia. Al pub dove si esibiva, cercavano una ragazza che stesse dietro al bancone a servire drink. Nathan mi aveva raccomandata per quel posto e il direttore del locale aveva detto che mi avrebbe assunta per un periodo di prova. Ero al settimo cielo! Per quanto non avessi mai fatto quel lavoro e quindi fossi alquanto timorosa, sapevo bene che era un'ottima opportunità. Non l'avrei sprecata.
Nathan mi salutò con una raccomandazione: mi disse di chiudermi a chiave e di non aprire a nessuno. Ormai me lo diceva da settimane.
Proprio in quell'istante il campanello suonò facendomi sobbalzare. Di certo avrei voluto dare un riconoscimento a quel genio che aveva inventato lo spioncino.
Difatti vi guardai attraverso per capire chi fosse a quell'ora. Stranamente non c'era nessuno. Guardando meglio in basso mi parve di vedere qualcosa di bianco sul pavimento. Aprii solo per un istante per prendere quello che sembrava un foglietto.
《LASCIA PERDERE NATHAN》
Solo tre parole, che però sapevano di minaccia.
-Stupida Mariana! -esclamai sbuffando. -Stupidi giochetti da immatura qual è!
Scattai una foto alla scritta e la inviai a Nathan scrivendo una breve didascalia di cosa secondo me rappresentasse. Attesi un po' per vedere se l'avesse visualizzata ma evidentemente si stava esibendo. Il telefono intanto si era scaricato e non sapevo perché ma il caricabatterie non ne voleva sapere di uscire. Esausta per la lunga giornata, mi gettai sul letto col telefono che lanciava segnali perché fosse messo sotto carica ma all'ultimo bip, mi addormentai.
Quando la porta suonò erano le 23:46. Forse Nathan era tornato anche se mi sembrava troppo presto. Assonnata scesi scalza dal letto e stupidamente, senza accertarmi che fosse lui, aprii la porta.
Sussultai quando fui aggredita. Non riuscii nemmeno a vedere chi fosse quando mi sentii prendere e girare velocemente. Mettendosi dietro di me, l'individuo mi tappò la bocca spingendomi dentro, chiuse la porta a chiave e tenendomi stretta mi gettò di faccia a terra. Mi premette la testa sul pavimento ghiacciato, salendomi sulla schiena che sentii scricchiolare violentemente. Una lama posata sulla mia guancia. Vidi brillare quel color argento sotto la lampadina della cucina. La voce mi restò soffocata in gola. Una bocca si posò sopra il mio orecchio. Ne sentii il movimento mentre scandiva bene le parole.
"Lascia stare Nathan... o ti uccido...!" sussurrò sottovoce.
Mi vennero i brividi. Soprattutto quando continuò.
"Anzi, sai una cosa? Non mi sei mai piaciuta. Ti uccido e basta, Karin Frisan!"
La lama scivolò lentamente sul mio collo. Percepii un dolore lancinante e nelle orecchie si insinuò lo stesso lieve rumore di un macellaio che sfiletta la carne. La sensazione calda e sgradevole di sangue che colava giù tra il mio viso e il pavimento e impiastricciava i miei capelli.
Non riuscivo a muovermi, non riuscivo a respirare, non riuscivo a stare sveglia...
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