11. Promesse
Promettimi solo ciò che puoi offrire. Poi offrimi più di quello che hai promesso.
(Anonimo)
***
Nathan ed io non parlammo per niente né in ospedale e nemmeno per tutto il tragitto che portava a casa.
Ricordai che gli dovevo delle scuse. Il giorno prima ero scappata via dopo avergli fatto fermare l'auto, trattandolo troppo bruscamente. Lui non poteva sapere che mio padre aveva tentato di uccidermi ed io non avevo nessun diritto di reagire così come avevo fatto, sfogando la mia rabbia su di lui.
Cercai le parole adatte per rompere quel silenzio sordo che pervadeva lo spazio ristretto in cui ci trovavamo. L'auto sfrecciava veloce mentre avrei voluto non arrivare mai a casa. Avrei preferito stare ancora del tempo con lui anche perché immaginavo che quel giorno non avremmo mangiato insieme.
Nathan mi precedette.
-Dunque quello era tuo padre...
-Sì... se così si può definire.
-Stai bene Karin?
-Certo ma non so se ho fatto bene a chiamarlo...
-Hai sicuramente fatto bene.
-Le tue parole mi rassicurano... Anzi... -mi feci coraggio. -...Tu fai sempre tanto per me...
-Io non ho fatto proprio niente.
-E invece sì. -sospirai. -...Ti devo delle scuse. Per come mi sono comportata con te. Tu non potevi conoscere quello che mi era capitato quando avevo solo sei anni quindi... sono stata una stupida ad aggredirti così.
-Già scordato, non preoccuparti.
-Inoltre... scusa per prima...
-Non preoccuparti nemmeno per quello. E poi ti sei già scusata.
Il suo tono era molto distaccato, glaciale. Alternava momenti di calore a momenti di freddezza assoluta. Certamente anche la sua storia passata era stata molto tormentata. Purtroppo finché non avesse deciso di aprirsi spontaneamente, potevo fare ben poco per aiutarlo o almeno per comprenderlo meglio.
Arrivammo al cancello e mentre di sottecchi continuavo a scrutare la sua espressione, notai che repentinamente mutò. Diressi gli occhi dove stava guardando lui e ancora una volta il cortile era pieno di macchine della polizia.
-Un altro assassinio? -chiese lui turbato.
-Oh no... a chi sarà toccato stavolta?
Il nostro paese ormai era diventato meta turistica. Il palazzo Palme era famoso e ne parlavano praticamente tutti i telegiornali, anche all'estero.
Appena conosciuto il nome dell'ennesima vittima, Lela, la povera settantenne vedova che viveva con la figlia e la nipote, io e Nathan facemmo marcia indietro ma non prima di essere interrogati ancora una volta.
Ce ne andammo in un fast-food a mangiare, se così si poteva chiamare quello che stavamo facendo. Ormai lo stomaco era sottosopra e la voragine che avevamo, creava solo un forte senso di nausea, mista al turbamento di sapere che un altro inquilino aveva perso la vita.
-Non trattare così quel panino... -dissi levando la mano di Nathan da quel povero pezzo di pane che non aveva fatto nulla di male.
-Già... ero sovrappensiero...
-Tu hai paura?
-No. -disse stranamente. Ed era sincero. Lo percepivo dalla sicurezza che traspariva.
-Non hai paura?
Scosse la testa.
-Tu mi nascondi qualcosa... -scherzai.
-Può essere.
Tornai seria. Lui poi smise di torturare il panino e mi guardò.
-Il cerchio si stringe. -sbatté le palpebre stringendo la bocca.
-Ecco perché ti ho fatto questa domanda... -continuai perplessa. -Cos'è che mi nascondi? -domandai rigida come non mai.
-Tu mi prendi sempre troppo sul serio. -sorrise lievemente come per prendermi in giro. -Ci facciamo portare un caffè? -cambiò immediatamente discorso.
Mi lasciò come sempre senza parole e con un abisso in testa. Un vuoto che non sapevo come colmare.
Sollevando la tazza che fumava, Nathan se la portò alla bocca. Metà del suo viso venne coperto. Solo i suoi occhi spuntavano e puntualmente erano fissi nei miei. Proprio lì cercavo delle risposte. Se gli avessi chiesto qualcosa sarebbe scappato, lo sapevo bene, com'era capitato quando mi aveva risposto di non avere un passato. Eppure ciò che mi frullava nella testa si ostinava a spingermi a fargli domande, a sapere. Quello che mi premeva ancor più capire, era cosa ci trovasse in una come me. Azzardai.
-Nathan... perché stai con me...
-Perché mi sei simpatica.
Scossi la testa con un sorriso artificiale.
-Dico sul serio.
-Ma anch'io sono serio.
Girai il caffè con il cucchiaino, dopo aver versato una bustina di zucchero di canna.
-Nathan ti prego...!
-Tu perché stai con me? -mi colse alla sprovvista mettendomi in ulteriore imbarazzo.
-Non puoi rispondermi con un'altra domanda...! -replicai.
-Sto con te perché mi trovo bene, perché sei mia amica e mi ci sono affezionato. Ora tocca a te.
-Io... io sto con te per lo stesso motivo. -risposi girando più velocemente il caffè.
-Siamo amici, no?
-Certo. -tentai di non dare a vedere la mia agitazione, fallendo miseramente.
-Guarda che si è sciolto. -mi disse divertito.
-Cosa?
-Lo zucchero. È mezz'ora che mescoli quel caffè. Dovresti berlo.
-Ah sì...
Il giorno dopo quando ci recammo in ospedale, ricevemmo finalmente una buona notizia. La mia cara mamma era migliorata in quei giorni e quella mattina aveva ripreso conoscenza. Era molto debole per questo ci dissero di entrare solo per poco e di non farla stancare.
Desideravo salire su quel letto e stringerla forte ma dovetti trattenere tutta l'euforia che avevo dentro. Nathan era molto contento, non ci credeva quando entrati nella stanza, vide che mia madre aveva gli occhi aperti. Rimase sulla porta mentre io lentamente e tentando di contenere l'emozione mi avvicinai a lei.
-Karin... tesoro mio... -disse con voce flebile.
-Mamma...! Non devi stancarti... altrimenti mi fanno uscire immediatamente... -dissi trattenendo a stento le lacrime che premevano per uscire.
-C'è anche Nat... -spostò gli occhi verso di lui, proprio dietro di me, ancora sull'uscio.
-Sì mamma...
-Lui... è innamorato di te... lo sai vero?
-Mamma... cosa dici? -risi con le lacrime ormai sull'orlo delle ciglia. Guardai Nathan ma meno male, non mi pareva avesse sentito quello che aveva detto mia madre. -Adesso devi pensare solo a rimetterti.
-Karin... io sono orgogliosa di te...
-Ed io di te, mamma.
-Se dovesse succedermi qualcosa so che lui si prenderà cura di te... tesoro.
-Non ti succederà proprio niente. Stai migliorando... questo è incoraggiante, no? Ora esco... tu devi riposare... faccio avvicinare il tuo Nat, così ti saluta.
-Ti voglio bene figlia mia...
-Anch'io mammina...
-Aspetta un attimo...! -disse improvvisamente agitandosi. -Io so chi è stato!
-Mamma adesso calmati, non pensarci, ok?! -suonai immediatamente il campanello che avvertiva un infermiere. Il viso scioccato di mia madre mi fece temere che potesse avere un collasso.
-Io lo so... Oh mio Dio...! È stat...
Il corpo di mia madre prese a scuotersi e sobbalzare in preda a forti convulsioni.
Tempestivamente arrivarono uomini e donne in camice. Ci misero fuori dalla porta. Non capii più nulla e tutto si esaurì in un istante.
...
Mi sono sempre chiesta perché questa musica. Se una persona è triste, perché mettere musica triste? Se uno si trattiene dal piangere, perché farlo piangere...?
-Nat... odio questa musica...
-Ancora un po' di pazienza e finisce.
-Non voglio sentirla...
Grossi nuvoloni carichi di pioggia minacciavano un acquazzone di lì a poco.
Nathan fece sprofondare ancora di più il mio orecchio destro nel suo abbondante giubbotto e con il braccio coprì l'altro attutendo quel suono che presto mi avrebbe fatto esplodere se non fosse cessato.
Questo non mi impedì di sentire le urla disperate che provenivano dietro di noi. Provai a muovere la testa ma Nathan mi strinse ancora più forte.
-Non ti voltare... lascia perdere.
Dalla voce mi fu subito chiaro chi fosse e questo mi mise in agitazione.
-Perché non la smette?! -strinsi forte gli occhi.
-Sta' tranquilla...
L'ansia giunse all'apice quando sentii una frase che mi impedì di trattenermi ancora.
"Perché tu?! Perché proprio tu, Grace...?!"
-Preferivi che ci finissi io là sotto vero?! -urlai liberandomi e avvicinandomi a quel tipo che doveva essere il mio genitore naturale. Erano tutti presenti. Per un attimo mi resi conto che non mancava davvero nessuno al funerale. Tutti i condomini, nessuno escluso, tutti i parenti, anche quelli che abitavano fuori città.
Mio padre zittì all'istante. Il viso sommerso dalle lacrime... l'espressione bloccata così, come se si fosse paralizzato all'improvviso. I singhiozzi lo scossero benché fosse immobile con gli occhi fissi su di me. Sentii che venivo tirata via. Era Nathan. Strattonai il mio braccio mentre la rabbia mi accecava.
-Non eri poi così disperato quando la mamma tentava di chiamarti e non le rispondevi nemmeno! ...E dov'eri mentre lei veniva assassinata?! Dove sei stato in tutti questi anni?!
La cerimonia funebre era volta al termine... mia madre era stata calata sottoterra e gli addetti si apprestavano a chiudere la tomba.
Alcuni iniziarono ad andare via, ci si mise pure la pioggia a rovinare quella giornata che di tetro ne aveva già abbastanza.
Le mie urla continuarono a sovrastare qualsiasi cosa mi circondasse. I rumori nei dintorni venivano letteralmente soppiantati dal mio sfogo che non accennava a diminuire. Sputai addosso a quell'uomo tutto quello che avevo represso per anni senza permettergli di dire una parola.
Nathan dovette prendermi di peso, proprio come un sacco di patate e portarmi via.
Solo giù dalla collinetta dove avevano riposto mia madre mi posò a terra.
Urlai anche contro di lui mentre cercavo di fuggire dalle sue braccia.
-Karin basta...! Smettila!
-Vuoi lasciarmi?! Tu non c'entri in questa storia ed io non ho ancora finito con quello!
Riuscii a divincolarmi ma mi riprese subito, mi premette contro l'albero sotto cui mi aveva portata per ripararci dalla pioggia, e mi tirò uno schiaffo.
Solo in quell'istante smisi di dimenarmi.
-È questo che vorrebbe tua madre?! -mi urlò. -È così che vorrebbe vederti?!
I capelli gli si incollarono alla fronte mentre le gocce non accennavano a diminuire. Eravamo completamente zuppi.
La guancia iniziò a bruciarmi nonostante la pioggia fredda che picchiettava attraverso i rami del cipresso.
Mise la sua mano proprio dove mi aveva tirato lo schiaffo, quasi a lenire il dolore.
-Perdonami... ho dovuto farlo. -mi abbracciò. Faceva freddo. Tremavo dalla testa ai piedi.
-Sono sola adesso... -piagnucolai sconsolata.
-No Karin, non lo sei...
-Tu non mi lascerai, vero...?
-No. Mai. È una promessa. Ma tu promettilo a me...
-Sì. Te lo prometto Nat...
Mi baciò lievemente la testa. Prese poi la mia mano e corremmo via per tornare a casa.
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