6 riflessi


La sveglia mi fa sobbalzare.

«Cheppalle!» borbotto picchiando alla cieca sul cellulare, poi mi volto dall'altra parte e metto la testa sotto al cuscino, lottando contro i capelli. Basta, stavolta me li taglio corti, nessuno riuscirà a convincermi ancora che lunghi stanno meglio.

Nascosta dal mondo, nell'oscurità sotto la stoffa, gioco col pensiero di spegnere la sveglia, riaddormentarmi e mandare tutta la cosa del nuovo lavoro a fanculo. Con quello che mi succede forse farei meglio ad andare da un dottore. Un attimo dopo sono completamente sveglia. C'è silenzio. Mi tiro su a sedere scalciando via le lenzuola e tendo ancora l'orecchio. Niente. Mi dico che non dovrei farlo, che non dovrei assecondare la mia follia, ma è più forte di me. Devo sapere.

«Ehi?» domando con un filo di voce «Ehi, ci sei? Mi senti?» Trattengo il fiato in attesa della risposta di lui. Il tempo si dilata nel silenzio, lascio andare il respiro, ma resto ancora in attesa. Non mi fido, non voglio ancora credere che lui sia semplicemente scomparso, ma è una bella sensazione essere nuovamente sola nella mia testa.

La sveglia riattacca a suonare facendomi venire un accidente. La  percuoto vendicativa poi mi alzo. Mi preparo. Addento la colazione ed esco.

Il nuovo posto di lavoro non è vicino, ma per fortuna l'autobus che mi ci porta passa proprio sotto casa. Mentre l'aspetto guardo i messaggi che ancora aspettano risposta. Simo mi ha mandato un messaggio ieri sera, all'una di notte mentre ero fuori servizio per i sonniferi, per sapere se domani voglio uscire con lui. Dopo il punto di domanda ha aggiunto l'emoticon della melanzana e un occhiolino. Si può essere così cretini?! Non so se mi fa ridere o se merita che non gli risponda nemmeno. Per ora sospendo il giudizio. Rispondo a Becca e anche a Diana: entrambe mi hanno scritto ieri sera. Becca dopo il primo mi ha mandato altri otto messaggi, per sapere come mai non le rispondevo. Entrambe volevano sapere i dettagli su me e Simo: com'è andata, come è stato, se ci sarà un seguito. Rispondo alle loro domande, ma soprassiedo sul motivo per cui non ho risposto subito a Becca. La spiegazione sarebbe troppo difficile. Il pensiero di lui mi fa fare una pausa per controllare di essere ancora sola. Con un certo sollievo, di nuovo, non ho nessuna risposta. Forse è stato solo un episodio. Un accumulo di stress o qualcosa del genere. Ilari mi urlerebbe contro se sapesse che sto provando a liquidare così la cosa dopo quello che abbiamo passato con mamma. Ma lei non è qui. Improvvisa, la rabbia mi fa tremare le mani e le lacrime mi appannano gli occhi. Che stupida che sono a starci ancora male! I messaggi di Sergio ancora lì da leggere mi ricordano che la colpa è tutta sua. Li apro in modo che lui veda che li ho letti e caccio il cellulare in tasca. Non intendo rispondergli. Che gran bastardo!

L'autobus arriva da dietro la curva. Salgo e mi butto su uno dei sedili. Dopo Ilari arriva il pensiero di Viola. Era un pezzo che riuscivo a non pensare più a lei e poi all'improvviso ieri, in doccia, è saltata fuori dal nulla. Mi domando cosa faccia adesso, come stia e siccome non voglio farmi altre domande né immaginare le risposte, metto le cuffie e alzo il volume.


Quando arrivo al bar trovo un ragazzo alto e secco ad aspettarmi. Si presenta, si chiama Gaetano e starà con me tutto il turno per insegnarmi quello che c'è da sapere. Pensavo che avrei trovato Anatoliy ad aspettarmi, il tizio russo amico di Sergio che mi ha assunta, ma così va molto meglio, non mi è piaciuto il modo in cui mi guardava mentre mi faceva il colloquio.

Gaetano è simpatico con la sua parlata napoletana e il suo modo rilassato di prendere il lavoro. Mi fa ridere, ma quando si tratta di passare ai fatti è molto serio come insegnante. Le ore di lavoro scorrono in un attimo e sono talmente impegnata che riesco a non pensare ad altro.

Esco che è metà pomeriggio, domani farò il turno pomeridiano e quindi finirò alle nove. Mi incammino verso la fermata dell'autobus mentre scrivo a Simo. Ho deciso che – melanzana a parte – ho voglia di vedermi di nuovo con lui.

"Domani va bene, però esco da lavoro alle nove" gli scrivo.

Lui legge subito e risponde "Va bene. Ti passo a prendere lì" passa un attimo e poi mi manda un altro messaggio "Però non so dove lavori..."

Gli scrivo l'indirizzo e poi scrivo ancora "Sai già dove mi porti?"

"Casa mia?" scrive lui. Dritto al punto, ma mi sta bene. Anche io ne ho voglia.

"Un po' banale, ma va bene" aggiungo un occhiolino e poi dei cuori.

Lui mi manda un occhiolino, due melanzane, dei baci e un cuore. Scuoto la testa divertita. Non è uno che ci gira troppo attorno.

Metto il cellulare in tasca mentre la mia attenzione viene catturata dalla vetrina di un negozietto di chincaglierie. Ha della bigiotteria carinissima. La scorro con lo sguardo fino a quando non trovo degli orecchini a forma di scimmietta che sono la fine del mondo. Mi sposto perché per via dei riflessi non riesco a vedere il prezzo, ma invece di migliorare il vetro mi manda più nitida l'immagine del marciapiede dietro di me. C'è un uomo alle mie spalle. Dal riflesso mi sorride con una bocca piena di denti gialli. Mi fa una paura dannata perché non l'ho sentito avvicinarsi così mi sposto per non avercelo più dietro, ma il marciapiede è vuoto. Non c'è nessuno. Quasi mi scappa un urlo mentre arretro e sbatto contro la vetrina. Anche a destra e a sinistra la strada è deserta. Mi stacco dal vetro e nel riflesso vedo solo il marciapiede vuoto. Ma so di averlo visto. Era proprio lì un attimo fa e adesso ho un terrore folle di vederlo comparire di nuovo. Distolgo lo sguardo e col cuore in gola me ne vado.


Il segnale di libero va avanti un'eternità, mi aggrappo al cellulare pregando che Becca risponda fino a quando non scatta la voce registrata. Mi sembra di morire, in piedi nell'autobus affollato con le gambe che mi tremano. Prima sento le voci e ora vedo cose che non esistono. A casa a quest'ora non c'è nessuno. Do di matto se resto sola.

Un attimo dopo il cellulare vibra facendomi sobbalzare.

«Genni!» la voce di Becca è sorpresa, non la chiamo così spesso ultimamente. «Scusa, non ho sentito la chiamata. Che succede?»

«Niente» sto solo impazzendo «Ho solo finito di lavorare e mi domandavo se ti andava un aperitivo al solito posto.» Ti prego, ti prego, di' di sì.

«Che succede? Hai la voce strana.» Becca mi conosce bene.

«Niente. Tutto come al solito» mento penosamente. «Sono sull'autobus, sarà per quello che mi senti strana.»

«Va bene» accetta la mia bugia anche se non mi ha creduto. «Ci sono tra una mezz'ora.»

Ci salutiamo. Riattacco e metto la musica. Alzo il volume fino a quando non sento nient'altro.

Mezz'ora più tardi la vedo arrivare. Ha l'aria preoccupata e deve vedere che non sto bene perché non fa nemmeno finta di avermi creduto, prima al telefono.

«Sergio?» domanda semplicemente. È stata lei a raccogliere i pezzi quando la mia vita è andata a puttane, quando il mondo ha smesso di girare, è caduto e mi ha schiacciata. Quella semplice domanda racchiude una buona porzione dei drammi degli ultimi tre anni della mia vita e io annuisco anche se non è vero. Non voglio parlare di voci che solo io sento o di persone che vedo nei riflessi di un vetro. Il solo pensiero mi fa rabbrividire. Voglio solo stare in compagnia. Sfogarmi su quel bastardo va bene per nascondere il vero motivo del mio malessere.

Ci sediamo al nostro tavolino dopo aver preso da bere. Becca il suo solito Bellini, io uno Spritz.

«Che ha fatto stavolta?» domanda Becca.

Io inizio a parlare. Posso parlare male di Sergio per giorni se serve, un fiume di rabbia che in questo momento nasconde la paura che provo.

Becca mi lascia sfogare fino a quando serve, fino a quando riesco a calmarmi un po'. Nel nostro vecchio locale, seduta con Becca, circondata da così tanta solida realtà, inizio a sentirmi meglio.

«Visto che ci siamo perché non mi racconti dal vivo come è andato il weekend?» Becca è anche una tremenda impicciona. Sempre stata.

Faccio un po' la preziosa facendo smaniare Becca. È un classico della nostra amicizia. Entrambe sappiamo che alla fine tutte le curiosità di Becca saranno soddisfatte. Lei sa tutto di me e io di lei.


Rientro a casa alle nove passate. Nina mi guarda passare e anche se non domanda niente mi sento in dovere di spiegare come mai ho fatto così tardi.

«Sono stata a fare l'aperitivo con Becca» le dico. Lo so che non ho nessun obbligo di avvertirla se torno dopo cena, siamo coinquiline dopotutto, ma non è da me rientrare tardi senza almeno un messaggio per avvisare. Sono vecchie abitudini tra di noi. Appena trasferita, se non rientravo per cena Nina scriveva subito a Becca e lei mi veniva a cercare.

«Mangi qualcosa?» Anche lei cade nelle vecchie dinamiche. Avevo perso quasi dieci chili quando sono arrivata qui, mi si contavano le costole. Praticamente non mangiavo se qualcuno non mi forzava un po' la mano.

Storco il naso, ma poi annuisco. «Facciamo due spaghetti?» Inutile dire che i dieci chili li ho ripresi tutti.

Nina mette l'acqua sul fuoco mentre io mi cambio. Quando torno in cucina gli spaghetti sono già in pentola. Dado stasera ha il calcetto con gli amici così siamo solo noi ragazze. Nina mi chiede del lavoro mentre apparecchio. Le racconto, parliamo un po'. Nina è diventata una buona amica in quest'anno che viviamo assieme, pensare che ci conoscevamo appena quando Becca ci ha messe in contatto per la camera in subaffitto nell'appartamento.

Dopo le chiacchiere e un po' di televisione si sono fatte le due, Dado è tornato ed è già andato a letto, e anche Nina si alza per andare a dormire. L'idea di restare sola mi preoccupa per non dire che mi terrorizza così le rubo un'altra po' di compagnia con alcune domande che avrei potuto benissimo farle in un qualsiasi altro momento. Nina per un po' mi dà corda, ma alla fine devo arrendermi e darle la buonanotte.

Attraverso il corridoio, concentrandomi sui rumori attutiti provenienti dalla camera di Nina, sul ronzio del frigorifero e sul basso russare di Dado. Sono suoni familiari e mi fanno compagnia. Svoltare l'angolo del corridoio ed entrare nel silenzio di camera mia mi mette a disagio. Non chiudo la porta, la lascio socchiusa. Ho paura di sentire da un momento all'altro la voce di lui. Tiro le tende senza guardare la finestra per non vedere cose nei vetri, evito anche di guardarmi allo specchio. Mi stendo sul letto, giocherellando nervosa col blister dei sonniferi, indecisa se prenderne uno anche stasera o meno. So che non devo esagerare, ma d'altro canto non credo di riuscire ad addormentarmi. A quanto pare mi sbaglio perché poco dopo scivolo nel sonno e purtroppo lo scopro solo quando mi ritrovo nell'incubo.



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