25
Non sono morta il 19 settembre 2022. Ho avuto un'emorragia cerebrale causata da un piccolo meningioma benigno. Durante l'operazione ci sono state alcune complicazioni, ho rischiato grosso, sono finita in coma, ma dopo quattro giorni mi sono svegliata.
Ho fatto un minimo di riabilitazione, ma mi sono ripresa in fretta. Sembra che il fatto che fossi già in ospedale mi abbia salvata dal riportare deficit permanenti, se non dalla morte. Se fossi stata a casa o ancora in giro in cerca di lavoro, non me la sarei cavata così bene.
Al mio risveglio ero molto confusa, non mi ricordo molto, ma sembra che la prima cosa che io abbia chiesto è dove fosse Leo. Becca non si è preoccupata, per lo meno non troppo, sapeva di Leo perché gliene avevo già parlato. Il problema è venuto fuori quando la stessa domanda l'ho posta a Ilari. Mia sorella è un bulldozer quando si tratta di estorcere confessioni e spremere le persone come limoni. Con me non ci sono stati grossi problemi, a quanto pare sono stata più che disponibile a parlarle di Leo, ma Ilari non si è accontentata di interrogare me. Ha torchiato Becca e anche Viola su tutte le mie "stranezze" degli ultimi tempi e si è composta un suo quadro molto preoccupante del mio stato di salute mentale.
Il risultato è che ora sono seguita da una terapista da cui vado una volta la settimana per parlare di me, della mia vita e per assicurare che no, non credo possibile che un uomo morto abbia vissuto nella mia testa e che mi abbia salvata da un mostro dai denti gialli.
Perché mi sono piegata al volere di Ilari a proposito del terapista? All'inizio non avevo abbastanza forze per oppormi al suo insistere, ma col passare delle settimane, il fatto che io abbia accettato questa cosa ha portato tra me e mia sorella una sorta di tregua. Non posso dire che abbiamo fatto pace, lei non approva ancora quasi nessuna delle mie scelte, ritiene ancora che sbagli a partire così presto, ma ha deciso di rispettare la storia tra me e Viola e ha litigato con Sergio perché aveva provato a intromettersi di nuovo. Ha preso le mie parti e questo è un buon motivo per provare a ricucire il nostro rapporto.
Ma tornando a Leo: credo di essere viva per merito suo e a dispetto di quello che racconto all'analista io so che è stato tutto reale. Come non dubito che se lui non avesse fatto quello che ha fatto oggi sarei prigioniera di Dentigialli.
Becca, pochi giorni fa, ha tirato fuori una teoria tutta sua secondo la quale Leo era il mio tumore o un'allucinazione indotta da esso, ma a parte essere una spiegazione plausibile solo per un pessimo romanzo, io l'ho trovato anche un po' offensivo nei confronti di Leo. A Becca non ho detto niente, lei fa del suo meglio per credermi e, al tempo stesso, cercare di razionalizzare una cosa che di logico non ha niente, ma ridurre Leo, il suo animo buono, tutto il suo essere e tutto quello che ha fatto a un'allucinazione data da un "bozzo" nel mio cervello, mi sembra davvero troppo.
Leo è arrivato da me quando il meningioma ha iniziato a occludere il piccolo vaso sanguigno che poi rompendosi ha portato all'emorragia. Lui è stato attratto dal mio avvicinarmi alla morte e forse sì –come mi ha voluto rivelare Dentigialli – la sua presenza ne ha accelerato il decorso, consumando parte delle mie forze. "Mai visto un meningioma con un decorso così veloce" mi ha detto il neurologo che mi ha seguita, ma volendo vedere il tutto da una prospettiva più ampia, se tutta la follia portata nella mia vita da Leo non mi avesse portata all'ospedale io oggi sarei morta o vegetale in un letto.
«Che ci fai ancora a letto?» Viola entra in camera e tira le tende strappandomi al mio divagare. La luce del mattino mi infastidisce, mi fa brontolare e ritrarre sotto le lenzuola. Viola si siede accanto a me, nascosta e infagottata nel mio bozzolo di ombra.
«Sono quasi le dieci dormigliona, le tue valige sono ancora tutte da fare e alle quattro dovremo essere in aeroporto.»
«Chiudi le tende» mugugno opponendomi al suo tentativo di scoprirmi. «Altri cinque minuti, per favore!»
«Non le farò io le tue valige» mi minaccia con dolcezza Viola. «E non provare a dirmi di nuovo che stavi per morire e che sei debole perché non mi farò impietosire ancora.»
«Sono debole. Stanca. Ho la pressione a terra.» Faccio la scena e Viola, per tutta risposta, mi sculaccia.
«In piedi, lagna!»
«No!» mi oppongo ancora, ma rido quando lei mi tira via le lenzuola di dosso, e mi godo le attenzioni della mia ragazza.
Sì, le cose tra noi stanno andando proprio bene. Dopo averglielo scritto dall'ospedale, poco prima di crollare nel corridoio, gliel'ho detto e lei lo ha detto a me. Ti amo.
Tra poche ore molliamo tutto e andiamo via, in Irlanda, come avevamo detto. Ci staremo solo pochi giorni, una piccola vacanza, non un trasloco in piena regola come fantasticavamo, ma sono comunque entusiasta. È la nostra prima vacanza di coppia.
Subito dopo pranzo esco di casa. Prima di uscire Viola mi fa promettere almeno tre volte che non farò tardi. Le ho detto che vado a trovare Dado e Nina perché non li vedo da quando sono venuti a trovarmi in ospedale. È vero, ma solo in parte. Ho una seconda fermata in programma e di questa non le ho detto niente. Non mi piace avere dei segreti con lei, Viola mi conosce come nessun altro, meglio anche di Becca a cui racconto tutto, ma Leo per lei è parte di un mondo che non comprende e che le fa una gran paura. Abbiamo provato a parlarne, ha provato a capire, ma non riesce a vedere le cose come le vedo io. Non gliene faccio una colpa, raccontata a voce alta non smette di sembrare una totale follia neanche a me che l'ho vissuta. Per questo abbiamo smesso di parlarne e se l'argomento torna fuori fingo che tutta la cosa sia un ricordo passato che possa essere sepolto e dimenticato. Per questo non le ho detto niente della seconda fermata.
Il cielo è terso, ma fa freddo. L'estate è finita, ha lasciato il posto all'autunno e ora si avvicina l'inverno. Mi tiro giù il cappello mi stringo nel cappotto e infilo le mani in tasca per difendermi dal freddo, ma anche per sentire se la busta di carta è al suo posto. La mia seconda fermata è niente più che la consegna di questa busta, a pochi portoni di distanza dal mio vecchio appartamento.
Suono il campanello, non ho più le chiavi. Mi apre Nina, mi abbraccia, mi fa entrare e io tolgo il cappello. Lei strilla per la sorpresa quando vede che mi sono tagliata i capelli. Adesso li ho corti, quasi rasati su nuca e tempie, lunghi un palmo e spettinati sulla testa. Quando l'ho fatto è stato solo perché non sopportavo più di doverli pettinare a nascondere la chiazza rasata lasciata dall'operazione, ma a Viola sono piaciuti tanto e ora piacciono anche a me. Sotto i capelli la cicatrice non si vede quasi più, ma quando sono pensierosa o stanca ne accarezzo spesso i contorni, percorrendoli con le dita.
Dado mi abbraccia, mi guarda e dice che sono da paura. Io lo guardo storto, fingo di non capire che è un complimento. Lui non abbocca e ridiamo tutti. Li abbraccio di nuovo, a entrambi stampo più baci sulle guance. Mi sono mancati.
Dado fa il caffè per sé, io e Nina ci prendiamo una tisana di bacche di goji – chissà cosa avrebbe detto Leo delle bacche di goji – Nina mette della stevia, io ripiego sullo zucchero di canna. Mai avuto simpatia per la stevia e dopo l'ospedale ne ho ancora meno. Parliamo del passato e del futuro, chiacchiere leggere, e ridiamo ancora un po'.
Quando li saluto, Nina mi chiede un ricordo dall'Irlanda, Dado invece non dice molto: ha gli occhi lucidi, il tenerone. Li abbraccio di nuovo, dimostrando un affetto che non sono solita mostrare. Accidenti! Leo mi ha cambiata anche in questo.
Esco dal palazzo infagottata bene nel cappotto e mi incammino verso un altro portone. Suono agli inquilini del terzo piano, mi risponde una voce con un marcato accento straniero.
«Devo lasciare una lettera alla proprietaria» dico nel citofono.
In risposta ricevo un grufolio di parole incomprensibili e fruscii.
Alzo il tono della voce. «Posta!» Il portone scatta e si apre.
Entro nell'androne e vado alle cassette della posta. Estraggo la busta lievemente sgualcita dalla tasca. Sul retro ho scritto il nome del destinatario: Corinna Mugnaini, e sotto l'indirizzo al quale mi trovo. Non conosco l'attuale residenza di Corinna e non mi sono data la pena di cercarla. Il mittente non l'ho scritto, ma non perché mi vergogni di quello che ho scritto – dopotutto è solo la verità –, solo non voglio che lei provi a cercarmi. Tutto quello che volevo sapesse da me l'ho scritto. La lunga lettera al suo interno l'ho firmata solo col mio nome, niente cognome, e con le iniziali di Leo. L.L.
Stringo la lettera tra le mani guardando la cassetta della posta. Ho iniziato a scrivere la lettera appena tornata dall'ospedale, nei ritagli di tempo, da sola in casa o con Viola vicina a me; ogni volta che avevo tempo e voglia.
Il testo della lettera inizia riportando tutto quello che è successo la notte dell'omicidio dell'amante di Corinna, momento per momento, come l'ha vissuto Leo e come me l'ha raccontato. Nessuna divagazione, nessun giudizio, solo lo svolgersi dei fatti. Ho aggiunto di mio pugno solo poche parole su cosa Leo ha provato nel raccontare quella notte, dopo così tanti anni. Certo ha raccontato della gelosia provata, della sua rabbia per il tradimento, lo sgomento per la violenza e l'orrore per l'omicidio, ma tutte quelle emozioni sono rimaste nel ricordo. Mentre mi raccontava di quella notte nella sua voce restava solo la tristezza per la fine della loro storia.
Ho scritto tutto questo perché cosa è successo esattamente quella notte potevano saperlo solo lei e Leo. L'ho fatto perché vorrei che credesse a tutto il resto.
La lettera prosegue raccontando il giorno della morte di Leo, così come l'ha vissuto lui e come ricordo di averlo vissuto anche io. Dopodiché racconta anche tutto il resto. Come Leo si sia risvegliato dopo la morte, come sia morto ancora e ancora, fino a incontrare me. Cosa abbiamo dovuto affrontare, cosa lui ha fatto per me: il suo sacrificio.
Non so se Corinna provi ancora qualcosa per Leo; se il loro amore era finito o se aveva subito solo una brutta battuta d'arresto. Non so come si senta quando il ricordo di loro due le torna alla memoria, né quanto o se ogni tanto pensi a lui. Non lo so e non mi interessa. Voglio solo che sappia quello che è successo. Vorrei anche che ci credesse o almeno che le restasse il dubbio che, per quanto incredibile, potrebbe essere la verità.
Imbuco la lettera e faccio un passo indietro. Questa è fatta. Apro il portone e guardo il vano scale. Non tornerò mai più qui.
***
«Il volo è andato bene?»
«Tutto bene. Dublino è magnifica. Piove adesso, ma quando siamo arrivate non c'era nemmeno una nuvola.»
«Sì, bello. Ti è venuto mal di testa? Nausea? Capogiri?»
«Ilari sto bene!» il mio tono è un po' esasperato, ma in realtà non mi dà fastidio sentirla così apprensiva. Una cosa tra noi che è cambiata dopo l'ospedale.
«Hai mangiato?»
«Sì, in un pub vicino all'albergo. Niente schifezze e quasi zero alcool, prima che tu chieda.»
«Quasi?»
«Ilari, ti prego. Faccio la brava, ma tu smetti!»
All'altro capo della linea sento mia sorella sospirare. Una pausa poi cambia tono.
«Ti stai divertendo? Dublino è bella. A Viola piace?»
Sorrido. «Sì, le piace.» Mi stendo sul letto, ancora avvolta nell'accappatoio dopo la doccia, e le racconto qualcosa della nostra prima serata dublinese. Mentre parlo e rispondo alle sue domande, mi godo la bella sensazione che mi ha dato sentirle chiedere di Viola. L'idea che Ilari, un giorno, possa non solo accettare, ma essere felice per la nostra storia è solo una speranza, ma le riconosco che ci sta provando e questa è una novità a cui potrei abituarmi.
Il suono della porta del bagno che si apre, mi fa voltare la testa.
«Ok. Ci sentiamo tra qualche giorno» chiudo la conversazione con Ilari. La saluto e riattacco.
Viola è appena uscita dal bagno. Si è infilata nel pigiamone verde mela con i gattini che le ho regalato due settimane fa.
«Sei proprio carina» le dico. Viola si mette in posa per me, per farmi vedere come le sta e quindi si avvicina a me con incedere sensuale. Non so se l'intento è fare la buffa, ma mi fa un certo effetto vederla muoversi in quel modo. Lei se ne accorge e mi sorride maliziosa.
Il cellulare sul comodino segna le tre e dodici. Ho dormito due ore e mezzo e ora sono perfettamente sveglia. Non capita più così spesso, ma mi succede ancora di soffrire d'insonnia. Mi sciolgo dall'abbraccio di Viola e scivolo fuori dalle coperte. La camera è completamente al buio, ma la luce rossa del minibar delinea i contorni del letto e dalle tende tirate sulla finestra e dalla porta socchiusa del bagno proviene un tenue chiarore. A terra, sulla moquette c'è il mio accappatoio, ma è ancora umido quindi opto per avventurarmi nuda attraverso la stanza. Entro in bagno, chiudo la porta e rabbrividendo mi metto a cercare i miei sonniferi nel beauty.
Improvviso un suono lontano di musica mi fa voltare. Guardo verso la finestra per capire se è aperta, se è da lì che viene la musica squillante di una giostra. Ma so già che non è così. La porta alle mie spalle si apre e la musica invade il bagno assieme a un girare di luci multicolori.
«Non dovresti prendere quella robaccia, signorina» dice la sua voce con tono beffardo. «Poi fai gli incubi.»
Come paralizzata, lo guardo appoggiato contro lo stipite, in posa. Indossa un trench di un improbabile azzurro carico, pantaloni dello stesso colore e una camicia grigio fumo su cui spicca una lucida cravatta argento. Sembra un bel po' più giovane dell'ultima volta, ma non ci sono dubbi sulla sua identità.
Non riesco a crederci, non faccio nemmeno caso al fatto che sono nuda mentre mi lancio contro di lui. Le sue braccia mi avvolgono, mi stringono e io piango e rido. «Che cretino che sei!» lo rimbrotto e gli mollo un pugno nelle costole, ma dopo lo abbraccio più stretto.
Quando mi lascia, indosso un vistoso abitino color limone e anfibi dello stesso colore. Leo si sposta dalla porta e mi mostra il luna park alle sue spalle, offrendomi la mano. Faccio per prenderla, ma poi esito e guardo il bagno alle mie spalle. Nello specchio sono sola e ancora nuda. Il beauty è caduto nel lavandino e scatole e blister si sono rovesciati fuori.
«Aspetta» dico, colta dal dubbio. «Che vuol dire tutto questo?»
«No, non stai per morire. Non sono nella tua testa per restare» mi sorride Leo e io accetto la sua mano. Varchiamo la porta.
È sempre il crepuscolo, ma il luna park di Leo è più luminoso dell'ultima volta.
«Ti sei allargato un bel po'» dico guardandomi attorno. C'è un gran viavai di persone che si divertono e camminano tra le attrazioni e i tendoni. Sono molto più numerosi di quello che ricordavo.
«Sì, be', ho aggiunto qualcosa qua e qualcosa là, visto che c'ero.» Leo minimizza, ma lo vedo com'è orgoglioso del suo luna park.
Camminiamo un po' e io mi guardo intorno mentre cerco di mettere in ordine le idee. Pensavo fosse scomparso per sempre. Avevo capito che farci separare da Dentigialli lo avrebbe fatto sparire, e anche lui ne era convinto, anche se non me l'aveva voluto dire.
«Sembra che il tuo piano non abbia fatto così schifo, alla fine» dico guardandolo. Sono così felice di vederlo che sorrido e piango allo stesso tempo.
Lui scrolla le spalle. «Quando ha usato l'elettroshock su di me per strapparmi il tuo nome, pensavo che fosse solo un modo per torturarmi. Credevo che sapere il tuo nome gli bastasse per catturarti, invece sono stato io a farlo. Dicendo il tuo nome mentre lui mi friggeva, sono stato io a trascinarti nel suo manicomio.» Leo mi guarda, come per chiedermi scusa poi riprende a parlare. «Non l'ho capito fino a quando non ha fatto lo stesso con te, ma per separarci. Forse dopo avrebbe usato ancora l'elettroshock per costringerti a legarti con lui.»
«E quindi hai capito che friggerlo con il generatore del luna park lo avrebbe costretto a lasciarmi andare.»
«Più o meno» dice Leo. «Io in realtà pensavo che con tutta quella corrente l'avrei ucciso e che questo avrebbe distrutto il manicomio e tutti i suoi ospiti, compreso me.»
«Menomale che non è andata così.» Lo dico mentre le parole appena pronunciate da Leo mi suggeriscono qualcosa che mi fa paura.
«E quindi adesso tu e Viola state insieme e ve ne andate a giro per il mondo?» mi domanda Leo mentre prende per me un bastoncino coperto di zucchero filato.
Rifiuto la sua offerta scuotendo la testa. «Sì, e la notizia più incredibile è che Ilari, anche se a fatica, sembra accettarlo.»
«Di tutto quello che è successo questa è la cosa più incredibile» dice Leo, ride e stacca un morso di zucchero filato, ma poi si accorge che io sorrido a malapena.
«Che succede Genni?»
«Poco fa hai detto "pensavo che l'avrei ucciso". Significa che lui non è...»
«No, non è morto, ma non può più farti niente» dice Leo.
Io annuisco, ma la paura non mi abbandona. Altre domande si affollano nella mia testa, ma farle significherebbe avere una risposta e non sono certa di voler sapere.
«Facciamo un giro?» propongo tentando un sorriso e indico la ruota del "se" che svetta sopra tutte le altre giostre. Se Leo è ancora qui... se non è più nella mia testa... se il lunapark è il suo posto come il manicomio lo era di Dentigialli...
«Mi piacerebbe molto» annuisce Leo.
Mi prende di nuovo per mano e io gliela stringo forte. Se Dentigialli non è stato distrutto, ma esiste ancora...
Mentre ci muoviamo tra la folla vedo Silenzio che sta svuotando i cestini dell'immondizia. Se Silenzio ora lavora per Leo...
Volto lo sguardo dall'altra parte per non finire quel pensiero. Oltrepassiamo la fila e ci andiamo a sedere su uno dei sedili della ruota. «Essere il titolare della baracca ha i suoi vantaggi» si vanta Leo, ma non suona spiritoso come vorrebbe essere. Anche lui non sembra più tanto in vena di scherzare.
La ruota si muove, ci porta verso l'alto, sotto un cielo che ora è pieno di stelle. Io mi aggrappo alla mano di Leo e non riesco più a trattenere le lacrime. Ho paura.
Se Leo è stato capace di venirmi a prendere... La musica allegra del luna park si fa sempre più distante mentre saliamo. La sua allegria suona falsa e stonata come un carillon rotto.
«Sono felice che tu stia bene» mi dice Leo quando siamo quasi nel punto più alto. «Non sai quanto» aggiunge. Ha gli occhi lucidi mentre lo dice.
«Leo, tu...» non riesco ad andare avanti.
«Sto provando a risolvere» dice Leo e per farmi stare tranquilla mi sorride.
E il suo sorriso si allarga. Sempre di più.
Incapace di guardarlo oltre, lo abbraccio, lo tengo stretto e scoppio a piangere. Se la scossa non ha distrutto Dentigialli, se il luna park è ancora qui, se Leo ora può venire da me è come se...
«Quando sei scomparsa non sono più riuscito a togliere corrente» dice Leo con un filo di voce. «Lui ha continuato a dibattersi fino a quando il luna park non è rimasto al buio. Tutto si è fatto nero. Pensavo fosse la fine, ero pronto, ma così non è stato. La luce è tornata, Dentigialli non c'era più, ma allo stesso tempo c'era ancora.»
«Tu e lui...» dico colma d'orrore anche se lo avevo già capito.
«La scossa non ci ha distrutti. Ha quasi ucciso lui, ma qualcosa è rimasto e si è unito a me.» Leo fa una pausa. «Ora sono io Dentigialli.»
«Ti aiuterò. Lo sconfiggeremo assieme. Di nuovo» lo dico di getto e, sconvolta, mi rendo conto di essere pronta a farlo. Qualunque cosa comporti. Non lascerò Leo da solo.
«No» dice invece lui, dolce e triste. «Questo è un addio Genni. Volevo solo assicurarmi che stessi bene.»
«No!» protesto io, ma lo dico a me stessa, riflessa nello specchio del bagno.
Leo ha deciso per me.
«No» dico più determinata anche se le lacrime mi appannano la vista.
Mi volto verso la porta del bagno. Una crepa rompe la superficie. Apro la porta. La musica delle giostre mi accoglie come una fanfara. Entro.
La porta si chiude alle mie spalle.
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