24
Non so cosa Leo ci trovi da ridere in questa situazione, ma è contagioso. Scuoto la testa e rido anch'io guardando la traballante giostra che gira lenta sopra di noi. L'aria frizzante della sera profuma di pop corn e la musica delle varie attrazioni crea una sorta di dissonante concerto gioioso.
«Così è questo il tuo luna park?» domando e sollevo la testa per guardarmi attorno.
«Sì, è questo e sopra di noi c'è il pezzo forte, la ruota del "se".»
«E perché hai scelto proprio un luna park, tra tutti i posti che potevi immaginare?»
Leo si tira su a sedere, guarda il suo posto poi torna a voltarsi verso di me. «Sai che non lo so?» mi dice un po' sorpreso.
«A me i luna park mettono sempre addosso una certa malinconia.»
Leo si mette in piedi e mi porge la mano per aiutarmi ad alzarmi. «Tu quale sceglieresti come tuo luogo?»
Accetto la sua mano. Mi piace come stringe la mia. «Non lo so proprio. Una bella casa? Un prato tra gli alberi?»
«Niente di più particolare? Nessuna fantasia?»
«Non credo di avere molta fantasia» scuoto la testa poi un'immagine nitida come una foto mi passa davanti agli occhi. «Una piccola fattoria irlandese con la porta rossa» dico, quasi vergognandomi. Ne avevamo parlato con Viola quando ci eravamo messe assieme. Fantasticavamo di abbandonare tutto e trasferirci in una piccola casa isolata in Irlanda.
«Una porta rossa. Molto specifico» sorride Leo.
Ma il pensiero di Viola mi ha tolto ogni voglia di sorridere.
«Quanto tempo credi che abbiamo prima che lui arrivi?» domando. L'imminenza di quello che sta per accadere è tornata a gravarmi sulle spalle, quasi insostenibile.
«Non molto, temo.»
«Hai avuto qualche altra idea o il piano è sempre lo stesso?»
«Sempre lo stesso» dice atono Leo.
«Credi che funzionerà?»
«Funzionerà.»
«Il posto?»
«Là» indica Leo. Anche lui non ha più voglia di ridere.
Intrappoleremo Dentigialli, Leo scomparirà per sempre e io, molto probabilmente, morirò.
Fa proprio schifo come piano.
Guardo Leo. Ci sono tante, troppe cose che non gli ho detto, ma una deve saperla. «Leo, voglio che tu sappia che non penso sia colpa tua. Lo so che ti senti responsabile, e sai che lui mi ha detto che è per causa tua che sono condannata, ma non è così.»
«Be', grazie Genni, ma sappiamo entrambi che, colpa o non colpa, è il mio arrivo che ti ha portata a tutto questo.»
«Lui mi ha portata a tutto questo. Lui vuole prendermi per farmi chissà cosa, mentre tu vuoi solo proteggermi. Qualunque sia il motivo del tuo ritorno a Firenze, qualunque sia il motivo per cui ti sei trovato nel mio corpo, a me non importa.»
Leo è sorpreso. «L'ho pensato il giorno del tatuaggio di Becca. Mi avevi sentito...»
«No, non ti ho sentito. Una mattina, svegliandomi, tutti i tuoi dubbi erano nei miei ricordi. Mi sono rimasti nella testa da quando lui ti ha preso nella pineta. Ho tanti, tanti ricordi e pensieri che sono tuoi, da allora.» Cerco di sorridere anche se mi viene da piangere. «Per colpa tua adesso mi piacciono anche i Queen.»
Leo sorride anche se ha gli occhi lucidi. «Una cosa buona, almeno, te l'ho lasciata.»
Io mi asciugo le lacrime. Non voglio scoppiare a piangere. «Già, che seccatura.»
Leo mi stringe più forte la mano. Non l'ha più lasciata andare da quando ci siamo alzati. Io tento di tenere ferma la voce. «So solo che avrei voluto più tempo per conoscerti. Sei una bella persona, Leo.»
Lui scrolla le spalle, non riesce a dire niente. Restiamo in silenzio.
Quando la porta della biglietteria si spalanca sbattendo, sussulto nonostante fossimo pronti. Dentigialli esce e i suoi occhi si inchiodano su di noi. Non porta la divisa da bigliettaio, solo un completo marrone sgualcito, ma è la sua faccia che proprio non va. Gli occhi azzurri, sgranati al limite su occhiaie violacee, la bocca enorme, il labbro inferiore cadente a mostrare le gengive rosse. I capelli giallo paglia gli pendono flosci sulla fronte.
«Basta con questi giochini, signorina Genni» sputa quasi le parole e gocce e fili di saliva gli cadono giù dalla bocca.
Silenzio e Proceda escono alle sue spalle, le divise da infermiere stranamente sfocate, come se non riuscissero del tutto a essere reali. C'è anche Golfino con loro, con le mani sollevate a tenere due luccicanti siringhe piene di bumma: un biglietto di sola andata per il giuperlescale.
«Nessun giochino, stronzo.» Non so da dove venga tutta la sicurezza nella mia voce.
«La vedo un po' sciupato, esimio» rincara la dose Leo.
«Riportateli indietro!» ordina secco Dentigialli e i suoi tirapiedi scattano verso di noi.
Leo e io ci diamo alla fuga. Corriamo oltre la pedana della ruota del "se", verso la casa degli spettri. Quando arriviamo all'ingresso Leo si volta e lo faccio anch'io. Proceda e Silenzio ci sono quasi addosso, Golfino è solo di poco più lenta e Dentigialli è ancora fermo alla ruota.
«Non va bene» dico allarmata. Dentigialli deve inseguirci perché il piano funzioni.
«Abbiamo altri problemi adesso» dice Leo e varca l'ingresso, portandomi con sé.
Lo spazio è ristretto, quasi claustrofobico, svoltiamo tre volte tra pannelli dipinti con zombi e lupi mannari fino ad arrivare in una piccola stanzetta. Ci sono alcuni specchi deformanti e, subito oltre, tre porte contraddistinte da un ragno, un pugnale e un teschio. Alle nostre spalle il suono di passi dei nostri inseguitori ci conferma che sono entrati e sono dietro di noi. Leo prende la porta contraddistinta dal ragno, mi tira dentro e richiude la porta. All'interno è buio pesto come ci si aspetta da una casa degli spettri. Forse un po' più buio di come ci si aspetti, ma è la dimensione degli spazi che proprio non torna. Anche se siamo entrati in quello che è poco più che il rimorchio di un camion, la percezione è quella di trovarsi in un luogo molto, molto più ampio: uno spazio spaventosamente grande.
Corriamo lungo un corridoio di sudari neri che si agitano. Ma quanto è lungo? Se fossimo in un posto reale ci saremmo già schiantati contro la parete di fondo della giostra da un pezzo. Eppure davanti a me, nell'ondeggiare sinistro della stoffa che gelida si muove e a tratti ci avvolge, intravedo il corridoio proseguire davanti a noi senza un'apparente fine.
«Il brutto delle giostre come queste è che di norma durano troppo poco, non credi?» domanda Leo. Ora sembra divertito più che spaventato. «A uscire da questa invece ci può volere qualche ora.»
Detto questo scosta uno dei tanti sudari e mi indirizza verso un piccolo corridoio laterale. Sul fondo vedo una porticina sormontata dalla luce verde di un'uscita di emergenza.
«Ci metteranno un po' a capire che non siamo più dentro con loro» dice Leo mentre usciamo, di nuovo all'esterno. «Nel frattempo io e te avremo modo di occuparci di lui.»
Mi guardo attorno, siamo sul retro della casa degli spettri. Da qui Dentigialli non può vederci. Poco distante c'è il camioncino del pop corn e subito dopo quello dello zucchero filato. Ci sono delle persone in fila, ma non riesco a distinguere chiaramente i loro volti, sento il suono delle loro voci allegre, ma non riesco a capire quello che dicono.
«Un luna park vuoto è sinistro così immagino sempre che ci siano delle persone che si divertono» mi dice Leo. «C'è sempre qualcuno nel mio luna park.» Sembra orgoglioso del suo luogo mentre lo dice, poi il suo volto – quello che poco fa era divertito all'idea di seminare Silenzio e gli altri – torna a farsi grave.
Mi guarda negli occhi e io inizio a scuotere la testa prima che mi faccia la domanda.
«Sei pronta?»
«Non c'è proprio altro modo, sei sicuro?» Non voglio farlo.
«Forse, ma non lo conosciamo.» Leo mi stringe le mani – è l'ultima volta che lo farà – mi guarda bene negli occhi, cercando di darmi il coraggio che non ho, e poi mi lascia andare. Indica il nostro obbiettivo. «Devi portarlo là, al resto penserò io.»
Il rimorchio è parcheggiato al margine del luna park in uno spiazzo di terra battuta. «Attraversa il piazzale di corsa, lui ti vedrà scappare da sola e ti verrà a prendere.»
Io scuoto ancora la testa, ho gli occhi pieni di lacrime, ma so che devo farlo.
«Una volta lì, l'unica cosa che devi fare è non farti prendere.»
Non voglio, ma non ho scelta. Annuisco.
Un passo alla volta mi muovo lungo la parete della casa degli spettri fino ad arrivare alla sua estremità. Guardo Leo, lui cerca di fingersi sicuro, ma lo vedo quanta paura ha. Da qui al rimorchio sono circa cinquanta metri e quasi tutto il tragitto è ben visibile dalla ruota del "se". Dentigialli avrà tutto il tempo di vedermi scappare: non resta che correre. Mi volto verso Leo per cercare un altro po' il suo sguardo, ma lui non c'è più. Lo so che si è mosso a sua volta per raggiungere il rimorchio, non visto, ma sento il panico artigliarmi lo stomaco. Faccio due, tre profondi respiri e asciugo le lacrime che mi appannano la vista. Non mi sento pronta, ma non credo che lo sarò mai quindi mi butto. Inizio a correre.
Oltrepasso le persone ferme in attesa di pop corn e zucchero filato e mi lancio tra il tiro a segno e un'altra attrazione che non riconosco. Non ho il coraggio di guardare verso Dentigialli per vedere se mi segue, né di cercare Leo con lo sguardo per la paura di svelare la sua presenza. Corro cercando di non inciampare, di non urtare le persone che si muovono nel luna park, alcune sono così sfocate che sembrano impalpabili, ma non voglio correre il rischio di scoprire che sono solide e magari finire la mia corsa rovinando a terra dopo aver sbattuto contro una di loro.
Superato il grosso della folla, in coda per una giostra chiamata Tagadà, raggiungo la parte esterna del luna park; il rimorchio è a meno di venti passi. Alla mia sinistra c'è il retro della pista delle auto a scontro, alla destra una lunga fila di punchball allineati sotto una tettoia, sul fianco di una sala giochi piena di vecchi videogame. Non vedo Dentigialli da nessuna parte, davanti non c'è altro che il vuoto del piazzale, una volta là sarò completamente allo scoperto quindi mi arrischio a dare un'occhiata attorno. Non lo vedo. Dov'è? Non mi ha visto? E se non mi ha seguito?
«Cercava me, Genni?» mi sento afferrare il braccio. Urlo. L'orribile bocca mi sorride da sopra il fetido abito marrone. Cerco di liberarmi mentre orrore e panico prendono rapidamente il controllo delle mie azioni. Dentigialli ride, la bocca, come un gorgo di carne e denti, gorgoglia e sputacchia. «Fine della fuga, signorina.»
È molto più forte di me. Mi sento girare brutalmente, il braccio mi viene bloccato dolorosamente contro la schiena. Una mano mi serra il petto, vengo tirata contro la lana ruvida del suo abito che puzza di marcio; sotto la stoffa il corpo si muove in modo innaturale. L'odore putrido del fiato di Dentigialli mi investe. «Ora farà la brava e tornerà indietro con me. Basta con i capricci.»
Non so che cosa fa scattare la mia reazione, cosa cambia il terrore in rabbia, ma la cosa più importante è che Dentigialli non se lo aspetta. Adrenalina? Il fatto che mi sminuisca in quanto donna? In ogni caso dovrei ringraziare Becca per avermi fatto fare quel corso di autodifesa. Mando la testa indietro con forza, colpisco qualcosa di molliccio (non voglio sapere), carico tutto il peso del corpo sul calcagno e gli pesto un piede. Dentigialli non è preparato alla mia reazione – probabile sia vissuto in un'epoca in cui l'hanno educato a sottovalutare le donne – e il dolore gli fa allentare la presa il tempo sufficiente a permettermi di liberarmi. Corro via più veloce che posso, sentendo le sue dita artigliarmi la maglia e la stoffa strapparsi. Non mi fermo, non guardo indietro, non rallento nemmeno quando un ruggito che non ha niente di umano copre ogni altro suono.
Raggiungo il rimorchio e corro dietro, infilandomi tra la fiancata e la recinzione del luna park. Il fianco del rimorchio verso l'esterno del luna park è aperto e dentro si vede quello che credo sia il generatore che alimenta le varie attrazioni. Il basso vibrare del motore è accompagnato da un greve odore di gasolio. Il cuore manca un battito quando vedo che Leo non è lì come avevamo stabilito.
«Leo?» provo a chiamare a bassa voce, ma non ottengo risposta. Forse non mi ha sentito, mi dico, ma il panico torna a prendere il controllo.
Un ansimare bestiale e furioso mi fa voltare di scatto. Dentigialli è dietro di me, proteso in avanti, la bocca spalancata è una voragine irta di denti grossi come blocchi di cemento. Mi scappa un lamento. Vorrei essere forte, mantenere il controllo, ma inizio a essere stanca di lottare. Dove sei Leo?
«Qualcosa non va, Genni?» domanda con voce cavernosa e un osceno ghigno, divertito dal mio terrore. «Ha perso il signor Landi e non lo trova?»
Fa un passo avanti aggrappandosi alla rete per sostenere la bocca che continua a dilatarsi e a crescere. Io vorrei arretrare ma le mie gambe si sono fatte come di piombo e si rifiutano di muoversi. Non riesco a distogliere lo sguardo da quella bocca che lievita e fluisce verso l'esterno.
«Non si preoccupi, il signor Landi è inutile, è sempre stato inutile. È lei che io voglio.»
Dentigialli avanza pesantemente altri due passi e io riesco a farne uno indietro. Forse potrei scappare, alle mie spalle la strada è libera, ma se Leo non arriva, se l'hanno preso allora scappare non servirà a niente.
«Dove va Genni? Lo sa che non può fuggire. Lo sa che sta morendo quindi perché scappare ancora? Io posso aiutarla. Avanti, si consegni e ci lasceremo tutta questa storia alle spalle.»
Scuoto la testa, sono solo bugie. Dove sei Leo?
Un lieve scatto sopra le nostre teste fa voltare sia me che Dentigialli. Non c'è nessuno. Il basso vibrare del grosso generatore sopra il rimorchio prosegue senza altre variazioni.
«Si arrenda, Genni.» Dentigialli fa un altro passo in avanti, la sua bocca continua a cambiare forma, a crescere, allargarsi. È talmente ampia che fissarla mi dà le vertigini. È come guardare giù da un dirupo, mi sento cadere. Provo ad arretrare, ma non riesco a muovermi. Un solo passo e potrei caderci dentro.
Un lampo di luce e un urlo mi riscuotono. Vedo Leo, appena balzato giù dal rimorchio alle spalle di Dentigialli. L'ha colpito con qualcosa che ha mandato un lampo bianco. Dentigialli prova a voltarsi, ma l'enorme bocca che si ritrae verso una forma più umana lo intralcia e Leo lo colpisce ancora. Stringe nelle mani le estremità di due cavi, uno rosso e uno nero, che sembrano tanto i morsetti usati per caricare la batteria dell'auto.
Dentigialli caccia un grido inarcandosi e dibattendosi quando Leo lo colpisce per la terza volta. Crolla a terra.
«Il mio luogo, la mia terapia» dice Leo e col piede spinge Dentigialli al suolo. «Pizzica un po' ma ti farà bene vedrai, vecchio mio.»
Gli pianta i morsetti nelle reni facendolo urlare ancora. Il volto di Dentigialli è tornato umano, forse così umano come non lo avevo mai visto.
«Fa male, lo so, ma a breve starai anche peggio» infierisce Leo e gli dà un altra scarica.
«Adesso lasciala andare» dice e mi guarda. Il suo viso si addolcisce per un attimo prima di tornare a farsi duro. «Lascia andare Genni. Separala da me come hai già fatto.»
«Non...»prova a dire Dentigialli, ma Leo non lo lascia finire e gli dà un'altra scarica.
«Non devi dire niente. Solo fare quello che ti ho detto o continuerò a friggerti fino a quando non saprai più nemmeno cosa sei, esimio dottore.»
Dentigialli guarda Leo e poi guarda me. Adesso sembra solo un uomo spaventato a morte, un uomo morto solo e dimenticato da tutti. Mi farebbe pena se non avesse fatto quello che ha fatto a Leo, a me, e a tutti gli altri ospiti del suo manicomio.
Il generatore manda un basso segnale sonoro, il rumore decresce. Che sta succedendo? Si spegne?
«Leo!» lo chiamo allarmata, ma la mia voce non viene fuori. Il segnale acustico si ripete, la vista si fa sfocata.
«LEO!» provo di nuovo, ma non riesco. Mi sento come svenire, la vista si fa appannata. Leo mi sta guardando. Sorride.
«Buona fortuna» gli sento dire mentre il segnale acustico si ripete ancora più forte e uno squarcio di luce bianca taglia il suo viso stanco in due parti.
C'è un soffitto in quello squarcio. Un soffitto bianco e un bip che continua a ripetersi a cadenza regolare.
«Genni?» mi sento chiamare, ma non è Leo. È Becca.
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