19


Acqua che scorre.

«Ho bisogno di aiuto!» grida la voce di Stevia. Che cosa ci fa Stevia qui?

«Giorgio chiama la Dottoressa! Ha avuto una sincope e non si riprende!»

Sono io? Sono ancora stesa nel corridoio? E quale corridoio poi? No, io sono in piedi e sento acqua che scorre. Acqua calda che mi cade addosso.

La voce di Giorgio che parla al telefono e quella di Stevia che chiama (chiama me?) si confondono sotto lo scroscio dell'acqua che scorre. La mia testa si sposta sotto il getto, l'acqua mi avvolge, mi passa sul viso, sulla bocca poi anche sul naso. È piacevole, ma non riesco a respirare. Annaspo, mi scosto e apro gli occhi.

Sono in un locale docce, un vecchio stanzone piastrellato con i tubi dell'acqua a vista. Davanti a me ci sono dei grossi rubinetti a manopola. Li aveva mia nonna dei rubinetti come questi. Ce ne sono altri sia a destra che a sinistra: ogni postazione ne ha due. Ma che ci faccio qui? Come ci sono arrivata?

Chiudo l'acqua e mi guardo attorno. La stanza è piena di vapore e, in alto, c'è un grosso finestrone appannato da cui entra una luce pallida. Non c'è alcuna traccia dei miei vestiti, né di un asciugamano quindi mi ravvio i capelli come posso e mi incammino verso l'uscita. Sono tranquilla, troppo tranquilla, mi viene da pensare, ma la mia mente non ha troppa voglia di preoccuparsi. Una doccia ci voleva, mi suggerisce il mio inconscio e io sono d'accordo con lei. Lui, faccio per correggermi, ma no, il mio inconscio è donna. Ne sono sicura. Subito dopo realizzo di essere fatta. Cazzo! Fatta, fattissima! Bumma buona, direbbe Leo. A proposito, dov'è Leo?

Dalla stanza delle docce esco in quello che sembra uno spogliatoio. C'è Golfino ad aspettarmi. Mi indica un abito verdognolo sulla panca.

«Svelta, il Dottor Dentigialli la vuole vedere» mi dice, e la cosa mi fa ridere perché non è possibile che un mostro sia anche Dottore. O sì? Leo non l'aveva chiamato "esimio Dottor Dentigialli"?

«Dov'è Leo?» domando con la voce impastata. Golfino mi ignora e mi aiuta a indossare un camice che mi arriva fino alle ginocchia, ma che è aperto sul retro. La cosa non mi piace troppo.

«Ehi!» protesto cercando di infilare le ciabatte. «Così mi si vede il culo!» Sono schifose ciabatte di panno. Sono proprio come quelle all'altro ospedale. Quello dove Stevia mi ha ripresa al volo mentre perdevo i sensi. Quando è successo?

Usciamo nel corridoio. Golfino mi tiene per il braccio e io cerco di coprirmi il sedere. C'è un bel frescolino là dietro, un bel sollievo dopo il caldo nell'appartamento di Viola, ma è anche imbarazzante. Spero che abbia letto il mio messaggio e stia venendo a prendermi.

Noto il poster del fantastico spettacolo di magia. Io e Leo dovremmo proprio andare a vederlo, magari con Viola e Becca. Leo piacerebbe a entrambe, ne sono sicura. Quasi inciampo nel naspo srotolato a terra. Alla mia sinistra leggo i numeri delle stanze 311, 312, 313. Come la targa di Paperino, ricordo. E Leo è lì, oltre la porta di quella stanza. Lo vedo attraverso il piccolo vetro sulla porta. Mi vede anche lui, urla il mio nome e si lancia contro la porta. È atterrito e questo mi turba.

«Non credergli!» mi grida. La porta sobbalza per una spallata. «Genni non credere a quello che...» il resto non riesco a capirlo. Mi volto a guardarlo mentre Golfino apre la porta del giuperlescale. È là che mi sta portando? Saluto Leo con la mano. Perché sono sicura che la cosa non mi piacerà? Provo a divincolarmi, ma Golfino è molto più forte di me.

***

«GENNI!!» la chiamo di nuovo. Lei mi saluta e scompare oltre le porte a vetro delle scale, trascinata via da Golfino. «NO!» grido e mi scaglio di nuovo contro la porta, e continuo a farlo fino a quando il dolore alla spalla e l'evidente inutilità dei miei sforzi non mi fa crollare a terra.

«Non credergli...» dico disperato, rivolto alla stanza silenziosa. So cosa Dentigialli le dirà sul mio conto e so anche che le rivelerà ciò che io non ho avuto il coraggio di dirle. Lo so perché me lo ha detto lui.

Provo vergogna per la mia codardia e anche per le mie bugie, ma nonostante questo ancora le mento. Mi vergogno perché quello che Dentigialli sta per dirle è la verità e mento perché non voglio che scopra quanto io sia miserabile. Non voglio che lei scopra cosa le ho nascosto. Non così.

«Sa che giorno è oggi, signor Landi?» mi ha domandato Dentigialli, forse una o due ore prima, mentre ancora mi contorcevo nella presa di Silenzio che mi trascinava verso la mia prigione.

Io ho provato a ignorarlo proseguendo nel mio futile tentativo di ribellione. E l'ho fatto non perché sperassi di riuscire nella fuga, ma perché sono un vigliacco, perché una parte di me forse lo aveva capito, cosa stava per dirmi, e non voleva sentire.

Ma Dentigialli me lo ha detto lo stesso e il suo sorriso mentre lo faceva, per la prima volta, è stato meno insopportabile delle parole che ha pronunciato. «Oggi è l'ognidì in cui ucciderà Genni di Gennaro, la sua trentanovesima vittima.»

Ho gridato che no, non era così. Ho negato, ma sapevo anche quello, o almeno, lo sospettavo. Sono morto quel giorno sul marciapiede e poi, di nuovo, altre trentotto volte per non sapere che andrà così. A parte la sua capacità di percepirmi, Genni è uguale a tutti gli altri, condannata dal primo giorno in cui mi sono svegliato dietro i suoi occhi. Non è lei che sto cercando di salvare nel mio tentativo di fuga da questo posto, ma me. Genni ha la capacità straordinaria di farmi evadere, ma io non ho nessun modo per aiutarla. Che io fugga o meno, lei morirà oggi.

Grande colpo di scena, il mostro della storia non è il disgustoso Dentigialli, ma Leonardo Landi, l'uomo che vive le vite dei morenti non avendo più la sua, come il più abietto e perverso dei guardoni.

Appoggio la testa contro il muro e chiudo gli occhi. Non ho più forze, ma non è questo il motivo per cui mi arrendo. Sì, mi arrendo. Non voglio più fuggire da questo posto, non dopo che Genni scoprirà che le mancano da vivere una manciata di ore e che per colpa mia le ha trascorse in quest'incubo. Passerò il resto di quello che mi resta chiuso qua dentro, qualunque cosa sia questa specie di non esistenza. Niente più tentativi di fuga o magari finisco nel corpo della mia quarantesima vittima. Voglio spegnermi come Storto, Aliante e Giovanna. Sì, mi svuoterò un ognidì alla volta fino a non essere nient'altro che un nome infilato in un corpo privo di mente.

Pensare che la volevo tenere lontana da Dentigialli.

Cerco di rimettermi in piedi, ma con la camicia di forza non è facile. Punto i piedi e mi spingo su, contro la parete. Dalla finestrella sulla porta vedo che il corridoio è deserto in entrambe le direzioni. Mi domando se Dentigialli lo abbia già detto a Genni e provo di nuovo una tremenda vergogna. Scuoto di nuovo la testa. Me lo merito. Me lo merito di restare rinchiuso qui dentro a sbiadire lentamente, come quei cazzo di poster appesi alle pareti. Attraverso le sbarre che chiudono la finestrella della mia prigione vedo che la luce esterna sta diminuendo. Almeno questo giorno di merda sta finendo. Sì, finiamola alla svelta e non pensiamoci più.

«Giorno di visita» mormoro tra me e me, imitando il tono acuto di Giovanna mentre guardo l'ombra delle sbarre allungarsi sul soffitto. Questo mi fa venire in mente altre sbarre. Giorno di visita: si entra, ma non si esce dal cancello. Tutti tranne Genni, che crea crepe in questo posto. Cazzo. Il cancello, no, tutto il manicomio! È questo? É questo il motivo per cui Dentigialli l'ha voluta qui? CAZZO!

Non sono io il mostro!

«GENNI!» grido di nuovo contro la porta. «GENNI TIENI DURO! ARRIVO!» ma tra il dire e il fare c'è una robusta porta e pareti imbottite. La mia spalla sbatte contro la porta senza che niente cambi. Non si esce da questo posto. Aver capito cosa vuole Dentigialli non cambia la mia situazione.

«GENNI!» grido ancora e ancora sbatto contro la porta. Lo disse Einstein: follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi. Se lo so allora perché non mi fermo? Io non sono pazzo.

«GENNI!» Grido e sbatto.

«GENNI!» Grido e sbatto.

Sono chiuso in un manicomio che non esiste. Io non sono folle, sono dentro la follia.

«GENNI!» Grido e mi accascio contro la porta. Così non va. Pensa. Come si esce da una stanza chiusa? Come?

***

«La situazione è grave. Dobbiamo operarla.»

Sento ancora le voci e questa non la conosco, ma sono più lontane di prima mentre scendo giuperlescale. Non sono più nel corridoio. Sono in un letto? No, sto scendendo le scale. Mi sembra di sentire anche Leo che urla il mio nome. Arrivati al pianoterra Golfino mi guida verso la rampa successiva. Non mi piace la rampa successiva, non voglio scendere ancora.

«Al mio tre la tiriamo su. Notizie dalla sala operatoria? Sono pronti?»

Di nuovo una voce nuova. Che sta succedendo? Provo a oppormi, ma Golfino mi spinge. Inciampo, quasi cado. Perdo una ciabatta, ma non ci fermiamo a recuperarla; continuiamo a scendere. Uno scalino scalza, uno scalino no. È freddo senza ciabatta.

Provo a dire qualcosa, a indicare quello che ho perso, ma ho la bocca impastata. Mi volto per indicare ancora, ma è uno sbaglio perché mi fa perdere l'equilibrio – sono sbilanciata anche perché tengo ancora il camice chiuso sul sedere. Quasi crollo su Golfino, ma lei mi tiene.

Guardo verso l'alto, verso la mia ciabatta perduta e vedo che dalla finestra sopra di me la luce si è fatta più tenue. Sta calando il sole.

«Avanti! Avanti, più svelti o la perdiamo.»

Golfino mi afferra, mi scrolla (era così forte anche prima?) e mi spinge di nuovo giuperlescale. Uno scalino scalza, l'altro pure. Cazzo! Mi sa che ho perso entrambe le ciabatte.

«Falle venti milligrammi di "noncapiscocosa".»

«Forza! Forza! La stiamo perdendo!»

C'è un angolo della finestra che si illumina come se il sole si fosse concentrato tutto in quel punto. Una luce calda che si spande improvvisa sui gradini più in alto. È una crepa! È la crepa che cercava Leo! Non so perché ne sia così convinta e nemmeno perché la cosa mi renda così felice visto che mi sto allontanando da essa.

Dovrei tornare indietro, vorrei farlo, ma Golfino mi trascina nel giuperlescale, nel buio del sotterraneo, e io non sono capace di oppormi.

Buio.

Si è fatto tutto buio all'improvviso.

Che succede?

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