16-2
Mi manca il fiato.
Non respiro, aiuto. Che succede? Non respiro!
Spalanco gli occhi mentre annaspo, come se qualcuno mi avesse ficcato la testa sott'acqua, ma nessuno mi tiene e non c'è acqua. Non riconosco il luogo in cui mi trovo e il buio intorno mi terrorizza. È solo un attimo poi ricordo. Esalo un lungo respiro e mi passo le mani sulla faccia. Che cazzo, così non va. Ho dormito? A quanto pare sì, ma quanto? Mi giro verso il bordo del letto. Il cellulare sul pavimento dice che sono le quattro e ventidue del dodici settembre. Ho dormito quasi due ore senza sonniferi. Un nuovo misero record.
Accanto a me Viola si è presa gran parte del letto costringendomi in un angolo. La guardo dormire beata con una certa invidia, notando allo stesso tempo come alla luce della luna la sua pelle sembri seta. Mi protendo a baciarle il collo, tentata da tutta quella seta e, al tempo stesso, animata dal subdolo intento di svegliarla. Non mi va di restare sola.
«Non riesci a dormire?» mugugna Viola più per riflesso che per azione cosciente e subito dopo si riaddormenta. Forse non si è neppure destata. Lascio perdere, sconfitta da un fastidioso senso di colpa: non posso tenerla sveglia un'altra notte. Scivolo fuori dal futon e vado a cercare i miei sonniferi nel borsone.
«Solo per stasera» mento di nuovo a me stessa prendendo doppia dose dal blister. Giocherello con le pillole tra le dita e vado in cucina a cercare qualcosa per buttarle giù. Sono diventata abbastanza brava da inghiottirle anche senza acqua, una vera esperta, ma ho la gola secca e ho paura di non riuscirci. Il senso di soffocamento di poco fa mi rende prudente.
Apro il frigo apprezzando l'arietta fredda che mi investe. Il caldo nell'appartamento di Viola è soffocante. Acqua o vino bianco? Faccio la scelta meno salutare, chiudo il frigo con un collaudato colpo di fianco e punto alla portafinestra. Vino e pillole, in mutande, in terrazza: sembra quasi una festa.
L'aria fresca notturna mi fa provare un brivido di piacere; mi siedo sul pavimento, schiena al muro, e poso i piedi contro la ringhiera. Stappo il vino e bevo un sorso mentre ancora faccio salterellare le pillole nel palmo. Le bollicine mi fanno prudere il naso.
Sento Becca ogni giorno da quando ci siamo parlate al bar. Ancora non mi crede, ma ci sta provando.
Lui è un bel mistero, ma è reale e ora ho tutte le prove. Ho fatto qualche ricerca all'emeroteca sui fatti che l'hanno coinvolto, consultato parecchi quotidiani dell'epoca. C'è voluto un bel po' di lavoro, ma almeno in questo l'essere disoccupata ha aiutato: ho un sacco di tempo libero.
Lui aveva quarantun anni all'epoca dei fatti, era un impiegato nel reparto marketing di una nota azienda farmaceutica mentre Corinna aveva trentasei anni e lavorava come commercialista in un grande studio. Non erano sposati, ma vivevano assieme da molti anni e, come dimostrano i fatti, avevano qualche problema di coppia. Quello stesso anno, il lontano 2004, io avevo cinque anni e il mio più grande problema era che mia sorella era passata alle elementari lasciando me sola all'asilo.
Corinna aveva una relazione col suo principale, Oreste Ansaldi, una storia che andava avanti da quasi un anno secondo alcuni colleghi dello studio dove lavorava. Il 16 maggio succede qualcosa che dà origine a un litigio; secondo le ricostruzioni iniziali sono Corinna e il suo amante a scontrarsi, una testimone aveva riferito agli inquirenti che tra i due i rapporti erano tesi da tempo per via del carattere dispotico dell'uomo. Sempre secondo questa prima ipotesi, Oreste minaccia Corinna, ne scaturisce un litigio furioso che degenera in una colluttazione e termina con lui ucciso con un coltello da cucina. Nelle prime deposizioni Corinna sostiene che sia stato un incidente, che la vittima sia caduta sul coltello mentre lottavano, ha evidenti segni delle percosse ad avvalorare la sua versione, ma gli inquirenti non le credono; ci sono elementi nella scena del crimine che non coincidono con quanto sostiene. Così Corinna finisce in prigione, in attesa che le indagini siano concluse.
In quei giorni, in un corposo articolo di un periodico, un giornalista riportava nei particolari i fatti e le testimonianze, svelava che le incongruenze tra il resoconto di Corinna e gli indizi consistevano principalmente nelle tracce ematiche, le macchie di sangue trovate sulla scena. Concludeva con un'osservazione critica su come gli inquirenti sembrassero aver tralasciato del tutto la pista del marito geloso che, rientrato a casa prima dal lavoro, trova l'amante con la moglie. Secondo questo giornalista era plausibile che fosse lui l'omicida e, per giustificare la confessione di Corinna, arrivava a insinuare che potesse essere stato sempre lui ad aver percosso la moglie che era stata poi convinta, a suon di botte, a confessare l'inverosimile incidente dell'Ansaldi che si auto-pugnala.
A parte questo, il caso non aveva suscitato all'epoca grande attenzione, almeno all'inizio, e quindi gli articoli sono limitati a piccoli trafiletti nascosti nelle pagine più interne dei vari quotidiani. Quando però lui ha l'incidente con la bicicletta e muore proprio davanti al loro appartamento l'attenzione dei giornalisti torna a destarsi. Muore proprio il giorno che era stato chiamato in questura per l'interrogatorio di garanzia, uscendo dallo stabile del loro appartamento ancora sotto sequestro, un insieme di coincidenze che rendono la storia più che interessante per la stampa.
Gli articoli si moltiplicano, si ipotizza che si sia suicidato poi che abbia tentato di portare via qualcosa dall'appartamento – forse è da qui che la signora Carlini ha tirato fuori la storia delle prove compromettenti. Il clamore portato da questa morte carica di coincidenze riempie i quotidiani di articoli su Corinna e il suo processo. Poche settimane e lei cambia la sua linea difensiva, ammette di aver voluto coprire lui, si prende l'accusa di intralcio alla giustizia, ma per la stampa è degna di perdono, quasi di ammirazione.
Io non condivido, non le credo. Corinna è una grandissima stronza!
«Che stronza» dico a bassa voce e guardo il livello del vino fresco e frizzantino nella bottiglia. Ce n'è a sufficienza per farmi alleggerire la testa. Infilo in bocca le pillole e bevo.
Qui finisce tutto quello che so su di lui o meglio, qui finisce tutto quello che ho potuto leggere. La parte più interessante, quella che viene dopo, è solo nella mia testa e quella è piena di domande senza risposta. Ho frammenti di ricordi, di sogni che non mi appartengono, erano suoi e sono rimasti a me. Nessuno di essi, però, risponde ad alcuna domanda. Perché è venuto a rifugiarsi nella mia testa? Dov'è stato nei diciotto anni passati dalla sua morte? Quello che ho visto di lui era reale o erano sogni? Chi o cosa cazzo è quel Dentigialli? Cos'ho visto nella pineta che non ricordo? E poi c'è la domanda che mi preme più di tutte: cosa aveva da dirmi di così importante e che io non gli ho lasciato dire?
Porto la bottiglia alle labbra e la trovo vuota. Fanculo, è finito. Mi metto in piedi, mi appoggio contro la parete e anche se mi gira la testa mi godo un altro po' il fresco. Il sonnifero ci mette un po' a fare effetto e non ho nessuna voglia di tornare nel caldo soffocante dell'appartamento.
La città è silenziosa alle quattro e mezzo del mattino. La luce già sta cambiando all'approssimarsi del nuovo giorno e mi fa sentire come sospesa in una strana sorta di limbo, un posto dove Dentigialli sembra più che mai reale.
«Dove ti ha portato?» domando a bassa voce. «Dove sei Leonardo?»
Mi dà uno strano senso di vuoto pronunciare il suo nome a voce alta. Credo sia la prima volta che lo faccio.
***
Fisso.
Fisso il vetro della finestra, oltre c'è il parco e oltre ancora il cancello.
Sono tranquillo. Tranquillo. Tranquillo, tranquillo come Giovanna accanto a me. Io e Giovanna assieme a fissare.
Sarebbe tutto bellissimo se non fosse per un pensiero che compare e scompare. Provo a prenderlo, ma sfugge. Qualcosa a proposito di una crepa.
Il cancello è cambiato ancora. Ha messo su due imponenti colonne sormontate da sfere di pietra e le ante si sono coperte di decori in ferro battuto. Si nasconde, cela la sua reale natura. Con tutti quei riccioli vuole apparire innocuo mentre in realtà il suo compito è di intrappolare chiunque lo oltrepassi. Io lo so, ma non so altro, a parte questa cosa della crepa.
Com'era? Ah, sì, ecco. La crepa rompe la superficie.
Genni: la crepa si chiama Genni. Di Gennaro Genni. La crepa ha un nome proprio buffo. Ridacchio. Genni si incazzerebbe un bel po' se sapesse che trovo il suo nome così esilarante. Cerco di tornare serio, ma la bumma mi fa ridere un altro po'. Me ne hanno data un bel po'.
Il cancello aspetta Genni e questo non è divertente. Il cancello non ha crepe e non ne vuole in giro. La voglia di ridere mi passa. Torno a fissare.
Il cancello si sta aprendo. Il giorno di visita è appena iniziato.
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