16-1


Odio ognidì.

Qui il tempo non ha molto senso, facevo sempre confusione, tra lunedì, mercoledì, domenica e Silenzio continuava a fregarmi – non era mai il giorno che dicevo io.

«È lunedì Silenzio, oggi non tocca a me la seduta con l'esimio Dottor Dentigialli.»

«È martedì Silenzio! È mercoledì! Perché mi lasci chiuso qua dentro?! Non voglio stare qui!»

«È domenica Silenzio, non è giorno di pappa d'avena, dov'è il mio pollo arrosto?»

Mai una volta che avessi ragione, così ho cambiato il nome ai giorni della settimana che adesso sono: ognidì, ognidì, ognidì, ognidì, ognidì, ognidì e ognidì.

Odio ognidì e odio ancora di più giuperlescale.

Ho composto una canzone per manifestare quanto odio giuperlescale. Fa più o meno così: «No! No, no, no! Silenzio ti prego, ti prego no! Non voglio!» aggiungo urla assortite in ordine vario, come degli assolo, e poi me la rido perché mi rendo conto che non serve a un cazzo urlare nelle orecchie di Silenzio. Se c'è silenzio nessuno può sentire.

Lui mi trascina giuperlescale e io canto e mi esibisco per Silenzio – il mio cordiale e più grande amico qua dentro – fino a quando non mi consegna a Proceda. Per Proceda non canto, lui non apprezza e quando non apprezza mi picchia e quando non mi picchia accende il verde. Non mi piace Proceda.

Nella stanzetta ad attendermi c'è l'esimio Dottor Dentigialli che mi sorride, le mani guantate dietro la schiena. Le sue labbra sono già tese allo spasimo e ancora non abbiamo nemmeno iniziato.

«Buongiorno Landi, come andiamo?»

Io non rispondo e ripeto nella testa la filastrocca. Il dolore è rosso, i lividi sono blu, ma il suo nome non lo faccio più.

«Proceda» dice l'esimio Dottor Dentigialli, con un cenno a Proceda che procede. La cosa mi strappa una risatina nervosa poi mi dibatto mentre vengo obbligato a stendermi. Proceda procede – altra risatina – a legarmi ben bene con tante cinghie e io mi contorco, giusto per fargli dispetto e anche perché non mi piace, anzi mi terrorizza quello che stanno per farmi. Odio giuperlescale.

«Signor Landi adesso ripeteremo la procedura dell'ultima volta, ricorda?» mi dice l'esimio Dottor Dentigialli mentre le labbra si sollevano, spingendo in su il naso, e si abbassano, rovesciandosi sul mento.

Il dolore è rosso, i lividi sono blu, ma il suo nome non lo faccio più, ripeto ancora e ancora, guardando l'enorme bocca di Dentigialli muoversi e vomitare cose senza alcun senso mentre continua ad allargarsi, cancellando il resto del viso. È solo una bocca con una bionda pettinatura impomatata quando finisce di blaterare e fa cenno a Proceda.

Nel riflesso d'acciaio della lampada sopra di me, vedo Proceda spostarsi verso la macchina e procedere – non ho alcuna voglia di ridere adesso – a far scattare gli interruttori. La luce verde si accende.

Il dolore è rosso, i lividi sono blu, ma il suo nome non lo faccio più.

«È pronto signor Landi?» sputazza Dentigialli, cacciandomi in bocca un morso di cuoio che soffoca il mio urlo.

Il dolore è rosso, i lividi sono blu, ma il suo nome non lo faccio più.

Scuoto furiosamente la testa mentre vedo Dentigialli impugnare i due elettrodi.

Il dolore è rosso, i lividi sono blu, ma il suo nome non lo faccio più.

Il dolore è rosso, i lividi sono blu, ma il suo nome non lo faccio più!

Li porta accanto alle mie tempie. «Proceda» dice a Proceda.

La luce verde diventa rossa.

Il dolore è rosso...

Il rosso mi fa schizzare in avanti così forte che se non fosse per le cinghie mi tenderei fino a spezzarmi. Ogni altra sensazione e pensiero diviene solo dolore. Rosso.

Un attimo dopo sento la pressione spasmodica dei miei denti contro il cuoio.

«Signor Landi...»

La voce di Dentigialli arriva come dall'altro capo di un tubo «...un nome per...»

Scuoto la testa. «No.»

Gli elettrodi mi carezzano le tempie. «Proceda» dice Dentigialli. La luce verde torna rossa, le cinghie di cuoio scricchiolano attorno a me, i miei muscoli gridano (o sono io?) contratti allo spasimo, li sento mentre la mia mente si svuota per la seconda volta.

...il suo nome non lo faccio più.

Corinna grida. Che stronza! Chissà che ha da gridare (o sono io?). Sento Genni che ride (io?) e Agata. Lo sai quanto ti ho amata, Agata? Chissà se poi sei venuta al mio funerale.

«...so che può essere penoso, ma mi occorre il nome signor Landi...» sta dicendo Dentigialli. Sbatto gli occhi, è tutto nero non vedo niente e un fischio mi sta spaccando in due il cranio. Il dolore mi ricorda che ho anche un corpo là sotto, membra di cui non ricordo né ordine né nome.

«...fa bene a dirmelo. Se non collabora...» l'audio va e viene, a tratti sovrastato dal fischio. Cos'è che dovevo dire?

«...nome e cognome...» mi suggerisce Dentigialli.

Giusto, il nome. Lo so che lo vuole come so che non glielo devo dire. Ha capito che quello che gli ho dato è sbagliato. Non conosce il nome. Non lo sa e gli serve. Lo vuole e per questo c'è il giuperlescale, per questo c'è l'ognidì.

La vista è tornata. Nel riflesso distorto della lampada vedo Dentigialli, alle mie spalle, con gli elettrodi in mano. La bocca gli si è rovesciata del tutto sul viso: sembra una margherita di carne con enormi denti come petali.

Mi scappa uno sghignazzo, sputo il morso. «Non lo sai, eh?! Fottuto mostro non te lo dico il nome!»

Il morso mi viene cacciato in bocca a forza mentre me la rido. Datemi del pazzo (facile, eh?), ma me la rido anche mentre il freddo degli elettrodi mi serra la testa.

«Proceda» dice Dentigialli e io me la rido ancora perché Proceda è proprio un nome del cazzo.

Dolore. Bianco e ronzio. Bzzzz.

Nome, Filippo Antonio. No, sbagliato. Ronzio, ronzio, ronzio. Nome, Enrico. Enrico Tazzoli, numero sei. Sei. No, ronzio, bzzzz.

«...il nome» dice la voce di Dentigialli dentro il ronzio.

Come mi chiamo? Come cazzo mi chiamo?! Genni? No.

«Attilio...» dico sentendo uno strano riflesso metallico nella mia voce. «Attilio Giardini.»

«Mi spiace signor Landi, ma Attilio Giardini non è il nome che voglio. Attilio Giardini è morto, ricorda?»

Già, che culo Attilio, morto nel sonno, sì lo ricordo.

«Deve darmi il nome.»

Il dolore è rosso, i lividi sono blu, ma il suo nome non lo faccio più.

«No» dico anche se la mia scelta mi fa una paura fottuta.

«Proceda» dice Dentigialli alle mie spalle. Il verde diventa rosso.

«No!» supplico io. Un attimo dopo i miei denti sono così serrati al cuoio che li sento scricchiolare e il mio corpo sbatacchia contro le cinghie e i montanti del letto. La mia mente è bianca, il dolore rosso, ed è anche un gran bastardo.

«Te lo sei voluto!» ghigna il dolore con la voce di Dentigialli. «Te lo sei voluto coglione, lo sai che voglio il suo nome.»

Lo so che lo vuole, ma io non lo dico. Le ho già fatto abbastanza male.

Il bianco torna a colorarsi di macchie, il pensiero si disgrega. Dove...cosa... chi sono? La testa mi duole, le orecchie mi fischiano. Ho male ovunque, ovunque mi trovi; ho anche una nausea tremenda e se solo riuscissi a capire come mi sento direi una vera schifezza.

«Il dolore è rosso... i lividi sono...» sento una voce che dice la filastrocca «...blu, ma il suo nome non lo faccio... più.»

È la mia? La mia voce?

«Che nome?» domanda un'altra voce. Chi è?

«Non...»riesco a pensare. Che nome?

«Il nome, signor Landi» ripete la voce vicino al mio orecchio, il suo fiato caldo mi investe facendomi rabbrividire.

Non lo devo dire. Che cosa?

«Genni» mi viene in mente. Non devo dire Genni.

«Benissimo signor Landi. Ha visto che non era poi così difficile?» dice soddisfatta la voce. «Mettiamo subito la signorina Genni in lista.»

La luce verde si spegne mentre nel riflesso distorto della lampada io guardo con orrore me stesso. Che cos'ho fatto?!

***

I postumi dell'elettroshock e la pera di bumma buona che mi ha fatto Golfino, appena tornato al piano di sopra, lasciano la mia mente in un placido stagno di melma limacciosa per non so quanto. Fisso il muro, fisso il muro, fisso il muro e vado avanti così fino a quando una lieve crepa nell'intonaco non desta il primo pensiero.

La crepa rompe la superficie. Non è molto come pensiero, ma è un inizio. La crepa rompe la superficie. L'ho già pensato, lo so, ma ho bisogno di tempo per elaborare; il mio cervello è appena stato fritto e sono pure strafatto.

Ho tradito Genni e questo mi fa male. Sono fritto e strafatto, ma i miei occhi piangono per lei mentre fisso il muro e penso alla crepa. Ho mandato alla malora il mio proposito di salvarla e ho spiattellato il suo nome. Perché voleva il suo nome? Per metterla in lista, questo lo so, ma perché? Ma certo, per metterla in lista! No, aspetta a questo ero già arrivato: la lista per gli invitati al giorno di visita. Genni non deve venire qui. Qui è dove Dentigialli la vuole. Ma perché? Vuole rinchiudere anche lei? Non devi venire Genni! Lo penso di nuovo più forte sperando che lei mi senta, che un filo esile del nostro legame sia rimasto. NON DEVI VENIRE GENNI!

Pensare è una vera fatica, soprattutto così forte. Spero almeno che Genni mi abbia sentito. Meglio fissare un altro po' la crepa.

Forse Golfino si è accorta del mio profondo interesse per la crepa, forse le ostacolo semplicemente il passaggio, ma a un certo punto mi prende per un braccio e mi sposta, allontanandomi dalla mia musa ispiratrice. La stanza della televisione gira come le giostre del luna park mentre Golfino mi tira e mi spinge. Uiiiiiiii!

La crepa rompe la superficie.

Il luna park. È lì che è iniziato tutto, dove ho incontrato Dentigialli per la prima volta. Ma non è il dove, è il quando. Ero appena arrivato nella mente di Genni. Significa qualcosa? Bumma, bumma, bummete, le giostre girano sempre più veloci e io non mi sto sentendo mica troppo bene.

«Voglio scendere...» avviso Golfino, ma lei non mi ascolta. Tutto gira e io sento la mia colazione che sale su a tutta velocità: anche lei vuole scendere e nessuno glielo può impedire. Nemmeno Golfino.

Così mi piego fuori dalla giostra e vomito.

Vengo strattonato e sgridato – Cattivo, non si fa! Anche se io l'avevo chiesto di scendere – ripulito con gesti bruschi, prelevato quasi di peso da Silenzio – il mio buon amico – e posizionato a sedere, vicino a Storto e Aliante.

Mentre Golfino manovra uno strofinaccio e impreca – credo contro di me – io guardo il viso raggrinzito di Storto, gli occhi assenti di Aliante, le sue evocative orecchie a sventola, e passo a fissare il tavolino tra me e i miei colleghi. Molto meglio un rettangolo verde di formica che quei volti vuoti. Mi ricordano quanto ognidì stia diventando sempre più simile a loro e l'idea è così spaventosa che se non fosse per la bumma buona credo che avrei una bella crisi, una di quelle con grida, bava alla bocca e occhi all'indietro o magari un attacco di panico. Calma, niente panico. Bumma, respira, bumma, respira, bumma, respira. Guarda il tavolo, respira. Un bell'attacco di panico come Genni nella tenda. Respira, bumma, bumma, bummete, respira.

Genni.

Dentigialli è arrivato con lei. Non sono io, ma lei quella che ha cambiato le regole: Genni. Io mi sono concentrato su di me, sull'essere a Firenze, a casa, la mia casa, il mio passato, il mio ultimo giorno, il mio errare, il mio riscatto, il mio destino, ma l'unica vera differenza era Genni.

Lei, la prima donna, la prima che mi sentiva, la prima che è entrata nella mia testa. Lei e Dentigialli. Anche lui come lei è entrato nei miei ricordi. Significa qualcosa? E perché non ricordo il mio nome?

E Genni morirà davvero il 19 settembre come ho visto? Che giorno è oggi?

«Che giorno è oggi?» domanda la mia voce. L'ho chiesto davvero? Sembra che l'abbia fatto perché Golfino si gira e mi guarda.

«Giovedì» dice strizzando lo strofinaccio. Non avevo mai fatto caso a quanto assomigli a qualcuno che conosco. Ma chi? Aveva quella faccia anche prima?

«Il giorno» ripeto, non me ne faccio niente di sapere che è giovedì.

«Ognidì» mi sorride Golfino. «Oggi è l'ognidì di ognimese, signor Landi.»

Vedo le sue labbra dischiudersi e comparire i denti. Sono grandi, irregolari e gialli, li vedo fuoriuscire, strabordare dalla bocca sempre più aperta fino ai limiti delle guance, e allargarsi ancora. Sono i suoi denti, il suo sorriso. Lei assomiglia a lui e mentre la guardo la somiglianza si fa più marcata.

«Che succede signor Landi?» domanda Golfino, ma con la sua voce. La voce di Dentigialli.

Il terrore mi fa cadere dalla sedia. Grido.

***

Altra bella siringa di bumma. Rumore, urla. Sono io che urlo? Bumma.

Fisso il soffitto, fisso, fisso il soffitto. Fitto il soffisso. Fisso, fisso, fisso...

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