CAPITOLO 1

Salve. Il mio nome è Alexander Evans e ho appena compiuto diciassette anni. Questa è la storia di come la mia vita sia diventata un inferno.

Vivo in una piccola cittadina nel Nord Carolina. La nostra città è così piccola che non la conosce quasi nessuno. È già un bene che la si trovi su Google Maps.
Non ha esattamente un nome.
Nella storia ha cambiato nome così tante volte che il numero di essi se n'è perso. Il nome che ha adesso è abbastanza divertente e alquanto imbarazzante: Middleforest, siccome si trova nel bel mezzo di una fittissima foresta. Già, una vera originalità nel sceglierne il nome.

Anche se è una cittadina trascurata dal mondo è comunque molto grande. Abbiamo una stazione di polizia, un ospedale, una stazione (dove passano perfino tre treni!) e, tra molte altre varie cose, anche una scuola. Non vedo l'ora di finire le superiori così potrò andarmene da questo maledettissimo posto in qualche università a New York. Non ne posso più di essere bloccato in questo... buco! Poi, a New York, mi troverò la ragazza, metterò su famiglia e avrò un buon lavoro!

Ero così perso nei miei pensieri che non mi accorsi che mia madre mi stava chiamando.

"-ander. Alexander!" La mamma mi guardò. "Ehi, stai ascoltando, Alex?"
"Eh? Ah, sì, certo." annuii, fingendo di avere ascoltato.

Lei è mia mamma, Naomi. È alta e ha dei capelli che sembrano cioccolato fondente. I suoi occhi verdi, che ho ereditato, scintillano sempre. È gentile, ma tende ad essere troppo possessiva. Dopottutto sono il figlio minore, non posso neanche biasimarla.

"Hai sentito che ti ho detto?" disse arrabbiata. "Dopo la scuola vieni a casa perché devi pulire la camera. E non dare fastidio a tuo padre! È molto impegnato."
"Sì, sì, lo so." annuii, di nuovo, e presi la merenda. Me la ficcai velocemente nello zaino, mi misi le scarpe e corsi a prendere la bici.

Pedalai per una decina di minuti, poi arrivai al giardino della scuola. La maggior parte dei miei compagni e amici ha l'auto, ma io di solito vado in bici. E quando piove scrocco i passaggi al mio migliore amico. Misi la bici nella portabici e mi avviai verso la porta d'ingresso.

La nostra scuola si chiama Owl High School. È abbastanza grande da avere la propria squadra di football. Io ne faccio parte, ma per adesso sono una riserva. Il mio obbiettivo, prima di andarmene a New York, è di giocare almeno un anno come titolare. E abbiamo anche il gruppo delle cheerleaders!

"Ehi, Alex!" sentii. Alzai lo sguardo.
"Leo!" sorrisi felice. Un ragazzo dai capelli biondi e ricci mi arrivò incontro.

Lui è Leo Wilson. È il mio migliore amico e possessore di un'auto. Ci conosciamo dalle elementari e siamo buonissimi, anzi, migliori amici da un sacco di tempo. È molto spavaldo e dice la prima cosa che gli viene in mente. Io lo vedo un po' ingenuo anche se so che non lo è. Fa tutto di testa sua e si ficca costantemente nei guai. Peccato che tira me dietro, così le punizioni me le becco pure io.

"Ehi, dove ti eri cacciato? Ti stavo aspettando da dieci minuti!" si lamentò.
"Potevi benissimo entrare in classe da solo, sai? Mica mordono, le porte!"
"Non potresti mai saperlo!" 
Si misea ridere come un idiota e, prendendomi per le spalle, entrò a scuola.

• • •

Tornai a casa prima del previsto. L'allenamento era stato sospeso per non so quale ragione, per questo finimmo due ore prima.

"Sono a casa!" Entrai in cucina per mettere qualcosa sotto i denti, quando vidi che il tavolo era pieno di cartacce. Vicino a loro c'erano tre tazze di caffè, prova che mio padre aveva lavorato fino a tardi. Diedi un'occhiata e notai che c'era il timbro della stazione di polizia. Si tratterrà del nuovo caso di papà.

Mio padre è un poliziotto. È il commissario della stazione di polizia di Middleforest. Oggi, alle due circa di mattina, fu chiamato al lavoro. Mamma ha detto che era una chiamata urgente: forse si era trattato di qualche suicidio. Qui succede abbastanza spesso che le persone si suicidano. Ma in media non sono gli abitanti di Middleforest: sono persone di altre città vicine che vengono ad impiccarsi nella nostra foresta. Qualche volta si è trattato anche di qualche omicidio: ma le vittime erano squartate o prese a morsi e si deduce che era opera di qualche orso.

"Alex, non rovistare tra i miei documenti!"
Mi voltai di scatto. Mi prese quasi un infarto. Dietro di me c'era papà.
"Di cosa si tratta questa volta?" chiesi, alludendo alle cartacce e ai documenti.
"Ahhh." Papà strizzò gli occhi, rossi per la stanchezza. Sotto di loro c'erano due enormi borse di stanchezza, segno che non aveva dormito molto.

"A quanto pare," disse infine, probabilmente decidendo che potevo saperlo, "c'è stato un omicidio."

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