Capitolo 44

"Finalmente!" esclamai sollevata, buttandomi sul pavimento con aria soddisfatta. Lucas interruppe il registratore e si buttò anche lui sul pavimento, dal quale fuoriuscirono scricchiolii strani. Lucas si alzò di scatto con occhi sgranati, ma risi divertita.

"Ragazzi, tutto bene lì sopra? Come stanno andando i compiti?!" gridò la madre di Lucas, Sarah, al piano di sotto. Entrambi ci trovavamo nella soffitta della casa di Lucas vista che il condominio dove vivevo io ne era completamente sprovvisto. Quando volevamo passare il tempo giocando ai videogiochi o per studiare, ci nascondevamo li sapendo che Sarah ci avrebbe disturbato solo per avvertirmi quando era ora di tornare a casa. E dopo che ero sparita per quasi tre giorni, l'orario si era ridotto drasticamente, tanto che da Lucas passavo da sei ore a sole due noiosissime ore. Le cui avevamo passato per registrare in un vecchio registratore amatoriale cosa ci era successo durante i giorni della scomparsa.

Lucas si precipitò verso la botola per avvertire che non eravamo morti per qualche ratto clandestino, e che avremmo finito il nostro lavoro tra poco e di non preoccuparsi. "Shannon, comunque preparati che tra un po' devo uscire per la mia lezione di basket! Ti riaccompagno a casa io che mi sento più tranquilla" gridò Sarah. "Ok, grazie!" esclamai io.

Sarah era simpatica e ci teneva molto a me visto che ero amica di Lucas, e da quando eravamo comparsi dopo quelle sfide maledette, era diventata più protettiva nei nostri confronti, così come mia madre. Mi si strinse il cuore a pensare quanto la nostra famiglia era stata in pensiero per noi, nel terrore di non sapere dove eravamo finiti e cosa ci fosse successo.

Quando io e Lucas siamo tornati nella nostra città natale, abbiamo scoperto che la polizia era stata mobilitata da un pezzo per trovarci, così come i nostri parenti e amici che giravano per la città armati di volantini e telefoni nel caso qualcuno ci avesse avvistato. Fu il nonno di Alessia a trovare me e Lucas sul ciglio della strada diretta all'autostrada, e la prima cosa che fece, subito dopo averci abbracciati per la disperazione, fu caricarci sulla sua vecchia Fiat e avvertire le nostre famiglie che ci aveva trovati vivi e vegeti. Non fece domande su come eravamo conciati ma ci fece una sgridata sul fatto che eravamo degli irresponsabili a far preoccupare così tante persone oneste per tre giorni filati. Io e Lucas non avevamo detto nulla neanche per ribattere, sapendo che quelle parole erano assolutamente vere.

Appena arrivati a casa mia l'uomo mi scaricò davanti al vialetto, dove mi aspettavano i miei genitori e il golden retriever Mark. Mark fu il primo a salutarmi, leccandomi la faccia per la felicità e coprendomi di innumerevoli peli biondi. La seconda fu mia madre, che appena mi alzai per abbracciarla mi tirò un forte manrovescio in pieno viso, gridandomi contro di non dover MAI più scomparire in quel modo, e col cazzo che mi avrebbe lasciato andare da qualche parte senza tenermi d'occhio o altro. Sapevo che era solo spaventata e che non potevo darle torto, ma per tutte le emozioni provate nelle ultime ore mi fecero piangere come una disperata.

Non seppero mai cosa fosse successo durante la nostra scomparsa, e dopo molte settimane smisero anche di chiedercelo, anche se notavo negli sguardi dei miei genitori la curiosità mista alla disperazione. Ma per la loro sicurezza non gli avrei mai esposti così tanto al pericolo. Neanche tra cent'anni.

Perché quel pericolo ci seguiva continuamente sotto forma di marchio sul polso. Un cerchio disegnato con inchiostro nero, attraversato da due linee al centro. Il simbolo dei proxy di Slenderman.

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