Cap. 5

"Ehy. Andrà tutto bene te lo prometto." quanto mi serviva quella voce in quel momento. Io annuii in fretta. Odiavo farmi vedere debole, era da sempre stata una delle mie più grandi paure. E odiavo sentirmici. Solo che loro erano speciali per me, non potevo semplicemente fare finta che tutto ciò non mi toccasse. Loro... erano parte di me in qualche modo. Chiusi gli occhi cercando di calmarmi, aspettando che quell'incubo finisse. 'Te lo prometto'. Odiavo i te lo prometto. Anche se lo si dice non si è mai del tutto certi di cosa si sta promettendo. Quelle semplici tre parole illudono sempre. Due salde braccia mi strinsero. E fu in quel momento che persi il briciolo di dignità e controllo che avevo. Il nodo alla gola ormai spingeva troppo, e in poco tempo, si ruppe in un pianto liberatorio tra le braccia del mio migliore amico. 

"Shh, va tutto bene." Piano piano mi calmai. 

"Grazie" il mio fu poco più di un sussurro, ma abbastanza forte affinchè lui potesse sentire. In risposta ricevetti un bacio sulla fronte. Poi si alzò, tornando da Alex. E io rimasi lì, sorseggiando quella cioccolata slavata, senza voglia, senza prestare attenzione a niente, persa in uno stato di trance tutto mio. 

"Signorina?" una voce femminile mi scosse dai miei pensieri. Era un'infermiera, abbastanza alta, dai capelli lisci e neri che le ricadevano sulle spalle, una dolce frangetta le coronava il volto d'angelo. Gli occhi castani mi guardavano con preoccupazione.

"Si?"

"Si sente bene?" Solo in quel momento capii di essere rimasta immobile per un bel po' di tempo. 

"Si... credo di si. Mi scusi. " Mi alzai e buttai il bicchiere. Andai dai miei due amici. Una volta arrivata non trovai Alex. Prima ancora di poter dire qualsiasi cosa, Josh mi sorrise. 

"Stanno bene. Alex è appena entrato a parlargli."

"Oh mio Dio!" esclamai per la felicità e il sollievo. Abbracciai Josh, incapace di stare ferma, con gli occhi lucidi per l'emozione.
Restammo lí ad aspettare il suo ritorno con calma, in silenzio, ringraziando il cielo per questo miracolo.
Poi la porta si aprí, lui uscí. Fu un attimo, ma ebbi la certezza che si strofinó un dito sotto l'occhio, quasi a catturare una lacrima. E non lo biasimavo.

"Potrei... potrei vederli?"

"Si" la sua risposta piú debole di un sussurro, tra un sorriso. Lo lasciai all'amico, mi feci coraggio e abbassai la maniglia. Un'infermiera mi scortó giusto davanti alla loro porta. Sospirai pesantemente. Non volevo piangere, voelvo cacciare indietro quelle lacrime che sapevo mi sarebbero spuntate alla loro vista. Aprii lentamente la porta, con il cuore che martellava forte nel petto. E alla loro vista qualcosa si ruppe. Loro erano lí, gli occhi socchiusi, pieni di lividi e fasciature. Non appena sentirono la porta cigolare si voltarono. Lo stupore sui loro visi fu incredibile. Margaret mi sorrise con dolcezza, seguita dal marito.

"Ciao" riuscii a dire combattendo col nodo in gola. Avevo un rapporto speciale con loro, ma avevo tagliato completamente tutti i contatti. Ritrovarli in quella circostanza dopo anni fu terribilmente assurdo.

"Sei venuta" sussurrò lei con gli occhi lucidi.

"Non appena ho saputo dell'incidente." Andai ad abbracciarli, per quanto mi era possibile. La parole in quella circostanza mancavano, ma fondamentalmente non erano necessarie. L'emozione e l'affetto negli occhi erano così vivide che nessuna parola avrebbe potuto rimpiazzarle.
Restai altri due minuti con loro, rassicurandoli che il peggio era passato, che si sarebbero rimessi in sesto e che tutto sarebbe tornato alla normalitá. Poi la stessa infermiera di prima mi chiamó, dicendomi che il tempo era scaduto. Allora strinsi delicatamente la mano di Margaret, salutando lei e il marito. Poi mi alzai e mi richiusi la porta alle spalle. E fu lí che lasciai andare qualche lacrima trattenuta. Aspettai che finissi di sfogarmi. Mentre percorrevo il corridoio cercai di ricompormi. Quando fui sicura di aver asciugato tutte le lacrime aprii la porta. Alzando gli occhi li trovai lí, che parlavano. In tutto questo Josh era rimasto il più lucido e ci aveva consolati entrambi. Appena sentirono la porta chiudersi mi guardarono, interrompendo le loro conversazioni. Mi accasciai sulla sedia accanto alla loro sotto il loro sguardo. Sospirai a fondo, chiudendo gli occhi e stringendo una mano sulla coscia, cercando di calmarmi.

"A posto?" Mi chiese Alex.

Annuii aprendo lentamente gli occhi, cercando di impedire a quelle gocce salate di attraversare nuovamente il mio viso, nonostante pizzicassero. Prima guardai il soffitto, poi mi decisi a guardarlo negli occhi. Gli sorrisi. 
Lui mi prese la mano, facendomi mollare la presa sulla gamba, tracciando cerchi invisibili con il suo pollice. Poi mi guardó meglio, portó la sua mano alla mia guancia, accarezzandola nei punti esatti dove prima c'erano le lacrime.

"Hai pianto?" Non so se l'avesse capito dai miei occhi o dai solchi sul mio viso. Annuii leggermente, con un altro sorriso tirato.
Le sue labbra si curvarono in un gran mezzo sorriso. Sapeva che in queste circostanze non riuscivo a parlare. E sapeva anche che se avesse tirato troppo la corda sarei scoppiata a piangere davanti a lui. Mi portó un braccio dietro la schiena.

"Vieni qui" sussurró abbracciandomi forte. Con la testa appoggiata sulla sua spalla respirai a fondo il suo profumo. Sorrisi lievemente, notando che non era cambiato, nonostante gli anni avessero cambiato noi. Restammo cosí per un bel po' di tempo. Poi lui allentó la presa, lasciando il suo braccio sinistro sulle mie spalle. Mi appoggiai a lui. Fu in quel momento che realizzai di aver dimenticato l'effetto calmante dei suoi abbracci. Saremmo rimasti cosí per sempre, quando un fastidioso rumore di tacchi si udí echeggiando per il silenzioso corridoio di quell'ospedale.
Volgemmo entrambi la testa verso la fonte di quel rumore. Beh, avrei cosí tanto voluto non averlo fatto.

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