Cap. 4

Quella sensazione di smarrimento continuai a provarla per tutto il resto della giornata, sfociando in sogni confusi e ricordi sbiaditi.

Il giorno dopo mi svegliai controvoglia. Non ero riuscita a dormire bene, mi girava un po' la testa e avevo un disperato bisogno di caffeina. Mi tirai a sedere, stropicciandomi gli occhi stanchi e mi diressi in bagno. Mi sciaquai lentamente il viso, accarezzandomi le palpebre, sperando di riuscire a rilassarmi e ad avere una buona giornata. Aprii piano gli occhi, guardandomi allo specchio. Delle profonde occhiaie solcavano le mie guance, facendomi sbuffare. Avrei dovuto usare molto correttore quella mattina.
Scesi le scale affamata, sperando che mia madre fosse giá sveglia. Un vocio insolito mi incuriosí, facendomi avvicinare lentamente.

"Oh mio Dio!" Sentii mia mamma sussurrare dalla cucina, e mi precipitai alla porta "quando è successo? Stanno bene?" Lei non mi aveva ancora vista. Mi dava le spalle, e si teneva una ciocca di capelli nella mano sinistra, stringendo sempre più convulsamente il telefono che invece teneva con l'altra. "D'accordo" disse semplicemente con tono affranto e chiuse la telefonata. Iniziai a preoccuparmi quando la vidi incurvare la schiena e passarsi stancamente una mano sul viso.

"Mamma?" Cercai di chiamarla piano. Lei sussultó, voltandosi di scatto.

"Amore.." era sconvolta. Glielo leggevo in faccia. Immediatamente pensai al peggio.

"Mamma?" Ripetei stavolta con più apprensione.

"È successa una cosa molto brutta.." disse piano lei, avvicinandosi per prendermi le mani "i genitori di Alex.. hanno avuto un incidente stradale" i suoi occhi mi scrutavano attentamente, cercando di capire come stessi realmente.

"No.." la guardai con orrore, mentre grosse lacrime intrappolavano i miei occhi. "Stanno.. stanno bene?" Chiesi con la voce spezzata.

"Sono ricoverati in ospedale. Sono in condizioni molto gravi" continuó lei iniziando a lasciar cadere diverse lacrime. Io abbassai lo sguardo, mi allontanai di qualche passo, come se scappare potesse cambiare la situazione. Mi girai e inziai a camminare nervosamente per la stanza, cercando di non scoppiare in lacrime.

"Dobbiamo andarci" dissi alla fine in un attimo di luciditá. "Mamma, dobbiamo andarci"

"Sei sicura, amore?" La guardai incredula.

"Certo!" Poi le chiesi quello che mi faceva più paura "E..Alex? Lui è..?"

"No, no, lui non era con loro al momento dell'incidente"disse rapidamente lei, accarezzandomi il viso con entrambe le mani, cercando di rassicurarmi. Dentro di me tirai un sospiro di sollievo, ma stavo comunque malissimo. I suoi genitori erano grandi amici dei miei, e li adoravo. Erano semplicemente come una seconda famiglia, il solo pensiero che potessero essere in una stanza d'ospedale rischiando la vita mi lasciava letteralmente senza fiato.

"Dai, vestiti e andiamo" prima di schizzare fuori dalla cucina per prepararmi la guardai negli occhi con gratitudine. Era davvero una madre fantastica.
Corsi su per le scale cercando di impiegare meno tempo possibile. Dopo essermi lavata i denti ed essermi vestita scesi al piano di sotto, rinunciando alla colazione: ormai non avevo più fame.
Mamma stava giá avviando la macchina nel vialetto cosí presi la borsa e uscii di casa, richiudendo la porta a chiave. Salii a bordo e ci dirigemmo verso l'ospedale. Nè io nè lei parlammo: fu il viaggio più brutto della mia vita.

Quando arrivammo in ospedale andammo subito dall' infermiera, chiedendole dove fosse il reparto nel quale si trovavano Margaret e Jason. Mamma mi disse di andare prima io, mi avrebbe raggiunto dopo aver parlato con il dottore. Allora presi l'ascensore e arrivai al quinto piano. Per tutto il tempo passato lì dentro non smisi un secondo di ticchettare le unghie sulla borsa, tanto era il nervosismo. Menomale che non c'era nessun altro con me. 
Quando le porte dell'ascensore si aprirono mi si strinse il cuore. Una fredda sala d'attesa mi dava uno sterile benvenuto. E persi un battito. Lui era lì, all'impiedi, con la testa fra le mani. Appena sentì il rumore si girò a guardarmi. Era distrutto, gli occhi pieni di lacrime. Non l'avevo mai visto in questo stato, non aveva mai sofferto tanto. D'istinto corsi verso di lui, abbracciandolo. Lui ricambiò, un po' sorpreso stringendomi piú forte. Fu lì, in quel corridoio d'ospedale, dentro quell'abbraccio. Mi sciolsi. Tutto l'odio e la freddezza spariti via, c'eravamo solo io e lui. Era da così tanto tempo che non avevamo un contatto. Mi era mancato davvero così tanto. Restammo abbracciati per un bel po', incuranti degli infermieri che passavano.
Quando ci staccammo, avevo gli occhi lucidi e presi ad accarezzargli il petto, quasi a confortarmi.

"Ho avuto così paura che ti fossi fatto male" stupida voce rotta. Lui mi sorrise, con gli occhi forse più lucidi dei miei.

"Grazie" fu l'unica cosa che riuscì a dirmi e io lo strinsi di nuovo. Poi, quando mi decisi ad osservare ció che ci circondava mi resi conto che c'era anche Josh, il nostro migliore amico.

"Josh.." gli dissi piano avvicinandomi, salutando anche lui. Poi tornai a guardare Alex, indecisa sul da farsi. Volevo chiedergli dei genitori, ma avevo paura di dire qualcosa di sbagliato.

"E loro?" chiesi allora, sperando non suonasse tanto orribile come suonava nelle mie orecchie. Lui abbassò gli occhi.

"Sto aspettando. Non lo so, ti giuro che non lo so." Ritornò quel silenzio fastidioso. Ci sedemmo vicini, cercando di confortarci l'uno con la presenza dell'altra, silenziosi. All'improvviso lui mi prese la mano. Quel semplice gesto sembró risvegliare qualcosa di fortissimo dentro di me, spazzando definitivamente via tutte le incertezze. Nonostante l'avessi ignorato per tantissimo tempo lui era ancora importante per me. Se gli fosse successo qualcosa... non so cosa avrei fatto. Eravamo legati da qualcosa di forte e lo sapevo. Non avevo mai provato quella sensazione di appartenenza con nessun'altro.
Poi, capii che i due amici volevano parlare da soli... che lui voleva sfogarsi con Josh, il suo migliore amico. Così mi alzai.

"Sto andando alla macchinetta. Volete qualcosa?" chiesi, confusa. Purtroppo in situazioni del genere il mio cervello andava in tilt, non riuscivo a connettere e scindere la preoccupazione che quindi trapelava dalla mia voce. Sembrava che parlassi automaticamente, ma in modo strano.

"No grazie."

Mi incamminai per i corridoi, alla ricerca di un distributore. Che situazione. Non poteva essere vero. Non era vero. Raggiunta finalmente la destinazione, misi i soldi e presi una cioccolata. Anche se era calda e fuori non c'era freddo la scelsi comunque. Mentre aspettavo che si preparasse qualche lacrima mi rigò la guancia. Ero fatta così, bastava poco per farmi piangere. Ero molto sensibile, mia mamma diceva sempre che ero capace di sentire le emozioni degli altri. E in parte era vero. Finalmente il bicchiere era colmo. Lo estrassi e mi lasciai cadere su una sedia, gli occhi fissi a terra, aspettando che si raffreddasse un poco. Qualcuno si sedette accanto a me, cingendomi con un braccio. Josh.

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