Cap. 28
Mi raggomitolai sul letto, stringendomi le gambe al petto e lasciai che le lacrime trovassero il loro cammino lungo le mie guance arrossate. La lite con Alex mi aveva stremato. Non era semplice guardarlo negli occhi e fare finta di niente, in più mi aveva ferito la sua sicurezza. Era davvero convinto che avessi fatto qualcosa con Pablo? Certo, c'eravamo baciati, ma non era successo nient'altro. Quella sera ero ubriaca, stanca e spaventata, non ci saremmo mai spinti troppo oltre. Anche se questo lui non poteva saperlo, ci ero rimasta male. Si, è vero, anche io ho oltrepassato di gran lunga i miei limiti quella sera al locale, non ero più quella Valerie tranquilla e assennata, ma non pensavo che Alex avesse un'opinione così bassa di me. Cosa non capiva del fatto che l'amavo? Anche se con Pablo c'era stato uno splendido bacio, anche se mi faceva star bene, anche se mi rendeva felice... in una piccola, remota, parte del mio cervello e del mio cuore pulsava forte l'idea del tradimento. Era come un riflesso involontario, non dovevo ragionare per far sì che quella fastidiosa sensazione salisse in superficie. Io e Alex non avremmo dovuto essere più nulla, ma continuavo a non riuscire a lasciarmi andare completamente con qualcun altro, neanche per un bacio. Sapevo che era sbagliato, sapevo che non avrei dovuto cedere a quella fastidiosa idiozia, ma quei pensieri testardi continuavano a non lasciarmi in pace. Ricordati che è stato lui a tradirti, non viceversa mi costrinsi a pensare. Eppure avevamo sbagliato entrambi, chi più, chi meno. Era stupido, oltre che inutile, cercare di cancellare le proprie colpe, facendo semplicemente finta che non esistessero. Mi trovavo per l'ennesima volta dinanzi ad un bivio, un bivio pericoloso. Ero stanca di piangere, stanca di comportarmi bene, stanca di soffrire, stanca di scegliere. In testa non avevo altro che una confusione assordante. Sentii bussare piano alla porta, un tocco leggero. Alex, pensai subito perdendo un battito.
"Avanti" dissi piano, sentendomi stupida per la nota di speranza e aspettativa che aleggiava sulla mia voce. A fare capolino dalla porta però fu un viso totalmente diverso.
"Ehy" mi sussurrò di rimando, mentre gli occhi verdastri si colmavano di preoccupazione. "Ho sentito delle urla... che succede?" si avvicinò, sedendosi sul letto, accarezzandomi le guance, spazzando via le lacrime che vi restavano aggrappate. Abbassai lo sguardo, mentre una strana sensazione di vuoto mi invadeva il corpo e la mente. Non ha bisogno di sapere. Un'insolita apatia si irradiò a tutte le mie membra, lasciandomi seduta composta come una bambola dimenticata.
"Niente... è tutto okay" risposi, forzando un sorriso sincero. Dovette venirmi abbastanza bene, dato che Pablo non obbiettò nient'altro. Continuai a sorridere, come se niente fosse sbagliato, come se stessi bene davvero. Poteva essere una monotonia, una routine da acquisire. Una parte di me sentì inconsciamente le sue mani sulle mie braccia, che mi accarezzavano, per poi attirarmi in un abbraccio. Lo lasciai fare, anche se non sentivo nulla. Nonostante il suo abbraccio fosse caldo e pieno di affetto non riuscii a coglierne nemmeno un briciolo: dentro restavo freddo ghiaccio. Eccoci di nuovo, un'estranea in un corpo che mi apparteneva fin troppo. Chiusi gli occhi, sentendo quel sorriso finto bagnarsi di qualche goccia salata. Realizzai di stare piangendo, anche se più che pianto quello era un rilascio involontario di acqua. Cosa rimaneva di me quando quel sortilegio avveniva? Quando mi trasformavo e diventavo un'ammasso di insensibilità e apatia? Cosa ero davvero? Mi lasciai cullare dal tono soave della sua voce, mentre pensieri crudeli e taglienti infestavano la mia mente. Era una contrapposizione incredibile, una stonatura notevole, un'attrazione impossibile e fatale. Il suo amore che lottava contro tutto quel male che mi infliggevo da sola. Strinsi un po' più forte la presa sulla sua maglietta, mentre i miei sensi sembravano risvegliarsi, anche se di poco, decisi a restare. Si aggrappavano con una nuova intensità a quel sottile tessuto, come se anche loro stessero lottando per restare a galla. Mi scappò un sorriso quando sentii la sua presa stringersi attorno al mio esile corpo. Ne avevo così tanto bisogno, avevo un bisogno disperato di un po' di sano amore. E sapevo che Pablo avrebbe potuto darmelo, anche se nonostante tutto non era lo stesso. Non sarebbe mai stato lo stesso, neanche gli abbracci erano gli stessi, il profumo non era lo stesso.
Non era giusto imporgli la pesantezza del mio essere, questo lo sapevo, e avrei cercato di difenderlo e proteggerlo dalla parte più buia e oscura di me stessa, ci avrei provato con tutte le mie forze. Non meritava di stare male, non meritava di combattere quelle battaglie al posto mio. Ma io meritavo la sua forza e il suo amore? Ne ero davvero bisognosa? Spettava a me ricevere l'amore di quel ragazzo d'oro? Strizzai forte gli occhi, cercando di zittire tutte quelle voci, concentrandomi solo sul battito regolare e calmante del suo cuore, che riuscivo a sentire data la nostra vicinanza. "Grazie"
Alex's P.O.V.
Non avrei dovuto lasciarla sola, anche se era quello che mi aveva chiesto, o meglio, ordinato, di fare. Il mio cuore era rimasto con lei, in quella stanza carica di tutto il suo dolore e della mia rabbia, e ora batteva come impazzito, e faceva male. Avrei voluto stringerla forte, accarezzarle i capelli, chiederle scusa, proteggerla. Ma lei non me lo permetteva. Non sapevo come avvicinarmi. Una volta per noi era così semplice, bastava solo uno sguardo per far combaciare le nostre anime, per vedere come attraverso uno specchio le paure e le preoccupazioni dell'altro, e curarle. Ma ora... ora, beh, sembravamo ferirci a vicenda. Non c'erano più cure, non sapevamo più come aiutarci, non sapevo più come custodirla. Quella era la peggiore tortura, sapere che c'eravamo ancora, lì, da qualche parte. Che ci amavamo ancora, lì, da qualche parte, ma che non eravamo più capaci di dimostrarcelo e farci del bene. Calde lacrime salate corsero facendo a gara lungo il mio viso, mentre le mie mani stritolavano i capelli in un violento gesto di disperazione. Calciai l'erba che stavo calpestando. Come avevamo fatto a perderci in questo modo? C'era ancora tanto da salvare, però. Non potevo lasciarci affogare come se fossimo una coppia qualunque, questo lo sapevo, noi eravamo molto più di questo. Feci un respiro profondo e presi una decisione: entrai in casa, salii le scale di corsa, diretto alla sua camera. Un barlume di speranza si era acceso dentro di me, mentre il mio cuore tornava a galoppare. Ogni gradino che superavo sentivo l'ansia crescere, ero pronto ad andarle vicino, stringerla a me, e finalmente proteggerla e smetterla di sbagliare. Arrivato in cima alle scale però mi fermai di colpo, come pietrificato. La porta della sua stanza non era più chiusa come l'avevo lasciata. Ora era socchiusa, e dallo spiraglio aperto riuscivo ad intravederla. Sentii le sopracciglia corrugarsi e uno strano dolore intrappolare come una morsa il mio cuore stanco. Non era sola: accanto a lei stava Pablo, che la stringeva in un modo in cui prima solo io avevo fatto. La stringeva forte, come se volesse salvarla, tirarla fuori da tutti quei pensieri che io conoscevo bene e sapevo quanto male le facessero. La stringeva forte, e sapevo che si sentiva protetta quando l'abbracciavo così. Si sentiva protetta anche ora, tra le braccia di un altro? Il dolore si fece sempre più acuto e le lacrime tornarono a scorrere veloci. Mi soffermai sul suo viso, colmo di lacrime, quasi totalmente sereno, se non fosse per quella piccola ruga in mezzo alle sopracciglia. Dio, quanto mi mancava. In quel momento, guardandola così fragile, guardando il suo piccolo viso contorto dalle emozioni espressi un solo desiderio, incurante del fatto che non ci fosse stata nessuna stella cadente.
L'unica cosa che volevo davvero era che lei fosse felice.
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