Cap. 23

Quando mi risvegliai mi fu impossibile non cogliere una dolcissima fragranza di caffé nell'aria. Mi ci volle un attimo per rendermi conto di non essere nella mia stanza. Ero avvolta in morbidissime lenzuola bianche che fasciavano il mio corpo come se mi stessero abbracciando. Mi sollevai lentamente, sedendomi al bordo del letto e osservai gli oggetti attorno a me. Sembravano familiari, eppure avevo la certezza di non averli mai visti prima. La testa mi faceva malissimo, e non avevo idea di come ci fossi finita in quel letto che non era il mio. Mi portai la mano alla fronte, mentre cercavo di riprendermi. E poi ricordai. Mi venne tutto in mente, come una valanga, e mi sentii sprofondare. Forse sarebbe stato meglio scordare tutto, fare finta di niente e continuare le mie giornate, ma no. Purtroppo o per fortuna, avevo un ricordo abbastanza vivido della sera prima. Fui invasa dalla vergogna. Non mi ero mai ubriacata, non mi ero mai ridicolizzata tanto in vita mia. Avevo lasciato che un completo sconosciuto mi baciasse e mi toccasse. Avevo appena tradito la mia stessa fiducia. E Pablo, oh cielo, grazie a Dio Pablo era lì. Non osai immaginare cosa sarebbe successo se non ci fosse stato nessuno a fermare quel ragazzo, di cui non ricordavo neppure più il nome. Probabilmente ora il letto su cui mi sarei svegliata sarebbe stato il suo. 

"Oddio.." sussurrai disgustata tra me e me, coprendomi gli occhi con le mani, come facevo quando ero piccola e cercavo di nascondermi. Solo che ora ero un'adulta, avrei dovuto prendermi le mie responsabilità e non ero nelle condizioni di nascondermi dall'inevitabile. Dio... ero veramente un fottuto disastro. Mentre mi arrovellavo il cervello maledicendo me e la mia infantilità sentii la porta aprirsi lentamente, producendo un lieve cigolio che mi spinse a sollevare lo sguardo. Sull'uscio c'era Pablo, che sorreggeva un vassoio con sopra una tazza di caffè e un cornetto. I nostri occhi si incastrarono, e in breve tempo sentii i miei pizzicare. Non una parola era ancora stata detta, eppure io già sentivo l'impulso di piangere. C'erano tante paure in quel momento, ed erano troppe da gestire contemporaneamente. Forse la più prevedibile era la paura di essere giudicata, seguita poi da quella di un eventuale rimprovero, e da quell'altra che mi ripeteva in continuazione che non ero abbastanza. Vogliamo parlare di quella ancora più subdola che si divertiva a schernirmi e prendermi in giro sussurrandomi crudelmente che io lui non me lo meritavo? Questa forse faceva ancora più male, perché sapevo che era tremendamente vera. E poi... poi c'era la vergogna, un'indicibile vergogna per il mio comportamento, e non solo per la sera scorsa. Avevo paura, ed ero dispiaciuta, e non sapevo come ringraziarlo. Un suo sorriso spezzò quel clima di instabilità emotiva. Feci quello che da un po' mi riusciva alla perfezione: mi lasciai andare, e piansi. Immediatamente lui posò il vassoio e mi fu vicino, posò le sue braccia possenti delicatamente su di me, accarezzandomi ed attirandomi in un abbraccio, di cui, anche se forse non lo avrei mai ammesso, avevo un disperato bisogno. Iniziai a singhiozzare afferrandomi saldamente alle sue spalle, e lui non esitò a stringermi di più. Ora il suo tocco non mi sembrava più sbagliato, anzi. Era quanto di più sicuro potessi chiedere in quel preciso momento. 

"Mi dispiace, mi dispiace tanto" riuscii a dirgli tra un singhiozzo e l'altro, soffocando nella mia stessa disperazione. 

"Shh, va tutto bene." mi sussurrò lui, facendo scorrere le sue dita tra i miei capelli, cercando di calmarmi "Ora sei al sicuro, ci sono io con te." quelle parole invasero il mio subconscio, accarezzando tutte quelle ferite pungenti e dandomi sollievo. Sembravano così potenti da risanarle. mi diede un bacio sulla fronte, scostandosi di poco, senza smettere di stringermi. Avevo paura di guardarlo. Sapevo che nei suoi occhi non avrei trovato niente di quello che pensavo: non avrei trovato odio, disgusto, rabbia, risentimento, rimprovero. Avrei trovato la dolcezza che traspariva dalla sua voce calda, amore e sostegno. Lui non mi avrebbe giudicata, ma avevo paura comunque. "Ehi... " lo sentii dire, mentre mi asciugava delicatamente una delle tante lacrime sfuggite al mio controllo. "Guardami" continuò poi, accarezzandomi il viso. Io mi forzai ad affrontarle quelle paure, e ad incontrare il suo sguardo. E così feci. Lui piantò i suoi occhi gentili nei miei irrimediabilmente lucidi e colpevoli. "Va tutto bene" continuò, sorridendomi dolcemente. Un'ultima lacrima mi scivolò lungo la guancia, stavolta, però, di gioia. 

"Grazie" sussurrai, ancora stremata da tutto quel peso che mi buttavo sempre addosso, incurante. 

"Non devi ringraziarmi" mi sussurrò di rimando lui.

"Si invece. Tu mi hai... salvata." mi impuntai, soffermandomi su quell'ultima parola, che suonava strana ma che era proprio vera. 

"Vuoi parlarne?" Non lo so, avrei voluto rispondergli. Forse però parlarne mi avrebbe fatto bene, e forse gli dovevo una spiegazione. 

"Non saprei da dove iniziare..." cercai di temporeggiare, anche se non era affatto una scusa. Da dove sarei dovuta partire?

"Beh, perché non iniziare da quando hai lasciato casa?" il suo tono era gentile, ma risoluto. Deglutii, cercando di raccogliere i pensieri per dare una spiegazione il più esaustiva possibile.

"Ho detto ad Alex che aveva esagerato. Noi non stiamo insieme Pablo. Te lo giuro, non ti ho mentito. Devi credermi. So che ci hai visti baciarci... e si, ci siamo baciati, mi ha detto delle cose... ma non stiamo assieme. Lui... non è come sembra." mi oscurai in volto, ricordando come fosse felice di ballare alla Vida Loca con quella mora. "Mi ha detto che mi amava ancora. Ma avevi ragione tu. Per quanto io possa essere problematica e sbagliata, non mi merito tutto questo. Lui è solo uno stronzo bugiardo, non posso credere di essere stata cieca per tutto questo tempo. " Feci una piccola pausa per riprendere il filo del discorso e per riorganizzare i pensieri. "Me ne sono andata. Per una volta sono andata via io, non lui. Cercavo un locale... mi piacerebbe dire che quello che hai visto ieri sera è stato completamente un incidente, ma non è così. Anche se mi vergogno, io volevo ubriacarmi, volevo smettere di pensare e divertirmi. Così sono entrata in quel posto, mi sono sistemata un po' e ho conosciuto il barista... credo si chiamasse Leon. Ho bevuto un po'. Un bel po', forse più di quanto io abbia mai fatto. Abbiamo iniziato a ballare e... l'ho visto lì. Ho visto Alex mentre ballava con un'altra. " 

"Quel cazzone era lì?" mi interruppe violentemente lui, accigliandosi.

"Si... "

"E che è successo?" temporeggiai, riluttante a raccontargli cosa mi avesse spinto a spingermi tanto oltre. 

"Io... ero furiosa. Mi aveva mentito. Mi ha sempre solo mentito, capisci? Io volevo fargliela pagare. Volevo fare come lui, volevo vedere se davvero funzionasse. Volevo vedere se riuscivo a dimenticarlo. Così... mentre ballavo con Leon non ho mai smesso per un secondo di sperare che lui stesse guardando. Leon... ecco, lui ha iniziato a toccarmi ma io ero troppo ubriaca anche solo per dirgli di smettere. Ho bevuto un altro po'. Non ricordo come siamo usciti. So solo che una volta fuori ero messa davvero male. Quasi non mi reggevo in piedi e mi girava molto la testa. Io... lui mi ha... non pensavo si spingesse a tanto. Gli avevo detto di fermarsi, più volte, ma era fisicamente più forte di me e..." un sospiro sfuggì dalle mie labbra tremolanti e mi presi una breve pausa per assimilare tutto. "Non so cosa sarebbe successo se non fosse stato per te. Grazie" conclusi poi abbassando gli occhi. "dico davvero"

"Ho avuto tanta paura. Pensavo che ti avesse già fatto qualcosa, avevo paura di essere arrivato tardi." mi rivelò portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "diciamo che hai fatto una cazzata per un cazzone" mi disse poi sorridendo, e quelle semplici parole riuscirono a strapparmi una risata. Aveva ragione. "Ora come stai?" riprese poi, seriamente. 

"Bene... credo" risposi, vagamente spiazzata. Già, come stavo?

"Ieri eri terrorizzata. Se ti fossi vista avresti capito perché mi sono spaventato tanto. Tremavi. Piangevi, non mi parlavi. Quando mi sono avvicinato e ti ho toccato il braccio hai fatto un salto. Ti facevo paura persino io." le lacrime tornarono ad invadere prepotenti i miei occhi, insaziabili, ma stavolta non le lasciai cadere. Me le tenni strette, anche se solo quel ricordo mi faceva venire i brividi. Lo guardai, e vi lessi la stessa preoccupazione che risaltava nella sua voce. Fu così che senza pensarci due volte mi avvicinai a lui e lo strinsi forte a me, solo per sentirlo stringermi più forte. 
Dopo tanto tempo, finalmente, stavo bene. 
Adesso, a differenza di ieri, non c'era nessun altro nei miei pensieri. 
Adesso, c'eravamo solo noi. 

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