Cap. 22

Vagabondavo senza meta per le strade semi-deserte di Tenerife. Doveva essere un luogo turistico, avrei dovuto trovare gente in ogni angolo, ma non era esattamente così. Forse mi ero persa per una viuzza poco trafficata, o forse era l'orario che non favoriva molta gente. In entrambi i casi, nonostante mi sembrasse strano, non riuscivo a farci davvero caso. Ero scossa, turbata da ciò che era appena successo. Troppe emozioni, troppi sentimenti. Troppe cose a cui badare, zero voglia di fare. Ero lì per divertirmi un po', per staccare la spina, non avrei lasciato che gli ultimi avvenimenti distruggessero i miei primi giorni in quello che doveva essere il mio paradiso terrestre, come mi piaceva chiamarlo. Ad essere completamente onesta non ricordavo nemmeno la strada che avevo imboccato per arrivare dov'ero, e per un secondo ebbi davvero paura di essermi persa. Poi però guardai il cellulare e mi tranquillizzai: era carico, in caso di pericolo avrei sempre potuto chiamare qualcuno. Iniziai a guardarmi attorno cercando un locale notturno per svagarmi un po'. Forse la mia non era stata proprio una genialata, quella di uscire da sola in avanscoperta in una città completamente sconosciuta verso sera. Ma non mi importava. Ero stanca di essere sempre cauta, attenta e in ansia. Volevo godermi la vita, sballare un po', cosa poteva esserci di male in questo? Cosa c'era di male nel decidere di vivere?
 Una grossa insegna dai colori fluorescenti attirò la mia attenzione, facendomi perdere il filo di quei pensieri scomposti. "La vida loca", recitava. Sorrisi soddisfatta: era esattamente quello che stavo cercando. Stavo per entrare senza pensarci due volte, ma poi mi ricordai di non stare esattamente indossando un abbigliamento da sera, anche se i pantaloncini a vita alta erano abbastanza attillati e sottolineavano il mio corpo formoso. Iniziai a sbottonare un po' la camicetta lasciando intravedere la scollatura e mi specchiai sulla vetrina. Non era il massimo, ma poteva comunque risultare un accostamento passabile. Per finire, presi dalla tasca il mio fedelissimo rossetto rosso e me lo passai con destrezza sulle labbra, sorridendo alla nuova me. Perfetto, pensai, ringraziando il cielo per essere sempre così previdente. Poi, senza indugiare oltre, spinsi con sicurezza le porte trasparenti che mi separavano dal mio divertimento ed entrai.

Dentro al locale c'era un sacco di gente, musica altissima e puzza di alcool. Ero sempre più convinta di aver trovato il posto che cercavo. Le luci cangianti accarezzavano di volta in volta quei corpi sudati che si strusciavano l'uno con l'altro, andando quasi a ritmo di musica. L'atmosfera nel suo insieme non era male, aveva un non so che di accogliente. Mi avvicinai al bancone, sedendomi su uno degli sgabelli in legno rifinito che invitavano la gente a gustare qualche superalcolico. Notai il barista, un ragazzo moro molto carino, e rimasi incantata a osservare i suoi movimenti, con quale destrezza e abilità giocava con quelle bevande fresche. Quando si rese conto di essere osservato, si voltò verso di me e mi sorrise, facendo risaltare due bellissime fossette agli angoli della bocca. C'era qualcosa in lui che mi ricordava Pablo, ma al contempo, era un genere di ragazzo completamente diverso. Abbassai per un attimo lo sguardo, e rialzandolo mi sorpresi ad incontrare ancora i suoi bei occhi verdi. Mi lasciai scappare un ghigno malizioso: ero riuscita ad attirare la sua attenzione.

"Hola señorita. Como puedo ayudarla?" mi chiese con un sensualissimo accento latino. 

"Puede traerme un poco de tequila, por favor?" chiesi di rimando, cercando di sedurlo. Non so se fosse stata la musica, l'odore o la folla, ma mi sentivo già meglio, più sicura di me. Senza smettere di sorridere iniziò a versare un po' di quella meravigliosa cura alcolica di cui avevo tanto bisogno, per poi passarmela con un occhiolino. Io mi morsi le labbra notando che la sua attenzione scivolava lentamente sul mio lucido rossetto rosso, per poi finire sulla mia scollatura. Lo vidi leccarsi le labbra, per poi lanciarmi un'ultima occhiata ammaliante e rivolgersi ad un altro cliente. Mi sorpresi a pensare che non mi aveva neppure chiesto se fossi maggiorenne o meno, così, felice di quel piccolo inganno ben riuscito, sorrisi come una stupida iniziando a  ingurgitare quella delizia una volta, due volte, ancora e ancora. Avevo bevuto sicuramente un paio di bicchieri, la testa iniziava a farsi più leggera, finalmente mi sentivo libera. Mi alzai, sculettando un po', poi mi avvicinai a lui.

"Baila conmigo" gli sussurrai all'orecchio, mentre gli sfioravo il bicipite. Lui tentennò, mi sorrise e alla fine cedette. Lo vidi fare un cenno ad un suo collega che prontamente si precipitò a prendere il posto del ragazzo che ora, con rinnovata sicurezza, mi scortava fino alla pista da ballo, tenendomi fermamente per mano. Era forte, alto, incredibilmente bello.
Inizialmente, non sapendo come approcciarsi, mi teneva goffamente i fianchi ondeggiando un po' a debita distanza. Io ridacchiai, forse perché l'alcool iniziava a fare effetto. Volevo di piú. Così attorcigliai le mie braccia sul suo collo per farmi stringere, ed evidentemente lui recepì il messaggio. In men che non si dica mi spinse vicino a lui facendo aderire perfettamente i nostri corpi mentre ci strusciavamo sensualmente, sotto le note di una ritmata canzone latinoamericana. 

"Italiana?" mi sussurrò poi all'orecchio, mentre un sacco di brividi scivolarono sul mio corpo. Ero abbastanza brilla, stavo tra le braccia di un ragazzo bellissimo e non ricordavo neanche più da dove venivo. 

"Si" riuscii a sillabare dopo un po'. Lui sorrise tirandomi se possibile ancora di più a sé.

"Amo le italiane" mi rivelò in tono cospiratorio. Sorrisi come un'ebete, incapace di tenermi a bada. Parlava un buon italiano, e mi sorprese. 

"Neanche tu sei di qui" gli risposi poi, ignorando la sua affermazione precedente.

"Puerto Rico" Bingo. Sorrisi soddisfatta, continuando a ballare. "Come ti chiami, bellezza?"

"Valerie, tu?"

"Leon" Che nome! Lo amavo già. Mi voltai dandogli le spalle senza smettere di ballare, ondeggiando i fianchi a destra e sinistra, stuzzicandolo. Quei locali non erano fatti per parlare, ma per perdere il controllo e lasciarsi andare. Lui mi strinse i fianchi, tenendomi vicina. Iniziò a lasciare una striscia di umidi baci lungo il mio collo che cercai in tutti i modi di ignorare, senza successo. Ci sapeva fare, il ragazzo. Mentre cercavo di contenermi, guardai di sfuggita un angolo della sala. Fu come se il tempo iniziasse a muoversi al rallentatore, come se la musica fosse improvvisamente silenziosa. Lo vidi. Lo stomaco mi si contorse, smisi di respirare e per un secondo non sentii neanche la presenza di Leon dietro di me. Lui era lì, che rideva, mentre ballava con una mora formosa che si strusciava addosso a lui, preso dall'alcool e dal momento. Alex era lì, come una maledizione, sempre vicino a me. Volevo urlare. Detestavo vederlo lì in quel momento, e ancor di più detestavo vedere come adorava tutte quelle attenzioni. Lei era bella, era selvaggia, era tutto quello che avrebbe potuto volere. Non l'avrebbe respinta. Per un secondo sentii gli occhi bruciare, per tutte le bugie che mi aveva detto, per tutte quelle false parole che aveva avuto il coraggio di rifilarmi poche ore prima. Poi qualcosa scattò dentro di me. Non ci sarei stata male. Presi per la mano Leon, portandolo al bancone con me. 

"Facciamo un secondo round?" gli proposi, e lui accolse la sfida con piacere. Versò altra tequila, anche se stavolta non tenni più il conto di quanti bicchieri prendessi. La musica era più forte, il cuore batteva veloce e non mi importava più di niente. Sentii la forte presa di Leon riportarmi con lui sotto le luci, la mia risata cristallina e i suoi baci sul collo. Se poteva farlo lui perché non avrei potuto io? Lo guardai e non so neanche come successe. In un attimo le sue soffici labbra stavano baciando le mie. Era tutto fuorché un bacio casto. Era voglioso, c'era bramosia, passione. Mi abbandonai completamente a lui, stringendolo forte. In poco tempo sentii le sue mani scivolare lungo la mia schiena e progressivamente sempre più giù. Non mi opposi neanche. Sperai ardentemente che quello stronzo stesse guardando, che stesse osservando come quelle mani stessero lentamente rimpiazzando le sue, accarezzandomi come se niente fosse. 

"Che ne dici se usciamo un attimo?" propose all'improvviso lui, interrompendo quel bacio. Ero confusa, capivo a malapena cosa stesse dicendo, semplicemente annuii. 
Quando spinse le porte esterne una gelida corrente d'aria fredda mi investì, scioccandomi per un attimo. Le luci della città mi sembravano offuscate, la musica mi rimbombava ancora nelle orecchie e la testa girava. Lui riprese a baciarmi con foga, anche se stavolta non sentivo proprio niente. Le sue mani continuavano ad esplorare il mio corpo e io non avevo la voglia né la forza di fermarlo. Ad un tratto sussultai. Sentii le sue mani nei miei pantaloncini. Annaspai sorpresa, cercando aria. Non pensavo arrivasse a tanto, e provai a fermarlo, ma ero troppo debole e presa da quella sensazione così nuova e strana. Sapevo che era sbagliato e probabilmente gli avevo detto un paio di volte di fermarsi, di smetterla, ma non mi aveva sentito. Ero bloccata contro il muro, la testa pulsava e i miei pensieri non seguivano un senso logico. Non sarei riuscita a scappare neanche volendo, ma una parte di me mi stava praticamente urlando di fare qualcosa, di prendere il telefono e chiamare. Quello era un segnale di pericolo.

"Leon" mormorai, allontanando le sue mani, ma lui era più forte. " Leon, basta, fermati" iniziai a piangere mentre un moto di disperazione si faceva strada dentro di me. Cosa stavo facendo? Chiusi gli occhi, sperando che finisse in fretta, che mi ascoltasse, che se ne andasse. 

"Ehi tu! Non l'hai sentita, cazzo? Ti ha detto di fermarti!" Ad un tratto non sentii più il suo corpo schiacciato sul mio, l'aria circolava liberamente, sentivo freddo, e mi decisi ad aprire gli occhi. Quella voce la conoscevo già. Quello che vidi mi sorprese, ma al contempo mi riempí di felicità. Pablo era sopra Leon e lo stava colpendo, con una foga inaudita, minacciandolo di andarsene prima che chiamasse la polizia. L'altro mi lanció un'occhiataccia, guardó intimorito il mio soccorritore e poi si dileguó.

Fino a quel momento non mi ero resa conto di stare tremando come una foglia e di avere un fiume di lacrime sparse sul mio viso. Avevo freddo e volevo solo che il mondo smettesse di girare.

"Ehi... Vale, stai bene?" la voce preoccupata di Pablo mi giunse alle orecchie distorta, troppo stanca per distinguere le parole. Mi cinse le braccia, sperando di darmi conforto ma io sussultai e mi ritrassi. Non volevo, ma ero scossa, e il suo solo tocco, fino a poco prima cosí familiare e sicuro, ora mi spaventava. Continuavo a sentire quelle mani sconosciute sul mio corpo e avevo la nausea.

"Portami a casa, per favore" riuscii a dirgli sottovoce, guardando lo sporco pavimento sotto di me, sentendomi come lui. Poi chiusi gli occhi. Caddi in un vuoto stanco, freddo e ostile, e l'ultimo triste pensiero che ebbi prima di abbandonarmi completamente tra le braccia di Pablo fu che avrei tanto voluto che a prendermi ci fosse stato qualcun altro.

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