Cap. 16
Non so quanto tempo fosse passato da quando mi ero chiusa dietro quella porta. Nessuno era venuto a cercarmi ed io, in fondo, stavo bene così. Con la musica a palla a cullarmi e i pensieri a farmi compagnia.
Poi peró mi stancai. Semplicemente. Ebbi come l'impressione di non stare concludendo nulla. E non valeva solo per quell'occasione. Non potevo rinchiudermi da qualche parte, che fosse una stanza o solo la mia testa, ed estraniarmi ogni qual volta che si presentavano dei problemi. E poi, stavo ingigantendo enormemente la cosa. Alla fine, non era successo proprio nulla. Dovevo smetterla di autocommiserarmi. Non sarebbe servito a niente, e lo sapevo.
A malincuore, spinta da forze apparentemente invisibili mi sollevai dal letto comodo in cui giacevo da ormai troppo tempo. E poi, mi infastidiva un po' il fatto che la mia migliore amica non si fosse nemmeno accorta della mia assenza. Che non si fosse fatta almeno due domande. Capivo che era impegnata, ma ero pur sempre la sua migliore amica, cavolo.
Scesi in cucina. Avevo bisogno di bere qualcosa. Ma non volevo bere alcol, non finchè il sole era ancora alto, almeno. Trovai della coca cola, e senza pensarci portai la lattina alle labbra. Assaporai quella dolce delizia che, scoppiettando e bruciando in gola, mi dissetava. Amavo la sensazione delle bollicine sulla lingua. Mi facevano sentira viva, e un po' piú frizzante.
Tuttavia, il malumore persisteva e non avevo idea di come scacciarlo. Guardai distrattamente la finestra e notai con sorpresa che si era davvero fatta sera, e la casa sembrava deserta. Cosí iniziai a percorrere la casa, cercando qualcuno. Girai per le stanze, non trovando nessuno. Neanche in piscina c'era anima viva. Ero sola in quella casa? Sbuffai, buttandomi a sedere su un divano con un tonfo. Forse aveva ragione mia madre: avevo davvero la grazia di un elefante.
All'improvviso si udí un rumore di chiavi, e mi girai per capire cosa, o meglio chi, l'avesse provocato.
"Pablo!" Esclamai, rendendomi conto successivamente di quanto in ansia fossi stata. Lui parve destabilizzato nel vedermi, e titubante. Poi si passó rapidamente una mano tra i capelli.
"Hey" quasi sussurró. Non potevo credere a quell'ostilitá. Poche ore prima stavamo per baciarci e ora a stento mi guardava? Che diavolo stava succedendo? Mi alzai di scatto andandigli vicino. Il mio gesto lo spiazzó, me ne resi conti da come spalancó gli occhi.
"Che succede?" Gli dissi, cercando di restare calma.
"Che dovrebbe succedere?" Disse con voce confusa.
"Dimmelo tu!" Sbottai leggermente frustrata. Non poteva davvero stare negando qualcosa di cosí evidente.
"Non succede niente" mi rispose allora, tranquillo, accennando un sorriso. Se credeva di avermi tranquillizato con quello, si sbagliava di grosso.
"Perchè allora non mi guardi negli occhi?" Dissi un po' piú forte mettendomi davanti a lui, cercando di afferrare il suo sguardo, nonostante fossi irrimediabilmente piú bassa di lui. Lui parve svegliarsi da un lungo sonno e fissó i suoi occhi nei miei per un paio di secondi, come combattendo con sé stesso.
"Potevi dirmelo!" Quasi mi ringhió contro alla fine. Stupita da tanta aggressivitá, mi strinsi involontariamente tra le spalle, cercando di capire a cosa si riferisse.
"Dirti cosa?" Chiesi allora, cauta. Non mi piaceva quando le persone urlavano. D'accordo spesso ero io la prima ad urlare, ero del parere che bisognava sfogarsi. Ma se un'altra persona, durante una conversazione normale iniziava ad alzare il tono di voce mi metteva a disagio. E in qualche modo tornavo quella bimba piccola che aveva paura dei rimproveri di papá e del suo vocione grosso.
"Oh, al diavolo!" In un accesso d'ira mi scansó e si allontanó in fretta verso la cucina.
Rimasi interdetta per un secondo. Mi aveva appena mandata al diavolo? E per quale assurdo motivo, poi? Dovevo capire che problema avesse, non avrei lasciato perdere cosí facilmente. Mi diressi al piano di sopra, dove credevo fosse andato. E in effetti lo trovai nella sua stanza. Si tolse la maglietta e la scaraventó con furia sul letto. Non riuscii a non pensare che se fosse stata di vetro si sarebbe letteralmente distrutta, data la furia con cui era stata lanciata, facendo volare pezzettini di vetro ovunque. Mi immobilizzai. Era chiaramente arrabbiato, e io non avevo idea del perchè. Non mi aveva ancora visto e io non avevo il coraggio di bussare. Alla fine peró mi resi conto che si sarebbe accorto comunque della mia presenza, cosí mi convinsi ad avanzare. Non chiesi il permesso, né restai sull'uscio della porta. Andai dritta da lui, faccia a faccia.
"Dirti cosa?" Ripetei, stavolta con piú sicurezza. Mi aveva davvero fatta incazzare. Ma la mia era nulla in confronto alla sua. Perció quando sentii la sua risposta mi bloccai, avvertendo tutta la ferocia nella sua voce.
"CHE ERI FIDANZATA, CAZZO!"
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