Cap. 11

Non lo avevo più visto da quel giorno a scuola. Probabilmente era già partito, come era sua abitudine fare durante le vacanze estive, ma c'ero rimasta un po' male. C'eravamo riavvicinati, nonostante tutto, anche se poco. Mi avrebbe fatto piacere che ci tenesse un po' di più, che mostrasse un minimo di affetto. Ma che mi aspettavo? Non era successo nulla di che, la mia era stata solo una visita di cortesia, anche se mi aveva completamente ribaltato la vita. Non mi sarei dovuta aspettare così tanto, specialmente da lui. Lo conoscevo, dovevo sapere come sarebbe andata a finire. Sono stata incauta come sempre, e ora dovevo pagarne lo scotto. 

Me ne stavo seduta sul bordo del letto a guardare intensamente l'armadio di mogano chiaro, come se potesse in qualche modo suggerirmi cosa fare.
Effettivamente cose da fare ne avevo tante. La valigia, ad esempio. Sarah mi aveva chiamato quella mattina presto dicendomi che aveva prenotato il volo per la settimana successiva e io non avevo ancora preparato nulla. Mi decisi ad alzarmi e tirare fuori la mia valigia, pregando di riuscire a portare solo l'indispensabile, e che ci entrasse. La aprii, quello era il primo passo verso la crisi di nervi che sapevo sarebbe arrivata presto. 
Iniziai a fare una piccola lista delle cose che mi sarebbero servite, considerando anche che si parlava dell'arco di tempo di un mese. Era il primo viaggio lungo della mia vita. Il tempo massimo in cui ero stata fuori casa era una settimana. Iniziai a impilare vestiti, costumi, asciugamani, ricambi intimi, infradito, crema solare... chi più ne ha, più ne metta. Il mio vero problema nel fare la valigia non era tanto chiuderla: il problema era il dubbio. E se non mi fossero bastati i vestiti? E se avessi perso la valigia? E se poi mi fossi scordata qualcosa? Chiuderla era il minore dei problemi, ma scegliere cosa mettere dentro mi creava una confusione immensa. Avevo sempre così tanti dubbi, e non solo su cosa portarmi dietro...
Chiamai mia madre, cercando di farmi aiutare da lei. Effettivamente, grazie alle sue incredibili capacità organizzative, riuscii a metter dentro poche cose, ma essenziali. Ancora c'erano tante cose da sistemare, ma decisi che mi meritavo una pausa. Tirai un profondo sospiro, stanca e soddisfatta, abbracciai mia mamma, ringraziandola. 

"Hai bisogno di una mano in qualcosa?" le chiesi, in un disperato tentativo di tenere la mente occupata dai pensieri tortuosi che mi vorticavano in testa. Lei mi guardò stupita, non si aspettava quella domanda. Sorrise lentamente, sospettando qualcosa che però non mi disse.

"Veramente... si. Potresti passare l'aspirapolvere mentre vado a lavoro, e magari dare una lavata al pavimento, non è esattamente nel suo stato migliore." ridacchiò lei, contenta di potersi riposare un po' "Grazie" aggiunse poi, seria, guardandomi negli occhi. Io mi limitai ad annuire con un sorriso. Non ero solita fare questa cosa, non amavo particolarmente pulire e stancarmi. Ero abbastanza pigra. Però se mi veniva chiesto di fare qualcosa, di aiutare... in genere lo facevo senza ribattere troppo.
Questa volta era diverso. Stavolta tutto ciò che stavo disperatamente cercando era una distrazione. 
Scesi le scale, armata di buona volontà, attivai l'aspirapolvere e iniziai a passarlo lentamente e con cura per tutta la casa. Mi rilassava quel suono continuo, se ero io a gestirlo, ovviamente. Amavo tutto ciò che potevo controllare e odiavo ciò che mi sfuggiva. Beh, forse non era proprio odio, più fastidio, misto a disperazione. Con le persone mi capitava sempre più spesso. Forse non si poteva sempre avere il controllo su tutto, me lo ripetevo spesso, ma era semplicemente più forte di me. Tutto ciò che sentivo di non poter gestire mi caricava di agitazione. E forse un po' di paura. Sì, paura, perché le persone che sfuggono sono quelle che vanno via. E io odiavo essere usata come una roulette del divertimento, un passatempo. Detestavo i via vai, i cambiamenti e le uscite di scena improvvise. Solo a me erano concesse. Non sopportavo la mera idea di poter perdere qualcuno, era quasi una fobia. 
Scossi la testa, constatando infastidita di essermi lasciata travolgere, ancora una volta da quel flusso sregolato di pensieri. E più cercavo di scacciarli, più si annidavano dentro di me, aggrappandosi con forza ad ogni mia fibra, costringendomi ad ascoltarli, nonostante non volessi. Lui è sempre andato via. Quella frase nata dal nulla per un attimo mi paralizzò. Restai immobile, non sentii neanche più il rombo continuo del macchinario che stringevo convulsamente tra le mani, non sentivo più nulla. Vuoto totale. Quando ritornai in me, dopo pochi secondi, avevo le lacrime agli occhi, disperate gocce salate che spingevano per uscire, violando le mie intenzioni. Lui era sempre scappato, fuggito via. E proprio lui era ciò che di più importante potesse esserci per me, a parte la mia famiglia. È sempre stato un codardo, pensai, mentre un filo di rabbia montava dentro di me, crescendo come una tempesta. Mi ha sempre lasciato nei momenti peggiori, non è mai restato per me. Era una rabbia strana quella. Era una rabbia che partiva da dentro, dalle profondità dell'anima, dove solo un grande dolore o una grande gioia potevano stare. Lui era stato entrambe. La rabbia, la furia, l'ira.. erano le uniche condizioni mentali in cui mi sentivo improvvisamente potente, più di quanto avessi mai potuto provare ad essere. L'avevo sperimentata diverse volte nella mia vita, spesso a seguito di un grande dolore. Sapevo per esperienza che era un'arma a doppio taglio: ti illudeva di renderti più forte, ma in realtà serviva solo a mascherare la tristezza, ingrandendola di giorno in giorno. E dopo una crisi di nervi il dolore era insopportabile. 
Chiusi gli occhi, respirando a fondo. Dovevo calmarmi, la mia non era una reazione matura, dovevo semplicemente restare calma. Lui non era più tanto importante da tempo, non gli avrei permesso di continuare a distruggere quel precario equilibrio che ogni volta, con dolore, ricostruivo. Non più, non stavolta. 

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