Capitolo 8


Cap. 8. Incomprensione.

Albert rimuginò molto sul costo della macchina, ma alla fine si rese conto che era giusto così: quella stramaledetta macchina in un primo tempo avrebbe permesso alle cellule staminali di completare l'opera di guarigione. Poi a Lori di muoversi per casa dato che le si sarebbe attaccata addosso come una seconda pelle. Inoltre il mega computer in dotazione avrebbe permesso a sua figlia di sconfiggere la morte, saldando, anche se in parte, le vertebre lesionate, tramite impulsi a intermittenza laser. Certo sarebbero dovuti passare mesi, ma di fronte alla morte era un sacrificio passabile.

Seppellirono Lori e nemmeno in quell'occasione Angela poté essere presente. Tra quei pochi che intervennero al funerale si distinse l'insegnante di storia miss Allogay che parlò molto bene della ragazza. Aveva portato con sé alcune delle sue allieve, "amiche" di Lori che seppero apprezzare l'intrattenimento.

Seimoor, che aveva coadiuvato Albert in quell'evento, gli riferì che i vicini e i conoscenti, lo avevano apprezzato, ma nel dirlo si era notato uno strano abbassamento della voce. Già, ed era logico, considerando che la bambina era stata la sua pupilla per tutto il tempo che aveva vissuto. "Troppo poco" pensò l'uomo, "Quella bambina ha vissuto troppo poco perché  si potesse amarla come meritava". Una lacrima gli lucidò gli occhi, lui però, abituato a mantenere un contegno consono alla sua carica all'interno di quella famiglia, la nascose, evitando di volgere lo sguardo.

In casa erano rimasti Albert e la servitù, così Rose, esternò ancora una volta, ad Albert, il suo rincrescimento. Ma le parole che lo colpirono maggiormente vennero da Delajadar che manifestò il dolore che le prendeva l'anima, augurandogli di ritrovarla un giorno in paradiso. "Come posso licenziare questa donna", si chiese, "Ha un'amina così pulita". Suonò il cellulare di Locosh, ma lui non lo sentì.

"Signore il cellulare",  lo avvertì  Seimoor ma lui non sentì nemmeno quell'esortazione.

Qualche attimo dopo, come se si fosse svegliato da un sonno inspiegabile, rispose: "Pronto".

"Albert come stai?". Per quanto fosse preso da pensieri nefasti, la voce di Angela lo scosse, liberandolo da quella strana apatia.

"Come vuoi che stia, vorrei che fossi qui. Sapessi come sento la tua mancanza. Oggi è stata una giornata terribile".

"Dimenticherai, anche se sarà difficile".

"Perché lo dici, lo sai che non potrò mai dimenticare".

"Vorresti che vivessimo per sempre nel ricordo di Lori?".

"Non lo so, ma ora desidero ricordare, poi, chissà".  In parte, aveva accondisceso, ma, per lui, la pace sarebbe arrivata solo quando gli assassini di sua figlia avrebbero pagato.

"Lori non lascerà mai la mia mente, amore mio ...".

"Già", aggiunse Albert, poi aspettò che Angela continuasse, infatti, Angela aggiunse: "Li hanno presi?".

"Ancora no, ma sanno che Ten Bivonci era un loro complice". Dall'altra parte arrivarono singhiozzi a stento trattenuti.

"Calmati Angela, è una carogna, purtroppo nessuno di noi poteva prevederlo". La donna chiuse il collegamento, lasciandolo preda d'interrogativi legati a quella telefonata.

Gli era sembrato che Angela volesse dimenticarsi di Lori ma poi la stessa aveva espresso apertamente che l'avrebbe tenuta nel cuore, per sempre, inoltre, perché aveva pianto quando aveva saputo che Ten Bivonci era il maggior sospettato?

"Domani le chiederò spiegazione".

Il dottor Grieswitc accolse Albert con un sorriso che sprizzava soddisfazione, guardò la mano dell'uomo che qualche giorno prima aveva incapsulato nella benda, annuì e disse: "Sua moglie può lasciare l'ospedale".

"Grazie dottore, quando le permetterà d'uscire?".

"Nel pomeriggio. Stamani le ultime analisi, poi verrà via con lei". Sembrava assurdo un ricovero così lungo, ma era la prassi se fossero intervenute patologie particolari, come ad esempio una recidiva. "Finalmente verrà a casa con me", pensò Albert, "Spero solo che non continui nell'atteggiamento mostrato ieri, anzi tra poco saprò se è ancora convinta di quello che ha detto".

"Vada a trovarla signor Locosh, la vedrà raggiante".

"Certo", aggiunse senza mostrare nessuna emozione. Grieswitc pensò che qualcosa in Locosh non andasse per il verso giusto, ma d'altra parte aveva seppellito la sua unica figlia il giorno prima. Allora rifletté convenendo che se una simile disgrazia fosse capitata a lui, sarebbe impazzito, poi si allontanò diretto al pronto soccorso. Albert, arrivo presto da sua moglie.

"Ciao tesoro" la salutò, baciandola teneramente, "Ti trovo bene. Grieswitc mi ha riferito che per stasera sarai a casa".

"Già" assentì, sembrandogli preoccupata.

"Qualcosa non va Angela?".

Sollevò gli occhi per guardare in quelli di Albert.

"Non lo sopporto, mi sembra d'impazzire".

"Chi non sopporti Grieswitc?". Angela tacque aspettando che lui capisse, ma Albert era troppo preso dai suoi pensieri, quindi rispose: "Non lui, tutto quello che mi gira nella testa".

"Confidati, forse potrei aiutarti".

"Aiutarmi? Non credo, perché anche ieri sera hai infierito".

"Ti riferisci a Lori?". Chiese Albert capendo.

"Già, ma non a lei: al suo ricordo".

"Dovremmo dimenticarci di lei?". Chiese l'uomo non capendo a fondo le ragioni della donna.

"No, ma dovremo relegare il suo ricordo in un angolo della nostra mente, lasciando che affiori solo quando lo chiameremo".

"E poi, che faremo? Lasceremo magari che quel criminale che l'ha uccisa la faccia franca?".

"Mi dispiace per te Albert, ma devi fartene una ragione: se continui così, rischi molto".

"E chi se ne frega, al più potrebbero arrestarmi per omicidio, ma nemmeno quest'eventualità potrà fermarmi".

La donna lo guardò con sufficienza.

"Non ti rendi conto di quello che dici, tu non sai niente della criminalità e della sua perversione, come puoi vendicare tua figlia?".

"Basta così!", quasi gridò Albert, ne parleremo a casa.

"Già com'è tuo solito, ti ritieni superiore a tutti".

"Non è vero, è solo che non voglio parlarti dei miei piani qui".

"I tuoi piani?", insisté Angela, "Ma se anche per andare da Miller, ho dovuto pensarci io e poi quali piani?".

"Lo so io, tu interessati di Kit e basta".

"E no, non puoi comandarmi come fai con Seimoor e la servitù, sono Angela tua moglie e pretendo rispetto".

"Scusami non era mia intenzione offenderti, ma nemmeno lo è che lasci il mio progetto". "Il mio progetto!", pensò Angela, "Allora la cosa è più grave di quanto pensassi. Che faccio continuo per cercare di convincerlo, o la smetto lasciandolo al suo destino? Certo conoscendo la sua determinazione alla fine, o otterrà quello che si è prefisso, o morirà nel tentativo di farlo. Vorrei proprio sapere come comportarmi?".

Angela preferì tacere, sapeva che se Albert decideva qualcosa, non avrebbe mollato nemmeno se lei avesse insistito fino alla fine. Però cambiò tono e argomento, sperando di distoglierlo comunque dal suo progetto.

"Kit sta bene?".

Locosh, ancora incavolato per le pretese di sua moglie, per un attimo si chiese il perché di quella domanda ma valutando sia dal tono di Angela, che dal suo sguardo che non esisteva nessun legame con quello fino allora discusso, rispose: "Bene, Seimoor l'ha portato a scuola".

"Non poteva essere altrimenti". Ancora una volta Albert lesse nelle parole della moglie qualcosa che lo infastidì, ma evitò di controbattere. Avvertì Rose che sua moglie sarebbe arrivata nel pomeriggio, ordinando di prepararle qualcosa per farle piacere.

"Se non ti senti capace, parlane con Seimoor, vedrai che sarà in grado di preparare qualcosa di piacevole".

Rimase in ospedale per riaccompagnare Angela e, nel tardo pomeriggio lasciarono l'ospedale.

Durante il tragitto rimasero in silenzio, così che Marc per un paio di volte provò a rompere quel silenzio che, in alcuni momenti, sembrava imbarazzante. Lui, Albert evitò di affrontare qualsiasi argomento temendo che il discorso si spostasse sulla sua volontà di vendicare Lori, mentre Angela, per non avvalorare la presa di posizione di suo marito. "Spero che, non parlandone, questo insano desiderio di vendetta si sgonfi, liberando Albert dall'incubo nel quale è caduto. Inoltre", aveva continuato, "Sono sicura che alla fine capirà di non essere adatto a intraprendere un'azione rischiosa come quella". Questo era il pensiero che più di frequente le attraversava la mente. Albert, dal canto suo, era preso da altre considerazioni e dopo aver accantonato le parole che Angela gli aveva rivolto, accorpava i suoi ragionamenti, perché lo portassero a risolvere il suo bisogno primario. "Alla fine ucciderò quei due. Non sarà facile perché non sono un criminale. Vorrei trovare qualcuno che m'insegni l'uso delle armi per reggere a qualsiasi assalto, ma soprattutto mi permetta di andare fino in fondo senza eccessivi rischi".

In quei momenti appariva chiaro che la determinazione di Albert, qualità posseduta da sempre, gli apriva le porte a qualcosa d'ignoto che avrebbe potuto portarlo alla morte. Naturalmente Locosh sapeva il rischio che correva, però sapeva anche che chi colpisce per prima, lo fa due volte e spesso non permette all'avversario di reagire. "Chiederò a Marc di trovarmi qualcuno dell'ambiente per conoscere ogni trucco. Naturalmente dovrò mantenere l'incognito perché non vorrei che qualcuno mi ricatti per quello che farò". Nella mente dell'uomo tutto era già successo, bisognava solo attendere qualche tempo.

"Ben tornata signora Angela", salutò Rose all'ingresso, seguita poi da Delajadar che si scusò per non essere andata a farle visita.

"Vi ringrazio entrambe per l'accoglienza, ma ora, vorrei andare in camera".

"Mi permetta di mostrarle qualcosa, Signora Angela?", intervenne Seimoor mettendosi in mostra.

"Non stasera Seimoor. Ora, desidero solo andare in camera".

"La accompagno", si offrì Delajadar avviandosi all'ascensore. Poi una volta su, aggiunse: "Le preparo il letto?".

"No grazie, puoi andare. Riferisci a mio marito che per almeno qualche ora vorrei rimanere sola".

"Come desidera signora" e lasciò la camera.

Mai come in quel momento Angela avvertì la solitudine, anche se consapevole che al piano di sotto vi fossero Albert, Kit e persone che lei conosceva bene. Per un attimo pensò a Ten e lo odiò con tutto il suo essere. "Maledetto, per colpa sua Lori non c'è più". Si alzò dalla sedia, dov'era seduta e senza accorgersene si scoprì a guardare la porta della camera di Lori. "Che faccio? Spero che Albert non mi veda se no, avvalorerò ancora di più il suo desiderio di vendetta". Guardò alla fine del corridoio per assicurarsi che nessuno la vedesse, poi aprì quella porta. Le lacrime iniziarono a scorrere e continuarono, nel silenzio che si era imposto, finché decise di andare via. Nessuno si accorse di quell'escursione. In camera sua si asciugò gli occhi e provò ad apparire meno addolorata di quanto lo fosse.

"Non capisco, pensavo che avrebbe apprezzato la casa".

"Lo avrà senz'altro fatto signor Locosh, ma ovviamente non poteva mostrare felicità ...". Albert lo interruppe.

"Avrebbe almeno potuto mostrare di apprezzare i vostri sforzi".

"Non importa, piuttosto spero che la signora guarisca presto".

"E non è forse guarita?", aggiunse Albert, "Credi che le avrebbero permesso di lasciare il Memorial se non lo fosse?".

"Ha ragione come sempre, signore, ma io mi riferivo a quello che sicuramente le rode dentro".

"Spiegati Seimoor?".

"Che cosa vuole che spieghi, non si ricorda come stava lei, quando seppe che Lori sarebbe morta?". Albert accusò il colpo, capì a che cosa si riferisse Seimoor, ma non volle rivelarlo, al che Seimoor continuò: "Per me la signora soffre terribilmente ma spero che riesca a lasciarsi tutto alle spalle".

"Credo che ti sbagli Seimoor e non per partito preso, Angela mi ha quasi supplicato di abbandonare qualsiasi proposito di vendicare Lori. Mi sono chiesto il motivo e sono giunto all'unica risposta possibile".

"Vale a dire?", si limitò a chiedere Seimoor, incuriosito.

"Ha dimenticato completamente nostra figlia". Mentre pronunciava quelle parole, fissò Seimoor negli occhi per scorgere un'eventuale reazione, ma nello sguardo del maggiordomo non notò nessuna alterazione. Se ne domandò il motivo e presto giunse a una risposta: Seimoor la pensava come lui. Allora per appurare d'aver visto giusto, continuò: "E penso che anche tu ne sia convinto".

"No, per niente, ma ero preparato anche a questo".

"Che dovrei fare?".

"Se fosse mia moglie e tenessi a lei, mi toglierei dalla testa il pensiero di vendicarmi". Albert lo guardò torvo, perché mai avrebbe immaginato che qualcuno si schierasse con quei maledetti assassini e, se per quell'atteggiamento tollerava Angela, non l'avrebbe fatto per il suo maggiordomo. Intervenne a tono.

"A mia moglie tengo tantissimo, Seimoor e cercherò di evitarle traumi mentali, ma solo questo, perché non mi libererò mai dal pensiero di vendicare Lori dovesse essere l'ultimo atto della mia vita". Seimoor valutò quelle parole ritenendole il testamento dell'uomo, e si allontanò, invitando Albert a seguirlo.

"Se vuole seguirmi signore, le mostrerò i ricavi di questo mese".

Che Seimoor avesse cambiato argomento, turbò Albert che nel seguirlo pensava: "Costui cambia troppo spesso argomento di conversazione e lo fa con una noncuranza inquietante, non vorrei che alla fine mi si voltasse contro". Controllarono i resoconti, poi pregò Seimoor di chiamare Angela per la cena e si avviò in sala da pranzo.

Aspettare che Angela arrivasse, temendo, per via degli argomenti da trattare, che alla fine s'inquietasse, era per Albert un vero tormento. Allora, per esorcizzare quella paura, iniziò a riflettere a ruota libera, pensando che se avesse liberato quei pensieri avrebbe evitato di scoprirli in seguito. "Angela non dovrà sapere le mie reali intenzioni: non mi va che soffra inutilmente per qualcosa che forse non si avvererà mai. Certo, io cercherò quei maledetti assassini per vendicarmi. Lori!" sospirò, "La piccola, potrebbe disapprovarmi, ma non ce la faccio: la ragione si ribella e lo spirito chiede vendetta, come posso non ubbidire a me stesso? Potrei provarci è vero, ma chi mi assicura che ci riuscirei e se non dovessi farcela, come potrei in seguito evitare di maledirmi per non averci provato. Sperare non è esserne sicuri. Dicono che: "Chi vuole può", ma sarà vero, o come spesso succede, si tratta di congetture senza fondamento? Ricordo le volte che avrei desiderato qualcosa e le altrettante volte che fui sconfessato nelle attese, ottenendo zero. Allora qual è il significato? Perché si perpetua nel tempo? Che sia effettivamente vero? Non so rispondermi e del resto, anche se sapessi, credo che manterrei il riserbo come se ogni azione dipendesse da essa. E se così fosse? In questo caso, ogni azione non sarebbe dettata dalla ragione, ma dalla disperazione, perché alla fine il destino la farebbe da padrone, cambiando il finale di ogni evento. Certo non è auspicabile perché in questo caso, non servirebbe essere preparati, poiché deciderebbe la sorte". Si distrasse da quelle considerazioni, vedendo Angela che si avvicinava al tavolo. Si alzò e, sottobraccio, la accompagnò alla sedia.

"Tesoro, ti senti meglio?".

"Certo e ho una fame da lupi" aggiunse lei, non mostrando quello che la divorava.

"Presto sarà servita la cena" e rivolgendosi a Seimoor, aggiunse: "Chiama anche Kit, stasera cenerà con noi". Aveva parlato ma subito aveva capito che la presenza di Kit di certo avrebbe rattristato Angela, ma non poteva tornare indietro, anche perché Seimoor era già uscito per cercare il bambino. Contrariamente a quello che pensava, la donna fu felicissima che con loro cenasse anche il piccolo Kit. Durante quella cena, Angela prestò moltissima attenzione al piccolo, quasi temesse di perdere anche lui, ma la sua apprensione non fu notata da Albert. "Stasera non riesco a concentrarmi, sulla mia vendetta, che sia la presenza di Angela?", si chiese ma non seppe rispondersi, ma solo congetturare, non distogliendo il pensiero dall'idea che quella deconcentrazione, provenisse da lei. Angela, invece si era dedicata a Kit per evitare che il ricordo di Lori le impedisse di "vivere" e, nonostante che Kit gliela ricordasse anche solo guardandolo, ci riuscì al punto che terminata la cena, lo prese in braccio pretendendo d'essere lei a portarlo a letto.

"Mamma dai, sono grande, ci vado da solo?".

"Certo, tu sei il mio ometto", aggiunse lei.

"Allora fammi scendere?", chiese il piccolo quasi pregandola.

Angela si accorse di esagerare, ma doveva continuare a proteggersi dai ricordi, allora protrasse quel "gioco". Poi guardando Albert distratto, la incupì. "Pensa ancora a quella storia!", si disse, mentre lasciava che Kit scivolasse pian piano verso il pavimento, "Ma non gli chiederò più niente, faccia quello che vuole". In quel momento Seimoor intervenne chiamando Delajadar.

"Porta il signorino Kit a letto". La donna porse la mano al piccolo che sprezzante la lasciò a mezz'aria e si avviò di sopra. "Stupido moccioso" pensò, "Se solo potessi, t'insegnerei l'educazione, ma non è detto che non ci riesca, visto che certamente rimarrò a servizio". Sorrise e seguì il piccolo, mostrando tanta affabilità che lo stesso Albert, cominciò a dubitare di quello che aveva sentito sulla donna. "Del resto se fosse cattiva come asseriva Lori e lo stesso Kit, avrebbe già mostrato la sua indole, perché è difficile nascondere il proprio carattere".

Nei giorni che seguirono, Albert nascose bene le sue intenzioni e l'unico a sapere rimase Seimoor che lo nascose bene ad Angela. Costei dal canto suo, era certa che alla fine Albert avrebbe mollato la presa, ma ancora non era del tutto convinta che il marito avesse rinunciato al proposito di vendicare Lori ma, a mano a mano che il tempo passava, si convinceva sempre di più che il marito avesse dimenticato il suo progetto. Lo vedeva impegnato nel suo lavoro, che poi consisteva nel passare ore al computer a. Lui, invece faceva di tutto perché la moglie si convincesse che aveva definitivamente rinunciato. "Come se fosse facile", pensava, mentre continuava a mostrare di sé quel lato accomodante. Ma se Angela avesse ricordato il suo carattere, avrebbe capito che, poiché era un uomo deciso, non avrebbe mai accettato di lasciar correre. D'altra parte Albert, conoscendo la moglie, non cedeva alla tentazione di accelerare i tempi. In pratica tra i due c'era uno stallo che però doveva necessariamente sbloccarsi con l'inizio di una nuova partita e ora, i due stavano per iniziarla.

"Ancora qualche mese poi comincerò a cercare quei maledetti, ho ancora negli occhi il riso beffardo dell'uomo al volante e la voglia di ricacciarglielo in gola, è talmente forte che sacrificherei la vita pur di riuscire a togliermela". Quando questi pensieri lo assalivano, sperava che la moglie non lo vedesse, perché avrebbe dovuto spiegare la ragione dei pugni che pestavano con forza il piano della scrivania. Allora si guardava intorno con più attenzione e appena sicuro di poter farlo, si recava in garage, dove sfogava la sua ira colpendo con forza un sacco per l'allenamento alla boxe, fino a spellarsi le nocche. Angela ne era informata, ma soprassedeva, ritenendo che Albert, in qualche modo doveva sfogarsi.

Quando, qualche giorno dopo, Seimoor informò Locosh che la moglie sapeva del garage, Albert, temendo che lei gliene chiedesse la ragione, rimase perplesso sul da farsi, poi però, riflettendoci pensò che quello gli avrebbe permesso di chiarire in modo definitivo che lui era intenzionato a vendicarsi; il problema era, chi avrebbe dovuto iniziare a parlarne. Quando la mente era attraversata da quel pensiero, lo prendeva una sorta di timidezza, perché amava talmente quella donna che se lei avesse insistito nell'ostacolarlo, avrebbe potuto anche abbandonare il progetto, ma come spesso succede tra i coniugi, nessuno dei due cominciò a parlarne.

Angela aveva lasciato il nosocomio da due mesi, quando Albert decise che era arrivato il momento d'agire.

La sera, adducendo le scuse più banali, iniziò a uscire. Durante quei raid cercò in ogni pubblico esercizio uno o, entrambi gli uomini che avevano partecipato alla rapina in casa sua.

Frattanto lo sceriffo Redlord decise che, per rintracciare Ten Bivonci, avrebbe chiesto l'aiuto dei federali. Non si era arreso, piuttosto, pensando che l'uomo avesse lasciato lo stato, aveva allargato il raggio delle ricerche, del resto per quasi tre mesi aveva provato a stanare quel verme. Aveva battuto tutte le piste possibili fino ad arrivare a una sua ex. Naturalmente Bill non aveva dato peso a tutte le parole della donna, ma tra le altre cose la donna, Edwige Ellington, aveva narrato della perversione dell'uomo, chiamandolo maiale, termine che Redlord, alla fine, ritenne un eufemismo, tanto estrema fosse la sua pratica sessuale. Questa rivelazione aumentò nello sceriffo la convinzione che Ten Bivonci fosse la talpa di quella brutta storia.

Intanto Delajadar telefonava a Ten, riferendogli che lo sceriffo era convinto della sua colpevolezza, perché dalle dichiarazioni di Marc aveva appurato che avesse mentito sul loro rapporto. Bivonci non aveva commentato quelle parole, aveva solo chiesto cosa avesse detto lei in proposito e lei rispose: "Come avrei potuto negarlo, visto che lo sceriffo mi aveva messo di fronte alla rivelazione di Marc".

Consigliò Ten di lasciare lo stato.

"Hai ragione tu, Delajadar, ma ti prometto che tornerò per provare la mia innocenza". "Campa cavallo", pensò la donna, ma disse: "Certamente e  io ti aiuterò a provare la tua innocenza".

Ten Bivonci, che in altri tempi non avrebbe dato nessun credito a quelle parole, vedendosi alle strette non poté che ringraziare la donna. Provava per lei un profondo astio, perché la riteneva responsabile dell'accaduto. Non ne era sicuro, ma cominciava a puzzargli che lei avesse preteso che distogliesse lo sguardo dai monitor. Lo invogliava a riflettere soprattutto il perché dopo le tantissime volte che aveva chiesto un contatto fisico, lei lo avesse proposto in quell'occasione che, guarda caso, era sfociata in quella maledetta rapina. "Se non sapessi che è solamente una stupida puttana, sarei tentato di credere che la complice di chi ha tentato la rapina, sia lei". Aveva riflettuto ancora. "Già, ricordo le tante volte che ha cercato di coinvolgermi nelle sue beghe, l'allarme che suonò sulla consolle e lei che mi mise fuori strada". Rifletté su quello che accadde prima che la tragedia si compisse, ma nonostante la ragione gli consigliasse cautela, pensò che la donna non avesse visto né udito niente, perché in preda all'orgasmo. "Certo è l'unica ragione che poteva esserci, quella donna è talmente infatuata di me che è assurdo il solo pensarlo".

Non ascoltando il suo istinto era partito per Trenton e ora, cercava di sbarcare il lunario con lavoretti poco impegnativi ma che non richiedevano né iscrizioni al sindacato, né altra documentazione.

Intanto Delajadar aveva cambiato la scheda telefonica e ora, accusava apertamente l'ex ultimo amante. Costui dopo aver tentato diverse volte di telefonarle per essere aggiornato sugli eventi, ritenne che Delajadar avesse troncato i contatti per evitare che gli sbirri, tramite lei, lo rintracciassero, quindi anche lui aveva cambiato scheda telefonica, comprandone una al mercato nero. Così, quando dopo qualche mese la donna cercò di riprendere contatto per invogliarlo a costituirsi, scoprì che l'uomo era sparito dalla lista dei fornitori di servizi telefonici. Di questo fu contrariata, ma poiché senza di lei e la sua eventuale difesa, lui era completamente spacciato, ritenne che anche così le andasse a fagiolo.


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