Capitolo 14
Cap. 14. Greinord.
Qualche minuto dopo si fermò a un fastfood.
In quel luogo si respirava ancora l'aria della sera prima, il puzzo di birra versata, impregnava l'ambiente, sovrastando l'odore del caffè nel bollitore.
"Salve", lo salutò una ragazzina che serviva i clienti. Non si aspettava di trovare una bambina alla sei di mattina in quel posto e rimase di sale ma subito ci passò sopra e ordinò uova strapazzate e caffè.
Mangiò ma solo il caffè riuscì a fargli dimenticare la pessima impressione che aveva avuto entrando. Pagò quattro dollari e nono-stante gli paresse eccessivo, lasciò un dollaro di mancia alla bambina, che chissà perché lo inteneriva. Certo, pensandoci ci sarebbe arrivato, ma non gli andava di rifletterci su, perché aveva altro per la testa, ma poi si fece largo in quella selva di sensazioni contrastanti un pensiero "Potrebbe essere Lori", ma subito lo ricacciò: non era il caso di continuare a farsi male. Comprò ancora qualcosa da mangiare e una bottiglia d'acqua per mitigare la probabile sete e uscì. Nei pressi dell'auto si stiracchiò ancora una volta e riprese la caccia. "Chissà se immaginano d'essere agganciati con il satellitare?" si chiese, sperando che non lo pensassero. Sapeva che non sarebbe stato facile ma nemmeno pensava d'incappare in grosse difficoltà. Rifletteva sui consigli di Marc, chiedendosi se veramente valesse la pena di seguirli alla lettera. Alcune cose che l'uomo gli aveva consigliato, per lui, non erano fondamentali, anzi lo allontanavano sempre più dal desiderio di vendicarsi, nonostante fosse dominato dalla rabbia.
Guardò la lancetta della benzina. "Mezzo serbatoio, farò il pieno al prossimo rifornimento".
Frattanto Tony sbraitava: "Accidenti a te, Eric, non riesco a stare fermo, vado al fastfood per le sigarette, se dovesse arrivare Locosh, tienimelo in caldo".
"Comprale anche a me e porta qualcosa da bere: stanotte ho faticato ad addormentarmi!". Tony aveva annuito e sollevando una nuvola di polvere aveva lasciato l'aia.
Il fastfood si trovava qualche miglio più avanti, lo ricordava perché l'ultima volta che erano stati in quella casa, c'erano andati spesso.
"Accidenti, quando si fermeranno?" pensò Albert scoraggiato, ma si armò nuovamente di coraggio e riprese l'inseguimento.
"Li prenderò" disse ad alta voce, "Fosse l'ultima cosa che faccio".
All'uscita di una curva un'auto gli tagliò la strada, frenò e riuscì a evitare l'impatto, ma in quell'attimo, ogni pensiero rivolto ai due che gli avevano ucciso Lori, sembrò svanire e si ritrovò perso tra i ricordi e l'oblio. "Perché ho voluto inseguirli", pensò, "Non sarebbe stato più assennato se avessi riferito ogni cosa a Redlord? Inoltre riuscirò a vendicarmi, o questa rincorsa non porterà a niente?". Era bastato che temesse per la sua vita a convincerlo che forse aveva agito sconsideratamente. "Se dovessi morire, comunque non potrei vendicarmi". Aveva rimosso dalla sua mente le informazioni sulla sicurezza delle auto che circolavano negli Stati e nel resto del mondo. Rifletté ancora sul pericolo scampato e decise avrebbe viaggiato a una velocità moderata.
Due ore dopo rivide il puntino luminoso muoversi e costatò che tornava indietro. "Allora hanno un rifugio. Ne ho piacere, perché potrò raggiungerli e sistemarli per sempre". Accostò al lato della via per gustare ogni attimo di quella scoperta e nonostante il traffico, nessuno trovò niente da ridire. Quando vide l'auto fermarsi nello stesso punto stimato quella mattina, immaginò la sua vendetta, poi approfittando della sosta mangiò, perché a quell'appuntamento doveva arrivare in forma. Aveva pensato che loro, di sicuro, erano perfettamente freschi.
"Dovrei arrivare là, tra quattro, cinque ore", aveva parlato, per poi continuare nella sua mente. "Credo che non mi aspettino, ma se sospettassero che ho il localizzatore satellitare, dovrei aspettarmi qualche trappola". Rimuginò su quell'eventualità convincendosi che, avvicinandosi alla preda, avrebbe usato maggiore attenzione. Buttò gli avanzi dietro il sedile a fianco della guida, e avviò il motore. "Se dovessero tendermi una trappola, potrei vedermela brutta, primo perché sono in due, poi perché sono abituati a delinquere e, al contrario di me, non avranno esitazione a spararmi addosso".
Quel dubbio lo disorientò, si guardò dentro e capì di non essere pronto a uccidere, ma era tardi per fermarsi, cercò di non pensarci, ma quella costatazione lo accompagnò, ancora per parecchie miglia. Mancava qualche ora al contatto, quando decise di fermarsi.
Accostò su un lato della strada e ingrandì il punto che indicava, l'auto. Perché non lo avesse fatto prima, fu per lui stesso un mistero, ma ci rifletté, convenendo che allora si sentiva forte al punto da non temere niente e nessuno. "Ora no" continuò: "Più mi avvicino a quei maledetti, più ho paura". Toccò l'acciaio della pistola e si sentì bene, ma pensieri cupi cominciarono a percorrergli la mente. Il primo era la paura d'essere ucciso, seguivano poi, ma meno frequenti, Angela e Kit. I ripensamenti però erano inutili, quindi decise che qualunque cosa fosse accaduta, sarebbe andato avanti. Guardò con interesse dov'era diretto, valutando ogni situazione. Studiò le contromosse e alla fine, riavviò l'auto in direzione della casa.
Quando il navigatore lo invitò si fermò e guardò con maggiore attenzione quel luogo, poi chiuse ogni accesso all'auto e si preparò al raid. Nella sua mente era tutto pianificato: avrebbe vinto.
La vecchia casa dei Greinord, perché circondata da una robusta palizzata, sembrava una vera fortezza. C'era un serbatoio dell'acqua su un traliccio, e subito dopo l'ingresso all'aia, uno spazioso fienile. Sulla sinistra del fienile c'era una casa di notevoli dimensioni. La grossa Buick nera era posteggiata tra la casa e il fienile e tra quest'ultima e l'auto c'era una decina di metri di terreno scoperto. "Non vedo nessuno", pensò Locosh, "Saranno in casa?".
Rimase fermo per mezz'ora, sperando che qualcuno si mostrasse, voleva capire dove fossero per attaccare con precisione, ma sapeva che se qualcuno si fosse mostrato, avrebbe notato subito la sua auto, allarmandosi.
Eric, l'aveva visto già da un quarto d'ora e aveva invitato Tony a prendere la posizione stabilita. L'uomo era andato nel fienile scavalcando la staccionata sul retro della casa, ed era rientrato scavalcando quella dietro il fienile.
Cinque minuti dopo, Eric, mostrando noncuranza per quell'auto ferma, uscì dalla casa.
Locosh si abbassò poi, con circospezione, sollevò la testa in modo da guardare senza essere visto e notò che l'uomo, sicuro di sé, si dirigeva alla Buick con un secchio colmo d'acqua tra le mani. "Ecco", pensò Albert, "Credo che sia il momento migliore per eliminarne uno". Non si domandò perché l'uomo nel vedere un'auto ferma all'ingresso della casa, non si fosse insospettito, ma pensò alla vendetta. "Appena aprirà il cofano, gli piomberò addosso e gli sparerò". Ora, Albert con le dita sulla chiave d'accensione, aspettava che l'uomo aprisse quel maledetto cofano. La pistola era sul sedile a fianco della guida e, come a sincerarsi che non volasse via, ogni tanto la guardava. "Accidenti", pensò ancora, quando vide che l'uomo sollevava il cofano dell'auto e si apprestava a versare il liquido nel radiatore, "Solo alla lotteria non indovino mai". Accese il motore e schizzò in direzione dell'uomo. Nello spiazzo sterrato, le ruote sollevarono una nuvola di polvere che coprì ogni visuale alle sue spalle. Finalmente avrebbe sparato a quel maledetto assassino e quel pensiero gli prese completamente la mente facendogli dimenticare ogni precauzione. Non si avvide, infatti, che dal fienile usciva un grosso trattore cingolato a velocità sostenuta. Quel coso non viaggiava a cento miglia l'ora, ma dovendo coprire pochissimo spazio, presto fu sul fianco destro della Chrysler. L'urto fu tremendo e l'auto sbandò paurosamente finendo la sua corsa sul fianco della grossa Buick. "Che accidenti è successo?", si chiese Albert, che tra la polvere sollevata e il colpo subito pareva che non avesse capito niente. Intanto il trattore sempre a velocità sostenuta si avventò sul retro dell'auto, colpendola ancora una volta. Ora Locosh era all'altezza di Eric che sollevò il secchio e gli scaraventò il liquido addosso. "Accidenti", imprecò Albert, "E' benzina!", accelerò di colpo e di fronte alla staccionata, opposta all'ingresso, pigiò il pulsante alza vetri sperando che nessuno arrivasse in tempo per bruciarlo vivo. Ci riuscì in parte, perché quello sul trattore oltre a tamponarlo ancora una volta, lanciò sull'auto un razzo da segnalazione che appiccò il fuoco alla benzina. Albert zuppo di carburante, saltò sul sedile del passeggero, mentre l'ultimo spiraglio di vetro si chiudeva liberandolo da quell'incubo. Prese la bottiglia d'acqua e la versò sul sedile guida che aveva preso a bruciare, poi quando quell'inizio di incendio si spense, versò la rimanenza sulla sua testa, perché era l'unica cosa che potesse dargli un beneficio.
Ancora un colpo da parte del trattore lo spinse contro la staccionata, bloccando l'auto in una morsa impossibile da aprire.
Locosh si guardò intorno e appurò la tragicità della situazione nella quale si era cacciato. Intanto il fuoco all'esterno si era spento e poteva vedere l'uomo che aveva tentato di dargli fuoco, avvicinarsi minaccioso. Si sentiva in trappola. "Dovevo provarci e anche se mi costasse caro, non mi pentirò mai di averlo fatto". Fu il pensiero che gli attraversò la mente, prima che il terrore lo prendesse.
"Imbecille, che credevi di fare?", gli arrivarono ovattate dal vetro le parole di Eric, mentre, dal lato opposto, Tony colpiva con un grosso martello il vetro dell'altro sportello. All'interno rintronò ogni cosa, comprese le orecchie di Albert. Tony per il rinculo del martello si quasi slogò una spalla, ma colpì ancora.
"Tra poco sarai morto", intervenne anche lui, per poi finire con una sonora e beffarda risata.
Colpì ancora il vetro della Chrysler ma senza ottenere la rottura del vetro. Allora sbottò inviperito.
"Accidenti, ma come le costruiscono!" e colpì ancora. Locosh, tremava per la paura, ma vedendo che gli sforzi dei due erano inutili, cominciò a rasserenarsi. "Accidenti a loro", pensò, "Credo che per ora, non riusciranno a farmi fuori".
Ancora un colpo di martello e ancora niente.
"Maledizione a lui: non riusciremo a entrare in questa fottutissima macchina", sbraitò Eric, mentre Tony colpiva ancora una volta il vetro corazzato della berlina, poi Eric rifletté ancora e aggiunse: "Ci converrà andare via Tony".
"Mai", intervenne l'uomo arrabbiato per quella decisione, "Vuoi forse sentire per sempre il suo fiato sul collo".
"No, ma nemmeno aspettare che muoia di vecchiaia, quindi mettiamo tra noi e lui, una distanza che ci garantisca di non essere trovati".
"Già parli bene tu, ma una volta andati via, quando credi che impiegherà per liberarsi dalla stretta del trattore e inseguirci?".
"Lui uscirà dall'auto ma non la libererà facilmente, perché porteremo via le chiavi del trattore", poi per convincere Tony, gli chiese: "Tu, senza le chiavi di quel bestione, come liberesti l'auto?". L'uomo pensò intensamente a una soluzione, ma qualche minuto dopo non trovandola rispose: "Hai ragione, non ha nessun modo per smuoverlo sempre che non trovi qualcuno che lo aiuti".
"Per esempio chi?", chiese ancora Eric sicuro che presto, Tony avrebbe capitolato.
"Non saprei, io cercherei un meccanico e gli chiederei di mettere in moto il bestione", abbassò la voce, "Ma non credo che a piedi e con noi nei dintorni, possa riuscire a trovarlo, vero?".
Aveva impiegato un po' ma aveva capito il piano di Eric.
Intanto i colpi al vetro del finestrino erano cessati e ora desiderava solo togliersi di dosso il puzzo di benzina. Locosh ascoltava i due con interesse, ma non credeva a una sola parola. Aveva pensato a una trappola, ma si chiedeva se era meglio rischiare di finirci dentro, o rimanere intrappolato come un topo. Ad ogni modo voleva aspettare, perché non c'era ragione di lasciare l'auto prima del necessario.
Si guardò intorno: aveva da mangiare le rimanenze dei pasti consumati in auto e aveva versato fino all'ultima goccia d'acqua sulla sua testa. Cercò di guardare oltre il grosso trattore per controllare quei due, ma non riuscì a vederli. "Mi puzza", pensò, ma continuò a guardare: se i due avessero lasciato il posto, qualcosa l'avrebbe vista.
Era sicuro della trappola e che stessero preparandola bene. "Spero di non caderci come in questa". Ci rimase male per quella costatazione, ma era vero. Era partito in quarta, affidandosi a quella stupida arma, sicuro che niente e nessuno lo avrebbe fermato e si era trovato pressato contro una staccionata incapace di venirne fuori. "Presto proverò a uscire, sperando che questo gingillo mi serva" e aveva toccato l'arma.
Ora, oltre a non vederli non li sentiva nemmeno parlare e ancora una volta si convinceva che stessero preparandogli un tranello. "È normale che ci provino", pensò ancora, "Io lo farei". Aprì il vano del cruscotto cercando qualcosa per asciugarsi. Trovò una pelle di dai-no, un pacchetto di sigarette e una confezione di fiammiferi.
"Che cavolo ci faccio con una pelle di daino asciutta", imprecò, poi, poi tolse la giacca, la buttò sul sedile posteriore e ci provò con la camicia. Già così andava meglio: la benzina non aveva oltrepassato il baluardo degli abiti, quindi, anche se non del tutto, si asciugò lasciando che finalmente un senso di liberazione lo pervadesse. Toccò ancora l'arma e decise che sarebbe uscito dalla sua fortezza, usando lo sportello alla sua destra, dal quale era possibile vedere se qualcuno tentava d'avvicinarsi. E poi aveva con sé la pistola e con quella si sarebbe difeso fino all'ultimo e magari l'avrebbe anche spuntata, uccidendo entrambi quei maledetti assassini. Si accorse di pensare positivo e sentì bene. Tentò ancora una volta di vedere se avessero abbandonato la zona, ma ancora una volta, quella grossa ferraglia glielo impediva. "Che stupido", pensò, "Nel navigatore c'è la loro auto quindi, se sono andati via, li vedrò sicuramente lontani". Lo accese e vide il puntino che si allontanava. "Sì è lontana, ma saranno entrambi nell'auto?". Questo dubbio lo fermò ancora una volta: sapeva che alla fine avrebbe tentato la sorte, ma rimase inerte come se aspettasse l'aiuto di qualcuno. Intanto l'auto si allontanava, spronandolo a tentare la sortita.
"Devo provarci!", esclamò, ma pensava che oltre quello sportello lo aspettasse qualcosa di pericoloso, cui non avrebbe potuto frapporre niente per non soccombere.
Frattanto Marc, non vedendo in garage l'auto di Locosh e ricordando la sera prima, temeva che si trovasse in guai seri e, se era vero che lo aveva istruito bene nell'uso della pistola, lo era anche che l'uomo non aveva sufficiente esperienza per imbarcarsi in qualcosa di rischioso. Per qualche attimo pensò che per la sua testardaggine, avrebbe meritato qualsiasi cosa gli fosse capitata, ma poi, ripensando a quello che aveva sofferto, aveva cambiato parere, decidendo di raccontare ogni cosa a Seimoor.
"Inoltre non ho potuto accompagnarlo" e mostrò la fasciatura alla caviglia.
"Hai agito sconsideratamente, perché il signor Locosh non ha nessuna possibilità di vendicare sua figlia".
"Non proprio, ora sa sparare benino e qualche rudimento di tattica militare l'ha appreso". Marc si aspettava che Seimoor lo elogiasse ma lui lo redarguì pesantemente addossandogli la scomparsa di Locosh.
"Inoltre sai benissimo che quei maledetti assassini erano due".
"Mi rendo conto d'aver sbagliato a insegnargli l'uso della pistola, ma non potevo esimermi, perché mi avrebbe licenziato".
Seimoor rimase per qualche attimo in silenzio, poi continuò:
"Forse hai ragione, ma non possiamo rimanere qui a far niente".
"Ha qualche idea?". Seimoor si estraniò per pensare a cosa fare, e qualche minuto dopo, disse: "Chiederò l'aiuto di Bill e se il signor Locosh è ancora in città, lo troveranno". Marc non aggiunse niente. Intanto il maggiordomo continuava: "Tu intanto, chiama Rose e chiedile di rimanere con la signora, perché se dovesse scoprire che il marito è scomparso, non reggerebbe".
Uscì e con la sua auto personale si avviò in centro. Era preoccupato sulla sorte di Albert Locosh e lo angosciava il pensiero che fosse già morto: ricordava la cattiveria dell'autista che poche settimane prima aveva ucciso Lori.
Giunse nell'ufficio di Bill pochi minuti dopo e fortunatamente lo trovò là.
"Sceriffo, c'è il signor Seimoor", lo informò il vice Sisoost. L'uomo sollevò il capo, poi disse: "Fallo passare".
Aveva piacere di rivedere Seimoor.
"Buon giorno Bill", salutò, mentre l'uomo indicava una sedia.
"Giorno Seimoor, qual buon vento?", aggiunse augurandoselo.
"Vento di tempesta, anche se spero di no, ma ora finiamola con queste frasi fatte, Bill".
"Allora?", chiese nuovamente lo sceriffo.
"Locosh, la notte scora non è rientrato".
"Ebbene?".
"Temo che gli sia successo qualcosa di spiacevole".
"Da cosa lo deduci".
L'uomo mosse la testa orizzontalmente per un paio di volte, poi aspirò profondamente e disse: "L'ho saputo stamattina e mi vergogno per lui, se avesse avvertito te, ora non si troverebbe in pericolo".
"Spiegati Seimoor".
"Quel benedetto uomo ieri sera si è recato al Rider Show, dove Tacston aveva visto uno dei due che uccisero Lori. Voleva vendicarsi ma se l'avesse fatto, sarebbe rientrato quindi, non c'è riuscito".
Redlord per qualche attimo sbiancò: non gli andava giù che Locosh e Tacston lo avessero preso in giro e per un attimo pensò di lavarsene le mani, però a chiedergli di interessarsi era Seimoor e a lui non poteva dire di no.
"Non dovrebbe interessarmi, dato che Locosh e Tacston si sono presi gioco di me, ma ti darò ugualmente una mano, perché io ci tengo all'amicizia". Pigiò un pulsante alla sua destra e qualche attimo dopo entrò Loba.
"Qualche ordine sceriffo?".
"Cercami il codice dell'auto di Albert Locosh".
La donna uscì dall'ufficio.
"Che intenti fare Bill?" chiese curioso e preoccupato Seimoor.
Redlord che aveva aperto un cassetto della sua scrivania, lasciò per un attimo quello che si apprestava a fare e rispose: "Dal codice dell'auto risaliremo alla matrice satellitare e sapremo dov'è in questo momento l'auto di Locosh. Ora però guarda qui" e tirò fuori dal cassetto una foto mostrandola a Seimoor.
"È un regalo per Grace, glielo darò nell'anniversario del nostro matrimonio".
Redlord era raggiante, perché dopo tantissimi anni di matrimonio era riuscito a comprare qualcosa alla moglie, poi trattandosi di un regalo di un certo valore, lo era maggiormente.
"Molto belli, Bill credo che a Crace piaceranno".
"Lo credo anch'io", aggiunse Redlord per niente umile.
Passò qualche minuto ancora poi Loba entrò in ufficio porgendogli un foglio.
"Desidera altro?", chiese l'agente.
"Certo, ricerca l'auto in questione". Ora, il momento era prossimo, presto Seimoor avrebbe saputo che fine aveva fatto Albert Locosh. Si accorse di essere in ansia e lo nascose a Bill. Non ci volle molto perché Loba rientrasse nell'ufficio e stavolta lo stesso sceriffo pareva interessato.
"Allora, dov'è quell'auto?". La donna posò sullo scrittoio dello sceriffo la piantina, dove appariva chiaro la posizione dell'auto.
"Ecco Seimoor, avvicinati", invitò il maggiordomo. "È qui a quattrocento miglia in linea d'aria da Pitman, nella contea di Lock Haven", poi commentò: "Lontano a quanto vedo".
"Già", intervenne Seimoor ancora agitato, "Tu che ne pensi Bill?".
"Che se la sbrighi da solo, anche perché e lontano dalla contea". Seimoor abbassò ripetutamente il capo come se avesse detto sì, poi strinse i denti e guardò Redlord fisso negli occhi.
"Ed io Bill, che dovrò riferire alla moglie, quando si accorgerà che manca da casa e penserà che gli sia successo qualcosa di grave?".
"Scegli tu Seimoor: potresti dirle che l'ha abbandonata per darsi ai bagordi".
"Sai però che non è così, dunque?".
"Che cosa? Non l'ho mandato io in giro per gli Stati e poi, in fin dei conti, potrebbe essere già morto". Aveva guardato Seimoor fisso, mentre pronunciava quelle ultime parole.
"Bene Redlord, vado via ma ricordati che qualunque cosa accadrà a quell'uomo ne sarai responsabile" e si diresse alla porta.
"Che cosa succede Sceriffo?", chiese Loba, mentre Seimoor usciva.
"Succede che sicuramente avrò commesso un grosso sbaglio". Aveva risposto di getto pensando a quello che Loba avrebbe riferito quando Seimoor avrebbe messo in pratica quella sua velata minaccia. "D'altra parte ho risposto picche per una stupida rivalsa. Loba, richiama l'uomo che è appena uscito".
"Certo sceriffo, ma poi mi spiegherà cosa volesse intendere con quelle parole".
"Certo, poi". La donna si affrettò a richiamare Seimoor che qualche minuto dopo sedette ancora di fronte allo sceriffo Redlord.
"Di certo hai cambiato idea, Bill, grazie".
"Certamente Seimoor, solo che non so come comportarmi. Avvertire i federali richiederebbe troppo tempo: quei signori, prima di muoversi vogliono che dalla scomparsa, siano passate 48 ore. D'altra parte, mandare qualcuno dei miei è fuori discussione, perché Locosh e fuori della contea. Potrei aiutarlo mantenendo le istituzioni fuori dal gioco ma non so fino a che punto potrei muovermi".
"Che intenti dire Bill?".
"Che ho le mani legate, anche se per un amico potrei slegarle".
"Spiegati?".
Seimoor sentiva nelle parole di Redlord una speranza che affiorava e più costui parlava, più sentiva che Albert Locosh avrebbe portato la pelle a casa.
"Potrei accompagnare un tuo uomo in elicottero, purché le spese siano a carico di Locosh".
"Ancora non capisco".
"In pratica se qualcuno scoprisse che ho lasciato la contea per qualcosa di personale, non so fino a che punto mi perdonerebbe".
"Certo, ma che c'entra in questo: pagare le spese".
"C'entra perché non potendo usare l'elicottero della contea, dovremo affittarne uno che ci porti in Pennsylvania".
"Ora capisco Bill e credo che Locosh non si esimerà dal pagarle".
"Per quanto riguarda la mia presenza a bordo potrei prendere qualche giorno di ferie: ne ho tante da utilizzare".
"Perfetto, Bill, vedo che hai elaborato un buon piano".
"Già", commentò Redlord, "Purché lo sceriffo di Lock Haven ci regga il gioco".
"Lo conosci?".
Redlord abbassò ripetutamente il capo, poi rispose: "Certo e potrebbe agevolarmi ma sono certo che vorrà per sé il merito di un eventuale arresto".
"Ebbene cambierebbe qualcosa se ad arrestare l'assassino della piccola Lori fosse lui". Redlord strinse le labbra e ondeggiò il capo.
"Non ne sarei contento, ma capisco che se voglio salvare Locosh non devo badare né a questo, né alla possibilità che fuori dello Stato potrebbero cavarsela con qualche cavillo legale".
"Allora, che si fa?".
Seimoor era stato sbrigativo, perché ascoltare ancora le parole di Redlord senza avere la conferma che l'uomo lo aiutasse, iniziava a renderlo impaziente.
"Ti darò l'indirizzo dell'eliporto. Il proprietario e pilota, è un certo Creser, va a mio nome e aspettami lì. Ti consiglio di chiamare anche Tacston, perché un uomo in più ci sarà utile". Seimoor lesse l'indirizzo sul pezzo di carta e stabilì che in un'ora sarebbero stati pronti a partire. Riferì allo sceriffo dell'infortunio di Marc ma ritenne che sarebbe intervenuto.
"Tra un'ora saremo pronti, ti aspetto all'eliporto".
"No, credo che dovrò aspettarvi io". Dicendo quelle ultime parole aveva sorriso. Seimoor aveva lasciato quell'ufficio deciso a sistemare subito e bene ogni cosa.
Redlord intanto aveva altro per la testa: cominciava a preoccuparlo seriamente che l'auto di Locosh non si muovesse. "Spero di sbagliarmi, ma credo che Locosh sia stato ucciso. Se così non fosse, che cosa ci farebbe la sua auto ferma in un posto isolato come quello?".
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