*Capitolo 52 - Luna piena

Malgrado la determinazione con la quale Eddie cercò di opporsi alle subdole suppliche di Lexi, alla fine non riuscì a divincolarsi. Seppur non mancasse di scaltrezza, era piombato su un terreno sdrucciolevole. Più avanzava più la tela di ragno diveniva appiccicosa fin quando non gli fu possibile nemmeno più smuovere un muscolo e il suo intero corpo si pietrificava, prigioniero di smaglianti occhi turchesi.

"Chi è che ha rigirato come un calzino?" domandò retoricamente Henry passandogli accanto. Ad Eddie non sfuggì il modo in cui la sua bocca si increspava pur di trattenere il sorrisetto compiaciuto e derisorio. Roteò gli occhi.

Era stato trascinato in acqua, nel quale conduceva una battaglia su due fronti separati: assicurarsi di non bagnarsi oltre il necessario (odiava l'acqua salata) e premurarsi che il gesso di Lexi restasse asciutto.

Poteva essere interpretato come un non convenzionale tenersi per mano, romanticamente parlando, ma la sua espressione annuvolata faceva intendere il contrario. Tuttavia rimase lì, fermo, a stringerle il polso mentre i raggi solari facevano di lui la sua preda, divorandolo spietato.

E dopo quella lunga esposizione, nonostante gli abbondanti strati di crema solare, divenne succube di un tremendo eritema solare.

Quella sera, quando il vento che soffiava dal mare rinfrescò la casa dissipando il calore asfissiante della mattina, Eddie non si sentì molto sollevato. La famiglia sedeva attorno ad un tavolo rotondo, di fronte ad una porta finestra che si affacciava sul mare: al crepuscolo non era altro che una striscia pallida che si confondeva con il cielo prima di dissolversi nel buio, lasciando di sé soltanto lo sciabordio delle onde. Le cicale frinivano accompagnando il tintinnio delle posate.

"Eddie alza il culo, è il tuo turno di lavare i piatti" rimbeccò Rudy raccogliendo i piatti sporchi della cena. Ad un tratto si fermò, accanto alla sua sedia, inarcando un sopracciglio. "Ma che gli prende?" bofonchiò impilando anche il suo piatto, scostato di lato. Il capo appoggiato nell'incavo del gomito sul tavolo, si copriva il viso come se stesse attraversando un silenzioso calvario.

"Guardagli la schiena" suggerì Maya seduta di fronte, la cascata di capelli rossi ancora umidiccia smossa dal vento alle sue spalle. Il biondino la fissò stranito ma l'assecondò, sollevando un lembo della sua maglietta.

"Cazzo Eddie, ti sei arrostito bene." commentò sparendo in cucina.

"Fa proprio tanto male?" Fu la riluttante domanda che si sentì rivolgere dall'artefice indiretta di quella tortuta. Se finora aveva mantenuto un certo statuario aplomb (sempre se la struggente impassibilità autoimposta potesse essere definita tale) a quelle parole andò in malora in favore di un'occhiata tutt'altro che amichevole.

Come si dice, se gli sguardi potessero uccidere...

Lexi abbassò lo sguardo mordendosi le labbra, vestita solamente di una maglietta oversize sgraffignata dal suo armadio dopo che l'incendio aveva distrutto il suo intero guardaroba, i capelli ancora sporchi di sale legati in una crocchia disordinata e crespa. Sembrò quasi dispiaciuta, per lo meno era l'espressione più vicina al dispiacere che potesse produrre sinceramente.

"La prossima volta ti farai spalmare la crema da me" non riuscì a fare a meno di borbottare sollevando lo sguardo sul lampadario che pendeva dal soffitto.

"Ecco la tachipirina, dovrebbe farti passare i sintomi di questa insolazione." Henry gli porse un bicchiere, lasciandogli una pacca sulla spalla. Il figlio non lo ringraziò, restando nel suo mutismo selettivo, tuttavia accettò la medicina che portò immediatamente alle labbra.

Un telefono prese a squillare sovrastando il silenzio della sala e il canto degli insetti notturni. Era il cellulare di Lexi che lampeggiò sul tavolo mostrando un numero sconosciuto sul display. Non le sfuggì il modo in cui lo sguardo indagatore del ragazzo dai capelli corvini si mosse rapido sullo schermo. Poteva vedere sotto quelle palpebre pesanti come le rotelle del suo cervello avevano cominciato a girare in quel meccanismo perfetto, macchinando sospetti, articolando presentimenti. Agguantò il cellulare e si allontanò dalla tavola fino a raggiungere la porta di ingresso, stava ancora squillando ma non si sentiva abbastanza fuori portata d'orecchio. Uscì dalla villa addentrandosi nel lato posteriore del cortile, verso la piscina.

Era sola.

"Pronto"

"Penitenziario di Folsom, contea di Sacramento, accetta la chiamata a suo carico."

Il sangue le si gelò nelle vene, fu avviluppata da una calma fredda tanto che la presa ferrea sul cellulare si allentò. C'erano soltanto due persone che potevano chiamarla da un penitenziario, bruciando l'unica carta in loro possesso per telefonare lei.

"Accetto."

E le aveva fatte condannare con le sue mani.

"Immagino tu ti stia godendo la libertà." il vento smosse le palme che circondavano il cortile, increspando appena l'acqua della piscina, brillava di un tenue azzurro per poi passare ad un violetto e poi cambiò di nuovo colore. Lexi sul bordo puntò lo sguardo vacuo verso il basso, dove la luna si specchiava.

"Papà"

"Sei stata un'incredibile stronza, ma noi torneremo. Siamo meglio di Bonnie e Clyde." la ragazza rise di scherno.

"Tutto quello che sento è un inconsistente blaterare." sollevò lo sguardo. "Risparmia il tuo patetico teatro per il tuo compagno di cella, avete avuto ciò che meritavate. Non avete rispettato i patti."

"Siamo rimasti bloccati qui, aspettando i tuoi comodi, razza di puttana ingrata! Erano questi i patti!"

"Si, ma non prevedevano il boicottaggio" cantilenò scuotendo il dito.

"Non sarei così tranquillo se fossi in te" mormorò.

"Perchè? Ho sfiorato la morte, una condanna per tentato omicidio e per omicidio premeditato. Cos'altro potrebbe andare peggio? Cos'altro c'è che può scalfirmi se questo non l'ha fatto" scandì divertita, un anelito di vento le scompigliò le ciocche che sfuggivano dall'acconciatura. "Ma dimmi, siete stati voi a cercare di uccidermi con quell'incendio?"

"Avrei tanto voluto" quella frase in qualche modo cancellò ogni traccia di scherno dal suo viso. Per un frangente il silenzio si insinuò tra loro. "Cosa pensi di fare senza i nostri soldi, senza più una casa o una famiglia? Non andrai da nessuna parte e arriverà il giorno in cui implorerai di non esserti messa contro di noi." L'uomo rise dall'altra parte del telefono.

"Tempo" sentì in sottofondo.

"Non è la morte la peggior punizione, è l'odio. Sei una ragazzina destinata a rimanere infelice per tutta la vita. Perchè? Mi chiedevo. Hai avuto una vita normale dopotutto." lo sguardo di Lexi si piantò nel vuoto, il telefono all'orecchio. "Ma alla fine non è qualcosa che nasce dall'esperienza. Non è così? La senti anche tu non è vero? L'hai sempre sentita quella cosa sbagliata dentro di te." alzò il tono della voce come per ficcarle meglio in testa quanto pensava.

"Sei marcia"

Sbatté un paio di volte le palpebre, su due occhi vitrei, svuotati di qualunque particolare emozione. Calpestarono ancora un terreno silenzioso, ma destinato a non rimanere tale a lungo. Un sospiro riempì la cornetta accompagnato da una risata roca.

Credeva davvero di poter fotterle il cervello? Aveva inventato lei quel gioco.

"Sei davvero arrabbiato papà. Ma c'è così poco tempo per sfogare la frustrazione da totale fallimento quale sei in cinque minuti di telefonata."

"La tua bocca parla ma dentro di te non fai altro che urlarti addosso: 'come diavolo ho fatto a farmi fregare da quell'idiota?'. Quasi vent'anni a coprire miracolosamente le tue tracce ed ora di punto in bianco, vieni tradito dal sangue del tuo sangue. Lasciatelo dire: è degradante. Cosa farai adesso nella tua tutina arancione?" scandì ampliando il suo sorriso, sibilando come una vipera. "Ti vedo, sai. Rinchiuso a mangiarti le mani, a muoverti irrequieto, sapendo che quelle quattro mura si rimpiccioliranno sempre di più."

"Sta' zitta"

"Volevi fare un gioco pericoloso, ma hai scelto la mente sbagliata. Lo sai che in California la pena di morte non è stata proprio del tutto sospesa?" domandò, poteva quasi figurarselo pallido in volto. "E ci sono ancora così tanti scheletri nel vostro armadio, non vedo l'ora di cominciare a scovarli."

"Non troverai niente"

"Certo, come non avrei mai potuto scoprire il vostro gioco. Mai dire mai" ridacchiò facendo spallucce. "Il rumore dei graffi è più corrosivo dei graffi stessi e io sto passando le mie unghie su una fottuta lavagna"

Detto ciò, segnò il suo ultimo avvertimento, la sua oscura minaccia stesa come un sortilegio, e riattaccò.

[...]

Non riuscì a dormire quella notte. Accucciata nel suo letto sopra le coperte diede la colpa alla luna che nequitosa bagnava la stanza di una forte luce bianca e seppur in parte fosse vero, non era l'unico motivo a tenerla sveglia. Così decise di alzarsi e sgattaiolare fuori di lì. Scese le scale a passo felpato raggiungendo di nuovo la piscina dove per poco non sussultò quando si accorse della sagoma che la occupava. La luce mutò raggiungendo una tonalità verdognola, la superficie ondeggiava quieta attorno alle sue spalle come in un gratificante abbraccio. I capelli neri gli solleticavano il gomito, grondanti d'acqua, sembrò quasi sostasse in uno stato onirico.

"Eddie"

"Lexi" mormorò senza guardarla; era voltato dall'altro lato.

Fece scivolare le gambe in acqua e prese a dondolarle. "Qualcosa da dire?"

"La prossima volta mi farò spalmare la crema da te" borbottò impercettibilmente. Lei sorrise.

"Sarò lieta di palpeggiarti liberamente" ammise senza mezzi termini avvicinandosi di più. La luce, bianca adesso, illuminava i suoi lineamenti mentre con la mano a coppa smuoveva l'acqua per irrorare la sua pelle scottata. Gli lasciò una tenue carezza indugiando con lo sguardo sulle scapole e i muscoli delle spalle.

"Vieni con me"

Eddie finalmente girò la testa nella sua direzione, sempre adagiata sulle sue braccia incrociate a bordo piscina. Due occhi gialli e brillanti la fissarono con uno strano luccichio indagatore, circospetti.

"Perchè?"

"Giuro di non avere cattive o lascive intenzioni, voglio solo aiutarti con quelle scottature." appoggiò una mano sul cuore e l'altra in aria con il palmo rivolto davanti a sé, come se recitasse un reale voto e per la prima volta parve verosimilmente sincera, ma le sue doti da attrice potevano raggiungere anche picchi olimpionici per quanto la conoscesse.

Sbatté le palpebre un paio di volte e notando la sua riluttanza Lexi non poté che alzare gli occhi al cielo.

"Non essere così sfiducioso avanti, il medico mi ha prescritto delle creme da applicare dopo due settimane dall'ustione, sono sicura andranno bene anche per te."

"Sto bene, ormai non è così male"

"Oh andiamo, non commettere lo stesso errore due volte"

Alla fine riuscì a farsi seguire nella sua camera da letto. Era stanco, non abbastanza per dormire ma nemmeno per discutere con lei. Con il corpo ancora striato da piccole gocce, Lexi lo indusse a sedersi sul bordo del suo letto mentre lei frugava in una borsa colma di flaconi alla ricerca di quello giusto.

Tra loro scese un lieve ma piacevole silenzio mentre si sedeva sul letto dietro di lui.

"Piegati un po'" gli sussurrò. La sua schiena si curvò risaltando la linea della colonna vertebrale, i suoi muscoli si tesero. Con piccoli movimenti circolari cominciò a stendere la pomata sulla sua pelle, non c'era traccia del suo solito tocco: affamato, intriso di malizia. Quel contatto era gentile, era delicato come se temesse di fargli del male. Sentì come si contraeva ad ogni minimo tocco e quando la sua mano scivolò lungo la spina dorsale percepì un brivido assalirlo. Quando invece arrivò a carezzargli la spalla, la sua mano fu accolta dalla sua.

"Che cosa vuoi Lexi?" sussurrò con voce roca stringendole le dita e raddrizzandosi. Le dava ancora le spalle, i capelli scuri sbiadirono assorbendo il colore della luna.

"Lo sai"

"Non stavolta" si voltò puntando quegli occhi tormentati nei suoi. Rimasero in silenzio a fissarsi, come se quella fosse una forma di comunicazione più chiara e forse lo era per davvero. Tutto intorno vibrava di elettricità, c'era tensione nell'aria e sarebbe bastato un lampo per mandare in fumo quella staticità in cui erano rilegati.

"Voglio baciarti" si lasciò sfuggire come se non avesse aria nei polmoni.

"E allora fallo"

E una volta dato il via libera, nessuna inibizione l'avrebbe più cristallizzata. Lexi si sporse verso di lui, posando una mano sulla sua guancia scarna, accarezzando i suoi rigidi lineamenti, la curva degli zigomi; accolse il suo slancio avvolgendole un braccio attorno alla vita e stringendola a sé, l'altra mano le accarezzava i capelli scostandoli placidamente dietro l'orecchio. Pochi millimetri dividevano ancora le loro labbra, Lexi appoggiò la fronte sulla sua facendo saettare il suo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra. La maglietta le si era inumidita a contatto con la pelle ancora bagnata e grondante d'acqua del ragazzo.

"Cosa aspetti?" sussurrò Eddie con voce calda e roca ad un soffio dalla sua bocca, le ciocche scure le rigarono il viso di lacrime d'acqua dolce.

"C'è la luna piena" mormorò lei.

"Lo so" e l'attimo dopo la distanza tra di loro fu colmata. Le loro labbra si scontrarono, le loro lingue si toccarono. Le mani di Eddie si insediarono sotto la sua t-shirt, scivolando lungo i fianchi e risalendo sempre più su, verso il suo seno intanto che la sua bocca scendeva lentamente nell'incavo del suo collo.

Lexi gemette inclinando il capo, lasciandosi completamente andare. La maglietta le fu sfilata e ricadde sul pavimento, rimase con nient'altro che un costume da bagno. Le braccia di Eddie continuarono a cingerla in quell'abbraccio mentre la sua bocca si avventava di nuovo sul suo collo scivolando languidamente verso la sua clavicola e la sua spalla. Poi ad un tratto, si issò sulle ginocchia curvandosi di più sul suo corpo, le sue labbra raggiunsero il fiocco sulla schiena, sembrò indugiare sulla sua pelle in quel punto, un luccichio da predatore gli scaldava gli occhi socchiusi. Tirò il laccio con i denti, indolente, rilassato mentre il battito di Lexi non faceva che accelerare, si sentì le guance in fiamme e sperò che non se ne accorgesse.

Cosa le stava facendo? Lei non era mai arrossita in vita sua, non per un ragazzo.

Il reggiseno le ricadde lungo il corpo e il moro non ci mise molto a sbarazzarsene.

Sovrastò il suo corpo, costringendola a distendersi lentamente sotto di sé, sul letto. Le mani di lei si allacciarono al suo collo e continuarono ad approfondire il bacio. Un'irruenza disperata le contorceva i lineamenti, le sopracciglia increspate; ne voleva di più, lo voleva da tanto. In quel momento percepì il ricordo dei giorni passati, miglia o centimetri a separarli, c'era sempre troppo spazio.

Il suo seno fu premuto contro il suo petto, i loro corpi combaciarono. Sentì la sua erezione tra le gambe e istintivamente le aprì ancora.

Presto si liberarono anche degli slip e dei boxer, rimanendo completamente nudi.

"Mi fai diventare debole" ansimò Lexi prendendogli il viso tra le mani per poter incastonare gli occhi nei suoi.

"Però vuoi andare avanti" le scostò ancora una volta i capelli dal viso, con una lieve carezza sulla fronte. Era capace di una dolcezza in grado di mettere in ginocchio quel suo mastodontico ego. Lexi corrugò la fronte a quelle parole, pronunciate con così tanta disinvoltura per poi lasciarsi andare a un sospiro. La punta del suo membro le solleticò le labbra e l'attimo dopo si spinse dentro di lei rubandole un gemito di piacere. Sentì le sue dita insinuarsi tra i capelli sciolti mentre dava spinte regolari.

Appoggiò una mano sul suo torace, mordendosi le labbra per attutire un altro gemito di piacere. I suoi baci salirono fino alla mascella mentre le sue spinte si facevano sempre più forti, sempre più rapide.

"Ahh" mugugnò incontrando il suo sguardo acceso di lussuria. Dopo aver sottostato ad ogni suo desiderio, come colpito da una maledizione, quella notte giunse per riprendere il controllo su di sé. Stavolta sarebbe stato lui il burattinaio e avrebbe tirato i suoi fili con estrema, asfissiante e letale lentezza fin quando tutto ciò che avrebbe nutrito sarebbe stata fame e desiderio.

Avvicinò l'altra mano alla bocca e si leccò due dita che fece scivolare tra i seni, fino all'ombelico e poi ancora verso il basso ventre; la sua pelle si irrigidiva a quel volubile contatto. Continuava a spingere e nel frattempo le sue dita presero a stuzzicarle il clitoride con lievi movimenti circolari.

A quel tocco la schiena di Lexi si arcuò violentemente mentre veniva.

E lui dentro di lei.

"Lo so che ne hai bisogno" mormorò sopra di lei, ansimando contro il suo orecchio. "Piccoli attimi di debolezza perché la corazza è troppo pesante."

"Cosa?" corrugò la fronte. Eddie si allontanò di scatto e il freddo imperversò sulla sua pelle nuda.

"Che cosa vuoi Lexi?" le domandò ancora, ma sta volta quelle parole pesarono tra le sue mani in modo diverso, come blocchi di cemento che non sarebbe riuscita a reggere.

La luna illuminava i loro corpi di un candore spettrale, trasformandoli in due esseri mistici mentre secondi - scanditi dalla silente e trepidante attesa - non facevano che scorrere velocemente.

Ma per la prima volta nella sua vita, dalla bocca di Lexi non uscì niente ed Eddie capì che non avrebbe dovuto.

Tutti quei giorni passati con lei, quelle settimane al suo fianco, attratto da quel brio che lei emanava come un corpo celeste emanava luce, erano stati frutto di un errore.

Un errore madornale. 


11/08/2022







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