Capitolo 40 - Variante Najdorf
Liberdad, Tijuana, Bassa California 2018
Fatti e strafatti, due ragazzi e una ragazza provenienti dalla stessa metropoli californiana di Chantal, ancheggiavano in bizzarre danze che probabilmente all'inizio della serata avrebbero avuto una forma migliore, ma che adesso sembravano solamente una serie di spasmi irrequieti. Eppure erano felici, per cui il resto non contava.
Errato.
Nessuno di loro lo era e prima che l'orologio rintoccasse la prossima mezz'ora anche quel blando sentore illusorio sarebbe stato annientato. La ragazza aveva lunghi capelli rosa chiaro, come zucchero filato, morbidi e setosi le arrivavano a metà schiena scendendo in dolci boccoli tra cui raffioravano petali di rosa. Indossava un vestito celestino formato da una gonna aderente che le arrivava a metà coscia e un corpetto realizzato nello stesso materiale che normalmente avrebbe dovuto avere delle semplici frange, ma che ella, colta da un momento di creatività, aveva ricoperto di brillantini romboidali adesivi che non terminavano sulla stoffa ma proseguivano sulle clavicole e le spalle in motivi arzigogolati e serpentinati. Il fine ultimo era renderla appariscente e con quella serie di intricate decorazioni, simili ad una pianta rampicante che aderiva sulla sua pelle in un abbraccio, c'era riuscita benissimo. Si inerpicarono fino al viso, come schegge di uno specchio che riflettevano la luce, raffiguravano una spruzzata di lentiggini luminose che si mischiavano a perle dai colori lunari. Aveva un aspetto etereo con quella linea di eyeliner azzurro e i motivi decorativi impressi attorno agli occhi con altre pennellate colorate: scintille stilizzate come fosse in un cartone animato. Aveva sedici anni e mezzo, ne avrebbe compiuti a breve diciassette e la sua passione sfrenata per la contraffazione di documenti identificativi l'aveva condotta fin lì. La maestra all'asilo le disse che era molto brava con le forbici e l'aveva presa talmente sul serio da dedicarsi all'arte povera di creare lei stessa tessere identificative durante il terzo anno di superiori, passione che dopo quella sera avrebbe gettato nel dimenticatoio forse per sempre. Forse.
"Non riesco più a muovermi" disse continuando tuttavia a produrre dei saltelli.
"Lo vedo" disse uno dei ragazzi, il più alto, dai lineamenti asiatici e il portamento sicuramente più sobrio degli altri due.
"Sto per vomitareee!" aggiunse sollevando le mani al cielo
"Siii!" esclamò il portatore della versione maschile del suo nome. Inciampò nei suoi stessi passi ed entrambi caddero a terra spiaccicati, con la folla che imperversava nella sala di quel locale e che per poco non li calpestò. I due non sembrarono curarsene.
"Alex levati dal cazzo, mi stai schiacciando" Egli rise, una risatina a singhiozzi come se gli mancasse l'aria.
"Tu non ce l'hai il cazzo" scherzò mentre appoggiava la mano a terra sul pavimento sporco e appiccicoso per rimettersi in piedi; barcollò notevolmente ma riuscì a non perdere nuovamente l'equilibrio anche grazie alla mano offerta dall'amico. Entrambi poi puntarono lo sguardo verso il basso, attendendo la prossima mossa della ragazza.
"Io non ce la faccio, lasciatemi qui. Diventerò un tutt'uno con il pavimento di questo locale, un tutt'uno con la terra, con il mondo, il mio corpo si fonderà alla mia anima e finalmente accederò ad un livello di vita superiore. Così conoscerò ogni pulviscolo dell'universo i suoi segreti i suoi meccanismi che avendo solo un corpo, ora come ora, non riuscirei a comprendere nonostante la vastità del mio intelletto capite. Estinguerò ogni illusione, passione, desiderio (be' forse su quelli carnali ne potremmo parlare prima) e raggiungerò il Nirvana."
Si gente, è confermato, quella ragazza era Lexi Wolfe.
"Si, ma ora alzati Buddha" Oliver la tirò tramite entrambe le braccia e dovette usare più forza del previsto poichè la ragazza non era altro che un peso morto. Quando riuscì finalmente a issarsi sulle sue gambe non aveva più la stessa vitalità di poco prima.
"Ti senti bene?"
"Per niente" il volto ridotto ad una maschera di cera, stava cominciando a diventare verdognolo e pur fosse instabile i suoi occhi si tennero miracolosamente fissi in un punto preciso. Oliver la guardò un tantino preoccupato temendo potesse vomitare su di lui da un momento all'altro.
"Sembri fin troppo concentrata sulla mia camicia. Hai intenzione di cospargerla col tuo vomito?" arrivò a domandare con un cipiglio.
"Sii, fallo!" esclamò Alex sollevando le braccia entusiasta, i suoi occhi erano talmente rossi da far pensare che non avesse semplicemente fumato erba ma che l'erba avesse fumato lui, era ridotto uno straccio.
"Lo sto seriamente prendendo in considerazione" Oliver fece un passo indietro e in quell'istante di concentrazione, un ragazzo, trascinato dalla musica, prese a strusciarsi pesantemente su Lexi. Ella sentì scuotersi in modo turbolento, delle ruvide mani appoggiate in prossimità del suo basso ventre, la sua schiena contro il suo torace, per non parlare del tanfo di erba e sudore: le avviluppava l'olfatto. Avrebbe reagito sicuramente in un minor lasso di tempo se non fosse stato per l'alcol che fluiva nelle sue vene come il Lete fluiva negli inferi, torbido e in modo da annientare i ricordi. Perché lei non ne avrebbe più avuti dopo quella sera.
"Ehi Icaro" esclamò austera divincolandosi dalla sua presa e guardandolo dritto in faccia "Il sole brucia e se non te ne fossi accorto, io stasera brillo di più." ma il criceto che vorticava nella solitaria ruota che costituiva il suo cervello, evidentemente era morto o forse era esploso. Tentò nuovamente di appoggiarsi alla ragazza dai capelli rosa a cui quel continuo movimento stava facendo salire la nausea neanche si trovasse sulle montagne russe.
"Lasciala coglione" intervenne Oliver dandogli una spintarella. Si divincolò di nuovo muovendo le spalle, disgustata dal quel contatto.
"No entiendes una mierda entonces, quita esas manos de mi culo, hijo de puta!" gridò per fargli percepire il messaggio forte e chiaro. L'istante successivo gli assestò un gancio destro con tutta la forza che le rimaneva, il colpo andò a segno dritto sul naso e la birra che aveva in mano cadde a terra insieme a lui. Aveva perso l'equilibrio, ritrovandosi seduto sui cocci disseminati a terra in mezzo a una miriade di gambe che si muovevano in modo poco ritmico urtandolo in malo modo.
"Bruciato" gli disse. Poi non riuscì più a trattenersi: gli vomitò addosso con i clamorosi versi disgustati di Oliver ed Alex ad accompagnarla. Si rimise in piedi pulendosi l'angolo della bocca con il dorso della mano e si diresse in terrazza avvertendo di voler prendere una boccata d'aria.
Ma quella terrazza era già occupata da un'altra persona, una sola persona: Chantal Velazquez. Precipitò giù dal secondo piano nell'esatto lasso di tempo in cui Lexi si era permessa di uscire e qualche istante dopo la caduta, ella, come se niente fosse, rientrò nel locale decisamente meno verdognola in viso. Le persone, le più sobrie e le più vicine alla porta-finestra, si accalcarono per verificare la situazione: gli occhi sgranati e rossastri, i drink in mano, una fiumana di gente che cercava di uscire tutta insieme.
E Lexi, che camminava controcorrente fino ad arrivare dai suoi amici, il volto ridotto ad una maschera imperturbabile, spento, gelido.
Liberdad, Tijuana, Bassa California, 2019
Passò le successive ventidue ore davanti allo schermo del suo PC, in una squallida stanza di un motel. Il letto scricchiolava rumorosamente, le pareti erano rivestite da una carta da parati verde oliva e squarciata in alcuni punti, i pavimenti erano ricoperti da una moquette macchiata, che portava a deduzioni di natura macabra. Alcune piastrelle del bagno erano addirittura spezzate in alcuni punti per non parlare di come erano sottili i muri. Riusciva a sentire ogni cosa: i passi pesanti degli altri inquilini, le urla in spagnolo che riverberavano dalla finestra e dal pian terreno e le prostitute a lavoro. Erano forse due giorni che non toccava cibo né acqua per lavarsi, e quando il pensiero lo sfiorò ci pensò il bagno della camera a dissuaderlo. Insomma sembrava che l'intero ambiente si corrodesse ad uno sguardo. Trascorse il tempo seduto su una sedia, il borsone ancora ai piedi del letto intatto e il copriletto rosso scuro ricoperto di fogli su fogli. Era già la quattordicesima volta che riavvolgeva il nastro, ma nulla era cambiato. Dopo aver requisito le prove dalla centrale era incappato nei video di sorveglianza del locale. Ormai conosceva a memoria l'evento come se l'avesse vissuto in prima persona. La telecamera era posta in un angolo e mostrava la porta finestra solo di profilo. In compenso i volti erano più nitidi. Vide una Chantal sorridente uscire e scomparire, raggiunta venti secondi dopo da Lexi tramite la porta-finestra di fianco. Sembrava terribilmente ubriaca, un vero e proprio straccio. Eddie si curvò in avanti, le dita delle mani intrecciate, gli occhi assottigliati: dopo qualche minuto ecco che a riemergere fu soltanto lei, decisamente meno instabile, come se quell'aria fresca fosse stata un toccasana.
O forse lo era stato l'omicidio. Rifletté con gli occhi socchiusi e fissi su di lei.
Aveva visto tutto questo quattordici volte e niente di nuovo sbucava all'orizzonte. La stessa scena ripetuta all'infinito come una porta che sbatte ripetutamente senza che un'intuizione lo cogliesse. Stava perdendo le speranze e, raggelante come un fiume in piena, una scabrosa sensazione gli si insinuò sotto la pelle.
Non c'era nessun movente, per quel che aveva scoperto le due ragazze non si conoscevano neppure. Eppure lei era su quel balcone con lei e si escludevano le ipotesi di un suicidio. Quel giorno durante quella punizione dalla preside, ella alluse ad una ragazza dalle doti particolarmente teatrali. Chantal non frequentava il teatro ma aveva fatto tante di quelle scenate in quella scuola che ognuna era passata sulla bocca di tutti per giorni. Che abbia toccato le corde sbagliate e un membro dell'orchestra si sia alterato? Perchè era da escludere un qualunque diverbio risalente a quella sera stessa, nulla di ciò rientrava nei filmati.
Aveva la sua valutazione scolastica dalla prima elementare. Niente che facesse supporre a nient'altro che a una diva scolastica ammirata e allo stesso tempo poco incline a suscitare le simpatie degli altri. Ma nessuno tranne lei e la combriccola dei tre idioti (di cui due con lo stesso nome) era a quella festa a Tijuana. Non c'era nulla, nulla di nulla. Eddie sospirò strofinandosi gli occhi. Il buio era calato sulla città animandola a festa. Era esausto ma non voleva cedere.
"Non c'è un movente" disse tra sé alzandosi e misurando la stanza a piccoli passi.
"Non è un suicidio."
"Non è neppure un omicidio di terzo grado compiuto da criminali del posto come avevo ipotizzato all'inizio" Seppur la nomea della città non fosse tra le più candide e innocenti, nessuno era su quella terrazza tranne Chantal e Lexi. Quindi è da escludere la colpevolezza di un ipotetico maniaco o stupratore del luogo.
"La spiegazione è semplice: un incidente" del resto era ad uno spring break, ubriaca marcia. Ma allora perché Darleen aveva architettato un piano diabolico per vendicarsi. Perché non credeva a questa spiegazione? Si inginocchiò sul pavimento rovinato esaminando i documenti e con uno sguardo improvvisamente acceso da una lampadina interiore afferrò la cartella medica di Chantal. Non c'era nulla di nuovo ma sentirla tra le mani gli incrementò l'intuizione che finalmente si preparava a germogliare.
"Lei non beveva" sussurrò guardando il vuoto. L'attimo dopo si precipitò sulla sedia e afferrò il computer rimettendo il video dal principio. Stavolta lo guardò per intero (anche se aveva provveduto abbondantemente anche a quello). Però ecco che un dettaglio si rendeva visibile come un pennarello fosforescente in mezzo al buio: non aveva toccato neppure un drink se non coca cola o gassosa.
Lei non beveva.
Era astemia.
Ecco perché Darleen non poteva credere all'incidente e né al suicidio. La lampadina che gli si accese nel cervello non bastò a fargli fare i salti di gioia per la scoperta appresa, perché sembrava fin troppo ambigua e forzata per essere considerata un indizio credibile. E più la guardava durante tutta la sua traversata dall'ingresso al balcone, più se ne convinceva: c'era definitivamente qualcosa di strano. Tuffò un braccio nello scatolone sul bordo del letto, facendo scorrere le cartelle rapidamente alla ricerca di qualcosa. Giunse addirittura a ribaltarlo, rovesciando l'intero contenuto alla rinfusa sugli altri fascicoli già aperti creando un putiferio.
C'era solo una cosa che poteva dissolvere i suoi dubbi in quel momento.
L'autopsia.
Ma non c'era.
[...]
La variante Najdorf è un diverso modo di agire in una partita di scacchi, che nasce dall'apertura Siciliana: il Nero punta ad impedire al bianco di fare scacco in b5.
Perché è un punto debole, un punto per il quale potrebbe pagare amare conseguenze.
"Voglio parlare con Rojos" esordì il moro tamburellando le dita sulla scrivania alla reception, dietro il quale un agente sedeva con un sigaro cubano tra le labbra producendo una voluminosa nube dall'odore nauseabondo. Al suo arrivo Eddie trovò l'ingresso annebbiato tanto da farlo apparire una camera a gas.
"Ancora tu?"
"Così pare" roteò gli occhi annoiato ma nulla batteva la noia impressa sul volto del suo interlocutore. Un uomo gli passò accanto venendo trascinato fino alle celle, non faceva che sbuffare imbufalito. Eddie gli rivolse un'occhiata di sbieco e quando quello lo colse per poco non gli si gettò addosso come un cane arrabbiato. "Stia a cuccia" sibilò distogliendo lo sguardo. Il delinquente ringhiò e fu scortato via a forti spintoni. "Allora? Devo andare all'ambasciata a protestare o posso vedere il tuo capo?"
"Non c'è neppure, forse, non ne ho idea" Eddie batté la palpebre attonito, fissandolo con un'espressione indecifrabile. Il comignolo con le gambe sollevò lo sguardo dalla sua rivista un paio di volte cercando di captare biasimo o collera, ma egli rimase insondabile.
"Con chi posso parlare?" domandò a quel punto.
"De-detective Miller?" si voltò verso il corridoio a destra da cui sbucava il poliziotto del giorno prima. Piuttosto magro e anonimo, si chiamava Carrera da quel che aveva sentito e aveva uno sguardo sfuggente come se temesse il mondo intero.
"Si?"
"Posso esserle d'aiuto?" Eddie lo soppesò con lo sguardo per un istante e poi rispose.
"In effetti si"
"Prego mi segua"
Eddie scoccò una rapida occhiata al poliziotto alla reception, che ancora una volta non ne colse il reale significato, e seguì l'altro. Camminava fin troppo velocemente appiattendosi contro il muro ogni volta che incrociava un collega, come per paura di sfiorare l'altro.
"Non sembra molto portato per fare il poliziotto, specialmente in una città come questa"
"Oh sì, beh me lo dicono in molti ma io mi occupo più delle scartoffie e del lavoro d'ufficio" Eddie non aggiunse altro fino a che non raggiunsero una piccola stanza colma di fascicoli impilati ordinatamente su una serie di scaffali di metallo: al centro una scrivania che intuì appartenesse all'uomo che l'aveva condotto fin lì.
"Ha scoperto qualcosa di nuovo sul caso Velazquez?" domandò mentre cercava di raggiungere la sedia passando in un vano molto stretto.
"No, sono qui per chiedere informazioni che forse non sono contenute nel fascicolo."
"Di che tipo?" domandò riuscendo finalmente a sedersi. Eddie rimase in piedi, per lo più non c'era dove sedersi se non una sediolina molto piccola in un angolo.
"L'autopsia" Seguì un breve attimo di silenzio, nel quale l'agente spostò una pila di documenti per poter appoggiare i gomiti con più comodità.
"Non è stata effettuata alcuna autopsia sul corpo."
Cosa?
06/07/2022
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top