Capitolo 39 - Gambetto di Re

Liberdad, Tijuana, Bassa California 2018

Doveva esserci dell'alcol in quella coca cola perché stranamente i suoi piedi si rifiutarono di seguire una linea dritta. Camminò per le vie notturne di Tijuana come un gatto randagio, stringendosi nel suo costoso impermeabile (che indossava nonostante non ci fosse neanche una goccia di pioggia). L'odore dei tacos impregnava l'aria frizzante della serata, la luce dei locali si versava sull'asfalto - consunto e crepato in parecchi punti - mischiata a quella dei lampioni, illuminavano il quartiere a giorno. I sandali col tacco non erano stata una buona idea, ma togliersi le scarpe era fuori discussione in quella sudicia strada, caotica e confusionaria. Migliaia di persone si riversarono fuori dai locali, gridando e ululando nel pieno della loro sbronza, alcuni spararono dei petardi altri qualcosa di peggio ma la ragazza continuò per la sua strada senza trasalire neppure una volta di fronte ai brutti ceffi che incrociavano il suo sguardo o davanti alla baraonda di una folla che scalpitava per entrare in un diverso locale. Sapeva che stare lì per lei non era sicuro, per cui cercò di confondersi di mimetizzarsi tra i passanti ridendo assieme a loro, aggrappandosi al braccio di una ragazza come fossero amiche di vecchia data, ballando sulla musica di strada, di quella improvvisata, assieme ad una comitiva di cui non faceva parte. E poi continuò a camminare, ancora e ancora, anche se la testa le sembrava talmente leggera da trascriverle il mondo come un caleidoscopio sempre più complesso: stava cominciando a vederci doppio. Si fermò un momento stropicciandosi gli occhi, era accanto ad un furgone che vendeva kebab e il rumore di un motorino le provocò un fischio assordante che la spinse ad allontanarsi da quell'aggeggio infernale. Proseguì su una scia di cocci e schegge di vetro che scricchiolò sotto le suole rendendole il passo instabile. Il Red Moon era proprio lì, ci era arrivata sana e salva, nonostante fosse la donna più bersagliata di Liberdad se non di tutta Tijuana in quel momento. Ma cantò vittoria troppo presto poiché salire i gradini fu un'altra impresa.

"Chantal!" urlò una donna più grande di lei sventolando un braccio nella sua direzione, aveva capelli castani e lisci, un tubino stretto le fasciava il corpo e stringeva un fin troppo copioso mojito tra le mani. Quando la notò, la ragazza spintonò più persone per raggiungerla e per prima cosa si tolse l'impermeabile mollandolo, appallottolato, su un divanetto.

"Ciao..." singhiozzò "Marika" per poi concederle un ampio sorriso ad occhi socchiusi.

"Sei ubriaca cugina, così mi piaci!" gridò la donna sovrastando la musica.

Ridacchiò venendo urtata da un ragazzo che dimenava incontrollabilmente il bacino. "No"

"Ti presento Pedro, è il mio uomo" indicò il tizio che la stava abbracciando, aveva capelli neri legati in una corta coda di cavallo e una barba ben curata. C'erano due cose da dire su di lui: probabilmente aveva un'età che si aggirava sui venticinque anni e sicuramente aveva uno sguardo stralunato. "Salutala Pedro!"

"Eeeehi" la sua voce era piuttosto impastata e strascicante, come se non trovasse la forza né la voglia di essere conciso. La ragazza ricambiò il saluto con un arzigogolato gesto della mano che avrebbe dovuto essere solamente un cenno, ma che la stanchezza e probabilmente l'alcol avevano mutato in qualcosa di non definito.

"Come va-"

"Lascia perdere, non ne voglio parlare." biascicò appoggiando le gambe sul tavolino e la testa allo schienale del divanetto, le luci stroboscopiche proiettavano bagliori azzurri, rossi e verdi ad intervalli regolari, che le infastidivano gli occhi marcati da un ombretto dorato ormai quasi totalmente sbiadito. Non faceva che mugugnare voltando la testa dall'altro lato ogni volta che un raggio luminoso la colpiva . Marika sorseggiava il suo mojito seduta sulle gambe del suo 'uomo', le lunghe unghie laccate di bordeaux picchiettavano sulla superficie vitrea del bicchiere mentre i suoi occhi scrutavano la folla. Quando riportò la sua attenzione sulla cuginetta per poco non si strozzò con il drink, lo appoggiò sul tavolino e si alzò.

"Non sei venuta qui per dormire ragazzina! Alza il culo e vieni a ballare con me" le afferrò le mani esortandola ad alzarsi e dopodichè svanirono tra le risate.

Le ultime.

[...]

Liberdad, Tijuana, Bassa California. 2019

Dopo essersi sistemato in un motel, al mattino seguente, Eddie raggiunse la scena del crimine che portava il nome Red Moon. Un locale che si sviluppava su tre piani, in un palazzo dalle fattezze fatiscenti, in un quartiere che sembrava una via di mezzo tra un quartiere di stampo medio-basso e una viuzza western con tanto di groviglio paglioso a rotolare per la strada spinto dal vento. Fu consolante non sentire nessun cigolio inquietante di imposte mosse dal vento seguito dall'entrata in scena di un cowboy con una colt single action del 1873 e due stivali texani fino al ginocchio. Scosse la testa avvicinandosi all'ingresso.

"Non è mica il Texas, Eddie" si disse mentre squadrava il palazzo dalla verniciatura color cacao opaca e consunta, in alcuni punti cedevano veri e propri pezzi di intonaco come pezzi di iceberg. Ma il posto era quello giusto, lo testimoniava l'insegna dalle lettere in corsivo. Fece capolino al secondo piano, luogo cardine del locale, il fulcro della movida.

Chissà perchè poi? Si chiese perlustrando l'enorme sala adibita a pista da ballo o a luogo di consumazione in base all'occasione. Era completamente vuota, fatta eccezione per la barista.

"Cerchi qualcosa, ragazzo?"

Eddie si voltò con quei suoi grandi occhi impressi di curiosità. La donna che l'aveva interpellato dall'altra parte del bancone, asciugava un bicchiere con un vecchio strofinaccio. Era piuttosto formosa, un po' in carne, con dei lineamenti delicati e dei capelli castani legati in una coda alta. Si fissarono entrambi, un'espressione insondabile e una circospetta, per lunghi istanti, prima che il moro si decidesse a sputare il rospo.

"È questo il balcone da cui è caduta quella ragazza che morì l'anno scorso?" la donna fece una smorfia mugugnando un segno affermativo. Eddie si voltò verso le grandi porte finestre che stava indicando, da cui piombava la luce del giorno, si vedeva la città e i suoni caotici riempivano la sala. Era un locale spazioso, arredato con toni scuri e moderni anche se entrando aveva notato che i gradini erano di dimensioni talmente diverse tra loro che per poco non cadde, insomma la struttura non era a norma e sarebbe dovuta rimanere chiusa se non fosse per la dilagante corruzione. I divanetti erano sparsi alla rinfusa lungo le pareti e i tavoli si appiattivano uno vicino all'altro alle estremità della stanza mirando a lasciare un ampio spazio vuoto per ballare.

"Sei un ispettore? Sei troppo giovane per essere un ispettore!" accusò la donna riponendo il bicchiere per prenderne uno nuovo. Il ragazzo la guardò poi uscì dal balcone senza risponderle. L'aria calda sferzava i suoi capelli corvini muovendoli in ogni direzione; grida, urla contrariate e gli strombettii dei clacson arrivarono alle sue orecchie più nitidamente adesso. Eddie afferrò la sigaretta dall'orecchio e la posizionò tra le labbra. Il sole era coperto dall'edificio di fronte, ma la luce inevitabilmente gli fece socchiudere gli occhi e aggrottare la fronte. Accese la sigaretta e fece un tiro. Si avvicinò alla ringhiera di marmo, tenne prudentemente una mano in tasca e l'altra sulla sigaretta come a non voler compromettere la scena del crimine nonostante fosse invecchiata di quattordici mesi. Guardò in basso e vide il retro del locale con tanto di piscina e sdraio arrugginite; le palme e gli arbusti incolti contornavano quello sprazzo di cortile.

Cadere dal secondo piano e morire sul colpo significava essere caduti male oppure essere morti prima di toccare il suolo. La sigaretta era ancora intera, ma la premette sulla balaustra spegnendola. La cenere fu soffiata dal vento e guardandola scomparire nell'aria Eddie si allontanò, tornando dentro.

[...]

Esistevano molti modi di condurre una partita a scacchi e seppur non fosse il preferito di Eddie, usava spesso il Gambetto di Re. È' un'apertura diretta, adibirla significa attaccare direttamente il centro senza tuttavia indebolire il proprio. Lui era un tipo schivo, invisibile, ragion per cui le sue tecniche erano indirette, ma certe volte la sua vena spavalda prendeva il sopravvento reclamando un pezzetto di gloria. Fu scortato per un lungo corridoio dai neon arrugginiti e semi fulminati e le pareti giallognole, che presentavano macchie dalla dubbia natura. L'immancabile felpa leggera e le mani in tasca, non aveva l'aria di un detective privato bensì di un ragazzaccio raccattato dai bassifondi che un anonimo agente della polizia stava conducendo in cella. Invece quest'ultimo bussò ad una normalissima porta, con una targhetta che recitava un nome a caratteri cubitali,Rojos, e che riflettè la luce delle lampadine non appena la superficie di legno fu mossa.

"Che vuoi, Torres?" sbottò l'uomo nell'ufficio con un telecomando in mano e la televisione a basso volume.

"C'è un investigatore dalla California capo." annunciò in tono scherzoso indicando il ragazzo dietro di lui. Colui che doveva essere il capo spense la televisione e si raddrizzò sulla poltrona, tentando un approccio più professionale, ma quando ad entrare fu un adolescente magro, fin troppo pallido e dal viso scarno tornò alla sua espressione indifferente.

"È uno scherzo Torres?"

"No" rispolverando il suo spagnolo, fu il moro a rispondere al posto suo mostrando quel benedetto documento che tutti schernivano di buon grado e un'audacia che conferì alla sua presentazione un'impronta dominante. "Investigatore privato Miller, certificato dallo stato della California, ora, se abbiamo smesso di giocare voglio delle informazioni"

"A che proposito?" domandò circospetto e con una giusta mole di indignazione che manifestò nel momento in cui gonfiò il petto inorgoglito.

"Caso Chantal Velazquez, 3 marzo 2018, voglio tutto."

"Tutto?"

"Tutto quello che avete raccolto a riguardo"

Silenzio. Per qualche secondo il capo della polizia si limitò a guardarlo negli occhi con le sopracciglia aggrottate e la bocca semichiusa.

"Quel caso è stato chiuso, ragazzo" rispose con molta calma, scandendo bene le parole.

"E lo riapriamo, voglio quel materiale." Rojos scoccò un'occhiata a Torres che se la rideva sotto i baffi, divertito da questa manifestazione di superbia e caparbietà.

"Va' a chiamare Carrera e digli di aprire gli archivi per il caso Velazquez"

"Subito capo" il modo in cui lo disse sembrò una presa in giro ma effettivamente sparì oltre il corridoio e dopo una decina di minuti al suo posto fece il suo ingresso un giovane con gli occhiali e i capelli ben pettinati con il gel e la riga laterale.

"Bu-buongiorno capo" a testa bassa e con i fascicoli riposti in uno scatolone bianco si fermò di fronte alla scrivania.

"Dalli al ragazzo" senza esitare porse tutto nelle sue mani e sparì rapidamente. Sembrava piuttosto terrorizzato per essere un poliziotto. "Quel caso è stato già chiuso però" non si trattenne dal puntualizzare ancora. "Non troverai nulla di nuovo." i gomiti appoggiati alla scrivania e le dita delle mani incrociate, lo sguardo smorto.

Eddie si limitò a guardarlo per un lungo istante.

"Vedremo" 




06/07/2022

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