Capitolo Sedici

Quando la mattina seguente Fabrizio aveva incontrato lo sguardo del riccio, aveva capito che non aveva chiuso gli occhi nemmeno un minuto.
Tuttavia le cose erano come sempre. Ermal sembrava lo stesso del weekend e sembrava non fosse successo nulla. Fabrizio era quasi spaventato da quella calma, come se fosse una cosa che non poteva contraddistinguere il riccio.
Fabrizio aveva semplicemente deciso di prenderla come veniva.
<<Finisco di lavorare alle cinque oggi, poi posso darti una mano>> il moro aveva iniziato a parlare. Ermal aveva distolto lo sguardo dal lavandino per guardare Fabrizio e <<No, tranquillo, ho trovato qualcun altro. Grazie lo stesso>> il riccio aveva fatto un sorriso, non di quelli leggeri e spensierati. Era forzato, si vedeva, eppure Fabrizio non stava pensando a quello, ma al fatto che Ermal avesse trovato un sostituto, che non aveva più bisogno di lui. Si sentiva un verme, anche se... se gli era così facile trovare un sostituto, perché non l'aveva fatto prima?
Aveva continuato a farsi la stessa domanda per tutto il giorno, non che gli fosse servito a qualcosa, ma ci sperava.

*

<<È l'idea peggiore che tu abbia avuto, nei nostri dieci anni di amicizia. Lo sai, vero?>> Silvia gliel'aveva detto in tono apprensivo. Sapeva che se ne sarebbe pentito. Lo conosceva fin troppo bene. Come conosceva il suo desiderio di far musica anche se dopo il tentativo con la band si era dato alla scrittura.
<<Non ho trovato nessuno e Bizio non era la soluzione giusta>> aveva ribattuto il riccio senza rifletterci un momento.
<<E quale sarebbe?>>
<<Non lo so. È che... dovevi vedere i suoi occhi ed è stata colpa mia>>
Un momento...
I suoi occhi? L'aveva davvero detto Ermal? Silvia stentava a crederci. Lui non era tipo, non cercava di capire cosa provava l'altro attraverso lo sguardo che gli dava. Soprattutto perché, spesso, non guardava troppo negli occhi, almeno abbastanza tempo per capire cosa provassero gli altri. Aveva paura di perdersi negli occhi delle persone, aveva paura di leggerci sofferenza - che non sapeva gestire -, aveva paura di leggerci la verità o la bugia.
Lui non era pronto a leggerci più cose del dovuto. Non se la sentiva proprio, perché troppe volte aveva letto impotente gli occhi della madre.
Per questo motivo, con gli anni, aveva imparato a non entrare mai troppo negli sguardi, a non cercare di capire. Semplicemente per non ferirsi.
Lo faceva solo in punta di piedi, dopo attente riflessioni, con le persone a cui voleva donare ogni parte di sé e non solo la sua corazza.
<<Non eri così cotto dai tempi di Giulia>> le era uscito spontaneo ed Ermal aveva strabuzzato gli occhi. <<Non è vero, ma ce l'avete tutti con 'sta storia>> si era affrettato a dire.
Sì, non era l'unica che la pensava così, suo fratello non l'aveva mai preso sul serio.
<<Rino?>> aveva chiesto Silvia, già immaginando, per poi riprendere seria <<Insomma, gli hai dato un soprannome, lo guardi negli occhi, ti preoccupi per lui, vuoi suonare da solo - e ti sei inventato una scusa con lui - perché sai che lui starebbe peggio di te. Tra l'altro, apro una parentesi, non ce l'ho io, un soprannome, dopo secoli. È ovvio che ti dica che l'ultima volta che eri così preso per qualcuno eravamo in un negozio di piercing e ti ho visto svenire. Conclusione? Sei cotto>>.
Cazzo. L'aveva visto svenire per quello stupido piercing, quasi se l'era dimenticato. Ma lui non era cotto, assolutamente no. Era una cosa normale.
<<Non mi ricordare certe cose. Mi preoccupo come mi preoccupo per te. È più simile ad un amico che ad un estraneo ora, credo sia normale>> o almeno lo avrebbe detto finché non se ne sarebbe convinto.
<<Se lo dici tu>> Silvia, ormai, era rassegnata.
Erano stati in silenzio per parecchio tempo, prima che Ermal le confessasse che non aveva chiuso occhio quella notte. Credeva che, per lo scatto d'ira di Fabrizio, avrebbe avuto incubi. Silvia gli aveva detto che doveva provare ad affrontarlo, che doveva dormire, altrimenti gli incubi gli sarebbero venuti per la troppa stanchezza ed irritabilità e lui gli aveva promesso che ci avrebbe pensato.

Ed era vero, ci aveva pensato e aveva deciso di dormire, quella notte.
Il problema vero era che per quanto, di giorno, riesci a sfuggire ai tuoi mostri trovando modi e aiuti inaspettati, di notte sei completamente solo, in balia della tua mente e durante il sonno, quest'ultima, lascia crollare i muri.

*

Fabrizio era sull'uscio della porta, della camera del riccio, da un po'. Più o meno da quando aveva iniziato a sentire dei lamenti, come era già capitato altre volte. Il fatto era stato che, a differenza delle altre volte, non era finito ai lamenti. Aveva notato il peluche del lupo accanto al riccio e aveva sorriso al ricordo di quella scena.
Il sorriso, tuttavia, era stato strappato da un urlo di Ermal che Fabrizio non avrebbe voluto sentire.
<<Fermo... FERMO!>> in quel momento era intervenuto, si era avvicinato al riccio e gli aveva messo le mani sulle spalle, sapendo comunque che sarebbe stato un problema ma non sapendo che altro fare.
<<Ehi... Sssh, sssh. È solo un incubo. Svegliate>> aveva cercato di svegliare il più piccolo, che quando aveva aperto gli occhi sembrava in trance.
<<No...>> si era risvegliato in seguito a quel no e quando aveva capito dove si trovava e chi aveva davanti aveva ripetuto <<N-no! Lasciami!>> mentre si dimenava.
Il moro aveva alzato le mani come se fosse rimasto scottato. Cercava di fargliele vedere per fargli capire che non lo stava toccando mentre ripeteva una litania di <<Nun te tocco>>.
Ermal sembrava esser tornato del tutto in sé, si era passato una mano sul volto per poi scattare in piedi e correre verso il bagno. Si era chiuso dentro senza nemmeno girarsi verso Fabrizio.
Quest'ultimo era pietrificato, non sapeva cosa fare e la sua ipocondria non lo stava aiutando, anzi, aveva peggiorato solo le cose quando aveva iniziato a sentire i conati di Ermal, seguiti da dei singhiozzi piuttosto forti e dal rumore del respiro spezzato e affannoso. Fabrizio stava entrando nel panico, non era mai successa una cosa del genere e lui non sapeva che fare.
Era passata mezz'ora da quando non aveva più sentito nessun rumore provenire dal bagno. Per tutta quella mezz'ora, il moro, aveva fatto avanti e indietro più volte, sperando di sentire anche un solo rumore provenire dal bagno. Era persino andato a prendere il peluche, quando aveva visto che era finito per terra. Anche se non aveva la minima idea del perché lo avesse preso. In realtà non aveva nemmeno idea del fatto che il riccio lo tenesse davvero vicino a lui di notte.

Fabrizio non voleva fare quello invadente, ma non riusciva a stare tranquillo, per quello aveva bussato leggermente alla porta prima di dire <<Erm, io... N-non voglio accollarmi, ma me sto a preoccupà. Se stai bene batti sulla p-porta, almeno me tranquillizzo. Non te chiedo de uscì se non vuoi, ma giusto un segno>> aveva fatto fatica a non balbettare e a mantenere la calma. Era passato qualche secondo prima di quel colpo sulla porta e Fabrizio, dopo averlo sentito, si era lasciato andare, tirando un sospiro di sollievo. Era scivolato lungo il muro e si era seduto accanto alla porta del bagno appoggiando la testa al muro, portandosi le gambe al petto e passandosi le mani nei capelli. Non sapeva quanto tempo era rimasto lì - gli era pure scappata qualche lacrima per la preoccupazione - quando aveva sentinto una mano sulla spalla e, aprendo gli occhi, aveva visto Ermal davanti a sé. Si era alzato in fretta mentre l'altro aveva iniziato a parlare <<Bizio, scusa. Non volevo che facessi nottata con me->> non lo aveva nemmeno fatto finire di parlare che gli aveva lanciato le braccia al collo e lo aveva abbracciato.
Lo aveva fatto istintivamente, senza pensarci e si era accorto di quello che aveva fatto solo dopo, quando aveva sentito Ermal irrigidirsi a quel contatto.
<<Scusa, scusa, scusa, nun c'ho pensato. È che me agito, so' ipocondriaco e nun sapevo che fare. Nun dovevo abbracciarti, lo so. Scusame>> Si era staccato velocemente e aveva visto Ermal bloccato.
Aveva fatto una cagata.
Lo sapeva e non sapeva come rimediare, così aveva ricominciato <<Davvero nun->> ma il più piccolo non lo aveva fatto finire di parlare. <<Sono io che mi devo scusare>> aveva detto abbassando lo sguardo. Era davvero dispiaciuto del fatto che era rimasto lì, con lui, tutto quel tempo.
<<Ma va, nun dillo manco per scherzo. Me agito, ma quando vedo che è okay, me carmo. È per questo che l'ho fatto. Scusame di nuovo>>
Ermal aveva solo annuito.
Fabrizio era andato a preparare una camomilla per tutti e due ma, in quel lasso di tempo, nessuno aveva proferito parola. Il maggiore non voleva assillarlo, specialmente dopo che lo aveva abbracciato. Il riccio, invece, era ancora sconvolto, tanto da non riuscire nemmeno a guardarlo negli occhi.
Erano rimasti in cucina fino alle quattro e venti senza dire nulla, quando entrambi erano tornati a dormire.
Ermal non aveva richiuso occhio quella notte. La sua testa continuava a pensare troppo. E non all'incubo, perché a quello ci pensava da una vita, ma a Fabrizio che non l'aveva lasciato mai da solo durante la notte. Nemmeno quando lui aveva già finito la sua tazza di camomilla e il riccio doveva ancora cominciare.
Erano rimasti in silenzio tutto il tempo.
Insieme, perché Fabrizio non l'aveva lasciato mai solo.

La mattina seguente, Ermal, aveva preso tutto il coraggio che aveva, per avvicinarsi a Fabrizio e cercare di dargli qualcosa di quanto più simile ad un abbraccio.
Era stato molto impacciato, dopo tutto non abbracciava e non si lasciava abbracciare da nessuno che non fosse della sua famiglia, Silvia o Roberto, il suo migliore amico da quando era arrivato in Italia. Era stato un abbraccio veloce ma che Fabrizio aveva accettato senza dire nulla. Gli aveva sussurrato anche un "grazie" prima di staccarsi, di nuovo, altrettanto velocemente.
Quello era sicuramente l'inizio di un nuovo giorno e di un rapporto meno distante, meno diffidente, che li avrebbe portati a riflettere molto, forse troppo.














Note:
La scena dell'incubo è fin troppo inflazionata nelle fic Metamoro, tuttavia mi serviva necessariamente per delle cose che succederanno in seguito. In particolare per una. Vi chiedo scusa se è trita e ritrita.

Vi ringrazio invece, come sempre, e non sarà mai abbastanza.
A lunedì!

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