XXII

Non poteva credere ai propri occhi.
Scostò le tende e aprì le finestre di quello che gli sembrò un tugurio a tutti gli effetti.
Stefano era appoggiato a un comodino, apparentemente ubriaco.
Gli occhi erano scavati da profonde occhiaie ed era la metà di quello che ricordava.
Già era magrolino prima, adesso sembrava un debole fuscello.
Michele notò alcuni piccoli particolari, come la mano appoggiata allo stomaco, come se avesse dolore e il naso storto, diversi ematomi sul viso e un occhio semichiuso e livido.
Una rabbia cieca si impossessò di lui, che cominciò a respirare affannosamente.
"Sei qui, sei davvero qui"
Stefano sembrava perplesso, si pizzicò una guancia per capire se fosse reale o solo un sogno dettato dall'alcool.
Quella bottiglia era stata la sua migliore amica in quei cinque giorni di isolamento totale.
Gli era costata cara e ancora adesso la portava stretta al fianco.
"Io sì, tu invece sembri più morto che vivo"
Stefano sorrise sghembo, facendo notare un altro dettaglio a Michele: gli mancava un molare.
"Che ti hanno fatto, sche'" sussurrò, a voce tremante. Non pensava di riuscire a sentire quel dolore, non poteva nemmeno immaginare cosa aveva passato Stefano e si sentiva in colpa perché lo aveva abbandonato totalmente.
Il più piccolo scoppiò in un pianto dirotto, sentire quel nomignolo ora non era più fastidioso, era come tornare a casa dopo un lungo viaggio senza meta, come assaggiare un dolce dopo un anno di dieta.
Rideva e piangeva allo stesso tempo, annebbiato dall'alcool e dall'amore, Michele era lì e lui non era nemmeno presentabile.
Indossava solo un pantaloncino e una canotta, mentre Michele era il più affascinante degli uomini.
Il più grande gli si avvicinò, estremamente titubante, ma guidato solo dall'istinto.
Lo abbracciò stretto, perché in tutto quel tempo non aveva mai pensato a quello che potesse sentire lui, a come dovesse vivere da solo in un istituto che non avrebbe mai potuto considerare casa.
"Mi dispiace tanto, per tutto" gli disse tristemente, mentre sentiva il petto di Stefano sconquassato dai singhiozzi.
Rimasero così molto a lungo, lasciando a entrambi il tempo per accettare l'anno passato l'uno senza l'altro.

Fu Stefano il primo a staccarsi, asciugandosi il volto ancora pieno di lividi.
"Vestiti, usciamo di qui"
Lo incentivò Michele, tanto che il più piccolo eseguì senza fiatare. Uscì dal bagno qualche minuto dopo, con jeans e maglietta a mezza manica, ancora mezzo brillo.

🔸

Si fermarono al tavolino delle occasioni, per Stefano era strano ritrovarsi lì, con Michele.
"Ti va di parlarmene?" Gli chiese il più grande, alludendo ovviamente alle percosse.
Stefano rispose con un diniego della testa, perché Michele era l'ultima persona alla quale sarebbe riuscito a confidare la sua omosessualità.
Lo amava ancora, completamente e si odiava a tal punto da volerlo scacciare per sempre, per non dover più soffrire in sua presenza, perché non poteva nemmeno sfiorarlo senza sentire un brivido.
"Fatti aiutare" insistette Michele.
"Perché sei qui?" sviò il più piccolo. Non voleva più ricordare quei momenti bui, cercava di annebbiarsi il cervello proprio per dimenticare. Michele sospirò, arrendendosi.

"Ho ricevuto la tua lettera" disse soltanto, senza aggiungere parole inutili.

Inutili sì, perché entrambi sapevano bene, anche se non se l'erano ancora confessato, quanto fosse forte il sentimento che li legava.

Consumarono un caffè e un succo di frutta, poi attraversarono la strada, ritrovandosi nel piccolo parco, che a quell'ora era colmo di bambini. Altalene, scivoli, corde per arrampicata. In quel momento entrambi erano persi a guardarli, a rivedere loro stessi che non avevano mai vissuto in modo spensierato come quei piccoli esserini urlanti. Fu Michele il primo a chinare il capo, quella vista gli fece riaffiorare sensazioni che aveva cancellato, o almeno così aveva pensato.

La solitudine che aveva provato l'aveva segnato per sempre. Era convinto di dover rimanere da solo per tutta la vita, perché era l'unico mondo che conosceva.

"Come ti va la vita a Milano?" chiese Stefano, timido e impacciato come sempre. Il più grande sorrise a quel tentativo di conversazione.

"Ho mollato tutto. Ero tornato con Stacey, ma non l'ho mai amata. Quando se ne è resa conto mi ha preso a schiaffi ed è andata via." scrollò le spalle, consapevole di essersi comportato da bastardo con lei.

"Ho lasciato anche l'università, ho perso tutto, Stefano"

La sua voce era pregna di malinconia e rimorso, non era davvero capace a tenere i rapporti, nessuno gli aveva mai insegnato come farlo. Si sedette su una panchina di legno, mentre i bambini giocavano, inconsapevoli del dolore di quei due ragazzi silenziosi.

"Avevi me, hai ancora me, è sempre stato così. Perché non mi hai più scritto?" Era arrabbiato con lui, tremendamente. Era stato l'anno più difficile della sua vita. Ma anche lui aveva perso tutto in quel periodo, compreso una grande dose di dignità, per cui non se la sentì di inveire contro di lui. Inoltre era tornato e per Stefano era tutto quello che contava.

"Non ti piacerebbe saperlo" si guardarono, entrambi chiedendosi come l'avrebbe presa l'altro, ma non ebbero il coraggio di confessarsi.

Passarono solo due ore insieme, ma a Stefano parvero minuti. Rivederlo aveva cambiato tutto, aveva riacceso una piccola fiammella nel suo cuore fatto a pezzi.

Michele lo riportò in istituto, con la promessa che sarebbe rimasto a Trapani per tutta la settimana, nella speranza di una confessione da parte di Stefano.

Quando lo lasciò lì gli sembro l'errore più grande della sua vita, l'aveva riportato nella tana del lupo, anche se non aveva idea di chi fosse il lupo. Duecento studenti erano troppi per capire chi gli avesse mosso quella violenza inaudita.

Michele era afflitto ma anche molto determinato, qualcosa dentro di lui gli disse che una volta scoperta la verità, il colpevole non sarebbe sopravvissuto se avesse avuto il piacere di mettergli le mani addosso.

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