XX
Michele strinse la lettera di Stefano tra i pugni, stropicciandola irrimediabilmente.
Era consapevole di essersi comportato male con lui, ma le cose erano andate man mano in sfacelo. Aveva lasciato l'università, abbandonando l'idea di qualsiasi futuro, Stacey se ne era andata da due mesi, dopo una relazione tormentata dove non si sentiva amata, con ragione, pensò lui.
Sospirando si spostò in cucina, preparandosi un caffè forte e nero. L'ambiente era molto ampio, come tutte le camere della casa, una cucina in stile americano, con un isola al centro della stanza la faceva da padrone in quell'ambiente, che risultava il più confortevole dell'abitazione. Michele si accomodò sullo sgabello alto al lato dell'isola, cercando di lisciare la lettera che ancora aveva tra le mani, sul ripiano centrale.
Ammettere a se stesso che Stefano gli mancava, significava aprire un cassetto che aveva scelto consapevolmente di chiudere. Non accettava di poter provare qualcosa per lui, se non amicizia e fratellanza. Era terrorizzato all'idea di rivederlo, per paura di rivivere la sensazione di imbarazzo, o di fare qualcosa che potesse comprometterlo.
Sentì il caffè gorgogliare e si alzò per spegnere il fuoco. Al sud non usavano la moka, come andava di moda al nord, ma la caffettiera classica, che spargeva il profumo del caffè in ogni dove. Michele aveva deciso di mantenere quella tradizione, come una piccola pietra che gli teneva i piedi per terra, per ricordargli da dove veniva.
🔸
Quello stesso pomeriggio, Michele incontrò l'avvocato Gentili nel suo studio, nel centro di Milano.
Egli l'aveva chiamato per un appuntamento improvviso, così Michele si era subito allarmato, in quanto non succedeva praticamente mai di essere ricevuto senza un appuntamento.
Si torturò le mani nella sala d'aspetto, in una muta richiesta di supporto.
Quando finalmente la segretaria gli disse che era il suo turno, le pellicine delle sue mani erano già state tutte strappate a dovere.
"Salve Michele, grazie per essere venuto con così breve preavviso." gli porse la mano, poi sbottonò la giacca elegante e gli fece cenno con la mano di sedersi, imitando il gesto.
Michele lo osservò per pochi istanti, aveva striature grige si lati delle tempie, che offuscavano i suoi tentativi di sembrare sempre un ventenne. Gli occhi erano contornati da occhiaie profonde e da palpebre leggermente cadenti. Il naso acquilino e la bocca sottile finivano l'opera.
"Cosa voleva dirmi?" chiese il ragazzo, titubante, sperava solo che non fossero brutte notizie.
L'avvocato tirò fuori l'agenda, dalla quale estrasse un foglietto stropicciato.
"Ho ricevuto un messaggio, abbastanza urgente. La donna che conosceva tua madre mi ha contattato, vorrebbe vederti."
L'avvocato misurò le parole, consapevole di quanto potesse sconvolgere il ragazzo che aveva davanti. La sua vita era stata segnata per sempre, già dalla sua nascita e ora veniva sconvolta di nuovo.
Michele, dal canto suo, deglutì a vuoto, ingoiando la sua stessa saliva.
"Perché vuole vedermi?" chiese, leggermente confuso.
"Non saprei dirtelo, ma mi ha spedito un biglietto aereo per te, ora sei tu che devi decidere cosa vuoi fare." Michele prese l'unica decisione possibile, in quel momento.
"Non ne voglio sapere nulla, se vorrò vederla sarò io a deciderlo, con i miei tempi."
L'avvocato annuì, segretamente concorde con lui. Quel ragazzo ne aveva passate veramente tante, si stava appena affacciando alla vita.
"Perfetto, avviserò la signora Giada, per qualsiasi cosa hai il mio numero"
Si congedarono con una stretta di mano, entrambi con un sorriso di circostanza sulle labbra.
🔸
Stefano era in infermeria.
La preside gli stava chiedendo chi l'avesse ridotto in quello stato, ma il ragazzo non rispose.
Era stato picchiato violentemente nei bagni dell'istituto, da Giorgio e la sua combriccola.
L'occhio destro era completamente tumefatto, Stefano da quel lato non vedeva assolutamente niente. Aveva varie escoriazioni sul viso e il setto nasale deviato. Il volto, che prima era ricoperto di sangue, era stato in parte ripulito dall'infermiera, ma nuovi fiotti uscivano copiosi da uno zigomo spaccato.
I calci che aveva preso nello stomaco gli avevano anche incrinato una costola, impedendogli di respirare in modo regolare senza sentire dolore.
"Allora ragazzo, vuoi dirmelo o no?"
La signora preside sembrava davvero afflitta, ma Stefano era davvero terrorizzato dalle ripercussioni che avrebbe potuto subire, qualora avesse confessato.
"Sono caduto" sussurrò a testa china, perché gli veniva difficile mentire, Michele glielo diceva sempre. Si chiese come mai ancora lo pensasse e soprattutto come mai in una circostanza come quella.
"Sì, sei caduto su calci e pugni, tesoro." L'infermiera intervenne, incapace di trattenersi ancora. Era agghiacciante quello che avevano fatto a quel ragazzino così minuto.
"Vi prego, lasciatemi tornare nella mia camera, vorrei solo riposare." disse lui, con tono petulante. Le due donne si fissarono per un lungo momento, poi l'infermiera annuì e la preside lo lasciò andare. Arrivato in camera a fatica, Stefano si distese sul letto, cercando di normalizzare i respiri, per non sentire troppo dolore alle costole.
Quei bastardi l'avevano pestato per bene, Stefano ancora ricordava le loro risate, mentre era rannicchiato sul pavimento del bagno dei maschi, rinchiuso nel suo cieco dolore...
"Ehy, frocio, sei più debole di una donna, tirati su che te ne do altre!"
Stefano non riusciva nemmeno a parlare, aveva la bocca impastata dal sangue.
Fece per alzare lo sguardo e vide uno dei tre sbottonarsi i pantaloni.
"Andiamo principessa, fammi vedere quello che sai fare"
Malgrado tutto, si rese conto di riuscire ancora a piangere, notò il ragazzo.
Le lacrime di Stefano sembravano accrescere la goduria del terzetto, il loro delirio mentale.
"Andiamo, fai il tuo dovere, puttanella"
Qualcuno lo prese per i capelli, spingendo la sua testa verso il membro di quel ragazzo, tanto spavaldo quanto meschino.
Non ci furono altro che sospiri e lacrime silenziose, per il resto di un tempo che a Stefano sembrò infinito.
Le lacrime ancora gli inumidivano il viso, bruciando nei punti dove la pelle era spaccata. Si chiese se avesse mai potuto dimenticare quell'incubo, se un giorno la sua mente sarebbe riuscita a cancellare la violenza subita.
Sperò vivamente di dimenticare di esistere.
Note:
Salve a tutti! Volevo informarvi che ho quasi completato la stesura di questo libro che indicativamente finirà al 34 esimo capitolo (o giù di lì) quindi avete ancora tanto da leggere!
Appena riuscirò a concludere, visto che mi restano circa tre capitoli da scrivere, posterò un aggiornamento ogni tre giorni. Non mi piace promettere qualcosa che non posso mantenere per questo ho preferito potarmi avanti con la scrittura prima di avvisarvi.
Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, che seppur breve tocca temi molto delicati.
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