Solo Dolore
Salii in macchina e misi in moto, le mani tremanti, gli occhi offuscati dalle lacrime e la mente annebbiata dal dolore.
Strinsi il volante tra le dita, ma senza avere il coraggio di togliere il piede dal freno.
Il motore davanti a me rombava pigro.
Più cercavo di allontanare lo sguardo dall'inferriata nera del cimitero e più i miei occhi tornavano su quel recinto arrugginito e consumato del tempo.
Più cercavo di convincermi che in realtà fosse tutto una farsa, che Nethan fosse ancora con me, e più le lacrime scorrevano copiose sul mio volto, spezzando quella debole speranza.
Perché? Perché mi hai lasciata?
singhiozzai.
Non doveva morire lui quella sera, ma loro. Loro che erano piombati nelle nostre vite senza un motivo. Loro che ci avevano manipolato sin dall'inizio. Loro che ci avevano spinti all'autodistruzione.
Perché Nethan non mi aveva svegliata? Perché aveva preferito combattere da solo, anziché chiedermi aiuto? Certo, io non sarei stata capace di fare molto, ma almeno uno avrebbe tratto forza dall'altro.
Saremmo morti, ma almeno lo avremmo fatto con dignità e onore.
E invece, lui aveva preferito fare tutto da solo.
Solo in quel momento mi accorsi di quanto fosse frivola la promessa che ci erano fatti agli inizi della nostra relazione e che ci scambiavamo con un bacio, prima di scivolare nel sonno: insieme saremmo vissuti, divisi saremmo morti.
E allora perché io ero ancora viva, mentre Nethan era sotto terra a diventare cibo per vermi?
Perché io respiravo, piangevo, parlavo ancora, mentre le sue funzioni vitali si erano bloccate del tutto?
Perché la nostra promessa anziché unirci ci stava separando sempre di più?
Il corpo scosso dai singulti, mi allungai sul cruscotto a prendere un fazzoletto.
Perché?
Feci per soffiarmi il naso e asciugarmi le guance, quando lo sguardo mi cadde sull'entrata del cimitero.
Sbiancai.
Il fazzoletto mi cadde di mano.
Le lacrime smisero di rotolarmi lungo il viso.
Il cuore cominciò a battermi all'impazzata.
Erano loro.
Erano tornati a finire il lavoro.
I cinque uomini del Consortium mi davano le spalle, ma era solo questione di pochi minuti prima che si voltassero e mi notassero.
Poi di colpo, la paura scomparve.
Se mi avessero uccisa avrei raggiunto Nethan. Sarei tornata da lui. E avrei smesso di soffrire, di piangere, di urlare. Sarei stata felice. Perché sarei stata con lui per l'eternità e niente avrebbe potuto più separarci.
Sorrisi speranzosa e mi passai stizzita il dorso della mano sulle guance.
Feci per spalancare la portiera e correre verso di loro, a braccia aperte, quando una nuova idea si fece spazio largo nella mia mente.
La mano esitò sulla levetta di ferro.
Nethan non avrebbe mai voluto che per me finisse così.
Che senso avrebbe avuto tutto quello per cui avevamo lottato, se mi fossi fatta ammazzare?
L'avrei data vinta a loro. E Nethan non avrebbe mai voluto questo.
Dov'era finita la vera me? Quella che combatteva fino alla fine è non si attendeva davanti a nulla?
Perché ero diventata così codarda?
Tolsi la mano dalla portiera, più decisa. Se avessi voluto raggiungere il mio amore, l'avrei fatto per davvero. Da persona libera e viva. Non da schiava.
E avrei vinto.
Quasi avessero sentito l'intesità del mio pensiero, i cinque uomini si voltarono verso di me.
Non erano molto lontani e potei vedere con chiarezza il ghigno che aveva distorto le loro labbra.
Cominciarono ad avanzare compatti verso l'auto.
Accantonai la paura in un angolino remoto del cervello e mi aggrappai a quella fragile speranza che era risorta dentro di me.
Mi allungai sul sedile del passeggero e aprii lo sportello, tirando fuori la Beretta.
Quando mi era stata regalata, l'avevo odiata. Mi era parso pesante, inutile, complessa.
Ora invece si adattava perfettamente alla mia mano. Sembrava quasi più leggera.
Il Papi aveva sempre detto che se ami la tua pistola, lei ti amerà a sua volta.
La strinsi tra le dita e uscii dall'auto.
I cinque si fermarono e così feci anche io.
La pioggia scorreva scrosciante su di noi, senza annebbiarci però la vista. Vedevo loro allo stesso modo in cui lui vedevano me.
Quello al centro sollevò un braccio nello stesso istante in cui lo feci io.
Le parole non servirono.
I gesti furono inequivocabili.
Il colpo partì dalle pistole quasi simultaneamente.
Con l'unica differenza che io avessi sparato per terra, mentre il capo del gruppo avesse mirato alla mia fronte. E che avesse fatto centro.
*****
- Dovrebbe svegliarsi -
- E perché non lo fa? -
Le voci m'infastidivano, mi disturbavano. Perché stavano parlando? Perché non stavano zitte?
- Speriamo lo faccia presto. Gli effetti del coma farmacologico stanno svanendo -
Coma? Non ero mai stata in coma, non mi ero mai addormentata artificialmente.
Volevo tornare a dormire. Volevo essere lasciata in pace. Perché non mi concedevano questa piccola possibilità? In fondo non chiedevo tanto.
Non ero morta? Allora perché sentivo la vita scorrere dentro di me, qualcosa di soffice sotto le dita e quelle voci? I morti continuano a far parte del mondo anche dopo che sono stati uccisi? Anche dopo che i loro occhi sono stati chiusi per sempre? Possibile?
Una mano mi scosse per una spalla o per il braccio, non ne fui tanto certa.
- Svetlana svegliati-
Svetlana? Il mio nome non era quello, io ero Diana. Perché mi avevano affibbiato l'identità di un'altra persona? Cosa stava succedendo?
Cos'era quella cosa che mi pizzicava il retro del cervello che mi sembrava spingermi alle lacrime? Perché avrei dovuto piangere? I morti piangono?
E, di colpo, ricordai.
L'attacco.
Nethan.
Il funerale.
La pistola.
Spalancai gli occhi. Immediatamente un volto sconosciuto entrò nella mia visuale. Apparteneva a una donna.
La luce m'impediva di distinguerne i tratti.
Perché c'era la luce?
Dov'ero? Perché Nethan non era con me?
- Oddio tesoro! - singhiozzò lei - Sei sveglia! - Tentò di stringermi a se, ma un uomo la bloccò severamente. Chi erano quelle persone?
Li fissai disorientata, senza riuscire a proferire parola.
Avevo la gola secca e avrei dato qualunque cosa per un goccio d'acqua. Provai a far capire a gesti il mio bisogno, ma il corpo rispondeva pigramente ai comandi.
Allora scansai debolmente la mano della donna e mi tirai a sedere. Sbattei le palpebre, scacciando i puntini neri che mi ballavano davanti agli occhi.
E poi arrivò il dolore. Forte. Paralizzante. Totale.
Mi chinai in avanti, gemendo.
- La mia testa... La mia testa-mugolai sofferente, dondolandomi leggermente - Mi fa male la testa! - Me la presi tra le mani e mi accorsi della fasciatura umidiccia che mi cingeva il capo.
L'uomo intervenne - É normale- spiegò sapientone - In fondo hai preso una bella botta.
Non so come, ma trovai la forza di sollevare il viso quel tanto che bastava per fissarlo in tralice.
- Botta? -
Lui annuì, lisciandosi il pizzetto bianco - Esatto. Non portavi la cintura di sicurezza, l'impatto é stato maggiore-
Ma di che diavolo stanno parlando?
Io sapevo cosa mi fosse successo, i ricordi stavano tornando a galla pian piano.
- Cintura? Impatto? -
La donna mi accarezzò un braccio - Svetlana, cara, non ti affaticare troppo. Torna a riposare. Starò con te - replicò, tirando su con il naso.
Ancora una volta allontanai la sua mano, infastidita da tutte quelle moine e quelle attenzioni false. Il mio corpo, pressato da un dolore mai provato prima, peggiorava tutto.
- Io non sono Svetlana - ribadii convinta - Mi chiamo Diana - Cominciai a guardarmi intorno - Dov'é Nethan? Perché non é qui con me? Dov'è? -
Tra lei e l'uomo, che supposi fosse un medico, corse un fugace sguardo d'allarme. Ma se lui fu capace di camuffarlo all'istante, la donna invece non fece nulla per cerlarlo. Due secondi più tardi, difatti, scoppiò a piangere come una bambina.
- Oh Dio... -
Il male alla testa crebbe, in un'atroce agonia.
- Via! - biascicai, accasciandomi in avanti - Andatevene entrambi-
La signora si allungò nuovamente verso di me, quando il dottore le strinse una spalla e, con un lieve cenno del capo, la convinse ad alzarsi. Mentre lasciavano la stanza, io crollai sul letto esausta, nella speranza di poter scivolare finalmente in un sonno tranquillo.
Nethan.
Il suo nome mi tormentava, il suo volto mi appariva davanti agli occhi, la sua voce mi riempiva le orecchie.
Mi circondai con le braccia.
Se il ragazzo fosse stato con me, l'avrebbe fatto lui. E io, sicuramente, non mi sarei svegliata in un ospedale, attaccata a una schifosa flebo e con un corpo e una mente martoriati dal dolore.
Perché ero ancora viva?
Perché lui era morto?
Il primo singhiozzo arrivò improvviso e d'istinto mi portai le mani alle labbra per frenare l'uscita degli altri.
Non servì a molto.
Continuai così finché i singulti non si trasformarono in un torrente in piena di lacrime. Lacrime che io lasciai scorrere libere sul mio volto, lavando i miei peccati e facendo scivolare la mia voglia di vivere con loro.
*****
Aprii prima un occhio e poi un altro.
Era notte fonda e la stanza era immersa nella semi oscurità. Solo un debole spiraglio di luce soffusa, proveniente dal corridoio, impediva al buio di inghiottire ogni cosa.
Sbattei le palpebre confusa, cercando di capire cosa mi avesse svegliata. Il ricordo però mi sfuggiva appena cercavo di acciuffarlo.
Poi la pulsazione nel basso ventre mi chiarì la faccenda.
Scostai le coperte e poggiai i piedi nudi a terra.
Il pavimento freddo contribuì a scacciare ogni residuo di sonno e mi spinse ad alzarmi.
Ignorai il violento capogiro che mi prese e la terribile sensazione di dover vomitare da un momento all'altro e andai alla porta, trascinandomi dietro il bagaglio della flebo.
Uscii fuori e spaesata mi guardai intorno.
Il corridoio era deserto, fatta eccezione per una paffuta infermiera che russava alla grossa, accasciata su una sedia di plastica.
Individuai il cartellino bianco e nero, solo quando credetti di non potermi più trattenere, e corsi in quella direzione, per quanto me lo permettessero le gambe.
Svuotai la vescica, mi lavai le mani e feci per uscire, quando il piccolo specchio sopra al lavandino attirò la mia attenzione. O almeno il mio riflesso.
Vidi una ragazza pallida ed emaciata. I capelli sporchi e pieni di nodi, gli occhi spenti, le labbra screpolate, la sua vitalità pareva spazzata via.
Vidi in quelle iridi slavate, un'anima sola e tormentata.
Vidi il dolore e l'amarezza nella piega infelice della bocca.
Vidi un spettro.
Quella non ero io.
Io ero diversa.
Con un sospiro chinai la testa e uscii dal bagno. Era inutile continuare a negare la realtà. Nethan era morto e con lui ero morta anche io, anche se il mio corpo seguitava ad ostinarsi a restare ancorato alla vita.
Mentre trascinavo i piedi pesanti come macigni verso la mia stanza, notai in lontananza tre persone intente a discutere.
Erano la donna strana e il medico. L'infermiera cicciona era con loro ed era impegnata a spostare il peso da una gamba all'altra insonnolita.
Mi avvicinai di soppiatto e mi nascosi dietro un angolo, curiosa di sentire quello che si stavano dicendo.
La signora, che mi chiamava Svetlana, sembrava sull'orlo di una crisi di nervi.
- ... Dovete fare qualcosa! Non potete lasciarla in quello stato! É il vostro lavoro, dopotutto - esclamò.
L'uomo si sistemò la cravatta - Il nostro lavoro é salvare le persone, non far loro da balia- replicò calmo.
- E le assicuro signora, che stiamo facendo il possibile - aggiunse l'infermiera.
La donna strana pestò i piedi - No non è vero! - strillò - Se fosse così, mia figlia mi avrebbe già riconosciuta e avrebbe smesso di parlare di quel Nethan! - Si scagliò contro il medico - Fate qualcosa! Fate in modo che guarisca! - singhiozzò.
Il medico perse la pazienza - Signora glielo abbiamo detto in mille modi: sua figlia é schizofrenica, non guarirà mai più! Svetlana vive in un mondo tutto suo-
Il cuore mi morì nel petto. Senza aspettare un secondo di più uscii dal mio nascondiglio.
- Schizofrenica? - biascicai sconvolta.
I tre si voltarono verso di me.
Quella che diceva di essere mia madre fece per raggiungermi, ma la fermai sollevando un braccio.
- Via! - ringhiai - Non osare avvicinarti! - Mi rivolsi al dottore - É vero? -
Lui sospirò e dopo un momento fu costretto ad annuire.
- Dov'è Nethan? - domandai mentre il panico iniziava a sommergermi.
La donna scoppiò - Non esiste nessun Nethan! Tutto quello che hai creduto reale fino ad ora non é stato altro che una proiezione della tua mente... -
Non udii il resto della frase.
Il dolore mi schiacciò.
Il mio cuore smise di battere e io crollai a terra.
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