Capitolo ventiseiesimo


Da tempo il Natale era uno di quegli argomenti che James amava ricordarsi quando voleva sentire un brivido di ansia corrergli lungo la schiena. Ovviamente fosse stato per lui non se ne sarebbe mai parlato, lasciandolo indietro come un oggetto di sfondo che si sa che c'è ma di cui non c'è la necessità di ricordarsi. Purtroppo già da fine Novembre tutta Hogwarts sembrava esplosa in un miscuglio di vischi, alberelli i Natale fluttuanti, palline appese ai lampadari, festoni che avvolgevano le persone, elfi travestiti appunto da elfi natalizi, e tutte quelle cose lì insomma. Era stato abbastanza difficile quindi per James fingere che non stesse succedendo nulla e illudersi che magari quell'anno tutti avrebbero deciso che il Natale non era poi una festa così importante da festeggiare: la si poteva anche saltare. Naturalmente questa sua speranza non aveva trovato una realizzazione da nessuna parte, ancor meno presso il Clan Weasley-Potter. Tra tutte le follie natalizie, le più vistose e kitsch sembrava in qualche modo aver sempre origine da loro. James aveva trovato insostenibile intrattenere una conversazione con un qualsiasi suo parente senza che questo cominciasse a snocciolare tutte le leccornie che non vedeva l'ora di mangiare al pranzo di Natale e che lui doveva assolutamente assaggiare e davvero, non se le poteva far scappare per nessun motivo al mondo. A tutti aveva annuito sorridendo falsamente e promesso che le avrebbe sicuramente sentite, mentre nella realtà il solo sentirle nominare lo poneva in uno stato febbrile di agitazione e ansia. A ogni prosciutto glassato o Shepard pie che sentiva menzionare una scossa elettrica che partiva all'altezza della fronte si diramava in tutto il corpo, dandogli una sensazione di avere la febbre, e facendolo tremare dentro come per paura.
Da quando era tornato a casa a Londra poi, l'unico tema che la famiglia Potter sembrava saper affrontare tutta insieme era proprio il pranzo di Natale, che quell'anno, sventura delle sventure, toccava a loro ospitare. A colazione il problema erano i posti, a metà mattina cosa dare da mangiare al draghetto di compagnia dello zio Charlie, a pranzo ancora come fare se Dominique era effettivamente allergica al lattosio come sosteneva la madre. Era una tortura per James dover ascoltare e prendere parte, dietro pressione della madre, alle discussioni. Come si era ritrovato ad odiare la sola idea dei cibi che sarebbero stati messi in tavola il 25, anche l'albero stesso di Natale, che per tradizione decoravano tutti insieme il 24 mattina, perse irrimediabilmente il fascino che l'aveva avvolto quando era bambino.
James si convinse di odiare definitivamente il Natale quando fu forzato ad appendere tutti i biscottini che Lily aveva sfornato poco prima all'albero. Si sentiva in trappola, constatò, passandosi la mano che sapeva di burro di fianco al viso per sistemarsi un ciuffo che gli continuava a finire davanti agli occhi. Era arrabbiato con la sua famiglia: come potevano circondarlo di tutto quel cibo che loro sapevano che una volta lui amava alla follia, quando lui doveva mantenere una certa linea se voleva essere ancora in grado di salire su una scopa a gennaio? Ogni volta che qualcuno gli avvicinava anche solo una briciola di dolce James scattava, allontanandola da sé o andandosene lui stesso. E ora l'avevano abbandonato in salotto da solo ad appendere una montagna di biscottini che sarebbero bastati per sfamare l'intera casa di Grifondoro. E non poteva nemmeno usare la magia.
"Vi odio" sibilò afferrando l'ennesima renna-biscotto e appendendola di fianco a una palla con della neve dentro "Vi odio" ripeté, questa volta rivolto più al cumolo di dolci che lo aspettava ancora sul tavolo, che alla sua famiglia.
Cercò di ignorare il fatto che l'intera stanza profumava terribilmente di burro e che in cucina lo aspettavano per il giorno dopo montagne di cibi, che oh, se fossero stati sani da mangiare... Avrebbe dato qualsiasi cosa al mondo per poter mangiare uno di quei biscotti, ammise a sé stesso mentre una slitta finiva appena sotto la punta dell'albero.
"Non puoi e lo sai" ricordò però a sé stesso, odiando ancora di più l'essere rimasto da solo con solo dolci intorno.
Continuò ad appendere biscotti ancora per qualche minuto, ricordando a sé stesso quanto si sarebbe sentito in colpa se l'avesse fatto, quanto lui odiasse i biscotti. Riuscì a tirare fiato solo quando il vassoio su cui Lily aveva disposto le sue creazioni rimase vuoto. Lo guardò stupito per qualche secondo, senza rendersi davvero conto che il suo supplizio era finito. Si sistemò gli occhiali sul naso e l'odore di burro tornò ad investirlo, come se sul tavolo ci fossero state ancora tre teglie di biscotti da appendere. Si osservò le mani e poi le riportò al naso, inspirando profondamente a occhi chiusi. Annusarli era quasi meglio di mangiarli, provò a dirsi, ma la sua pancia si contorse, negando tutto ciò che lui provava ad imporle.
Raccolse velocemente tutti i vassoi e lo spago che aveva usato per legarle i biscotti ai rami dell'albero e portò tutto in cucina. Si sfregò forte le mani con del sapone per cancellare ogni residuo di burro dai palmi.
"Jamie quando hai fatto vieni ad aiutare qui in giardino" urlò Albus dal retro.
James si riprese, e distolse lo sguardo dagli scones a forma di stella che l'avevano incantato fino a quel momento.
"Io odio il Natale" sussurrò e poi a voce più alta rispose al fratello che a breve sarebbe arrivato, giusto il tempo di coprirsi. Uscì dalla cucina e andò a recuperare la giacca e le scarpe in camera sua. Mentre scendeva di nuovo le scale diretto al giardino non poté però non ammettere con sé stesso che l'albero, che dal gradino su cui si era fermato si scorgeva, aveva in effetti qualcosa di magico.
Senza sapere neppure lui cosa stesse facendo camminò fino al salotto con passi piccoli e veloci, guardandosi continuamente dietro come per controllare di non essere seguito. Ed era di nuovo davanti all'albero, che ora era investito dalla luce che proveniva dalla finestra dietro di lui. Rimase ad osservarlo con occhi persi e poi, come in una trance, a James sembrò di osservare il suo braccio che si sollevava dal fianco e si allungava verso il ramo più vicino. Forse lo voleva davvero o più probabilmente era la fame, quella che ti divora le membra e non ti lascia respirare, che gli fece staccare il biscotto più vicino. Il campanello sul ramo da cui l'aveva staccato risuonò debolmente con un breve tin, ma James continuò a guardarlo anche quando tacque di nuovo. Senza neppure controllare di che forma fosse il biscotto che teneva in mano se lo portò lentamente alla bocca. Il suo cervello stava urlando di smetterla, di non farlo, ma per qualche ragione la sua mano, la sua bocca, i suoi denti che ora affondavano nel dorato pupazzo di neve, non volevano o potevano fermarsi. Il biscotto si stava ancora sciogliendo in bocca mentre James allungava già il braccio per staccarne un secondo, poco più in basso. E poi un terzo, e un quarto. Dopo il quinto, o forse erano già di più, smise di sentire i sapori: tutto era diventato un unico pastone che deglutiva dolorosamente, niente di più. Era paralizzato in quel circolo vizioso di prendi, mangia, prendi. Per la prima volta dopo mesi sentì di star perdendo il controllo. Era come se un nastro di raso gli stesse scivolando tra le dita e lui non riuscisse a riaffermarlo. Avrebbe voluto fermarsi, la sua testa glie lo stava urlando, ma non poteva.
"James tutto bene?" chiamò una voce dalla porta.
La mano si bloccò a mezza strada tra lui e l'albero. Il cuore stava battendo così forte nel petto che ebbe paura per un attimo che potesse arrivargli in gola e poi fare capolino tra le labbra.
"Appena hai finito di sistemare l'albero vieni fuori: stiamo facendo un pupazzo di neve magico" annunciò Harry prima di tornare in giardino.
James fece sue passi indietro e inorridito guardò un'ultima volta l'albero e si passò la mano sulla bocca. Piccole bricioline restarono attaccate al dorso, le osservò agghiacciato. Dietro la finestra la strada era trafficata e le macchine scivolavano veloci verso mete sconosciute: gli sembrò impensabile che qualcuno potesse fare qualcosa in quel momento, mentre tutto il suo mondo, tutto ciò che negli ultimi mesi aveva costruito con fatica e dolore, iniziava a crepare. Fece ancora due passi indietro e poi corse al piano di sopra. Spalancò la porta del bagno e si aggrappò con tutta la forza che aveva in corpo al lavandino.
Rimase immobile fino a quando le mani non cominciarono a tremargli e a essere doloranti, allora lentamente sollevò la testa e guardò il suo riflesso nello specchio. Si sentì un essere miserabile, con le guance macchiate dalle lacrime e le labbra ancora sporche di briciole. Aprì la bocca un paio di volte ma non disse nulla, anche se avrebbe voluto urlare.
Girò poi la testa verso sinistra e rassegnato osservò il water che bianco si stagliava contro le piastrelle scure del bagno. Aveva un disperato bisogno di riprendere controllo di sé stesso, si disse, o sarebbe stato troppo tardi, e non sarebbe poi stato mai più in grado di riacquistarlo. Ma le sue gambe non si mossero e le sue mani si strinsero ancora di più al lavabo, come rifiutandosi ancora una volta di fare ciò che la mente ordinava. Alla fine strinse i denti e, obbligando le sue membra a muoversi, si inginocchio davanti alla tazza.
Questo è quello che succede quando perdi il controllo, si disse e si preparò a fare una delle cose che odiava di più. Con le lacrime che continuavano a scorrere sulle guance provò ad auto indursi il vomito, ma qualcosa non funzionava. Capì da subito che quel giorno non ci sarebbe riuscito a rivoltare tutto il suo stomaco nell'acqua ancora limpida del bagno. Scavò comunque a fondo nella gola con le dita, ma l'unico risultato che produsse fu di graffiarsi le pareti con un'unghia forse spezzata. Alla fine senza forza ricadde indietro sui talloni, con la pancia così gonfia che la pelle era talmente tesa che sembrava sul punto di spezzarsi; e senza energie, drenate dalla disperazione. Non vedeva nulla, oh misero essere senza occhiali e piangente, e non sentiva nulla, cieco e miserabile corpo malato.
"James tutto bene?" ancora una volta Harry lo stava chiamando.
Guardò assente la porta e si rese conto di star ancora indossando la giacca e le scarpe.
"Arrivo" rispose impiegando svariati secondi per mettere insieme le sillabe. Infine lentamente si alzò da terra facendo leva sulle braccia. Senza osar pensare a nulla si lavò il viso e si rimise gli occhiali che prima si era tolto. Prima di uscire dalla stanza, diretto verso la sua spensierata e ignara famiglia, lo sguardo sfiorò per un attimo la superficie riflettente dello specchio: l'immagine che questo gli restituì era quella di un fantasma, dello spettro di ciò che James era stato.

Quando quella sera James si sedette a tavola non sapeva che una delle serate più stressanti e strane della sua vita stava per investirlo in pieno. Tutti avevano dei sorrisi docili stampati sul volto ed ostentavano già maglioni di Natale (quelli fatti da Molly l'anno prima ovviamente) e Lily aveva anche indossato un cerchietto con delle corna di renna. James lo trovò di cattivo gusto: non si addiceva a una ragazza indossare delle corna, neppure per una cena in famiglia, sia mai che si abitui poi. Anche Harry aveva provato a darsi un tono più festaiolo e natalizio anche se, come tutti gli altri giorni, era tornato a casa da lavoro tardissimo e stravolto. Albus lo prendeva spesso in giro dicendogli che già si chiamavano Potter, non serviva cenare alle 7 e mezza ogni sera per apparire diversi da tutte le altre famiglie inglesi.
"Harry che cos'hai fatto?" domandò Ginny spaventata quando entrata in salotto vide la guancia del marito di uno strano colore rosso-violaceo.
James sollevò la testa dal libro di scuola in cui si era sepolto da metà pomeriggio per non pensare ai suoi problemi, e guardò anche lui il padre. Sembrava davvero che qualcuno gli avesse tirato un pugno in faccia e che ora sulla guancia ci fosse un gigantesco livido che si muoveva.
"Papà ha stregato gli occhiali affinché lampeggiassero, è come se avessero delle lucine nelle stecche" spiegò Lily a beneficio di tutti.
Ginny guardò ancora per qualche secondo il marito con uno sguardo preoccupato poi si mise a ridere, come se trovasse molto divertente il fatto che il salvatore del mondo magico sembrava un incrocio tra uno di quei clown dei circhi babbani e quei ragazzi che a capodanno indossano gli occhiali fatti con gli starlight.
"Devi davvero chiamare Hermione e farti spiegare meglio come si fa quell'incantesimo, peso che tu abbia sbagliato qualcosa."
"Ma apprezziamo l'impegno" aggiunse immediatamente Albus "Quello chiaramente c'era. Manca solo la pratica. E la tecnica."
Harry si tolse gli occhiali e li rimirò per qualche secondo. O meglio, pensò James, fece finta di guardarli per capire cosa non andasse. Avendo la stessa miopia del padre, sapeva che senza occhiali o lenti o incantesimi non era in grado di vedere assolutamente nulla. Almeno mente bene.
"Sono così terribili?" domandò, evidentemente dispiaciuto per il suo esperimento andato a male.
"In una scala da zero a quando mamma ha provato a fare la pizza, direi che è un solido cadere dalla scopa mentre diluvia e perdere, a proposito, gli occhiali" sentenziò Albus, e James mandò giù un boccone amaro a sentire le parole del fratello.
Ma lui non sapeva si disse, non sapeva che lui era effettivamente caduto dalla scopa che era stato mille volte più orribile degli esperimenti culinari miseramente falliti della madre.
Ad Harry invece fece ridere la classifica di Albus, dato che decise che non avrebbe modificato l'incantesimo almeno per un'altra ora solo per divertimento.
"Ancora a prendere in giro la mia pizza e intanto se non ci fossi io che cucino per tutti voi stareste digiunando da quando siete nati, e te da quando sei uscito da Hogwarts" ribatté piccata Ginny, ma anche lei trovava la situazione divertente, si vedeva dal sorrisetto che le spuntava sulle labbra "Comunque se non volete la pizza che ho fatto per stasera potete benissimo stare sul divano ad ammirare le stupende lucine degli occhiali di vostro padre che fanno sembrare che non abbia metà guancia."
Il cuore di James fece un tuffo paragonabile solo a una finta Wronski.
"Hai fatto davvero la pizza? Ma domandi è Natale!" protestò spaventato dall'idea di essere costretto a mangiare quel cibo così tanto energetico.
Ma nessuno lo sentì, o forse fecero tutti finta di non averlo sentito, perché nello stesso momento Lily stava quasi urlando dietro alla madre che stava tornando in cucina. "Guarda che non basta che tu abbia i capelli rossi come la pizza, perché questa ti venga bene eh!"
Tutti si avviarono comunque verso la cucina, anche James, il quale avrebbe mille volte preferito continuare a studiare per il test di pozioni che avrebbe avuto il giorno stesso del suo rientro ad Hogwarts piuttosto che andare a cena.
L'annunciatissima e temutissima pizza di Ginny si rivelò essere solo una battuta, fatta per difendersi dalle accuse a lei mosse poco prima e per stare al gioco. James si sentì immensamente grato alla madre quando da dietro la schiena di Albus scorse sul tavolo del riso, delle verdure grigliate e degli avanzi dei giorni precedenti. Quella sera era una cena svuota-frigo, per il sollievo di James, che sapeva non sarebbe potuto essere obbligato a mangiare cibo che non voleva in quanto era già molto se era avanzata una sola porzione di carne o di formaggio.
"Ti dirò, forse preferivo la pizza" si lamentò un poco Harry una volta seduto a tavola.
Ginny gli scoccò un'occhiata di traverso. "Non osare lamentarti per un poco di riso e verdure sta sera, quando domani mangerai per delle ore di fila tutto ciò che vorrai" Harry sbuffò ma acconsentì silenziosamente a quella cena frugale "E non bere del vino per piacere, che lo so che tu e Draco a pranzo oggi ne avrete bevuta di sicuro una bottiglia in due, e domani non sarai da meno."
A James sembrò di vedere le orecchie di Albus drizzarsi appenò sentì il nome di Malfoy. Conosceva il fratello e sapeva quanto morisse dalla voglia di sapere cosa stava facendo il padre col collega di lavoro.
"Ma non lavora come chimico lui? Non creava delle pozioni? Che cosa ha a che fare con te?" domandò infatti dopo poco Al.
Harry dismise la domanda con un gesto della mano. "Niente di particolare di cui vi dobbiate preoccupare, gli avevo chiesto un favore e ora mi sta dando una mano con una cosa, ma nulla di che" rispose vago.
Albus avrebbe voluto indagare ulteriormente, ma tutti furono richiamati da un insistente picchiettare che proveniva dal vetro della cucina. Fu Lily ad alzarsi e ad aprire la finestra per far entrare un infreddolito gufo grigio all'interno della stanza. Questo volò graziosamente fino davanti a James dove depositò un pacco di modeste dimensioni che fluttuava pericolosamente dal suo becco. In effetti la scatola sembrava ondeggiare un po' troppo rispetto a quanto è normale che succeda anche col gufo più inesperto. Albus si curò di versare dell'acqua e del cibo in due ciotoline e di porle vicino al caminetto, così che l'animale potesse rifocillarsi a dovere e riscaldarsi le penne.
"Dopo se sei stanco ti porto a conoscere Freyr" disse, e a tutta la famiglia Potter dispiacque un poco che quella povera bestia dovesse ritrovarsi a condividere la gabbia col gigantesco gufo di Al.
"Cos'è Jamie?" chiese curiosa Lily, che già allungava le mani come per prenderlo e aprirlo lei.
"Non lo so" ammise stupito "Io non stavo aspettando nessun pacco."
"Dai su aprilo che così dopo mangiamo" lo spronò Harry che ora guardava anche il riso e le verdure nel suo piatto con l'acquolina in bocca.
James fu infastidito dalle parole del padre: era come se ogni cosa che riguardasse lui potesse essere tranquillamente sminuita e fatta scivolare in secondo piano. Eppure fino a poco prima stava parlando con Albus, quindi non doveva avere poi così tanta fame pensò.
Mentre titubante tagliava col coltello lo scotch che chiudeva il pacco si sentì comunque speciale, perché quel pacco era arrivato specificatamente a lui, e non a Harry, a Ginny, a uno dei suoi fratelli o alla famiglia Potter in generale, ma a lui, James Sirius Potter. Era un po' come un regalo di Natale in anticipo che solo lui poteva aprire prima della mattina vera e propria.
"Cos'è Jamie?" domandò Lily curiosa cercando di scorgere per prima il contenuto del misterioso pacco.
"E se fosse pericoloso?" indagò Albus quasi in contemporanea.
James avrebbe voluto dirle di aspettare un attimo a entrambi, che se magari Lily spostava un poco la testa magari sarebbe riuscito ad aprirlo e tutti avrebbero potuto vedere al più presto il contenuto della scatola, ma non ci fu bisogno che lui finisse di rimuovere il nastro adesivo per identificare la natura del regalo. Un miao provenne proprio dalla scatola, seguito da altri sempre più a voce alta. La scatola si spostò nuovamente, proprio come aveva fatto sospesa al becco del gufo, e diede dei forti scossoni.
"È un gatto!" esclamò Lily in visibilio "Posso averlo io?" domandò poi subito.
Fortunatamente James non dovette intervenire per far star calma la sorella, ci penso Ginny. Quando finalmente riuscì ad aprire la scatola e a sbirciare dentro, il suo cuore iniziò a battere più velocemente e un sorriso involontario gli spuntò sul volto. Un piccolo gattino nero, non doveva avere più di un paio di mesi, era appallottolato nell'angolo e lo guardava con due occhi luminosissimi.
"Ehy ciao" lo accolse James "Sei proprio bellissimo sai?"
Lily era riuscita a farsi strada di nuovo fino alla scatola e ora protendeva le mani verso la povera bestia spaventata.
"Sta ferma Lily, così lo spaventi" la rimproverò seccato James tirandole anche un colpetto sul dorso della mano.
Senza ascoltare la sorella che offesa si lamentava, James allungò un dito verso il micino nella scatola e lasciò che quello lo annusasse.
"Non ti faccio nulla, promesso" disse, ignorando totalmente la sua famiglia che continuava a porgli domande. Di che colore è? Chi te l'ha mandato? Pensi di tenerlo? Lo dai a me?
Emozionato alla fine James riuscì ad accarezzarlo ma nel momento esatto in cui gli sfiorò la testa e le orecchie ebbe paura, come di fargli male, o forse di non essere in grado di tenergli dietro: già era un disastro a curare sé stesso, chissà come avrebbe fatto con un piccolo animale pronto a dipendere totalmente da lui.
"Si mangia quindi?" insistette ancora Harry.
James lo guardò storto, come risentito per il fatto che stesse interrompendo quel momento e spezzando quell'atmosfera magica che sembrava avvolgere lui e il micio.
"Dai James mangiamo, hai tempo dopo cena per conoscerlo meglio" disse più conciliate Ginny "Dagli però una ciotola con del latte, così mangia anche lui."
James si affrettò a provvedere alla cena delgattino e per tutta la durata del pasto ebbe occhi solo per la piccolacreatura, ignorando quindi quasi completamente la sua famiglia e per la primavolta dopo tanto tempo anchequello che passava per il suo piatto .

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