Capitolo terzo
Si sentiva congelare fin dentro le ossa. A poco era servita la doccia bollente e il maglione più caldo in suo possesso, che aveva infilato sopra la camicia. Neanche il tè bollente che aveva bevuto per colazione insieme a una banana mangiata cercando di non pensare alle 150 calorie che stava assumendo, era riuscito a riscaldarlo. In quel momento era seduto nella classe di Pozioni e ascoltava il professore elencare i passaggi per preparare una pozione probabilmente inutile. Ma quell'infuso aveva un odore sgradevole e sentiva il poco che si era obbligato a magiare solleticargli la gola, come se volesse essere vomitato. Abbassò gli occhi, provando a concentrarsi su qualcosa che non fosse quella lezione che lo faceva solamente stare male. Come per un tic nervoso iniziò a unire l'indice e il pollice intorno a un polso, come a volerne misurare la grandezza. Ma farlo significava far risalire il maglione fino a metà avambraccio e gli sembrava di vederle, lì, davanti a lui, le lingue di freddo che gli avvolgevano quel pezzo di pelle rimasto scoperto. Come scottato, lasciò che la manica del maglione gli coprisse nuovamente tutto il braccio e ci nascose il pugno dentro. E poi finalmente la lezione finì e lui si poté alzare da quella scomoda panca di legno.
"Tutto bene?"
Non si era neppure accorto di essersi poggiato al banco. Alzò la testa. Lì, davanti a lui, il ragazzo di quella mattina, col suo triste sguardo e quei capelli quasi bianchi, lo guardava. Annuì, spaesato, e si affrettò a prendere la sua borsa e a uscire. Se Scorpius Malfoy era nell'aula di pozioni voleva dire che lui avrebbe dovuto correre per raggiungere quella della sua prossima lezione. Ma non ne aveva le forze.
La sala grande non era mai stata così silenziosa come quel giorno. Scorpius non ne sapeva il motivo, ma era un piacere studiare con appena un paio di persone che sussurravano. Davanti a lui giaceva il saggio di Incantesimi fatto per metà. Non aveva idea di cosa avrebbe scritto nell'altra metà della pergamena, aveva già detto tutto e nei libri che aveva sfogliato svogliatamente, non c'era scritto nulla più di quello che sapeva già. O forse sì, solo che la sua attenzione era continuamente richiamata dal ragazzo seduto al tavolo davanti al suo che gli dava le spalle. Aveva passato tutto il giorno a cercare di ricordare qualcosa in più su James Potter. A Hogwarts tutti sembravano cercare i suoi favori. Era sempre invitato alle feste, sciami di ragazze erano sempre pronte a intrattenerlo anche per una notte soltanto. Ma Scorpius non l'aveva mai visto toccarne una, come alle feste, dove era sempre il primo che spariva, ma non con una ragazza, se ne andava e basta. James Potter era il contrario di ciò che le persone volevano che fosse. Era gentile, non trattava mai nessuno male, aveva voti alti e passava anche abbastanza tempo sui libri perché fossero giustificati, passava le sue giornate ad allenarsi ma non si vantava mai dei suoi successi nel Quidditch, come di quelli nelle altre cose. Scorpius avrebbe voluto essere come lui, ma semplicemente non poteva. Nessuno diceva nulla a James se non faceva quello che gli altri si sarebbero aspettati che facesse, ma appena lui scacciava una ragazza che lo infastidiva o non insultava qualcuno nei corridoi gli veniva ripetuta sempre la stessa frase: tuo padre l'avrebbe fatto. E allora lo faceva anche lui, con un macigno sul cuore afferrava quella ragazza e se la trascinava addosso e faceva battute sprezzanti sui capelli di qualcuno. Perché lui era Scorpius Malfoy e non poteva essere diverso da Draco Malfoy, ma cosa più importante di tutte non poteva deludere quel suo padre perfetto. Scosse la testa e tornò a provare a concentrarsi sul suo saggio. Avrebbe potuto farselo fare da qualcuno, questo suo padre l'avrebbe approvato, ma poi lui si sarebbe sentito mortalmente in colpa per il resto della giornata. Perciò con un sospiro stracciò la pergamena e si mise a riscriverlo da capo. Forse questa volta gli sarebbe venuto.
Vide il fratello avvicinarsi a lui quando aveva appena superato la soglia della sala grande. Lo vide cercarlo con gli occhi e fare un cenno della testa quando incontrò il suo sguardo. Poggiò la penna e non si diede pena di chiudere i libri, mentre Albus si sedeva di fronte a lui e, come suo solito, lo guardava dall'alto al basso. Chiuse gli occhi, sapeva già cosa gli avrebbe detto nel giro di pochi istanti. Ed era ugualmente certo che la sua risposta non gli sarebbe piaciuta.
"Sei ancora più magro" disse infatti Albus, diretto come al solito. Neppure un ciao, come stai. La sua era una constatazione.
James tolse le braccia dal tavolo e nascose i polsi e le mani agli occhi del fratello.
"No, sono sempre uguale" ribatté.
Come da copione Albus sbuffò e scosse la testa.
"Non era una domanda" storse le labbra "Come minimo hai perso altri tre chili"
Non disse nulla, quello era il gioco del fratello, avvisarlo una volta ogni due o tre settimane che si stava uccidendo lentamente. Ma lui non giocava, lui faceva sul serio. Perciò quello che gli avrebbe detto quel pomeriggio sarebbe finito nel dimenticatoio, insieme alle passate chiacchierate.
"Quel maglione te l'ho regalato un anno fa" constatò lentamente "E ti andava giusto. Ora guardati. Probabilmente sotto nei hai un altro oltre alla maglietta e ti sta largo in ogni caso"
Qui si sbagliava, il caro vecchio Albus. Quel maglione glie l'aveva preso sua madre con i saldi a inizio febbraio. Quello che gli aveva regalato lui ce l'aveva Scorpius Malfoy. E poi lui non metteva delle magliette sotto. La lana che gli prude sulla pelle era solo l'ennesimo modo per torturare il suo corpo. Ma non disse nulla, abbassò solo la testa per far sentire il fratello nel giusto.
"Mamma è preoccupata" anche questo, come da copione.
"Mamma è sempre preoccupata Al, lo sai" lo guardò di sfuggita "E penso sarebbe più preoccupata se a Natale mi vedesse uguale a quando siamo partiti"
"Ci vuoi così male James?" chiese dopo qualche istante di silenzio "Ti vuoi così male?"
Non c'erano risposte a quella domanda. Come poteva spiegare ad Albus, al perfetto Albus con una vita normale e sempre amato da tutti, che lui non si voleva poi così male. Lui si odiava. Come poteva? Non avrebbe mai capito cosa volesse dire guardarsi allo specchio e sperare di scomparire pur di non dover fronteggiare la propria immagine riflessa? Come avrebbe potuto capire?
"Perché dovrei volervi male?" domando infine lentamente, calibrando ogni singola parole che pronunciava.
"Perché facendo quello che fai, fai soffrire tutti noi. Me, nostra sorella, mamma e papà. Tutti. Perché lo fai?"
"Mi dispiace"
Glie lo diceva sempre Albus che faceva del male alla famiglia. Ma cosa ne potevano sapere loro di cosa fosse il male, di che cosa fosse il vero dolore?
"Mi dispiace davvero Al"
"Se ti dispiace fa qualcosa. Non vuoi il nostro aiuto? Allora trova qualcuno che ti convinca al nostro posto che facendo così ti stai rovinando per sempre"
Si passò una mano tra i capelli. Pur di non rispondere alle parole di Albus avrebbe fatto di tutto. Non sapeva mai cosa dire quando arrivavano a quel punto del discorso. E puntualmente tutte le volte il fratello si aspettava una risposta che lui non era in grado di dargli.
"È un livido quello?" chiese Albus bloccandogli il polso e passando il pollice sulla pelle martoriata.
"È un succhiotto"
"Eviterò di chiederti perché dovresti avere un succhiotto che ti gira tutto intorno al polso solo perché un succhiotto lo so riconoscere. E questo è un livido"
"Vattene Al. Vattene via"
Si prese la testa tra le mani e serrò gli occhi. Mentre si mordeva le labbra sentì Albus che si allontanava senza aggiungere altro. Ogni volta che parlava col fratello era come aggiungere sale sulle sue ferite. Quanto lui era sbagliato, Albus era perfetto. E faceva male vedere ogni giorno come anche lui avrebbe dovuto essere.
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