Capitolo sesto
Per la settimana successiva alle partita non si incrociarono più, neppure nei corridoi per sbaglio. Ma ogni volta che si girava, a James sembrava di avercelo davanti. Tutti gli studenti di Hogwarts si erano trasformati in Scorpius e nella sua camicia bianca. Aveva paura che qualcuno lo fermasse e gli chiedesse se andava tutto bene. Ma fortunatamente nessuno lo fece. Cambiò le sue abitudini. Iniziò ad evitare la Sala Grande per studiare, trasferendosi in biblioteca. Ora al campo da Quidditch ci andava ancora prima del solito e quello gli procurava delle occhiaie ancora più profonde sotto gli occhi. Gli studenti lo evitavano, questo era chiaro. Anche quelli della sua casa gli giravano alla larga come intimoriti dal suo muso lungo e dal suo aspetto lugubre. L'unico che sembrava non desistere nell'accostarsi a lui ogni tanto era Albus. Sembrava che avesse preso il cercare di aiutare James come un suo fioretto personale. Ma come al solito quello che diceva non riusciva a scalfire neanche in superfice la corazza del fratello.
Era un sabato pomeriggio, gli allenamenti di Quidditch erano finiti un'ora prima a causa della stanchezza della squadra, e James si ritrovava in biblioteca, un saggio di pozioni da finire e una lieve pioggerellina che ticchettava sul vetro della biblioteca. Il piede batteva ritmicamente sul pavimento, tanto che, dopo un po', una studentessa si affacciò da dietro uno scaffale e gli chiese di fare più piano. James annuì e solo dopo qualche minuto registrò che forse non era l'unica persona in tutta la scuola così disperata da non aver altro da fare il sabato pomeriggio. Scosse la testa, no, non da non aver altro da fare, ma dal preferire studiare pozioni piuttosto che ascoltare dei cretini che parlavano delle loro ultime conquiste, oppure di come la settimana prima avevano perso la verginità. Come se non stessero raccontando gli stessi aneddoti da una settimana o più. E poi arrivava la fatidica domanda, e tu? E davvero, James non aveva nessuno voglia di ripensare a quando era stata l'ultima volta che si era portato una ragazza a letto, o peggio alla sua prima volta. Non l'aveva mai raccontata a nessuno quella, l'aveva segregata in un angolo della mente e mai più toccata. Varie leggende circolavano ad Hogwarts, perché sì, anche se non era ancora uscito esistevano già persone che inventavano storie fantasiose su di lui, come si fa per le persone importanti. Ovviamente nessuna di quelle era vera, come avrebbero potuto le menti ottuse degli altri studenti arrivare a pensare che la prima volta di James era stato uno dei momenti peggiori della sua vita. Si era sentito sbagliato, ma non perché la ragazza non gli piacesse, no al tempo lei era la sua cotta, ma perché non avrebbe voluto correre così tanto con lei. E invece li avevano chiusi dentro una stanza e a lei, Judith si chiamava, non era importato di fare le cose con calma. Così erano andati a letto insieme un paio di volte e poi più nulla. Probabilmente era tutto quello che lei voleva da lui.
Un foglietto che svolazzava davanti ai suoi occhi lo riportò al presente. Stupito lo afferrò e aprì l'areoplanino lisciandolo con le mani. Una calligrafia elegante recitava:
Si memini, fuerant tibi quattuor, Aelia, dentes:
Expulit una duos tussis et una duos.
Iam secura potes totis tossire diebus:
Nil istic quod agat tertia tussis abet.
Sotto una faccina che ammiccava sembrava saperla lunga. Era quasi sicuro fosse latino, ma non aveva idea di cosa ci fosse scritto. Una manciata di secondi dopo un secondo areoplanino atterrò sulla sua scrivania. La stessa calligrafia elegante lo accompagnava.
Immagino che tu non conosca il latino
(come io d'altronde)
Questa è la traduzione:
"Se ricordo bene tu, oh Elia, avevi quattro denti:
due li spazzò via un colpo di tosse,
e altri due li portò via un altro colpo di tosse.
Ormai puoi tossire tranquilla tutto il giorno:
un terzo colpo di tosse non ha più nulla da portar via."
Un paio di denti da vampiro erano scarabocchiati al margine della traduzione.
Pensaci, Marziale non aveva poi detto
Una cosa senza senso.
S.H.M.
Rimase a guardare dei due foglietti per un tempo interminabile. Lesse e rilesse le parole cercando di capire cosa avrebbero dovuto dirgli. Il mittente era chiaro, non avrebbe potuto essere nessuno se non Scorpius. Chi per altro avrebbe mai mandato un biglietto con una frase in latino se non lui. Dietro il primo, in una calligrafia più approssimativa, era scarabocchiato un nome. James chiuse di scatto i libri di pozioni e si infilò i due biglietti in tasca prima di alzarsi di scatto. Qualcuno, forse la stessa ragazza di prima, da dietro lo scaffale gli intimò di fare silenzio. Annuì e bofonchiò qualche scusa prima di correre nel dormitorio. La bibliotecaria gli lanciò uno sguardo deluso, probabilmente lui era l'ennesimo studente che, quel pomeriggio, vedeva fuggire dallo studio. Non rimase molto nella torre di Grifondoro, giusto il tempo di gettare i libri sul letto e infilarsi un maglione aggiuntivo ed era fuori. Stava per uscire nuovamente dal ritratto della signora grassa quando sentì una mano sulla spalla. Era Albus che gli porgeva un cappello e una sciarpa. Un timido sorriso coronava il volto del fratello. Per la prima volta dopo molto tempo A James passò per la mentre che forse Albus gli voleva davvero bene e ci teneva veramente a lui. Lo ringraziò in imbarazzo, ma l'altro si era già girato, col capo chino camminava verso un divano dove erano seduti i suoi amici. Rimase a guardare il fratello minore per un po' prima di poggiarsi la mano sulla bocca e uscire. Un piccolo sorriso lo accompagnò fino al campo da Quidditch.
Era il turno di allenamento della squadra Serpeverde, e lui non avrebbe dovuto essere lì, lo sapeva. Ma davvero, non voleva spiare i loro schemi, aveva solo bisogno di stare in quel luogo così familiare a pensare per un po'. Evitò di andare sulle tribune più alte, l'avrebbero visto di sicuro e non aveva voglia di discutere. Preferì sedersi nella fila più bassa. Si distese, portando un braccio sotto la testa. Sopra di lui giocatori volavano sulle loro scope, provando azioni particolarmente azzardate o schemi così complessi che non sarebbero mai riusciti a replicarli durante una partita. La pioggia fine di prima si era trasformata in poche gocce sporadiche, prima di scomparire del tutto. Cullato dalle urla dei vari giocatori, dal tifo dei pochi spettatori e dal fruscio delle scope a contatto con l'aria, chiuse gli occhi.
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