Per la prima volta dall'inizio dei suoi allenamenti mattutini, al suono della sveglia James non provò fastidio e stanchezza, ma piuttosto timore. Si alzò dal letto e con le gambe insicure si avviò in bagno per darsi una sciacquata e vestirsi. Anche se era sicuro che i suoi compagni fossero ancora tutti addormentati, spogliarsi davanti ad altre persone lo metteva a disagio. Si trascinò dietro dei pantaloni della tuta e un maglione. Mentre si cambiava, gettò uno sguardo fuori dalla finestra. Con suo grande disappunto delle goccioline si infrangevano contro il vetro. Il timore con cui si era alzato quella mattina si intensificò. Ora iniziava a sentire una morsa al cuore. Si guardò allo specchio e i suoi occhi urlavano di tornare a letto. Non ascoltò il corpo che chiedeva qualche ora di sonno in più, né il peso nel petto, uscì invece dal dormitorio con la scopa in mano. Chiuse delicatamente la porta e scese lungo i lati i gradini della scala. Nel tempo aveva imparato che se pestati al centro, scricchiolavano di più. Dopo essere sgattaiolato fuori dalla Sala Comune, ogni passo che faceva doveva essere più felpato. Nessuno gli impediva di allenarsi a quell'ora, ormai c'era già un po' di luce, non voleva solo che qualcuno lo seguisse e lo guardasse. In modo particolare desiderava essere solo quel mattino. La scopa nella sua mano destra sembrava bruciare. Avrebbe voluto lasciarla cadere e correre via. Non riusciva a trovare spiegazioni razionali per la sua riluttanza. Se sapeva volare due giorni prima, sicuramente nulla sarebbe stato diverso quel mattino. Eppure, il pensiero di essere a metri da terra, in mezzo, per di più, a una pioggia fine, lo metteva in agitazione. Quando mise piede fuori dal castello, la sua camminata attenta e calcolata, si trasformò in una corsa a perdifiato. Se non poteva correre via da quell'allenamento, e non poteva assolutamente, questo era scritto nella tabella del mese, allora ci si sarebbe buttato di corsa. Una frenesia elettrica gli faceva arricciare le dita. Allo stesso tempo sentiva il bisogno di salire sulla scopa ma aveva poi paura di staccarsi da terra. Quando arrivò al campo, lo trovò fortunatamente vuoto e silenzioso. Poggiò la scopa sulla gradinata più vicina e, dopo aver controllato i lacci delle scarpe, si mise a correre lungo il perimetro. Prima, durante la sua corsa verso il campo, preso dai vari sentimenti che si mescolavano dentro di lui, James non aveva fatto realmente caso al freddo che c'era fuori quel mattino. Anche se le gocce erano piccole, entravano ovunque e lui sentiva l'umidità fin dentro alle ossa. La sensazione di pulito che aveva addosso fino a quando si era alzato, era scomparsa. I suoi piedi rimbalzavano ritmicamente sul terreno bagnato e fangoso. James si concentrò su quel ritmo e sull'alzare bene le piante, per non fare un'eccessiva fatica, viste le condizioni climatiche già avverse di loro. Smise di pensare al freddo e a cosa sarebbe successo nel giro di minuti. Nel silenzio di quel mattino invernale, i piedi e il cuore di James battevano un incedere in crescendo. Più sentiva che il momento si stava avvicinando, più aumentava il ritmo della corsa per stare al passo con i battiti frenetici che rimbombavano nel suo petto. Era un inseguimento serrato quello serrato quello tra la sua paura e la sua razionalità.
Finì il riscaldamento a terra tagliando pezzi di esercizi da una parte e dall'altra. Non riusciva più ad aspettare: lui doveva sapere. Il piccolo timore che lo accompagnava da quando la mano era guarita ora era un treno in corsa. Ma l'unico modo per avere una risposta, era provare. Con le mani che gli tremavano e le gambe molli, si diresse verso le gradinate. Quando fu a qualche metro di distanza, si accorse di un pacchetto poggiato di fianco alla sua scopa. Era avvolto in una carta nera sbiadita in alcuni punti dalle gocce di pioggia. Dimenticò momentaneamente la sua paura di tornare a volare e lo afferrò. Lo girò un paio di volte, guardandolo da varie angolazioni, ma non c'era nessun bigliettino né altri segni che gli indicassero il mittente. Provò una soddisfazione profonda nello strappare la carta e sentirla accartocciare sotto le sue mani. Orami nel Mondo Magico andava di moda l'incantesimo auto-spacchettamento, specialità tra l'altro di suo fratello Albus, e lo scartare i regali da sé, era diventato solo un ricordo della sua infanzia. Pensò che solo l'aver avuto la possibilità di aprirlo, fosse già di per sé un dono stupendo. Facendo attenzione a non farlo cadere, trasse fuori dalla carta disintegrata, un maglione. Era blu e a treccine. Lo accarezzò col palmo della mano. Sembrava caldo e confortevole. Mentre lo stendeva davanti a lui, si accorse che era esattamente della sua taglia. Si chiese chi potesse averglielo mandato a parte i suoi famigliari, esclusi in ogni caso dalla rosa dei candidati per la mancanza del famoso incantesimo. Decise di indossarlo. Si tolse l'altro che aveva, restando solo con la maglia del pigiama addosso. Piccoli orsacchiotti celesti costellavano il suo petto, e solo in quel momento si chiese se il misterioso mittente fosse ancora lì. Sperò vivamente di no. Si affrettò a infilarsi il nuovo maglione, il freddo si faceva sentire pungente. Nell'ultimo anno aveva imparato a sopportare maggiormente la morsa del gelo che, da quanto aveva letto, era un buon modo per consumare calorie. Appena la lana lo avvolse, sentì però un calore circondarlo, e quando ebbe infilato anche il suo maglione sopra, il freddo sembrava solo un ricordo lontano. Era come essere all'interno del castello. Non ebbe tempo per domandarsi come fosse possibile, anche se era fine Novembre e lui non indossava nemmeno una giacca.
La scopa, ancora appoggiata sulla gradinata, sembrava pulsare e attirava la sua attenzione. La guardò in un misto di odio e amore. Mentre stendeva la mano per prenderla, il cuore sembrava essergli salito in gola. Lentamente posò la mano sul manico e un dito alla volta lo avvolse. Col fiatone guardò davanti a sé. E se il suo volo non fosse più stato quello di prima? Prese un respiro profondo. E se fosse caduto di nuovo? Portò l'altra mano davanti agli occhi. E se non sapesse più volare? Si morse forte il labbro. Che cosa gli sarebbe rimasto se non avesse più saputo giocare a Quidditch? Sollevò di scatto la scopa e sentì i bastoncini della coda strusciare contro la gradinata. Ancora ad occhi chiusi, aprì leggermente le gambe e salì sopra. I battiti del cuore erano diventati indistinguibili uno dall'altro, tanto erano veloci. Tutto sembrava come al solito. Non si sarebbe spezzata da un momento all'altro e la mano era salda. Si alzò in punta di piedi. Lentamente cominciò a fluttuare. Senza fretta aprì prima un occhio e poi l'altro. Stava volando, e nulla era ancora andato storto. Il cuore nel suo petto sembrava lievemente rassicurato da questa constatazione. Dietro gli spalti, gli alberi della foresta Proibita erano un'unica macchia verde, confusi e offuscati dalla pioggia. Allungò le punte dei piedi a terra e quando tutta la pianta toccò di nuovo il suolo, si diede una forte spinta e salì velocemente nell'aria. Cinque, dieci, venti piedi, lo separavano ormai da terra. Sentì una scossa elettrica attraversargli la spina dorsale, e mentre acquisiva gradualmente velocità, un sorriso timido gli spuntò sul volto. Non seguì la sua solita tabella quel mattino. Girò a tutta velocità il campo qualche volta e con un sorriso sempre più largo fece delle giravolte. Da piccolo, quando faceva così, sua madre gli diceva che sembrava un pollo arrosto. E in effetti, mentre si avvitava su sé stesso, un po' così si sentiva. Inaspettatamente si sentì felice a pensare alla sua famiglia, a quando Ginny da una parte e Harry dall'altra, lo avevano fatto montare per la prima volta su una scopa. Avevano paura che cadesse, questo era evidente, lo tenevano stretto tra le mani. Il primo volo della sua vita l'aveva fatto in mezzo ai suoi genitori, nel giardino della Tana. Dal basso Teddy faceva dei fischi di approvazione. Sfrecciò in mezzo all'anello centrale della porta, alzando un braccio come in un'esultanza. Tra la pioggia fine e la luce che iniziava a illuminare meglio quel mattino, volò verso il Lago Nero. Come nel suo sogno lo attraversò tutto in diagonale, per poi nel ritorno, abbassarsi a pelo d'acqua. Si piegò sul manico e con una mano toccò l'acqua scura, lasciando dietro di sé una scia e qualche bollicina. Mentre riacquistava quota si sentì stupido a non essersi fidato ciecamente del suo corpo e del suo istinto. Lui era nato per volare. Attraversò tutto il giardino di Hogwarts e pensò che da quell'altezza la capanna di Hagrid sembrava ancora più piccola. Le serre di Erbologia, invece, erano bellissime viste dall'alto. I colori dei vari fiori si mischiavano e apparivano splendidi attraverso le vetrate. Una felicità rinnovata lo pervadeva mentre si godeva la vista di Hogwarts dall'alto. In ultimo volò verso la torre di Grifondoro che svettava tra le varie guglie, seconda solo a quella di Astronomia. La risalì a spirale, da dove sapeva esserci la Sala Comune fino alla sesta finestra, quella del suo dormitorio. Ridente, si mise a fluttuare davanti al finestrone del bagno. Dovevano essere le sette passate. Dentro Theo si lavava i denti, mente Henry le ascelle. Rise ancora di più, ebbro della felicità che quel volo spensierato gli aveva portato. Si accostò ancora un poco al vetro e bussò. Henry lasciò cadere la saponetta per lo spavento, mentre una filo di dentifricio e bava colò dall'angolo della bocca di Theo. Dalla porta si affacciò anche Fred, probabilmente per vedere cosa stesse succedendo. Quando lo vide scoppiò a ridere, e James lo sentì chiamare gli altri. Quando furono tutti nel bagno, li iniziò a salutare scuotendo la mano e davanti alle loro risate fece degli avvitamenti. Lasciò che la scopa perdesse lentamente quota, scomparendo così dalla loro vista, per ricomparire poi a tutta velocità. Rise anche lui insieme a loro e in mezzo al loro entusiasmo, spuntò a un certo punto Bran con una macchina fotografica in mano.
"Mettiti in posa e sorridi" gli urlò Rufus, per farsi sentire attraverso il vetro.
James eseguì e la macchina scattò. Una foto dove volava fuori dalla finestra del bagno, ridente e mentre salutava come un cretino i suoi compagni, con il Lago e la Foresta dietro, sarebbe rimasto il ricordo tangibile del volo del suo ritorno.
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