Capitolo diciottesimo

Quel giorno James non aveva fatto altro che correre da una parte all'altra del castello, studiare e allenarsi. Il suo allenamento mattutino solitario si era prolungato più del previsto, ma James era felice e soddisfatto. Era riuscito infatti a fare perfettamente gli esercizi con una mano sola, dopo due settimane di tentativi insicuri e abbastanza maldestri. Inoltre aveva catturato il boccino bel due volte, prima che fosse obbligato a rientrare per andare a lezione. Aveva perciò preferito farsi una doccia piuttosto che andare a colazione, ed era finito, che non era entrato in Sala Grande fino all'ora di cena. Durante una noiosissima lezione di Storia della Magia, gli era venuta l'idea che magari quel giorno avrebbe potuto digiunare per ripulire il suo corpo. Ancora lo preoccupavano i dolci mangiati con i suoi compagni, anche se nel suo stomaco ne erano arrivati forse un paio. Invece di andare a pranzo, quindi, si era rifugiato in biblioteca per studiare. Quel pomeriggio c'era allenamento con la squadra e puntava a non andare a letto troppo tardi quella sera, quindi il saggio di Pozioni andava scritto e i nuovi incantesimi andavano studiati necessariamente tra la pausa del pranzo e l'ora di studio individuale del pomeriggio. Si era dato perciò da fare per tenersi occupato e non pensare alla fame che gli attorcigliava lo stomaco. Era dalla sera prima che non mangiava qualcosa. L'unica cosa che si permetteva, era dell'acqua per riempire la pancia. Come durante l'allenamento mattutino, anche quello pomeridiano aveva portato buone sensazioni e numerose prese del boccino. I cacciatori stavano lavorando duramente per migliorare gli schemi che non avevano funzionato durante la partita contro Serpeverde. A febbraio avrebbero giocato la successiva. Tassorosso sarebbe stato il loro avversario. Negli ultimi anni erano riusciti a mettere insieme una buona squadra che sapeva cooperare molto bene. Perciò, anche in vista del portiere Wilson, agile e veloce, gli schemi dovevano essere eseguiti ad occhi chiusi. James sapeva che, nuovamente, anche se la squadra di Grifondoro era effettivamente forte, tutti si sarebbero fidati di lui per una partita breve. Dopo allenamento, anche se si era attardato volontariamente per poter fare la doccia senza che nessuno lo guardasse e ritornare poi subito in dormitorio, quando era uscito dallo spogliatoio tutta la squadra era lì fuori che lo aspettava. Lo trascinarono, senza accettare scuse, nella Sala Grande per la cena e gli riempirono il piatto con ogni cibo possibile.
"Il nostro cercatore deve mangiare se vuole continuare a farci vincere"
E così James era stato obbligato ad interrompere il suo digiuno, che si era trascinato dietro dolorosamente per tutto il pomeriggio. Senza pensare a cosa si mettesse in bocca, era riuscito a mangiare qualche cucchiaio di zuppa e due fettine di formaggio. Per la maggior parte del tempo aveva però bevuto dell'acqua e ascoltato distrattamente gli schemi che volevano provare nel prossimo allenamento. Quando ebbe deciso di aver mangiato abbastanza per non dare nell'occhio, si alzò.
"Ora il vostro cercatore deve riposare, se volete che continui a far vincere Grifondoro" aveva detto, ed era immediatamente corso nel dormitorio.
Senza neppure controllare, come faceva sempre, che fosse vuoto, si era fiondato in bagno. Quella volta non aveva avuto bisogno di spogliarsi e guardarsi allo specchio, per farsi ribrezzo. Sentiva la pancia piena, il ricordo del digiuno portato avanti faticosamente quel pomeriggio era ormai lontano. Inoltre, se chiudeva gli occhi, poteva vedere il suo corpo che cresceva, cresceva, cresceva, fino ad esplodere. Era stato come un riflesso naturale alzare la tavoletta del water, inginocchiarsi, mettersi due dita in gola, chiudere gli occhi e vomitare tutto.

Disteso sul letto con le tendine tirate, mentre aspettava che i suoi compagni di dormitorio ritornassero per riuscire ad addormentarsi, l'unica cosa a cui James riusciva a pensare era a quanto cibo fosse comunque rimasto nel suo stomaco. Era arrabbiato: una giornata intera di fatiche e sforzi, era stata vanificata. La sua pancia brontolava rumorosamente, ma non sapeva se per la fame o per la digestione. Ormai non gli interessava più, voleva solo che smettesse. Poggiò le mani sulla pancia e le tirò dei pugni. Riuscì ad addormentarsi solo quando sentì dei passi, probabilmente quelli di Henry, e poi lo scricchiolio di una piuma sulla pergamena.

Erano due settimane che Scorpius si allenava con James e poteva giurare che non si era mai sentito così sicuro e saldo su una scopa in vita sua. Anche se il sentimento di essere fuori luogo, lì, la mattina, con lui, restava, aveva imparato a venirci a patti. Anche perché volare con James lo aiutava davvero. Spesso gli veniva da pensare che lui non lo stesse guardando, e che il suo allenati con me fosse solo un permesso a ripetere i suoi esercizi dietro di lui, ma poi, nei momenti più inaspettati, arrivava una sua correzione. I giorni di riposo che aveva nella settimana, li passava sempre ad aspettare l'allenamento successivo e a riposare i muscoli stanchi. Non sapeva come avrebbe fatto a ringraziarlo, spesso gli sembrava che l'aiuto fosse unilaterale, e sempre di James verso di lui, quando avrebbe dovuto essere il contrario. Il sabato prima di Natale, prima di prendere l'Hogwarts Express la domenica mattina per tornare a casa, avrebbe giocato la partita contro Corvonero. Anche se mancava ancora una settimana, l'ansia e la paura di fallire, nonostante gli allenamenti supplementari, lo stava già divorando dentro.
Vide James arrivare da lontano e si preparò ad affrontare l'allenamento. Si tolse il mantello e strinse le stringhe delle scarpe.
"Buongiorno" lo salutò mentre gli andava incontro.
James annuì semplicemente, tenendo il capo basso. Scorpius non sapeva cosa dire, perciò preferì restare in silenzio e iniziare la corsetta di fianco a lui. James gli lasciava sempre il giro interno, facendo lui quello più lungo, e quel giorno non fece eccezione. Succedeva anche per tutte le altre cose che lui gli lasciasse la parte più corta e meno faticosa, Scorpius avrebbe voluto dirgli che non c'era bisogno, ma a metà allenamento, quando la vera fatica iniziava a farsi sentire, non poteva che essergli grato.
C'era qualcosa che non andava in James quella mattina. Se ne accorse già dal secondo giro di campo, quando aumentò improvvisamente il passo, lasciandolo indietro di cinque passi abbondanti. Non era un atteggiamento da James. Solitamente nella parte a terra, lasciava che fosse Scorpius a dettare il passo, in modo da non farlo stancare troppo. Solo in volo, poi, era davvero lui a guidare. James sbagliò a contare i giri di corsa, ne fecero quattro e mezzo invece che tre. E poi di nuovo la stessa cosa per le andature e i piegamenti. Era come se James avesse la testa da un'altra parte. Aveva però attaccato il pilota automatico, Scorpius l'aveva capito dal ritmo sempre costante e sempre velocissimo, che teneva. Sembrava non sentire la fatica, a differenza sua che, al momento di salire sulle scope, credeva che non sarebbe neppure stato in grado di sollevare una gamba.
"Soliti esercizi?" chiese Scorpius mentre facevano i primi giri di campo in volo cercando di rompere quel silenzio assordante che li avvolgeva. Non c'era neppure un uccellino che volava e cantava quel mattino, solo il suo fiatone e il fruscio delle scope nell'aria.
James annuì, nuovamente senza aprire bocca. Non aveva ancora detto nulla da quando si erano incontrati. Scorpius non riusciva a capire se fosse arrabbiato con lui o risparmiasse semplicemente energie, concentrato sul portare a termine un allenamento a ritmi serrati. Se la parte a terra era stata eseguita velocemente e con delle ripetute di troppo, quella in volo fu anche peggio. Scorpius avrebbe voluto sedersi a terra e guardare James volare con così tanta precisione a velocità talmente elevate, ma doveva stargli dietro, e quel mattino era più dura del solito quindi la sua concentrazione doveva essere sulla sua volata, non su quella altrui. Non arrivò neanche una correzione o un aggiustamento, Scorpius era sicuro che non lo guardasse per davvero quella volta. Mentre James li obbligava a ripetere ancora da capo la serie dei tuffi, Scorpius iniziò a sentirsi fuori luogo. Aveva paura che non lo volesse più lì, e in effetti sembrava che stesse facendo un allenamento in solitaria, più che con lui, quel mattino. Scorpius strinse i denti anche durante le ripetute che per lui erano le più ostiche: i cambi di direzione. Per farli al meglio era necessario un controllo perfetto della scopa e del proprio corpo, oltre che una tecnica impeccabile. In caso contrario si rischiava di essere disarcionati dalla scopa e di cadere. Cercò di farle al meglio, per dimostrare a James, nel caso si degnasse di guardarlo, che meritava di essere lì. Fu quasi un sollievo finire gli esercizi. Ora mancava solo il boccino, momento in cui Scorpius avrebbe anche potuto non provare a prenderlo, in ogni caso non ce l'avrebbe mai fatta, non contro James. Ma quel mattino, nella mente del ragazzo, dovevano girare pensieri contorti, perché senza dire nulla a Scorpius, si mise a ripetere da capo tutti gli esercizi, ma staccando una mano. Non aveva mai visto una cosa così pericolosa in vita sua. Avrebbe voluto avvertilo, dirgli che si sarebbe fatto male di nuovo facendo così, ma evitò, sicuro che non l'avrebbe mai ascoltato. Lui gli esercizi li ripeté con due mani strette intorno al manico, non era ancora a quel livello di controllo della scopa da potersi permettere di staccare una mano. Passò tutta la seconda serie a guardare James in apprensione. Aveva paura che cadesse da un momento all'altro e si facesse male. Ma non successe. Mentre volava sembrava un automa, perfetto e immutabile. La sua faccia era costantemente contorta in un'espressione a metà tra il dolore e la stanchezza, totalmente distante dalla reattività dei suoi movimenti. Era ormai tardi, perciò il boccino lo liberarono in aria solo una volta. A Scorpius fu subito chiaro che James voleva concludere il tutto nel meno tempo possibile. Iniziò a volare per il campo come un rapace, e prima che Scorpius avesse avuto il tempo di girare tutto il campo un paio di volte, James era già planato a terra dall'entrata degli spogliatoi. Una mano era sollevata. L'allenamento era finito.
Appena toccò terra, Scorpius ringraziò di essere vivo e, anche se faticosamente, di riuscire ancora a camminare. Si trascinò negli spogliatoi e poi sotto la doccia con fatica. Lasciò cadere i vestiti nel cammino e solo quando un getto di acqua calda gli colpì le spalle realizzò. Anche se a lui sembrava di non aver volato così male e di essere comunque migliorato nelle ultime settimane, rimaneva quello che temeva suo padre: un perdente. Non aveva neppure avuto il coraggio di provare dei nuovi esercizi. Si affacciò fuori dalla doccia, per vedere James, come per ammirare quello che lui non sarebbe mai stato, ma non lo vide. L'aveva lasciato seduto sulla panca, ed ora non era più lì. Stranito, si asciugò con un incantesimo e indossò velocemente la divisa che aveva appoggiato su uno sgabello. Quando si affacciò nuovamente nello spogliatoio vide James in piedi, vicino al muro. Era bianco come un cadavere, e gli occhi sembravano scurati da un velo. Barcollava leggermente anche se appoggiato alla parete con la mano. Scorpius si avvicinò a lui, preoccupato. Questo era l'ennesimo segno del suo malessere di quella mattina. Fece appena in tempo a fare due passi che James si staccò dal muro, tentò di avanzare e cadde con un tonfo, svenuto.
"Oddio" Scorpius gli piombò addosso "oddio, oddio, oddio"
Cercò di spingerlo, nel caso si svegliasse, ma James rimaneva stesò scompostamente per terra. Provò allora a metterlo disteso a pancia in su, ma faticò, le membra di James erano pesanti. Riuscì però ad alzargli le gambe, glie le fece stendere in alto e glie le sorresse. Ma lui continuava a non svegliarsi. Il panico iniziò a farsi strada in Scorpius. Non sapeva cosa fare. Mentre il cuore gli batteva velocemente, lasciò ricadere per la fretta le gambe di James a terra e corse verso il bagno. L'unica cosa che trovò fu uno shampoo vuoto. Lo riempì di acqua fredda e corse indietro, rovesciandone un po' sul pavimento.
"Svegliati James!" disse "Svegliati!" e gli tirò l'acqua in faccia.
Passò mezzo secondo in cui Scorpius tremava per il panico e il corpo dell'altro rimaneva per terra inerme. Solo il petto si alzava e abbassava molto lentamente, unico segno di vita presente. Poi, quando Scorpius era ormai sull'orlo delle lacrime e stava per urlare con tutta la voce che aveva nei polmoni, James ebbe uno spasmo e aprì gli occhi.

Scorpius gli aveva tamponato la fronte con una maglietta bagnata fino a quando non aveva sussurrato che era sveglio. Aveva poi accettato il suo aiuto per lavarsi e vestirsi, senza ribattere. Era la prima persona nell'ultimo anno che lo vedeva nudo e martoriato com'era, ma non se ne curò. Scorpius si era messo in testa di aiutarlo e anche se lui si fosse opposto, rimaneva fisicamente il più forte tra i due. Apprezzò che non si soffermasse troppo a guardarlo, ma che il suo sguardo gli passasse semplicemente sopra, apparentemente senza giudicarlo. Era troppo debole in ogni caso, per fare qualcosa. Si sentiva continuamente come se stesse per cadere di nuovo. La testa gli girava e non riusciva a mettere a fuoco gli oggetti. Si sentiva in quel modo da quando si era alzato quella mattina, me aveva cercato in tutti i modi di ignorare quelle sensazioni. Scorpius però sembrava ritenere la situazione tragica. Incurante delle sue opposizioni, dopo averlo aiutato a vestirsi, lo spinse fino alla Sala Grande, dove lo obbligò a sedersi. Si misero al tavolo di Grifondoro, stranamente più vuoto di quello Serpeverde, ma probabilmente solo perché era già tardi. Quando James inalò l'odore del cibo, il suo stomaco brontolò dolorosamente, quasi come se gli stesse chiedendo perché gli faceva questo.
"Siediti" quello di Scorpius era un ordine e James, ancora troppo debole, ubbidì.
Lo guardò atono mentre gli riempiva il piatto. Evidentemente negli ultimi tempi era diventata un'abitudine farlo.
"Mangia"
"Non voglio mangiare" furono le prime parole che James disse quella mattina.
Scorpius lo guardò, e per la prima volta nei suoi occhi c'era un velo di pena.
"Non vuoi mangiare" ripeté.
"No"
"E perché non vuoi mangiare?"
"Non ne ho voglia"
James si sentiva stanco. Avrebbe solo voluto andare nel suo dormitorio, mettersi a letto e dormire. Non gli interessava mangiare. Lui era stanco, non affamato. O meglio, aveva più sonno che fame.
"Non ne hai voglia, eh" Scorpius appariva meno calmo del solito e aveva alzato la voce.
"Non parlare a voce così alta, ho mal di testa"
"Forse perché non mangi"
"Io mangio" contestò James.
Scorpius poggiò i gomiti sul tavolo e avvicinò la testa alla sua, guardandolo negli occhi.
"Dimmi la verità, da quanto non mangi?"
"Ieri sera"
Lo vide trattenere il fiato, insicuro su cosa dire. Non aveva mai visto così da vicino gli occhi di Scorpius e non avrebbe voluto farlo in quel frangente. Lo guardavano duramente e con rabbia, ma senza quel rimprovero che era costantemente dipinto sul volto di Albus. In ogni caso erano più determinati dei suoi, stanchi, semichiusi e appannati.
"Non ci credo" James rimase in silenzio "Se no non saresti svenuto"
Ecco, l'aveva detto. James serrò gli occhi, come per allontanare la realtà.
"È stato un incidente" disse infine, riaprendoli e spingendo lontano da sé il piatto "Io non mangio"
Scorpius lo guardò con astio. Divise a metà un biscotto e glie ne porse la parte più piccola. James la prese e la appoggiò nel piatto.
"Non penso che vogliano avere questo genere di incidenti in una squadra professionistica" sibilò.
"Cosa vorresti dire?" sussurrò James, distogliendo lo sguardo e puntandolo sulle sue mani.
"Che nessuno ingaggerebbe un Cercatore che rischia di svenire durante gli allenamenti e, perché no, in partita" Scorpius lo guardò e James pensò che era cattivo a dirgli quelle cose, dopo tutto quello che aveva fatto, ma lui andò avanti "A parità di talento, uno che sviene non gioca bene come uno che non sviene"
Avrebbe voluto dirgli che non esisteva nessuno portato come lui per quello sport né per il volo, ma sentiva solo sonno, sonno e sonno.
"Non mi convincerai a farmi mangiare, facendo così, sai?" contrattaccò "Te l'ho detto, non ho voglia"
"Non sto cercando di farti mangiare"
James lo guardò, ma non riuscì a metterlo a fuoco. Riusciva a vedere solo i contorni sfocati della sua figura. Chiuse gli occhi per riposarli qualche secondo. Forse gli era peggiorata la vista, forse aveva bisogno di occhiali più spessi, come quelli di Albus.
"E cosa stai facendo allora?" chiese.
Lo sguardo di Scorpius era pura spietatezza, ma da tempo James aveva deciso di preferirlo a quello di pietà.
"Voglio farti capire che nessuno vuole uno che non mangia"
"Smettila"
"Non una squadra"
"Smettila"
"Non una famiglia"
"Smettila"
"Neppure il tuo corpo ti vuole più"
"Smettila" sussurrò "Ti prego"
James aveva sepolto la testa nelle mani e piangeva silenziosamente. Gli occhi bruciavano a contatto con le lacrime
"Non ti vuole nessuno, James Potter" sibilò Scorpius, incurante delle sue suppliche.
"Ho detto smettila!" urlò, ma la voce gli uscì smorzata e rotta.
James si alzò e lo guardò in faccia, prima di correre fuori dalla Sala Grande prendendo contro a tutti.

Scorpius lo guardò uscire e qualcosa si spezzò dentro di lui. Mentre lo guardava fuggire via da lui, dalle sue parole, si sentì un mostro. Si chiese perché. Perché aveva dovuto dire tutte quelle cose. Sapeva che erano vere, ma James era un cristallo e andava trattato come tale. Seppellì la testa nelle mani. Aveva rovinato tutto. Ogni piccolo gesto che aveva cercato di compiere, era stato spazzato via. Si era arrabbiato, aveva lasciato che i suoi sentimenti prendessero il sopravvento, aveva agito da Draco Malfoy, non da Scorpius. Per la prima volta in vita sua desiderò non aver agito come avrebbe fatto suo padre.
Pensò a James tutta la mattina. Si chiese dove fosse, cosa stesse facendo, se avesse mangiato. Ma non lo vide mai. All'ora di pranzo si sedette sul suo letto, prese fuori una pergamena e una piuma.

Ho mentito James.
Non esiste squadra che non ti vorrebbe tra le sue fila.
Sono io troppo invidioso per arrendermi all'evidenza.
Mi dispiace, non dovevo dire quelle cose.
Non so cosa fare.
Mi sento un mostro.
Mi dispiace.
SHM

Non lo rilesse, lo arrotolò e lo sigillò. In cima al baule giaceva un cappello, blu come il maglione che gli aveva regalato quasi un mese prima. Lo incartò e scese per mandarlo insieme al biglietto.

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